Esperienza

Enciclopedia dei ragazzi (2005)

esperienza

Stefano De Luca

Conoscenza personale e diretta di una situazione

Per esperienza si intende, nel linguaggio comune, qualsiasi forma di conoscenza derivante dalla partecipazione personale a una situazione di tipo fisico o psicologico. Come tale, essa va distinta dall'esperimento, che è una procedura utilizzata per controllare le teorie scientifiche. La nozione di esperienza appartiene anche al linguaggio filosofico, dove viene in genere contrapposta alla ragione astratta

Un termine con molti significati

Quando diciamo di avere esperienza di qualcosa ‒ si tratti di una situazione fisica (come il caldo tropicale o il mal di denti), psicologica (come l'euforia o la tristezza), morale (come il sentimento del dovere o il rimorso) o religiosa (come il sentimento del sacro) ‒ intendiamo dire che conosciamo quella situazione non per sentito dire, ma per averla provata personalmente una o più volte.

Ben diverso è il significato dell'esperienza nella scienza moderna: in questo caso essa indica l'insieme delle procedure utilizzate per il controllo delle teorie scientifiche. Quando affermiamo che la teoria atomica della materia è confermata dall'esperienza, non intendiamo dire che ne abbiamo fatto personale esperienza, ma che tale teoria è stata sottoposta a una serie di procedure impersonali e oggettive che ne hanno confermato la validità. In questi casi, più che di esperienza, bisogna quindi parlare di esperimenti o di metodo sperimentale.

Il termine esperienza ha infine una lunga storia filosofica, durante la quale è stato interpretato come esperienza sensibile o come insieme dei metodi per giungere a un sapere valido. In ogni caso, il richiamo all'esperienza ‒ tipico dell'empirismo ‒ si è sempre accompagnato alla convinzione che il sapere umano sia limitato e fallibile: di qui l'invito alla cautela, l'attenzione al dato concreto, la critica alla pretesa della ragione di essere autosufficiente, la diffidenza verso tutte le certezze assolute.

Dall'antichità al Medioevo

Nell'antichità l'esperienza ‒ concepita essenzialmente come esperienza sensibile e mai come esperimento ‒ è stata al centro della riflessione critica dei più grandi filosofi greci. Parmenide (6°- 5° secolo a.C.) e Platone ne sottolinearono il carattere ingannevole e superficiale: dall'esperienza dei sensi può derivare soltanto il sapere insicuro e mutevole delle opinioni (dòxa), mentre il sapere certo e rigoroso (epistème) può scaturire soltanto dai rigorosi principi della ragione. Quanto ad Aristotele, egli riconobbe all'esperienza sensibile un ruolo positivo, perché dalle molteplici sensazioni concrete ‒ conservate ed elaborate dalla memoria ‒ noi ci solleviamo gradualmente ai concetti astratti. Ma questa strada, che coincide con il metodo induttivo, è soltanto quella più semplice per giungere ai principi primi del sapere, la cui validità è indipendente dall'esperienza.

In sostanza, per Platone e Aristotele, nonostante le differenze, l'esperienza rimane una conoscenza del particolare e quindi qualcosa di irrimediabilmente diverso dalla conoscenza scientifica, che deve essere universale e necessaria (cioè valere sempre e per tutti i casi).

Nella filosofia moderna

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Dopo la nascita della scienza moderna ‒ e la lezione di Galilei sull'interdipendenza tra esperienza e ragionamenti astratti ‒ la concezione dell'esperienza si fece più complessa. Essa non venne più identificata con le intuizioni sensibili: non è la semplice e ingenua esperienza a guidare la conoscenza ‒ sosteneva il filosofo inglese Francesco Bacone (16°-17° secolo), fondatore dell'empirismo moderno ‒ bensì l'esperimento, ossia l'esperienza guidata e disciplinata dall'intelletto. Un altro filosofo inglese, John Locke (17° secolo), allargò il concetto di esperienza, includendo al suo interno ‒ oltre alle intuizioni sensibili ‒ anche gli altri contenuti presenti nella coscienza (sentimenti, atti di volontà, operazioni logiche e così via); l'esperienza, concepita come totalità del mondo umano, diveniva così anche il limite alle pretese conoscitive dell'uomo. Quel limite che Immanuel Kant espresse mirabilmente attraverso una celebre immagine: la nostra ragione è come una colomba che ‒ in preda all'ebbrezza del volo ‒ avverte la resistenza dell'aria e immagina che senza quella resistenza il suo volo acquisterebbe uno slancio infinito. Ma si inganna: perché è proprio quella resistenza a permetterle di volare. Vale a dire: l'esperienza limita e al tempo stesso rende possibile la conoscenza umana.

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