Esperimento mentale (trad. del ted. Gedanken­experiment)

Dizionario di filosofia (2009)

esperimento mentale (trad. del ted. Gedanken­experiment)


esperimento mentale

(trad. del ted. Gedanken­experiment) Esperimento volto a testare, corroborare o confutare un’ipotesi o teoria, che ha un carattere immaginario e non empirico perché limitazioni pratiche lo rendono irrealizzabile. Diffuso dagli scritti di Mach a partire da La meccanica nel suo sviluppo storico-critico (1883), il termine è stato usato per la prima volta nel 1811 dal fisico e chimico danese H.Ch. Ørsted (Første Indledning til den Almindelige Naturlaere «Prima introduzione alla fisica generale») sulla scia di Experimente der Vernunft di Kant, ma già G. Lichtenberg negli anni Novanta del Settecento aveva usato la formulazione «mit Gedanken experimentieren». Nonostante il termine sia relativamente recente, la pratica dell’e. m. è radicata nella riflessione filosofica e scientifica sin dall’antichità: basti pensare ai paradossi di Zenone sul movimento. Con la scienza moderna lo strumento concettuale dell’e. m. si affina notevolmente rivestendo un ruolo strategico, e a tratti retorico. Rivestono infatti il carattere di e. m. alcune cruciali argomentazioni galileiane come quella in favore del principio di inerzia (immaginando il caso di un corpo che si muove su un piano orizzontale privo di attriti) e come quella diretta a dimostrare il principio della relatività classica (il famoso esperimento del «gran navilio» nel Dialogo sopra i due massimi sistemi). Anche Newton, nei Principia mathematica, si serve dell’e. m. per mostrare che la legge di caduta dei corpi riesce a spiegare anche il moto dei pianeti attorno al Sole, immaginando un cannone che spara orizzontalmente proiettili dalla vetta di un montagna sopra l’atmosfera terreste: i proiettili sarebbero caduti sempre più lontano sulla Terra, in proporzione all’aumento della velocità con cui sono sparati, finché un proiettile sarebbe riuscito a non cadere sulla Terra compiendo un giro completo intorno a essa. È tuttavia in conseguenza del suo uso da parte di Einstein, per illustrare la teoria della relatività, e successivamente nell’ambito della meccanica quantistica, che l’e. m. è diventato oggetto di profonde analisi storiche, epistemologiche e logiche. Nel Novecento importanti contributi sono venuti da Duhem, Koyré, Kuhn, Hempel. Per Koyré la centralità degli e. m. nella nuova scienza deriva dalla loro capacità di rivelare verità sulla realtà che ci circonda attraverso idealizzazioni necessarie per la descrizione matematica della natura, essendo la natura in ultima istanza un sistema matematico. In risposta all’interpretazione platonica di Koyré, Kuhn ha obiettato che gli e. m. possono lavorare in modo effettivo soltanto all’interno di modelli o mondi simulati ai quali gli sperimentatori applicano successivamente le loro esperienze e conoscenze del mondo reale. Duhem e Hempel negano agli e. m. lo statuto di metodi legittimi di investigazione scientifica: al più essi possono essere considerati come strumenti con un ruolo di guida nell’ambito del processo di scoperta. In una prospettiva empirista gli e. m. divengono essenzialmente delle argomentazioni deduttive in cui il contenuto empirico è nascosto e gioca il ruolo di una serie di premesse soppresse. Ma quale sia la relazione tra e. m. e realtà, quale sia il ruolo di tali elementi nella scoperta scientifica e quale siano le loro profonde caratteristiche argomentative, tutto ciò appare ancora un problema ampiamente aperto e dibattuto soprattutto nel contesto della corrente filosofica denominata naturalismo o filosofia della scienza naturalizzata. In filosofia, l’uso di e. m. è pervasivo in settori quali la teoria della conoscenza, la filosofia della mente e l’etica.

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