di Jolanda Nigro Covre,
ESPRESSIONISMO
Espressionismo artistico
di Jolanda Nigro Cove
sommario: 1. Uso del termine, presupposti culturali e ideologici, dati caratterizzanti. 2. Le premesse teoriche, letterarie, figurative. 3 centri dell'espressionismo pittorico. 4. La sintesi delle arti. Architettura e spettacolo. □ Bibliografia.
1. Uso del termine, presupposti culturali e ideologici, dati caratterizzanti
Nell'uso attuale del termine espressionismo riferito alle arti si danno due accezioni diverse: da un lato si indica una tendenza ricorrente, una sorta di categoria, individuabile in senso sovrastorico, dell'atteggiamento psicologico che si manifesta, nel fare artistico, in un sistema di esasperazioni formali; dall'altro si indica un complesso momento, storicamente determinabile, dell'avanguardia artistica di questo secolo, al quale il termine è stato applicato, prima dalla critica e poi dagli artisti, per indicarne il comun denominatore e il fattore più caratterizzante. In questo momento prevale l'atteggiamento espressionista categorialmente inteso; ma il fenomeno storico non è riducibile all'atteggiamento, come d'altra parte l'atteggiamento, nel suo manifestarsi storico, si combina con una serie eterogenea di fattori e si riduce in una determinazione particolare. Nel taglio del materiale da analizzare è legittimo tener presente l'una o l'altra accezione del termine, operando una restrizione, necessaria per ogni tipo di analisi, che corrisponde a una scelta sul metodo e le finalità del lavoro. Optando per la seconda, ci proponiamo di indicare il significato di un certo modo d'intendere la produzione artistica e l'atteggiamento estetico in un determinato momento storico, le sue molteplici manifestazioni e le sue implicazioni ideologiche, le condizioni da cui esso nasce e la posizione che occupa nella coscienza contemporanea. Questa precisazione è necessaria perché, tra tutti i termini designati a indicare movimenti d'avanguardia, l'espressionismo, per la complessità dei fatti che lo compongono (e non per una loro presunta, illusoria elementarità), è quello che presenta maggiori difficoltà di definizione e quindi, al tempo stesso, più si presta a risolversi in una categoria sovrastorica; categoria che può esercitare un particolare fascino anche per certe sue istanze irrazionalistiche. Scegliendo di porsi in un'ottica rigorosamente storica, si deve analizzare e scomporre anche questo fascino.
Per espressionismo s'intende dunque una manifestazione delle arti situabile tra l'esaurirsi, o meglio il trasformarsi, di un filone simbolista e le nuove tendenze ‛oggettive' e ‛razionali', che però sotto molti aspetti in esso rientrano, ossia tra il 1905 circa e il corso degli anni venti. Il termine è nato nell'ambito della pittura, ma il fenomeno investe anche la scultura (più limitatamente), la musica, la letteratura, il teatro e il cinema, e infine l'architettura e l'industrial design, dove però è controverso se esso abbia agito direttamente o a livello di istanza, o in negativo. Per un complesso di ragioni economiche e sociopolitiche, nonché per un particolare substrato culturale e in specie filosofico, il suo centro è la
Il termine indica la volontà programmatica di estrinsecare nell'opera una realtà interiore, una condizione composta di sentimenti, concezioni del mondo, reazioni all'ambiente esterno, direttamente e immediatamente attraverso l'immagine, senza il tramite di un simbolo codificato; questa condizione si riassume nella intraducibile Stimmung, letteralmente ‛intonazione di un accordo', che comprende lo stato d'animo e l'atmosfera dell'ambiente. Si accentuano, in tal modo, l'istanza comunicativa e il valore gestuale dell'attività artistica, a discapito dell'interesse per una forma totalizzante e appagante; la forma si riduce invece alla funzione di segno, nel contesto di un linguaggio che rivendica a sè, e a sé soltanto, la possibilità di esprimere globalmente e senza ‛maschere' la realtà dell'esistenza, ormai scissa irrevocabilmente dalla verità fenomenica: sono proprio gli espressionisti che aprono la strada a un'estetica non più fondata sul concetto di forma e di rappresentazione, ma su quello di ‛segno': l'estetica ‛semantica', appunto. Nè, se questa tesi è giusta, v'è altro da aggiungere per spiegare l'influenza persistente, crescente, sempre più premente, che l'espressionismo ha esercitato ed esercita sull'arte moderna nel mondo; e la necessità di un ponderato riesame critico che chiarisca l'importanza, non soltanto di componente romantica, ch'esso ha avuto nella storia dell'arte" (G. C. Argan, L'estetica dell'espressionismo, in ‟Marcatrè", 1964, n. 8-9-10, p. 24).
La definizione dell'espressionismo in tale significato, che, nel sottolineare il moto dall'interno all'esterno dell'atto creativo, polemicamente lo oppone all'impressionismo (ma questo se ne rivelerà, a un esame più attento, presupposto diretto), non appare in un vero e proprio programma, ma è desumibile da una serie d'interventi di critici e di artisti. È usata, forse per la prima volta, nel 1910, riferita a un quadro di Pechstein da Cassirer, durante una discussione della giuria del gruppo Secessione di
Come è stato notato (v. Gordon, 1966), sono gli artisti francesi, e in particolare Matisse sulla scia di Moreau, i primi a formulare nei loro scritti una teoria dell'arte come espressione; e il termine espressionismo in Germania è inizialmente riferito proprio ai fauves: così, per esempio, alla XXII mostra del gruppo Secessione di Berlino, nel 1911. Ma non è un caso che il termine stesso venga coniato e usato dai critici tedeschi e non dai francesi. L'arte come espressione è intesa in modo profondamente diverso da un Matisse o da storici come Fechter; il riferirnento dell'espressionismo compiuto da quest'ultimo, a posteriori, all'avanguardia tedesca, in base ad argomentazioni irrazionalistiche per noi inaccettabili, indica comunque che esiste un fenomeno storicamente determinato riassumibile in tale termine, anche se gli artisti in questione non si sono autodefiniti espressionisti nè costituiscono un gruppo unitario.
Questa esigenza di comunicazione, di approdo immediato alla sfera esistenziale, di recupero del valore della creatività soggettiva, avviene in un momento particolarmente denso di trasformazioni nella storia della Germania. Siamo in una nazione relativamente giovane, in cui il processo di industrializzazione, ancora abbastanza arretrato all'inizio dell'ultimo quarto dell'Ottocento, ha subito negli ultimi anni una rapida accelerazione, per entrare direttamente nella competizione del mercato mondiale. La fase bismarckiana si è conclusa (1890); la speranza di un rapporto dialettico tra un capitalismo in piena espansione e un socialismo che preme alle porte, aperta subito dopo da qualche provvedimento, è delusa ben presto e sostituita dall'ordine stabile e dalle mire assolutistiche e imperialistiche di Guglielmo Il. Nella vita quotidiana appaiono preponderanti i valori del progresso scientifico e del rafforzamento del potere, presupposti della sicurezza di un assetto borghese che tanto più difende il proprio privilegio quanto meno direttamente è attaccato. È il momento di formazione e di espansione dei grandi consorzi produttivi e delle grandi ditte, il momento dei Krupp, della Siemens, delle miniere della
Non sono, questi, problemi del tutto nuovi. Il ‛disagio' era stato rilevato esattamente, anche se utopisticamente irrisolto, da Ruskin e
L'improvvisa apertura che l'espressionismo indubbiamente segna nei confronti della cultura europea, assume il carattere, da un lato di una violenta reazione contro tutte le condizioni che l'avevano ostacolata, dalla tradizione accademica agli interessi di una logica borghese e industrialistica, dall'altro di una strenua difesa delle proprie radici considerate autentiche, di un recupero sovrastorico dei valori del proprio passato, con i quali il legame è direi quasi viscerale e impossibile a sciogliersi. Consideriamo gli idoli del momento, i nomi ricorrenti negli articoli dei critici e nelle lettere degli artisti: da un'interpretazione parziale di Nietzsche si risale a Schopenhauer e, più lontano, alla genuinità del cristianesimo primitivo o della religione autoctona precristiana; si risale da Wagner a Goethe, fino a Dürer, Grünewald e i ‛primitivi' tedeschi.
Il primo momento della reazione (non in senso strettamente cronologico, anche se pure di questo si tratta, ma soprattutto in senso dialettico) segna un'esasperazione della soggettività contro la minaccia di una massificazione, dell'individuale contro il sociale. Quindi, il passo è breve verso il recupero di un senso di coralità in cui l'individuo non solo conserva il proprio valore, ma lo intensifica nel creare, con i suoi simili, quella sorta di superiore individualità che è la comunità e che non necessariamente coincide con la collettività sociale. Resterà sempre, negli espressionisti e fin nei maturi anni del
Contro la materia impersonata dalla macchina, dal denaro, dal benessere, si rivendica lo Spirito (e anche in questo c'è l'eredità diretta della tradizione simbolista), o più precisamente il Geist, che è spirito e intelletto insieme, e si esprime attraverso l'istinto, romanticamente rivendicato contro la ragione. Esso non va confuso con una religiosità di tipo confessionale: viene esaltato anche contestualmente all'agnosticismo o all'indifferenza religiosa; è una sorta di anima, una Seele, un principio vitale, e difatti la parola sarà nuovamente assunta e chiarita in questo senso con il rafforzarsi di tendenze neovitalistiche negli anni successivi alla prima guerra. Comunque gli espressionisti sono in genere profondamente religiosi, quasi tutti tendenti a una forma mista di panteismo e misticismo, in cui identificano, sempre sulla scia della corrente romantica (Schopenhauer), cristianesimo e buddhismo, accanto a una ripresa della tradizione esoterica. The key of theosophy di E. P. Blavatskij (1889) è tradotto in tedesco nel 1907: il libro è citato con interesse, anche se con qualche riserva, da Kandinskij in Lo spirituale nell'arte (1912; ma la stesura è precedente di qualche anno);
Ma, al di là dell'interesse che può suscitare l'adesione di alcuni artisti a determinate dottrine, è importante tener presente il diffuso senso ‛cosmico' che emerge da tutte le testimonianze dell'espressionismo. Il senso di disagio e di emarginazione spinge l'artista a ricreare il proprio rapporto con la natura in base a funzioni irrazionali e mistiche, perché sul terreno della nemica ‛raglone' sarebbe sconfitto in partenza. In un primo momento egli oppone il suo io a una natura intesa come materia passiva, cui solo l'atto conoscitivo del soggetto può dare anima e vita. Quindi egli aspira a ricostituire una ‛unità' perduta, a perdersi nel ‛tutto', in un cosmo in cui gli esseri e le cose, il principio divino e la materia stessa si fondono nell'unico principio vitale che è il Geist; e oscilla tra un desiderio di autodistruzione, in quanto individuo staccato dal ‛tutto' originario, e un desiderio di autoaffermazione, perché il Geist si afferma attraverso un atto di volontà che è pur sempre un atto umano di rivalità con la natura. Il tema dell'unione cosmica è costante negli scritti di Fr. Marc, ma si trova anche in Klee,
In questo ‛ritorno' all'unità originaria si ricercano le radici dell'esistenza umana anche in senso storico, come ripensamento della propria tradizione. Di qui il primitivismo, che gli espressionisti ereditano pure dal romanticismo e dall'area simbolista, ma che assume ora un tono particolare; è qualcosa di antico, di lungamente represso, che esplode, dal profondo dell'inconscio, nello Urschrei, il grido primordiale. Va precisato che il concetto d'inconscio, per gli espressionisti, è influenzato anche da Freud e più tardi da Jung, ma resta estraneo al senso in cui viene definito dalla nuova scienza della psicanalisi: morbosamente legato a qualcosa di viscerale e trascendentale nello stesso tempo, esso viene a coincidere con un'idea integralista dell'umano, carica di componenti sovrastrutturali; e per questo resta ancora al di là della nuda freddezza e laicità con cui il termine si trasforma per i surrealisti, anche se molti sono poi in concreto i passaggi tra i due movimenti, mediati dal dadaismo.
Si tratti della scultura negra o dell'arte dei popoli dei Mari del Sud, degli ex voto popolari, delle stilizzazioni della scultura etrusca (
Considerata la situazione storica da cui si sviluppa, è logico che al centro della poetica dell'espressionismo sia la tendenza a porre, e talvolta, nello stesso tempo, a eludere, il problema sociale e quello di una filosofia della scienza. Nasce una difesa del ‛povero', esplicita, per esempio, in Heckel e in
Comune a tutti è l'atteggiamento antiborghese, altra costante almeno dal romanticismo in poi, e la polemica antipositivistica. L'utilitarismo, la ricerca del benessere e la fede nel mero progresso scientifico vengono accomunati nel concetto di materialismo, al quale si reagisce ora accentuando la fede nell'‛evoluzione' in una fase spiritualistica, dove il divenire si contrappone, ancora romanticamente, all'essere come lo spirito alla materia, ora ricorrendo al regresso in una fase preborghese, che s'identifica indifferentemente con la comunità medievale o con la preistoria dell'umanità. Nonostante l'odio per la borghesia, si accetta senza troppe contestazioni la realtà di fatto della committenza borghese. Questo non può essere oggetto di condanna: nella situazione politico-culturale esistente, e con i limiti ideologici che son quelli di tutti gli intellettuali e non solo degli artisti, gli espressionisti, come coloro che li precedono e li seguiranno, non possono far altro che cercare la protezione del collezionismo privato; aspirano, sia a Monaco che a Berlino, a non esserne condizionati, a organizzare mostre senza giuria, ma la loro gratitudine si volge indifferentemente al Direttore dei Musei di Monaco, H. von Tschudi, al ‛mecenate' B. Koehler (lo ‛zio Bernard' di Macke), ai mercanti illuminati P. Cassirer e
La disputa sulla collocazione borghese o antiborghese del fenomeno espressionista, connesso alle sue radici romantiche e in vista della fortuna che alcuni suoi temi avranno nel nazismo, sollevata soprattutto dall'interpretazione lukácsiana, non ha alcun senso, a nostro avviso, se ci si riferisce al piano politico concreto e all'espressionismo in particolare anziché a tutta l'arte contemporanea (G. Lukàcs, 'Grösse und Verfall' des Expressionismus, in ‟Intemationale Literatur", 1934, n. 1, pp. 153-173; ora in Probleme des Realismus, Neuwied-Berlin 1971, vol. I, pp. 109-149. Cfr. il compendio della discussione e la proposta di soluzione in Chiarini, 1969). Condannare il fallimento di questo movimento artistico significa cadere nell'illusione di una potenzialità rivoluzionaria diretta che esso non può avere, nè se lo consideriamo parte di una sovrastruttura, nè se lo consideriamo un linguaggio specifico. Anche se si appella sovente al popolo (e la parola Volk in tale contesto ha un significato romantico e spiritualistico e non coincide affatto con una ‛classe'), l'espressionismo non è un'arte popolare, come non lo è nessuna avanguardia. Nato nell'ambito, e sotto tutti i condizionamenti, di un assetto borghese, ne avverte i limiti e le contraddizioni, lo giudica, lo condanna e protesta contro di esso. Impotente a rompere i ponti con la sua stessa matrice, della borghesia si limita a preannunciare la catastrofe e in certa
È stato notato che certe immagini (il crollo del ‟regno del sogno" nel romanzo L'altra parte di
Tutto questo va detto per un'interpretazione globale del fenomeno; nel quale esistono anche episodi regressivi che si nutrono passivamente di una certa cultura, tramandata da una parte del filone romantico e sfruttata dall'ideologia nazista (si vedano le tesi di storici come P. Viereck e G. L. Mosse, e quella più ponderata del Mittner).
L'alternativa borghese-antiborghese introduce a un altro carattere dell'espressionismo: l'accentuata bipolarità, cui abbiamo già accennato a proposito della dialettica classico-anticlassico, opposizione-risoluzione del rapporto tra l'io e il mondo. Un atteggiamento bivalente è riscontrabile in ogni movimento artistico del Novecento (basti pensare al cubismo); un'opposizione polare è nei loro reciproci rapporti e risale al binomio sublime-pittoresco e classico- romantico. Appare nettissima nelle tendenze di volta in volta scientifiche e irrazionali, astratto-geometriche e organiche (spesso intrecciate) del postimpressionismo. Ma questa bivalenza, derivata dall'area simbolista, raggiunge nell'espressionismo la sua massima tensione; e non a caso alcuni studiosi di psicologia vi hanno visto, a ragione o a torto, realizzata la manifestazione di un carattere introvertito, o piuttosto di un carattere schizotimico estensibile a gran parte dell'arte contemporanea (W. Winkler, Psychologie der modernen Kunst, Tübingen 1949; vedi anche le osservazioni di Jung sull'arte contemporanea in Psychologische Typen, Zürich 1921; tr. it.: Tipi psicologici,
Il problema degli espressionisti è meno circoscritto, più universalistico e perciò più ‛tragico' rispetto a quello dei cubisti. Tuttavia esso non va isolato, ma inquadrato in un rapporto di contemporaneità, di reciproci scambi e di complementarità con la linea fauve e cubista; si può dire che, in un analogo rapporto, tutte le esperienze successive muovano ora dalla tendenza fondamentale ‛dell'espressionismo, ora da quella del cubismo. Per alcuni artisti della Brücke e del Blaue Reiter (non tutti: non mancano interpretazioni corrette, non polemiche e istintive), come per critici come Bahr e Worringer, l'impressionismo è l'ultimo atto della tradizione classica rinascimentale alla quale si oppone la nuova pittura. Ammirano invece, e considerano dei loro, non solo Gauguin e van Gogh, ma anche Cézanne. La pittura impressionista vera e propria è, per loro, legata alla borghesia e al positivismo, è una passiva registrazione di dati sensoriali. La stessa interpretazione, comune anche ai fauves, si era formata nell'area del simbolismo francese. Noi possiamo considerare, al contrario, l'impressionismo come il primo atto di una serie di analisi condotte su una realtà non più pensata come assoluta ed esterna all'uomo, ma come prodotto della sua coscienza; il primo passo verso quel soggettivismo, che sarà poi alla base dell'espressionismo. I giovani pittori tedeschi non hanno veri impressionisti nella propria tradizione (neanche M. Liebermann,
Al procedimento recettivo dall'esterno all'interno sia i fauves che gli espressionisti oppongono un movimento dall'interno all'esterno, all'analisi la sintesi, a un processo materiale un processo spirituale. Entrambi usano colorazioni violente e arbitrarie, non dedotte dalla realtà ma interamente create, stesure di colore compatto, spesso delimitate, con una tecnica derivata dal cloisonnisme, da strisce scure; superano la frantumazione impressionistica dello spazio riducendo le immagini al piano, o a più piani intersecantisi che non hanno più alcun rapporto con la piramide visiva della tradizione rinascimentale. Ma l'operazione nei due casi è condotta con intenzionalità diversa. I fauves operano ancora nell'ambito della tradizione classica francese mai del tutto interrotta e continuamente rivitalizzata; non si pongono direttamente problemi esistenziali e sociali. L'espressione di un contenuto soggettivo si attua nella ricerca della potenzialità costruttiva del colore puro, nella creazione di forme che mirano a ricomporre un'armonia universale, una ‟natura parallela", come diceva Cézanne, il modello di un mondo possibile, in cui è essenziale la funzione di una forma perfetta e autosufficiente. Di qui al cubismo, per la via indicata da Braque: il colore si condensa in solidi geometrici, crea un nuovo spazio, in cui è introdotta, attraverso la memoria e la compresenza del vicino e del lontano, la dimensione del tempo. L'interrotto rapporto con la realtà è ricreato con un processo rigorosamente formale e un criterio universalizzante; rispetto all'impressionismo è stato compiuto un passo dal relativo all'assoluto; ma anche gli impressionisti si proponevano fin dall'inizio (e qui è la ragione della breve durata del gruppo) una nuova sintesi della realtà da attuarsi attraverso la tecnica pittorica.
Gli espressionisti della Brücke operano in piena tradizione romantica; dietro di sé hanno il mitologismo di A. Böcklin, lo spazio ideale e astratto di H. Marées o di A. Hildebrand, una tradizione pittorica classicistica (non classica) che contrasta con
Che Matisse sia classico, mediterraneo e pagano e Kirchner, o Kandinskij, gotico, nordico e mistico è immagine ormai abusata e da prender con cautela, ma significativa: da un lato si ‛esprime' un'idea appagante del mondo, una fiducia nelle possibilità costruttive di una tecnica umana, dall'altro una ricerca ansiosa e sempre inappagante, una tensione verso un Assoluto che resta al di là delle possibilità umane, un impegno in una prassi che mai si risolve in una forma compiuta, ma in cui s'identifica, all'infinito, l'attività artistica. Tutto questo vale come caratterizzazione generica dei due movimenti: nei singoli artisti troviamo anche forme miste e complesse. Tra i fauves, per esempio, M. Vlaminck è quello che più si avvicina all'inquietudine dei tedeschi, mentre Marc trova, tra il 1912 e il 1914, immagini di una straordinaria armonia ‛classica'.
2. Le premesse teoriche, letterarie, figurative
L'aggancio ad alcune teorie estetiche, storico-artistiche, filosofiche e letterarie è quanto mai necessario per un'introduzione all'espressionismo tedesco, sia per il suo accentuato carattere ideologico, sia per la rottura che esso compie con la tradizione figurativa locale, per cui le sue componenti vanno ricercate in gran parte al di fuori dell'area figurativa.
L'autonomia del linguaggio pittorico, la creatività e direi quasi ‛formatività' intesa come movimento dall'interno all'esterno, le implicazioni psicologiche, l'impulso volontaristico, la polemica antipositivistica e, in parte, anche la preferenza per le produzioni anticlassiche sono tutti elementi che trovano la loro premessa nei teorici della tpura visibilità' e della Einfühlung (empatia, immedesimazione, simpatia simbolica). K. Fiedier (Über die Beurteilung von Werken der bildenden Kunst, 1876; Der Ursprung der künstlerischen Tätigkeit, 1887) separa la facoltà con cui opera il pittore, la pura visibilità, sia dalla ragione che dal sentimento. Contro l'idealismo hegeliano e il positivismo (di quest'ultimo però sono accolte alcune istanze, come l'esigenza di fondare una ‛scienza dell'arte'), contro il romanticismo e il realismo, l'arte non è riflesso nè della natura, che non esiste al di fuori della coscienza umana, nè di un concetto o un'idea, nè del sentimento, ma è una forma autonoma di conoscenza, un atto creativo che parte dalla coscienza e termina nella forma della realtà, che va dall'interno all'esterno e in cui l'attività della mano prosegue quasi automaticamente e senza soluzione di continuità quella dell'occhio (Wirklichkeit und Kunst. Fragmente, 1895, in Schriften über Kunst, Leipzig 1896, Il, p. 168). Siamo nella tradizione kantiana, filtrata dal formalismo dello Herbart; e in genere a Kant, e non a Hegel, risalgono i precedenti culturali accolti dagli espressionisti.
La teoria della Einfühlung è di origine romantica, ma la sua formulazione moderna si può far risalire all'opera di
Di entrambe le teorie si vale
Dalla teoria della Einfühlung e da quella del Riegl, nonché da Hildebrand, Schmarsow, Wölffiin, parte Worringer (Abstraktion und Einfühlung, Neuwied 1907) per opporre a un
Tutte queste teorie sono state variamente considerate come prodotto di un formalismo di matrice idealistica o come geniali precorrimenti della teoria della Gestalt e della ‛teoria delle forme simboliche' di Cassirer. Sono probabilmente l'una e l'altra cosa, e con entrambi i connotati, regressivo e innovatore, si riflettono nei quadri degli espressionisti, almeno quanto le idee di Köhler e Cassirer sono presenti nella metodologia del Bauhaus. Resta il problema dello sfasamento tra la modernità, limitata se si vuole ma comunque innegabile, delle teorie e l'incomprensione più cieca delle correnti contemporanee. Fiedler ignora dapprima, poi guarda con sufficienza, impressionisti e simbolisti e ammira Hans von Marées, dalla cui teoria era stato influenzato. H. von Hildebrand scrive Das Problem der Form in der bildenden Kunst (Strassburg 1893) che può considerarsi il parallelo teorico di certe manifestazioni simboliste, ed è un mediocre scultore di forme classicistico-accademiche. Worringer sembra il teorico dell'espressionismo, ma ammira Rodin e Hildebrand e arriva tutt'al più a capire, a modo suo, paragonandoli ai gotici costruttori di cattedrali, Cézanne e van Gogh (cfr., per es., Kritische Gedanken zur neuen Kunst, in ‟Genius", 1919, pp. 221-236). Lo stesso avviene per i filosofi: neanche Hegel aveva realmente compreso il romanticismo, nè
Tra i filosofi, i nomi ricorrenti negli scritti di artisti e teorici sono Schopenhauer e Nietzsche; il volontarismo e l'antispiritualismo di quest'ultimo sono però rovesciati per lo più in una rinuncia all'azione e in un atteggiamento mistico e ascetico di marca schopenhaueriana. Da entrambi deriva agli espressionisti la concezione del mondo come irrazionalità e dolore e l'opposizione alla realtà del principio soggettivo della volontà; da Schopenhauer l'idea che il mondo fenomenico, il ‛velo di Maya', ostacola la conoscenza della kantiana ‛cosa in sé', e le derivazioni indiane che tanta importanza avranno per un Marc o un
Per la consueta oscillazione tra gli estremi, la fuga dalla vita si alterna a un'esaltazione della vita, intesa però come un principio metafisico. Il collegamento dell'espressionismo con le correnti neovitalistiche (cfr., per l'espressionismo letterario, K. Martens, Vitalismus und Expressionismus, Stuttgart 1971) è comprovato dalle letture preferite dai protagonisti, e del resto queste correnti discendono in gran parte dalla linea Schopenhauer-Nietzsche. Il senso di questa tangenza si può riassumere con un'osservazione del Worringer: ‟Lo Spirito è per l'espressionista la somma delle forze che si oppongono alle cieche leggi della natura, al corso automatico degli eventi. Spirito è per lui l'intervento di Dio in un mondo meccanizzato. È la divinizzazione dello Spirito che egli oppone alla divinizzazione della natura" (Kritische Gedanken zur neuen Kunst, cit.). ‟L'Espressionismo non si riconosce nella sfera razionale, ma in quella vitale (im Vitalen)" (Künstierische Zeitfragen, München 1921). Lo stesso autore subisce l'influenza prima di Simmel e poi di Spengier. H. Luckhardt pone Bruno Taut (pur criticandolo) al livello dei ‟grandi pensatori moderni" come H. Keyserling e Spengier (v. Die Gläserne Kette, 1963, p. 43, lettera del 31 maggio 1920). Questa esaltazione della ‛vita' si esprime spesso in una preferenza per forme dinamiche e plastiche, per il ‛tridimensionale' e gli spazi curvi e barocchi, che sembra opposta alla originaria fissità e alla Flächigkeit (riduzione alla superficie) degli espressionisti: così, ad es., in certi quadri di Marc, nei primi disegni di
Un'altra importante componente entra nella Weltanschauung espressionista soprattutto attraverso la mediazione di Munch: il senso tragico dell'esistenza presente nella filosofia di Kierkegaard e nella letteratura nordica. Nella Urangst dei tedeschi è l'eco del senso di colpa, del tragico di un'angusta vita borghese dei drammi di Ibsen, dell'
L'esperienza di Gauguin, van Gogh, Cézanne, Ensor, Munch, le sinuosità lineari dell'architettura e della grafica dell'art nouveau, la riscoperta dei primitivi, delle stampe giapponesi e poi della scultura negra e oceanica sono precedenti comuni, in diverso dosaggio e in diversa accezione, per i fauves e per la Brücke. L'esperienza di Cézanne influirà soprattutto sui fauves, e soprattutto dopo la morte dell'artista, vissuto negli ultimi anni solitario e lontano dai vari gruppi; ma anche sulla formazione dei pittori del Blaue Reiter. Un ponte diretto tra le precedenti ricerche e quelle dei primi anni del secolo si può considerare, in Francia, il gruppo dei nabis, mentre il neoimpressionismo resta costantemente un punto di riferimento al quale si rivolgono, a più riprese, i fauves. Per la Brücke è anche importante la lezione di Toulouse-Lautrec, la sua analisi psicologica del mondo cittadino, la presentazione diretta della realtà consapevole dei mezzi atti a stimolare una reazione psichica immediata nell'osservatore, il valore costruttivo ed espressivo della linea di contorno, che anche i francesi spesso assumono per sostenere le stesure di colore puro.
A Gauguin in particolare, anche se non a lui solo, risale la scoperta del significato simbolico della riduzione bidimensionale, della linea ritmica e delle campiture piatte di colore dotate di una intrinseca, autonoma virtualità espressiva, che sono spesso accostate in rapporti dissonanti, in cui è la consapevolezza del valore dei complementari, ma anche la negazione che in esso consista una legge vincolante. In van Gogh si trova la deformazione e la violenza della realtà e il significato gestuale della pennellata, già espressivo-astratto, incurante dell'oggetto singolo e della forma finita. Notevole è anche la lezione di
L'influenza di questi personaggi non va limitata ai dati formali, ma si estende alla concezione dell'arte e del suo rapporto con la vita. Di Gauguin sarà quindi importantissimo l'esempio della fuga nel primitivo, che è poi la ricerca di un'originaria purezza: se ne può considerare un parallelo diretto nell'animalismo di Marc, altro esempio di fuga dalla civiltà. Analoga in certo senso è l'operazione del ‛doganiere' Rousseau, che non fugge ma riparte dal ‛grado zero' della pittura e della coscienza, dall'immagine nitida e incorrotta della natura e dalla favola come prima forma dell'immaginazione umana. Proprio i suoi oggetti ‛astratti' dal reale Kandinskij terrà presenti quando fisserà, in Lo spirituale nell'arte, l'equazione estremo realismo = estrema astrazione. La fuga nel mito di Gauguin, il tuffo nella società di Toulouse, la coincidenza di gesto e immagine di van Gogh sono tanti aspetti della stessa aspirazione a identificare arte e vita che è caratteristica dell'espressionismo sia tedesco che francese.
In Germania bisogna tener presenti, pure se forse hanno, sul piano formale diretto, minor peso, anche alcuni artisti locali che operano nei termini della tradizione classicistica o di quella di un attardato impressionismo. Si è già detto su che piano può aver influito un Marées, i cui quadri venivano esposti, accanto ai francesi modernissimi, nelle mostre delle Secessioni e di gallerie private, e con successo: pensiamo per esempio al giudizio di Klee (v., 1957, n. 847, gennaio 1909) e all'interesse dimostrato da M. Beckmann. Nella fase cosiddetta ‛impressionista' di Kandinskij o di Marc agisce l'impressionismo, diciamo, pesante di uno Slevogt o di un Corinth, accademico e contradditorio se confrontato a un Monet, ma pure aperto a una interpretazione simbolica e quasi materica del colore. Intanto Liebermann, presidente per molti anni del gruppo Secessione berlinese, aveva già in qualche modo identificato arte e vita subordinando la forma a un interesse sociale. Infine, non bisogna trascurare l'influenza, anche se limitata a grafici come Kubin o alle opere giovanili degli artisti maggiori, di incisori come
3. I centri dell'espressionismo pittorico
Il principale centro d'irradiazione dell'espressionismo, inteso nel suo significato più specifico, è la ‛comunità di artisti' della Brüeke, fondata a
Fauves significa belve: il termine, come quello di cubismo, è coniato dal critico L. Vauxcelles in occasione della mostra del 1905. Die Brücke è il ponte gettato tra gli spiriti creativi. Lo spiega K. Schmidt-Rottluff nella lettera (4 febbraio 1906) con cui invita
Il gruppo francese non è unitario e il termine è stato forgiato a posteriori. Le più note opere fauves nascono tra il 1898 e il 1906. Nel 1907, due anni dopo la sua nascita ufficiale, il fauvismo si smembra, offuscato dal nascente cubismo; le sue premesse vengono portate avanti in varie direzioni, anche se l'opera coerente e quasi autosufficiente di Matisse sembra incarnarlo ancora per molti anni. Matisse e Marquet lavorano insieme dal 1898; nel 1900 inizia la profonda amicizia tra Derain e Vlaminck, che dal 1901 saranno in stretti rapporti anche con Matisse. Nel 1905 espongono Matisse,
L'‛espressione' di Matisse è ancora abbastanza vicina al modo di concepire la pittura di un Denis o un Sérusier, all'esperienza del quali egli si riallaccia per ciò che riguarda il valore dei colore puro, il suo uso antimimetico, la sua funzione decorativa. È significativo che proprio Denis (v., 1905) sia tra i primi a comprendere il significato dell'operazione di Matisse, il suo processo di ‟astrazione" e di ‟generalizzazione" che sublima sia la rappresentazione del reale che quella della sensibilità, la meditazione teorica e il carattere ‟artificiale" della sua ‟pittura fuori da ogni contingenza, pittura in sé, atto puro del dipingere": a comprendere, infine, che è la ‟ragione" a fornirgli le sue ‟possibilità d'espressione".
Il punto di riferimento costante per Vlaminck, nonostante qualche variazione sulla tecnica divisionista e qualche meditazione su Gauguin, resta la pittura di van Gogh, di cui spesso rielabora la stessa pennellata a virgola e la direzione rotante dei tratti di colore spremuto direttamente dal tubetto, l'esasperata deformazione del reale e la rabbia del gesto pittorico, pur tendendo a stesure più ampie e riposate (tendenza poi dominante col passare degli anni). In questi caratteri talvolta, soprattutto prima del 1905, lo segue Derain, sempre conteso tra i due poli Vlaminck e Matisse. L'espressionismo di Van Dongen recupera soprattutto, accanto ad altre fonti, l'esperienza di Toulouse-Lautrec; se gli altri fauves dipingono soprattutto paesaggi (ma anche ritratti, e Matisse ama particolarmente la ‛figura'), l'olandese predilige i personaggi del teatro, del circo, dei locali notturni; li ritrae con una violenta esasperazione dei tratti del volto e con un piacere quasi sensuale della materia, che colpiranno gli artisti della Brücke: nel 1908 questi lo inviteranno a far parte del gruppo.
Anche se espone alla mostra del 1905, Rouault non va considerato tanto uno dei fauves quanto un espressionista indipendente. Il significato religioso e sociale che si esprime nella sua pittura lo avvicina ai pittori tedeschi, ma il suo impegno è esplicitamente cattolico, e il suo dolore esistenziale non si risolve in angoscia ma in giudizio morale e nella speranza della redenzione; queste le premesse di una pittura in cui il colore non divampa in toni puri ma resta scuro e pesante, illuminato da improvvisi bagliori e imbrigliato in pesanti contorni neri che risolvono in senso antidecorativo, ma senza la violenza deformante dei tedeschi, la tecnica cloisonniste.
‟Con la fede in una evoluzione, in una nuova generazione di creatori e di fruitori d'arte, chiamiamo a raccolta tutta la gioventù e, come gioventù che reca in sé il futuro, vogliamo conquistarci libertà d'azione e di vita, contro le vecchie forze tanto profondamente radicate. È dei nostri chiunque riproduca con immediatezza e senza falsificazioni ciò che lo spinge a creare". In questo slogan, più che programma, redatto e divulgato in una xilografia da Kirchner nel 1906, sono sintetizzate le idee comuni: la volontà di rinnovamento, che non è fede nel progresso (Fortschritt), in cui sarebbe implicito un fattore razionale, un'allusione al mondo della scienza e della tecnica e una valutazione ottimistica e positiva, ma fede in una Entwickhlung fatale, naturale; l'esaltazione della gioventù e della libertà, l'assenza di qualunque cenno a preferenze di ordine formale e, per contrasto, l'identificazione di arte e vita e l'esortazione non a imitare, ma a creare, a esternare il moto interiore. Gli artisti si ritrovano nello studio di Kirchner e la vita comunitaria che svolgono sul piano del lavoro spiega il fatto che, nonostante lo stile individuale, spesso è difficile distinguere tra i quadri dell'uno e dell'altro. Il primo nucleo si forma, stando alla Cronaca della Brücke stesa da Kirchner nel 1913, a Dresda nel 1902; a Kirchner, F. Bleyl, Heckel e Schmidt-Rottluff si aggiungono più tardi
L'interesse per i primitivi è documentato almeno dalla passione di Kirchner per la scultura negra e gli intagli dei Mari del Sud, dall'influenza della scultura etrusca su Heckel, e soprattutto da una rimeditazione dell'arte tedesca prerinascimentale, che resterà costante in tutti gli espressionisti, ma che in questo momento si esprime più specificamente in una ricerca delle radici germaniche della tendenza all'espressione contrapposta alla forma. Molti sono i dipinti e le incisioni (litografe, acqueforti e xilografie) di soggetto religioso, in cui le asprezze lineari, le spigolosità e la ieraticità delle immagini rimandano non tanto a Grünewald, Cranach, Beham o Dürer giovane, più volte citati da questi artisti, ma soprattutto alla scultura del Trecento tedesco e francese. Una pregiudiziale in certo senso nazionalistica, che ritroviamo anche più evidente e pericolosa nell'architettura, ha pesato a lungo sull'espressionismo tedesco e ha contribuito tanto al suo fascino quanto al sospetto di un suo carattere chiuso e reazionario. Nolde riconosce la superiorità dei francesi nell'azione di rinnovamento, ma proprio per questo auspica l'affermazione di ‟una grande arte tedesca" (in una lettera del 20 marzo 1908). Ancora nel 1914 proprio Marc, che ama tanto i francesi, scrive a Macke rimproverandolo un po', e mentendo in buona fede sulla sua estraneità al ‛cubismo orfico': ‟Io la penso più o meno come Klee. Sono tedesco e posso scavare solo sul mio terreno; che ho a che fare io con la peinture degli orfisti? [...] Noi tedeschi siamo e restiamo grafici nati, illustratori anche come pittori. Lo dice bene Worringer nella sua introduzione alla Altdeutsche Buchillustration" (v. Macke e Marc, 1964, p. 184).
In realtà la ricerca di una costante etnica, che si ritrova anche in teorici e storici di estrazione diversa come Wölfflin e Taine e ha il corrispettivo nella rivisitazione di un'armonia mediterranea di un Matisse o un
La ricerca di una radice germanica va quindi collegata a due dati caratteristici della Brücke: l'accentuazione dell'indagine psicologica diretta e del momento distruttivo, negativo, di opposizione àlla tradizione e di rifiuto del ruolo dell'artista quale ideatore di una bellezza consolatoria, ancora presente nello Jugendstil (da cui però, fino al 1907-1908, si continuano ad accogliere suggerimenti formali). In una lettera a B. Graef del 21 settembre 1916 Kirchner ricorda: ‟Col prendere una più intima familiarità col soggetto da dipingere, contemporaneamente aveva luogo [...] un approfondimento psichico. Veri e propri modelli nel senso accademico del termine non ne ho mai avuti (...]. Con la realizzazione dei limiti dell'interazione tra le psiche umane, scompariva la propria persona e si risolveva nella psiche dell'altro, al fine di una rappresentazione più intensa" (D. E. Gordon, E. L. Kirchner,
L'interesse psicologico conduce i pittori della Brücke a preferire il ritratto, o comunque la rappresentazione del volto umano (oltre a quella del nudo), non individualizzato ma colto nella sua tipicità, e scene della vita della città: dalla strada ai caffè, al circo, al locale notturno. Nello stile, il maggior punto di contatto con i fauves si avverte nelle opere tra il 1909 e il 1911, già qualche anno dopo la formazione del gruppo. Il carattere ‛inconscio' e ‛spontaneo' su cui insistono tutti all'inizio si viene via via disciplinando per l'intervento di una ricerca strutturale più severa, anche se non mutano in sostanza le premesse antiformalistiche. Questa condurrà Nolde a una particolare vitalità e ‛gioia' coloristica, Müller a un distaccato arcaismo; il più rigoroso nel ricorso a una severa disciplina per trovare la migliore espressione al contenuto istintuale sarà Kirchner, che insisterà sulla necessità di una forma ‛chiusa'. Più che l'influenza dei fauves, è importante, in questa fase di controllo del gesto, proprio l'attività dell'incisione, in cui, come dice Nolde, si avverte il piacere del ‟lavoro manuale", il recupero dell'artigianato: la più importante premessa espressionista alla concezione del Bauhaus.
L'azione degli artisti del Blaue Reiter si può considerare complementare a quella della Brücke, e in un certo senso rappresenta già l'inizio di un superamento dell'espressionismo. Al momento distruttivo subentra una meditazione costruttiva, non tanto sulla forma in se stessa - per Kandinskij, infatti, ‟in linea di principio non esiste alcun problema della forma" - ma sui mezzi della comunicazione dell'‟interno contenuto" e sull'essenza stessa della ‟interiore necessità", che ancora urge, come per Kirchner, dietro l'atto creativo; all'analisi psicologica succede la sintesi, al doloroso scavare nel profondo un impulso all'astrazione, all'istintività la riflessione teorica, come dimostrano anche i numerosi scritti pubblicati da questi artisti. Se la Brücke era una comunità, in cui le esperienze si comunicavano giorno per giorno, Der blaue Reiter non è neanche un'associazione, ma il titolo di una serie di mostre e di una raccolta di scritti di artisti e di riproduzioni di arte popolare e primitiva. Si accolgono dall'esterno, di volta in volta, i contributi che appaiono più opportuni:
Nelle opere del gruppo le aperture verso l'avanguardia francese, italiana e russa sono decisamente maggiori e certo preponderanti rispetto all'influenza dei pittori della Brücke, con i quali, stando alla testimonianza di Kandinskij (in ‟Cahiers d'art", 1936, n. 8-10), prima della fine del 1911 gli artisti di Monaco non hanno avuto rapporti. Una fase vicina al simbolismo cromatico e all'armonia compositiva dei fauves è documentata almeno in Kandinskij, Jawlenskij, Marc e Macke; nel 1905 i primi due avevano esposto nella sezione russa del Salon d'automne. Alcuni quadri di Klee e di Marc partono direttamente dall'esperienza cézanniana; almeno fino al 1909 Klee (v., 1957, n. 856) ama più Cézanne che van Gogh. Un'influenza cubista diretta è nello sfaccettamento di soggetti come la Tigre di Marc (1912) e nel ribaltamento dei piani dei quadri di Macke tra il 1911 e il 1912. Il dinamismo futurista insieme ai cunei luminosi del raggismo russo si riflette in opere di Marc del 1913-1914; e soprattutto è evidente, negli stessi anni, un'influenza di Delaunay contemporaneamente su Marc, Macke e Klee, che contribuirà al formarsi della struttura del cosiddetto ‛quadrato magico' di quest'ultimo. Tutti questi elementi sono trasfigurati in una ricerca che non assume né il dato reale come punto di partenza né la struttura della percezione come punto d'arrivo, ma solo l'espressione della ‛necessità interiore', la comunicazione di una visione spirituale del mondo che può basarsi sulla struttura dell'inconscio come in Klee, sul tema della fuga dall'uomo come in Marc o sul linguaggio di puri segni senza oggetto come in Kandinskij, ma tende sempre e comunque all'astrazione anche quando questa non è programmatica; di qui il rifiuto spesso ribadito del cubismo e del futurismo anche da parte di chi ne utilizza certi schemi compositivi. È in questa cerchia, e non nella Brùcke, che la parola Geist e l'idea della fusione nel cosmo vengono assunte costantemente nel senso sopra accennato.
Dagli artisti del Blaue Reiter non è partita nessuna forma di contestazione della tecnica pittorica, come è avvenuto nell'ambito della ricerca cubista con la pratica del collage e soprattutto con la defezione dadaista (
Il rapporto con la musica, appoggiato dalla ripresa di una vecchia teoria sulla corrispondenza tra colori e suoni musicali, è fondamentale per tutti gli artisti del Blaue Reiter e soprattutto per Kandinskij e Klee; ricordiamo l'importanza dell'inserimento degli scritti di Th. von Hartmann, L. Sabaneev e soprattutto A. Schönberg nell'almanacco. La rivisitazione wagneriana rimanda all'area simbolista, mentre un rapporto diretto tra pittura e musica è meditato anche da Matisse e Vlaminck; e all'area simbolista si collegano molte altre cose. Anche se non bisogna confondere le parole sintetista e sintetico, va tenuto presente che in vari saggi Kandinskij definirà l'arte nuova ‛sintetica' in opposizione a quella ‛analitica' della tradizione precedente, compreso l'impressionismo, e nell'articolo del 1911 Worringer riunisce tutti gli artisti innovatori nella definizione ‟espressionisti e sintetisti", tra i quali quindi non fa molta differenza; oltre al pensiero di Kandinskij, le teorie sul colore abbozzate in tono quasi scherzoso da Macke e Marc in due lettere del dicembre 1910 (v., 1964, pp. 25-30) rimandano, rispettivamente, alla corrispondenza tra pittura e musica e alla teoria della Einfùhlung; dal postimpressionismo proviene la dialettica di astrazione ed empatia, e non solo nel senso indicato dal Worringer: nei primi quadri astratti di Kandinskij i segni si caricano di un valore ‛empatetico', Marc preferisce le allusioni organiche, plastiche, dinamiche nei quadri astratti e diventa invece ‛cristallino' dove conserva il tema animalistico.
Non è possibile in questa sede seguire le direzioni individuali degli artisti, così caratterizzate e profondamente diverse tra loro. Bisogna però ancora ricordare che, se rifiutano di porsi il problema della forma, cercano però tutti l'affinamento dei mezzi di comunicazione. Una vera e propria angoscia per la non raggiunta conquista del colore, seguita poi dall'esaltazione del successo, è espressa da Klee (v., 1957, n. 810; solo durante il viaggio a Kairouan nel 1914 potrà dire ‟il colore mi ha conquistato") e da Marc tra il 1908 e il 1910. Kubin è altrettanto disperato di non possedere una ‛forma', finché questa gli si rivela quasi come un processo liberatorio quando scrive di getto il romanzo L'altra parte (1908), ricco di spunti autobiografici relativi alla storia del suo inconscio. Il problema della conquista del colore diventa drammatico per questi artisti perché esso, a differenza di quanto si proponeva il colore puramente costruttivo, armonico, autosufficiente dei fauves e il colore psicologico dei pittori della Brücke, si carica di una più complessa funzione costruttivo-architettonica, che comprende il riferimento a dati psicologici universali e a un valore cosmico, assoluto.
La rivista ‟Der Sturm" è fondata nello stesso periodo in cui si stacca dal gruppo berlinese Secessione la Nuova secessione, appoggiata da Walden; nella sua galleria esporranno, accanto alle tante rappresentanze straniere, gli artisti del gruppo di Dresda e di quello di Monaco. Da questo momento Berlino resterà il nuovo centro della vita artistica; e intorno a questo momento si fissa, come si è visto, la definizione stessa di espressionismo. L'attività della rivista accentua ancor più il carattere di apertura europea e la disponibilità ad affrontare il problema del rapporto con la scienza e tutte le altre manifestazioni culturali; mentre Kandinskij e Marc, da parte loro, stanno progettando un secondo almanacco, mai più realizzato a causa della guerra, dedicato proprio ai rapporti tra arte e scienza. E qui che si forma il legame con l'espressionismo degli austriaci, con Loos, autore di numerosi articoli, e Kokoschka, di cui si pubblicano vari disegni e, nel luglio 1910, il dramma Assassinio, speranza delle donne; si prende posizione contro il nazionalismo di Vinnen e dei suoi compagni; si pubblicano i manifesti dei futuristi, che espongono a Berlino nel 1912, e frequenti articoli sugli artisti francesi.
La posizione espressa da vari autori sul rapporto tra arte e progresso scientifico, anche se tutt'altro che unitaria, assume un carattere modernistico-progressista con sortite rivoluzionarie, che formerà la base ideologica di alcuni architetti espressionisti e del Rauhaus. In polemica con la rivista ‟Kunst und Künstler" e il suo direttore K. Scheffier, si rifiuta l'idea di una fine dell'arte uccisa dalla tecnica, dalla massa e dal concetto dell'utile e ci si getta con ottimistico entusiasmo a scoprire funzioni e valori artistici non contro, ma dentro il progresso scientifico. Se impotente è la protesta integrale, cieca è questa fiducia in una troppo facile alleanza, come cieco è l'errore di chi in buona fede accetta gli ideali del Werkbund e più tardi il compromesso del Bauhaus. Anche per questo, forse, più tardi Walden partirà per la
Intanto si affronta il problema con cui Gropius va già cimentandosi: la didattica della forma artistica e l'arte applicata. È a questo punto che il problema dell'arte come comunicazione si salda a quello della progettazione. È estremamente significativa la vignetta che appare per molti numeri nelle pagine pubblicitarie della rivista: una xilografia reclamizza il MUIM Institut, una scuola diretta da Pechstein e Kirchner, dove si impartisce un insegnamento ‛moderno' sulla pittura e altre tecniche, nonché ‛pittura collegata con l'architettura'. Il momento dell'istinto sembra finito.
Un carattere particolare ha l'espressionismo degli austriaci Kubin, Kokoschka e E. Schiele, anche se importante è il loro contatto con i tedeschi. Diversa è la formazione sul piano figurativo: per Kokoschka e Schiele resterà fondamentale l'influenza del linearismo tortuoso di Klimt; Kubin, che si è dedicato prevalentemente alla grafica, parte, assai più dei tedeschi, dall'esperienza simbolista anche e soprattutto letteraria; le sue opere tra il 1898 e il 1905 sono influenzate in particolare da
L'unico scultore espressionista può considerarsi
Una posizione appartata e differenze notevolissime rispetto al gruppo tedesco, col quale scarsissimi sono i rapporti, ha il cosiddetto ‛espressionismo fiammingo', di cui il più noto rappresentante è C. Permeke. Il suo interesse è volto prevalentemente a ritrarre
Vengono considerati espressionisti, anche se con il movimento in questione poco hanno in comune, altri artisti. P. Modersohn-Becker, che parte dal naturalismo della scuola di Worpswede e rivela poi l'influenza di Gauguin, dipinge immagini di una umanità primitiva, in cui le stesure piatte di colore e l'ingenua ornamentazione sono composte in una severa monumentalità.
Dopo la
Già annunciata da alcune opere precedenti alla guerra, si afferma in Germania a partire dal 1920 la Neue Sachlichkeit, che significa nuova oggettività o nuovo realismo ed è stata anche definita da F. Roh, insieme a contemporanee (ma in realtà diverse) ricerche italiane, realismo magico. La tendenza si oppone programmaticamente all'espressionismo, ma a esso per molti versi continua a far riferimento. Il significato del termine si può introdurre con le parole di G. F. Hartlaub, direttore del Museo di
Le condizioni da cui si sviluppa la Neue Sachlichkeit sono di ordine politico e sociale, e in seconda istanza discendono da una concezione dell'arte che nasce dalla delusione o dall'impegno diretto di modificare la realtà e che si è già affermata in altre iniziative, come quelle della Novembergruppe: la guerra perduta, il disastro economico, la psicologia del ‛reduce', le speranze rivoluzionarie seguite dal soffocamento sanguinoso dei moti spartachisti (gennaio 1919), l'insoddisfazione per il compromesso socialdemocratico e in particolare per la svolta in senso conservatore segnata dalla politica di
Sono significativi i rapporti che tutti questi movimenti hanno con dada: Dix e
I più noti tra i pittori della Neue Sachlichkeit sono Dix, Grosz e Beckmann. I primi due hanno in comune il realismo deformato dalla satira, l'incisività del segno (che fa spesso preferire la rapidità del disegno e l'incisione alla pittura), ancora fortemente espressionista in certe immagini, e la tendenza alla tipizzazione che si attua con procedimenti geometrizzanti desunti dal cubismo. Con un colore avvampante e la sintesi di cubismo ed espressionismo Grosz realizza, in un'opera come Omaggio a Oskar Panizza, un crudo ritratto storico opposto alle visioni idealizzanti del Blaue Reiter. L'esattezza memore della fotografia isola gli allucinati ritratti di Dix in una luce cruda, raggiungendo spesso un risultato quasi iperreale. Beckmann è più attento alla costruzione della forma attraverso duri piani squadrati, mantenendo livido il colore, e raggiunge soprattutto nei ritratti un effetto di monumentalità antieroica, che riflette un'umanità disincantata, ‛maschere' che non alludono più a una realtà nascosta dietro il visibile.
4. La sintesi delle arti. Architettura e spettacolo
Se l'architettura è costruzione di uno spazio umanamente fruibile, in cui si concretizza nella forma il rapporto con la società e la natura, appare difficilmente concepibile un'architettura espressionista, almeno intendendo il termine nel suo significato più integrale. La pura protesta, il rifiuto della ‛civilizzazione', il soggettivismo e l'introversione, il risalire al nucleo dell'esistenza e il ricercare un inserimento nel corso ininterrotto dell'essere e non nel dato naturale empiricamente percepibile, non producono, almeno direttamente, un'architettura. È logico quindi che le premesse di un'architettura espressionista si siano poste nel momento della risoluzione dell'espressionismo nella dimensione sociale, e siano quindi circa contemporanee alla formazione della Neue Sachlichkeit e del Bauhaus. Tuttavia esiste anche un'architettura prodotta tra il 1907 (data di
Il concetto di architettura espressionista è una riscoperta relativamente recente (intorno al 1960) ed è più comunemente riferito ai progetti utopistici e alle rare opere in cui si realizza il rifiuto di ogni canone formale e di ogni condizionamento che possa limitare la libertà dell'espressione: un carattere nettamente pittorico o plastico, forme asimmetriche o irregolari. Si pensi soprattutto alla torre-osservatorio di Einstein di Mendelsohn a
Si parla di prerazionalismo per un gruppo di architetti che operano prima della guerra: in Austria e in Germania, in particolare, Loos, Behrens, il primo Gropius e, con maggiori limitazioni, van de Velde e Poelzig. Il processo di semplificazione del linguaggio tradizionale, già avviato dagli architetti del gruppo Secessione viennese (O. Wagner,
Il primo architetto che è in contatto diretto con l'espressionismo è Loos, amico e sostenitore dell'arte di Kokoschka. Come si è detto, il rifiuto dell'ornamento è il rifiuto morale di una certa gestione dell'industria. E una protesta sociale, una difesa del ‛povero' e un ascetico rifiuto del superfluo è negli scritti come nelle realizzazioni di Loos, in cui tuttavia, soprattutto negli interni, il principio è attuato più con la scarnificazione formale che con la scelta dei materiali. La simmetria nell'impianto degli edifici rivela la matrice classica, che è anche frutto di una consapevole scelta ideologica; ma la nudità degli esterni, con le finestre tutte uguali tagliate nell'intonaco bianco, è un parallelo della riduzione e concentrazione dei mezzi operata dai pittori espressionisti.
Negli edifici industriali di Poelzig e di Behrens il tema è trattato con l'intenzione di esprimere simbolicamente una concezione esaltante del lavoro e del potere tecnologico. Nelle opere di Poelzig il recupero di elementi medievaleggianti, l'uso del cotto, la netta plasticità di certi particolari sortisce effetti di cupa aggressività, anche dove è da valutare la libertà planimetrica e il rispetto funzionale. Behrens si può considerare la prima figura di designer al servizio di un'industria, la AEG, per cui progetta non solo gli edifici ma anche gli oggetti da produrre in serie, degni di stare alla pari di quelli del Bauhaus per la strutturale connessione di funzionalità ed essenzialità formale; ed è anche un importante anello di congiunzione tra le tendenze funzionaliste dello Jugendstil e il Bauhaus: nel suo studio lavorano per un certo periodo anche i giovani Gropius e Mies e, più brevemente, Le Corbusier. Nella fabbrica di turbine AEG (Berlino, 1909), come in tutta l'opera di Behrens, il punto di riferimento è ancora classico, ma non per la carica utopica di Loos, bensì per un'esaltazione quasi morale del lavoro nell'industria, nuovo centro di potere e nuovo tempio dello spirito.
La padronanza delle nuove tecniche conduce a risultati notevoli, come la grande volta di costoloni in cemento armato del Palazzo del centenario di M. Berg a Breslavia (1912); nello stesso tempo esse vengono esaltate con ingenuo sapore mistico, come nel padiglione dell'acciaio a
Intanto l'Officina Fagus (Alfeld a. d. Leine, 1911) e il modello di fabbrica per l'Esposizione di Colonia (1914) di Gropius, partendo dalle stesse premesse di un Behrens o un Taut, e anch'esse non estranee a un'interpretazione simbolica, trasformano radicalmente il metodo di progettazione, sviluppandolo intorno alla considerazione della funzione, del movimento e del lavoro umano di cui saranno teatro. È già l'inizio di un'altra fase della storia dell'architettura.
Il primo movimento nella cultura espressionista in cui si pone direttamente il problema dell'architettura è la Novembergruppe, nata nel novembre 1918, nel clima di cui già si è detto. Subito dopo nasce il suo organo esecutivo, lo Arbeitsrat für Kunst (Consiglio di lavoro per l'arte), le cui prime iniziative sono la pubblicazione del programma di architettura di Bruno Taut (Natale 1918) e di una circolare con un programma e i nomi degli aderenti (marzo 1919) e l'allestimento della ‛mostra di architetti sconosciuti' (aprile 1919), introdotta da tre brevi scritti di Gropius, Bruno Taut e del critico Behne. Oltre a questi nomi, tra gli aderenti e simpatizzanti troviamo critici, intellettuali, letterati, musicisti, pittori, scultori, architetti; tra questi ultimi i più noti sono M. Taut,
Quest'ultimo non va inteso solo nel senso che i disegni di pittori e architetti presentino progetti irrealizzabili: la dimensione utopica è posta come condizione del programma stesso, sia pure limitata a una fase transitoria. In questo momento il problema dell'alloggio, del restauro e della ricostruzione degli edifici pubblici distrutti e di una ristrutturazione urbanistica è grave e urgente; inoltre si avverte che, non solo a causa della crisi economica contingente, l'arte non occupa più una posizione centrale nel mondo contemporaneo. Non è più un'intuizione o un timore, come prima della guerra; è una consapevolezza. E questa posizione si vuole a tutti i costi recuperare; si avverte che la forma stessa coincide con l'utopia, e questa forma si vuole al tempo stesso distruggere frammentandola in mille ricordi revivalistici (il gotico, il barocco, il Settecento, il liberty, l'Oriente, l'Egitto e addirittura, come in Finsterlin, la preistoria del genere umano) e salvare con la strenua difesa della sua superiorità spirituale. E dunque lo stesso problema dei pittori espressionisti trasportato su un terreno solo apparentemente più concreto; ed è lo stesso problema, ma diversamente impostato, delle contemporanee esperienze russe certamente note al gruppo. In ‟Frühlicht" oltre a scritti di Scheerbart, a riproduzioni di edifici di A. Gaudi, a un progetto fantastico ottenuto con assemblaggio materico di Schwitters, a un articolo di J. J. P. Oud, è pubblicato (primavera 1922) un articolo sull'architettura in Russia e un altro sul progetto di V. Tatlin per il Monumento alla Terza Internazionale. Dalla Russia Kandinskij, impegnato nella sezione arti figurative, lancia appelli per costituire l'edificio mondiale delle arti" e nel 1920 pubblica un articolo che contiene; tra l'altro, una breve relazione sul programma della Novembergruppe. Ber era partito per la Germania nel dicembre 1918.; per suo tramite si dovevano raccogliere adesioni al programma di unificazione delle forze rivoluzionarie nell'arte. Nell'estate 1919 arriva alla sezione la risposta positiva dello Arbeitsrat (la cui stessa denominazione si rifà a quella di Soviet) firmata da Bruno Taut, Gropius, Klein, Pechstein (v. Kandinskij, 1970; tr. it., vol. Il, pp. 54-59).
I fini del lavoro utopistico sono così riassunti nella circolare del marzo 1919: ‟Arte e popolo debbono formare un'unità. L'arte non deve più essere godimento di pochi, ma felicità e vita per la massa. L'alleanza delle arti sotto le ali di una grande architettura è la meta". I luoghi di mediazione tra le arti e il popolo saranno le ‛case del popolo' e la condizione per raggiungere lo scopo è una trasformazione della didattica, che non dovrà più distinguere tra la preparazione dell'architetto, dello scultore, del pittore e dell'artigiano e dovrà fondarsi sul lavoro pratico in officina.
Le concezioni politiche dei vari membri dello Arbeitsrat, cui si è già accennato all'inizio di questo scritto, divergono in alcuni punti, ma concordano nell'identificazione di un comunismo cosmico, una sorta di neocristianesimo primitivo e un forte spirito libertario. Frequenti, soprattutto in ‟Frühlicht", sono le citazioni dal Nuovo Testamento e da Meister Eckhart, ma anche da mistici orientali. Da quasi tutti è espressa in maggiore o in minor misura un'ideologia antiurbana, sia nelle teorie che a livello di immagini, e spesso si fa riferimento diretto alle città ideali della tradizione del socialismo utopistico, ai familisteri, alla garden city; La dissoluzione delle città di Bruno Taut deriva in gran parte dalle teorie di Kropotkin. L'arte deve assumere un carattere pubblico, ma rifiutare qualunque costrizione da parte dello Stato. L'arte è il fine, la rivoluzione politica il mezzo: questa ‟deve essere utilizzata per la liberazione dell'arte".
Nei disegni dei novembristi, i cui temi ricorrenti sono la casa del popolo, la cattedrale, il teatro, il monumento ai caduti della rivoluzione, la città ideale, si sono distinte fin dall'inizio due direzioni, una ‛cristallina' e una ‛organica . e ancora la dialettica di astrazione ed empatia. Da un lato troviamo Bruno Taut, che si sceglie lo pseudonimo di Glas (vetro): simbolo della purezza, della luce, della comunicazione tra interno ed esterno e dell'aspirazione a un'unità cosmica; i suoi disegni per edifici, come le trasformazioni del globo terrestre (Architettura alpina), per lo più rigorosamente geometrici, si cristallizzano in forme stellari, cariche di contenuti simbolici, o si appuntiscono verso il cielo con un recupero enfatico del gotico. Nella stessa direzione lavorano il fratello
Pur nel comune atteggiamento utopico, che si può considerare come una positiva fase di meditazione linguistica al di fuori dei ‛compromessi' della professione, fase poi rinnegata nel successivo richiamo all'ordine, oppure (e ci sembra più esatto) come una fuga dalla realtà nell'arte intesa come artificio, fase che il residuo utopismo del Bauhaus trasforma ma non risolve, si può fare un'altra distinzione: tra un'architettura intesa come forma, creazione di un oggetto da contemplare, e un'architettura intesa come processo di modificazione del reale, come metodo di strutturazione dell'abitare connesso all'analisi sociale, tendenzialmente identificantesi con l'urbanistica (v. Junghanns, 1971; cfr. anche
Se la storia del Bauhaus non rientra in questo scritto, ciò non significa che essa esuli da un discorso sull'espressionismo. Il Bauhaus è fondato nell'aprile 1919: il suo manifesto, steso da Gropius, è circa contemporaneo alla circolare dello Arbeitsrat. Il contenuto è pressoché identico, come il tono mistico ed entusiasta; è abbandonata solo la rinuncia programmatica all'azione. D'altra parte, soprattutto nei primi anni, il Bauhaus è più un luogo di ricerca che un centro di progettazione. Si può anche dire che nel Bauhaus si portino avanti perfino le incertezze e le contraddizioni della Novembergruppe, e se dal radicalismo si è passati al compromesso, la dimensione utopica e fondamentalmente apolitica (non asociale) non è mutata. La stessa soluzione dei quartieri operai, per esempio, il tema della
Ad onta di ogni proposito antiaccademico e di ogni rottura con la tradizione, nell'utopismo architettonico e nella cosiddetta architettura espressionista è fortissimo il legame con la tradizione immediata e il recupero in forma revivalistica di ‛stili' lontani nel tempo. Il plasticismo, la continuità di struttura e forma espressiva, le allusioni naturalistiche e il senso spirituale che anima la materia, tipici della Torre di Einstein di Mendelsohn, delle due costruzioni del Goetheanum di Steiner (soprattutto il secondo), dei modelli di Finsterlin, trovano un riferimento preciso nelle opere di Gaudi e in alcuni lavori di H. Obrist; elementi ‛floreali' stilizzati si trovano perfino in Bruno Taut e in W. Luckhardt, ossia tra i più rigorosi sostenitori della geometria, come pure numerose forme che ricordano i disegni di Wagner e la sua scuola. Si potrebbe addirittura interpretare (seguendo il Pevsner) l'architettura espressionista come la prosecuzione e l'enfatizzazione di motivi dello Jugendstil e del modernismo europeo. C'è poi un nuovo recupero, anzi un'orgia di motivi eclettici, assunti in due significati diversi e alterni: uno simbolistico e uno funzionalistico. A parte i ricordi esotici, la corrente ‛organica' degli utopisti fa costante riferimento al barocco, quella ‛cristallina' al classico e in tutti è la nostalgia del gotico, in particolare della cattedrale (una cattedrale è nella xilografia di Feininger sul frontespizio del programma del Bauhaus) come simbolo del lavoro collettivo e dell'aspirazione religiosa. Il recupero dell'eclettismo in chiave funzionalistica riporta soprattutto a Fr. Schinkel, considerato maestro insuperabile, ad es., da Loos, Bruno Taut, Mies.
Ci sono poi alcune tendenze locali in cui il recupero del romanico e del gotico è assunto in chiave anticlassica e nazionalistica. Il loro rapporto con l'espressionismo esiste, ma non va sopravvalutato: la ricerca dell'originario e della spiritualità nordica che trova la sua massima espressione nel Medioevo non avviene, per la maggior parte degli espressionisti, a livello di revival: Marc medita sulle vetrate del duomo di
Negli stessi anni in cui si sviluppa l'espressionismo pittorico è importante a Monaco la scuola di Th. Fischer, che realizza le sue chiese in ferro e cemento armato e in forme neoromaniche; è frequentata da architetti come Bruno Taut e P. Bonatz. Uno degli edifici ‛espressionisti' più celebrati è il Chilehaus di F. Höger ad Amburgo (1923), il cui perimetro murario s'incurva come la forma di una nave terminando nello spigolo acuto della ‛prua', e dove la nostalgia gotica si avverte nel verticalismo delle nervature, nel motivo del porticato, nel colore dei mattoni e nella decorazione scultorea coi suoi archi acuti.
Il recupero dei temi medievali ha particolare fortuna negli anni venti ed è confluito nel cosiddetto stile romantico-nazionale. Nel 1919, nel discorso tenuto in occasione della riapertura del Werkbund, Poelzig sostiene: ‟L'architettura è il prodotto di una mentalità nazionale, e la deplorevole condizione delle città tedesche negli ultimi anni è stata il risultato di una connessione psichica col suolo nativo, che non esiste più. Il nostro intento è di ristabilirla". L'espressionismo non è tutto questo, ma è anche questo; è anche la prefigurazione tragicamente ingenua del principio nazista del Blut und Boden.
D'interesse particolare, perché si riallaccia direttamente al tema della cattedrale, è l'architettura chiesastica che nasce in questo periodo, radice di una tradizione che arriva fino a noi, con tutt'altra freschezza che nei prototipi di O. Bartning e D. Böhm, i quali lavorano in parallelo con una precisa intenzionalità religiosa. Bartning è uno dei protagonisti della Novembergruppe e in seguito progetta edifici di varie destinazioni, tra cui case rurali goticheggianti, e lavora anche accanto a Gropius per il quartiere Siemensstadt a Berlino; la sua fama è legata soprattutto al programma di un nuovo tipo di chiesa protestante, in cui polemicamente rifiuta il classico e adotta un gotico essenziale e ‛moderno', secondo la sua formula ‟
Se il problema primario dell'espressionismo consiste nella comunicazione, nel superamento dell'arte da museo, nel ritorno a forme primitive e dirette di espressione artistica, nella fusione delle arti in una manifestazione totale, nell'identificazione dell'atto artistico nell'uomo stesso e nei suoi gesti, nel proposito di educare allo spirito la massa, il genere più adatto a realizzare tutto questo doveva rivelarsi quello teatrale e cinematografico. La maggior diffusione dell'espressionismo nello spettacolo ha luogo dopo la prima guerra mondiale, contemporaneamente al passaggio dalla dimensione individuale a quella sociale; e negli stessi anni sono anche più precisi i contatti tra questa soluzione del Gesamtkunstwerk e l'altra, che consiste nella sua risoluzione nell'architettura. Il tramite tra il teatro, il cinema e le ricerche figurative e architettoniche è costituito dalla scenografia. Scenografo teatrale è C. Klein, uno dei quattro membri ‛dirigenti' dello Arbeitsrat für Kunst, scenografi d'occasione sono Bruno Taut e soprattutto Poelzig (Il Golem), che dedica molte sue fantasie architettoniche a un progetto per il teatro di
Se il dramma nella produzione letteraria ha caratteri ben definiti, la scenografia e il cinema dell'espressionismo, come l'architettura, non hanno un comune denominatore formale, ma di attitudine e intenzionalità, per cui qualcuno nega a rigore l'esistenza di film integralmente espressionisÙ (v. Eisner, 1952). Elementi impressionisti, cubisti e futuristi si mescolano alla deformazione espressionista, mentre agiscono più che altro come stimolo indiretto, meno di quanto era già avvenuto per gli architetti, l'esperienza dada e quella russa.
La scenografia, che conta tra i suoi precedenti diretti più le esperienze di
Nel cinema (muto) frequenti sono le sequenze fondate su effetti luminosi dinamici, forse, a livello figurativo, influenzate dalle opere di Feininger (come suppone Myers: v., 1957; tr. it., p. 254), le scene con brani naturali e architettonici deformati e instabili, gli scorci e gli effetti diagonali, i gesti spezzati e automatici, le situazioni assurde e angosciose. I temi hanno, rispetto al teatro, una tendenza irrealistica, popolare-fiabesca o mitica, molto maggiore; fonte d'ispirazione per tutto il moderno cinema dell'orrore, sono tutti all'insegna della morte, del sogno, dell'assurdo, del mito: l'assassinio e l'ipnosi, il tema definito da Mittner del ‟mago cattivo", simbolo della magia nera della scienza e preannuncio del dittatore (Il gabinetto del dottor Caligari di
Bibliografia
Apollonio, U., Die Brücke e la cultura dell'espressionismo,
Argan, G. C., Progetto e destino, Milano 1965.
Bahr, H., Expressionismus, München 1916 (tr. it.: Espressionismo, Milano 1945).
Bertonati, E., Il realismo in Germania. Nuova Oggettività. Realismo magico, Milano 1967.
Borsi, F., König, G. K., Architettura dell'espressionismo, Genova-Paris 1967.
Buchheim, L. G., Die Künstlergemeinschaft Brücke, Feldafing 1956.
Buchheim, L. G., Der blaue Reiter, Feldafing 1959.
Buchheim, L. G., Graphik des Expressionismus, Feldafing 1959.
Chassé, C., Les fauves et leurs temps, Paris 1963.
Chiarini, P., L'espressionismo. Storia e struttura,
Conrads, U., Programme und Manifeste zur Architektur des 20. Jahrhunderts, Berlin-Frankfurt a. M.-Wien 1964 (tr. it.: Manifesti e programmi per l'architettura del XX secolo, Firenze 1970).
Conrads, U., Sperlich, H. G., Phantastische Architektur, Stuttgart 1960.
Crespelle, J.-P., Les fauves, Neuchâtel 1962 (tr. it.: I fauves, Firenze 1962).
De Micheli, M., L'arte di opposizione, d'ispirazione politica e sociale in Germania dal 1900 al secondo conflitto mondiale, in L'arte moderna, vol. III, Milano 1967, pp. 201-240.
Denis, M., La réaction nationaliste, in ‛‛L'ermitage'', 15 novembre 1905.
Derain, A., Lettres à Vlaminck, Paris 1955.
Die Gläserne Kette, catalogo-mostra a cura di O. M. Ungers, Museum Leverkusen, Schloss Morsbroich e Akademie der Künste, Berlin 1963.
Diehl, G., Les fauves, Paris 1943.
Dube, W.-D., Die Expressionisten, Frankfurt a. M.-Berlin-Wien 1973.
Duthuit, G., Les fauves, Genève 1949.
Eisner, L. H., L'écran démoniaque, Paris 1952 (tr. it.: Lo schermo demoniaco, Roma 1955).
Fechter, P., Der Expressionismus, München 1914.
Frühlicht 1920-1922. Gli anni dell'avanguardia architettonica in Germania, con un saggio introduttivo di G. Samonà, Milano 1974.
Gide, A., Promenade au Salon d'automne, in ‛‛Gazette des beaux-arts'', 1905, XLVII, pp. 475-485.
Gordon, D. E., On the origin of the word ‛expressionism', in ‛‛Journal of the Warburg and Courtauld Institutes'', 1966, pp. 368-385.
Gregotti, V., L'architettura dell'espressionismo, in ‛‛Casabella'', agosto 1961, pp. 24 ss.
Grisebach, L., Maler des Expressionismus im Briefwechsel mit Eberhard Grisebach, Hamburg 1962.
Grohmann, W., Expressionisten,
Haftmann, W., Malerei im 20. Jahrhundert, München 1954 (tr. it. riveduta e accresciuta in: Enciclopedia della pittura moderna, Milano 1960).
Hartlaub, G. F., Die Graphik des Expressionismus in Deutschland, Stuttgart 1947.
Hofmann, W., Zeichen und Gestalt. Die Malerei des 20. Jahrhunderts, Frankfurt a. M. 1957 (tr. it.: La pittura del XX secolo, Bologna 1963).
Hofmann, W., L'espressionismo in Austria, in L'arte moderna, vol. III, Milano 1967, pp. 41-80.
Jedlicka, G., Der Fauvismus, Zürich 1961.
Junghanns, K., Gli architetti tedeschi durante la crisi rivoluzionaria 1917-1923, in Socialismo, città, architettura, Roma 1971, pp. 275-288.
Kandinskij, V., Écrits complets, Paris 1970 (tr. it.: Tutti gli scritti, Milano 1973-1974).
Kandinskij, V., Marc, Fr. (a cura di), Der blaue Reiter, München 1912; nuova ed. con appendice critica di K. Lankheit, München 1965 (tr. it.: Il cavaliere azzurro, Bari 1967).
Klee, P., Tagebücher, a cura di F. Klee, Köln 1957; 2a ed. con aggiunte 1960 (tr. it.: Diari, Milano 1960).
Kokoschka, O., Schriften 1907-1955, München 1956.
Kracauer, S., From Caligari to Hitler. A psychological study of the German film, London 1947 (tr. it.: Cinema tedesco 1918-1933, Milano 1954).
Langui, E, Expressionism in Belgium,
Le
Lepore, M., I fauves, Milano 1966.
L'espressionismo. Pittura, scultura, architettura, catalogo-mostra a cura di M. Volpi e G. K. König, Palazzo Strozzi, Firenze 1964.
L'expressionisme européen, catalogo-mostra, Haus der Kunst, München e Musée National d'Art Moderne, Paris 1970.
Leymarie, J., Le fauvisme, Genève 1959.
Leymarie, J., Il fauvismo, in L'arte moderna, vol. III, Milano 1967, pp. 201-320.
Loos, A., Ins Leere gesprochen. Trotzdem, Wien-München 1962 (tr. it.: Parole nel vuoto, Milano 1972).
Macke, A., Marc, Fr., Briefwechsel, Köln 1964.
Marussi, G., I fauves, Venezia 1950.
Matisse, H., Notes d'un peintre, in ‛‛La Grande Revue'', 25 dicembre 1908.
Melas Kyriazi, J., Van Dongen et le fauvisme, Lausanne-Paris 1971.
Muller, J. E., Le fauvisme, Paris 1956.
Myers, B. S., Malerei des Expressionismus, Köln 1957 (tr. it.: La pittura dell'espressionismo. Una generazione in rivolta, Milano 1960).
Neue Sachlichkeit'. Deutsche Malerei seit dem Expressionismus, catalogo-mostra (presentazione di G. F. Hartlaub), Städtische Kunsthalle, Mannheim 1925.
Negri, R., Matisse e i fauves, Milano 1967.
Neumayer, H., Expressionismus, Wien 1956.
Neumayer, H., Fauvismus, Wien 1956.
Pehnt, W., Die Architektur des Expressionismus, Stuttgart 1973.
Rathke, E., Inizi e sviluppo della Brücke, e La Brücke, in L'arte moderna, vol. III, Milano 1967, pp. 81-200.
Raynal, M., Peinture moderne, Genève 1953 (tr. it.: La pittura moderna,
Roh, F., Nachexpressionismus, Leipzig 1955.
Roh, F., Deutsche Malerei von 1900 bis heute, München 1962.
Schmidt, D., Schriften deutscher Künstler des 20. Jahrhunderts, Dresden 1964-1965.
Selz, P., German expressionist painting, Berkeley-Los Angeles 1957.
Sharp, D., Modern architecture and expressionism,
Sotrifter, K., Expressionismus und Fauvismus, Wien-München 1971.
Vauxcelles, L., Le fauvisme, Genève 1958.
Vlaminck, M., Le tournant dangereux, Paris 1929.
Volpi Orlandini, M., Kandinskij e il Blaue Reiter, Milano 1970.
Walden, H., Einblick in Kunst. Expressionismus, Futurismus, Kubismus, Berlin 1917.
Willett, J., Expressionismus, München 1970.
Wingler, H. M., Die Brücke. Kunst im Aufbruch, Feldafing 1954.
Espressionismo letterario
di Gianfranco Contini
sommario: 1. Espressionismo storico e metaforico. 2. L'espressionismo tedesco. 3. Espressività dell'espressionismo (particolarmente Stramm, Benn e Becher). 4. Heym, Trakl. 5. Irradiazione dell'espressionismo. 6 Estensione dell'espressionismo nella romanistica tedesca. Heiss, Spitzer, Richter. 7. Altri ‛espressionisti' francesi (Céline, Audiberti, Michaux). 8. Joyce. 9. Espressionismo lirico in Pessoa. 10. Espressionismo italiano attorno alla ‟Voce" (Rèbora, Pea, Onofri, Boine). 11. Espressionismo gaddiano. 12. Per una linea espressionistica in
1. Espressionismo storico e metaforico
Lo scopo che si propone il presente articolo non è affatto quello di ripristinare il termine in esponente nella sua ristretta originaria proprietà cronologica, geografica e intenzionale; è invece quello di precisare per via contestuale la portata corrente di valore polare, e per così dire categoriale, che esso è venuto assumendo nell'uso vulgato degli ultimi decenni. Benché non risulti che la vigente catacresi abbia suscitato le proteste di un etimologizzante purismo, la definizione lata e metaforica non soltanto si differenzia e affranca dalla aneddoticamente esatta, ma anzi ha avuto bisogno, per nascere, che questa dimettesse ogni attualità presente. Solo dopo la fine o la trasformazione dell'espressionismo storico - fine postumamente accelerata dalla condanna politica che procurò di travolgerne anche fisicamente i ricordi sotto l'etichetta di ‛arte degenerata' (
Il processo metaforico è stato graduale, dalle arti figurative, e principalmente dalla pittura, in territorio germanico, alle arti della parola nella stessa area e finalmente alla caratterizzazione di istituti linguistici generali, che tuttavia ha luogo inizialmente nella critica sempre tedesca e successivamente nella cultura a cui la componente germanica è stata essenziale. La curva si può dire compiuta quando si parla dell'espressionismo di Gadda o magari di Boine (benché quest'ultimo nome, attraverso il referto del germanista Amoretti, faccia a tempo a comparire di sbieco in uno dei primi scritti che portino determinatamente la categoria fuori del territorio letterario germanico, quello dello Spitzer), e a ritroso quando l'applicazione metaforica è fatta, mettiamo, a Quevedo, a Rabelais, a Jacopone, a Lucano. A ritroso, o viceversa per prolungamento, se il massimo frutto dell'espressionismo ecumenico potrebbe ritrovarsi nelle parti più scavate dell' Ulysses di Joyce (per non dire di Finnegans Wake), cominciato del resto in piena epoca espressionistica e nella
L'iniziale estensione metaforica ha luogo nell'ambito figurativo, quando si può discorrere di espressionismo non solo per un Grünewald, che finalmente si muove, pur configurando una morfologia-limite, nell'ambito culturale d'origine, ma, poniamo, per un Vitale da Bologna. Non a caso l'estensione appare normale, per non dire consunta, in un critico come
2. L'espressionismo tedesco
Se si chiede quale sia il tertium comparationis della letteratura propriamente e confessatamente espressionistica, cioè di quella non già fiorita, ma scoppiata, in Germania nel periodo che K. Pinthus e G. Benn identificarono col decennio 1910-1920, e che si potrà dilatare solo di pochi anni nell'una o nell'altra direzione, la risposta rischia di esser fornita solo dalla tematica. Letteratura di urlo e distruzione, dunque; ma qui s'arresta la concordia degli interpreti. Un testimone sintonizzato come il Pinthus, amico di tutti gli espressionisti (o almeno dei sopravvissuti alla prima guerra), che restringe il suo panorama alla lirica, crede, operando ancora in periodo espressionistico (fine 1919), di potere da voci così profondamente eterogenee ricavare un bilancio unitario, tanto da sottointitolare la sua antologia Symphonie jüngster Dichtung [Sinfonia dell'ultima poesia] e da organizzarla, attingendo a tutti, come una vera sinfonia in quattro tempi. Se il primo è Sturz und Schrei [Impeto e urlo], il secondo è Erweckung des Herzens [Risveglio del cuore], e se il terzo è Aufruhr und Empörung [Rivolta e indignazione], il finale è Liebe den Menschen [Ama l'uomo]: ciò vuol dire che, per il simpatetico spettatore, alla distruzione segue la ricostruzione, che egli ravvisa, partecipandovi, in uno slancio di umanitaria solidarietà. Infatti il titolo, per parodia wagneriana, di Menschheitsdämmerung [Crepuscolo dell'umanità], è da intendersi, a mente dell'autore stesso, come tramonto seguito da una nuova alba. È interessante constatare come a questa interpretazione ottimistica e non nichilistica tacitamente e insomma pacificamente aderiscano i primi estensori tedeschi della categoria di espressionismo ad altre letterature. Ma sulla chiusura del circolo, e dunque sulla consistenza del presunto ultimo tempo, esprime automaticamente perplessità il semplice riconoscimento sentimentale dello slancio messianico, quale il Pinthus documentò, ristampando il suo fondamentale breviario quarant'anni dopo (e sottointitolandolo ormai Ein Dokument des Expressionismus), nelle dichiarazioni rese al termine della loro vita dai due opposti (ma tutt'altro che nemici) superstiti del movimento, J.R. Becher (1891-1958), spartachista e comunista ufficiale, bardo della Repubblica Democratica Tedesca, e G. Benn (1886-1956), fugacemente filonazista poi oppositore e perseguitato, riconosciuto nella Germania Federale (come nell'opinione universale) quale il maggior poeta contemporaneo di lingua tedesca. Il Becher ammette che il movimento non fu capace di realizzare poeticamente la cusaniana coincidentia oppositorum: ‟non abbiamo incarnato in nessuna opera classica l'idea del Simultanismus, lo spirito di un panteismo espressionistico"; per Benn l'espressionismo ‟piantò la sua bandiera sulla
Ancora più netto in questa direzione negativa lo studioso che all'espressionismo giunga da fuori, con interesse scientifico scevro di complicità, come da noi, da ultimo in fitti paragrafi della sua Storia, il sistematico e informatissimo Mittner. Il paesaggio che esce dalla sua descrizione, in quanto fondata, oltre e meglio che sui lirici, sui drammaturghi e sui narratori non attivi anche in forma lirica (Sorge, Kaiser, Toller, Unruh, Bronnen ecc., e inoltre Kokoschka e Barlach in quanto autori di teatro; Döblin, Einstein, Kubin, Klabund, Frank ecc.), è un paesaggio di violenza e di rivolta, ora nel grottesco ora nel crudele, contro la norma (familiare, sessuale, sociale, politica) prima e più che contro la forma: Urschrei [urlo primitivo], strazio, distruzione e autodistruzione, parricidio, incesto, stupro, ‛complessi' - il tutto ovviamente in ambito archetipico e con valore essenzialmente traslato - sono le categorie che accaparrano l'interesse dei produttori di letteratura piuttosto che le innovazioni di carattere tecnico. Anche per il Pinthus e per lo stesso Benn l'espressionismo (poetico) è in sostanza solo la primogenita delle avanguardie europee (nel senso che il Croce chiamava la Germania romantica la figlia primogenita dell'Europa), ma lo sguardo generalizzante portato dagli storici della cultura, pur prescindendo dai grandi eventi del pensiero anzitutto tedesco che si possono considerare consonanti all'espressionismo (la fenomenologia, la psicanalisi, la relatività generale, la fisica quantistica), dell'espressionismo vede in primis l'aspetto figurativo, più precisamente (nonostante scultori come Barlach) quello pittorico (gruppo della Brücke - Kirchner, Heckel, Schmidt-Rottluff - e Nolde, Der Blaue Reiter - Kandinskij, Marc, Macke, Klee -, Kokoschka ecc.) e l'aspetto musicale, cioè la musica atonale e la seriale, per eccellenza la dodecafonica (Schönberg, Webern,
Perciò il termine di espressionismo, che già Stadler riconosceva traslato dalle arti figurative (e il Mittner bene sottolinea come ciò accadesse - a opera del critico O. zur Linde - nel medesimo anno, 1911, in cui, giusta il rilievo di Fritz Martini, Wilhelm Worringer, sulla rivista di Walden ‟Ler Sturm", lo estendeva all'interno della pittura stessa, in direzione di van Gogh, di Matisse e addirittura di Cézanne), per avere quel più largo impiego categoriale nelle arti della parola che risponde a una diffusa opportunità critica, dev'essere legato a precisi istituti stilistici. Situazioni come questa iniziale di Ophelia di
3. Espressività dell'espressionismo (particolarmente Stramm, Benn e Becher)
Una nota del Mittner (v., 1971, p. 1197, n. 28) condensa assai bene quanto dell'espressionismo è linguisticamente espressionistico, e ne traccia con ciò una percettibile ed estensibile immagine: ‟Frequenti sono naturalmente [...] i verbi che denotano un urlo e un urto, una lacerazione e una rottura (brechen, rompere; stossen, urtare, e reissen, lacerare; opposti agli impressionistici wehen, alitare; schweben, levitare, e gleiten, scivolare): tale predilezione è rafforzata da vari procedimenti metrici e grammaticali. La violenza del moto si riflette in forti enjambements: ‛Imperativ / schnellt stell empor' (‛L'imperativo / scatta dritto verso l'alto') dice Becher nella poesia Die neue Syntax (La nuova sintassi) dedicata tutta all'intensificazione espressionistica delle forme grammaticali; in unioni verbali già reperibili nello Sturm und Drang, come niederreisst, aufbäumt per reisst nieder, bäumt auf; nella creazione di nuovi composti verbali con zer-. Heynicke ad esempio colloca fra zerschlagen e zerwühlen uno zerpeitschen [su peitschen, frustare); Stramm giunse a creare uno schamzerpart. (Il proto poco espressionista corresse questo composto in schamzerstört e Stramm ritenne necessario spiegare il senso del suo nuovo composto a H[erwarth] Walden [fondatore della rivista espressionista ‟Der Sturm", secondo marito della Schüler) nella lettera del 7 luglio 1914: ‛Scham und Empörung ringen miteinander und die Scham zerdrückt' [‛Vergogna e rivolta colluttano fra loro e la vergogna schiaccia'] secondo il suo senso linguistico il valore di empören non è in em-, ma in *pören, anzi nel semplice nesso fonico pö, che egli probabilmente sentiva analogo alle interiezioni di sdegno con un suono labiale come pfui, buh, ecc.). Di una particolare predilezione godono gli intransitivi transitivati, cioè arbitrariamente rafforzati da un oggetto: ‛Fenster grinst Verrat' (‛La finestra sogghigna tradimento'), ‛Mutterschösse gähnen Kindestod' (‛Grembi di madre sbadigliano morte di figlio') in Stramm. L'assolutizzazione del verbo è ottenuta con l'uso di accatastare infiniti (intere poesie di Stramm contengono soltanto infiniti con o senza l'iniziale maiuscola, di cui è difficile dire se siano verbi o nomi), con la predilezione del participio (di cui Becher nella poesia già citata ben rileva la funzione architettonica di ponte, di un ponte quanto mai vibrante: ‛Ein Brückenpartizip muss schwingen' [‛Un participio-ponte deve vibrare]). Ma l'espressionismo cerca soprattutto di giungere all'essenza del verbo isolandone la radice mediante la soppressione del prefisso (armt, stummt, sempre in Stramm, per umarmt, verstummt) e del suffisso, in particolare del suffisso del participio (‛schmiege Nacht' [nella lirica Abendgang] per schmiegsame o sich schmiegende; ‛schlafe Erde [ibid.] per schlafende; ‛krampfes Grauen' [ibid.] per krampfendes; persino ‛kreuze Arme' per gekreuzte). L'ermetismo espressionistico giunge persino a coniugare il nome, colmandolo con ciò di una misteriosa sostanza vitalistica: ‛du aus Tiefen mondet Finsternisse' (che si potrebbe rendere all'incirca con la perifrasi ‛il tuo essere dalle sue profondità luneggia oscurità' cioè sprigiona da sé oscurità lunari', Schreyer); ‛Flimmer / tränet / glast / Vergessen' (intendi: ‛il tremolio - degli occhi che contemplano una tomba - fa sgorgare lagrime, ma le lagrime diventano subito vitree, lagrime dell'insensibilità e dell'oblio', Stramm)".
Giustamente, qui dove dell'espressionismo è messo in evidenza l'aspetto linguistico, il massimo rilievo viene conferito ad
Una falsariga di traduzione è necessariamente tanto più inadeguata a una resa didattica perfino primaria in quanto, anche senza tener conto dell'intrasferibile fonosimbolismo (come qui l'iterazione di ei, l'assonanza di í. e in -verbissenen Lippen e wittert, di ó.. .e in polternd Worte, di á.. e in Atem. ..Laubwelk), l'autore associa alla condensazione l'ammicco, traducibile semmai solo a prezzo di surrogazioni, come accadrà per il poliglotta Joyce o il coltissimo Pizzuto, in Stramm però svolto rigorosamente nei confini d'una sola lingua. Qui diventa significativo addirittura che Lächeln sia, come non potrebbe non essere in tedesco, un infinito sostantivato, ciò che è a carico della citata tendenziale indistinzione di nome e verbo. Esso determina per contatto col verbo weint un ossimoro moderato, in preparazione del violento fra glut- e eisen, dei quali termini il desostantivale (senza prefisso) è abbastanza raro da poter essere considerato una reinvenzione, mentre l'innovante composto ha l'aria di modificare un ordinario blutverbissen, 'morso a sangue'. E una ‛modifica' del genere, sull'ordinario Laubwerk, ‟fogliame", sembra presentare Laubwelk, questo inaudito aggettivo (welk) sostantivato. Altra innovazione è il verbo versargen, a surrogazione quasi metamorfica del banale einsargen, mentre hasten, ‟affrettarsi", è violentato in transitivo. Questi arricchimenti della funzione soprattutto verbale non devono occultare sotto la luce della loro straordinaria evidenza l'aspra seppur indiretta disputa tra i pronomi, conforme al gioco dell'ich, del wir e soprattutto del Du (titolo infatti della raccolta): basti pensare che Du, oggettivato come nome proprio, può essere addirittura titolare di terza persona (la poesia Wunder comincia ‟Du steht! Du steht!" e chiude il circolo col normalizzato ‟Du / Stehst") e figurare indeclinato in funzione di complemento (ivi ‟Du bannt
Se quello che, parafrasando espressioni benniane (‟Io tedesco" ecc.), si potrebbe chiamare l'Io espressionistico, cioè la ricerca della frontiera dell'Io presso gli espressionisti, trova una manifestazione estrema in Stramm (sotto il profilo dell'incomunicabilità), questa sorta di ‛dramma pronominale' è largamente attestata nel movimento. A rigore ne è una forma grammaticalmente negativa il semplice enunciato antropomorfico del tipo ‟Die Häuser haben Augen aufgetan" [‟Le case hanno schiuso gli occhi"], incpit di
Ma nella sostantivazione dell'Io si individua uno dei temi-chiave del linguaggio benniano, così nelle poesie come in alcune importanti prose che, affini ai versi per struttura sintattica e lessicale (Benn tuttavia proclamava, lo si sa da una risposta all'inchiesta di ‟Transition" sulla ‛malattia della parola', che ‟Solo il poeta lirico, il grande lirico, sa che cosa sia realmente la parola"), più didascalicamente indulgono a una descrizione antropologica. Si tratta fondamentalmente della conferenza Das moderne Ich (1920), della prosa Das letzte Ich (1921), dello scritto autobiografico Epilog und lyrisches Ich (1927, per la parte che qui importa). ‟La biografia dell'Io non è scritta", così nella prima lettura, ma si traccia velocemente una ‟storia del rapporto fra mondo e Io" fino all'avvento di
Il ‟Worte, Worte - Substantive" di Benn dichiara l'evidenza già tipografica delle maiuscole (contrassegno tedesco dei sostantivi) nella pagina, anche prosastica, di Benn e negli inni, salmi, litanie populiste di Becher, specie là dove i nuovi composti sono scissi nei loro ingredienti (in Benn, dove la cosa è meno sistematica, Worte- Wolkenbrüchen, Ding-Gewerde, Schädel-Fisch ecc., ma in Becher gli innumerevoli Limonen-Farm, Distel-Exil, Ruinen-Keller, Strahl-Prophet ecc.). Si aggiunga la frequenza delle brevissime proposizioni nominali, talora di un membro solo, e fra molti in Becher l'uso della maiuscola al capoverso, che dà anche una visività (carattere inerente più propriamente alle composizioni futuriste, come poi alle Calligrammes, per culminare e farsi esclusivo nel lettrisme e in Cummings) a una poesia eminentemente sonora e in realtà spesso recitata (come peraltro nelle ‛serate futuriste'). Ma i frammenti del caos (e Chaos s'intitola appunto una poesia caotica di Benn: singolare che un solo espressionista, Werfel, sia stato schedato prima dallo Schumann nel suo contributo sull'enumerative style e poi dallo Spitzer che ne prende occasione per il celebre saggio su La enumeraciòn caòtica en la poesia moderna [1945, ora in Lingüística e historia literaria,
4. Heym, Trakl
Nella citata prefazione del 1955 Benn ricorda come l'anno precedente un critico (Helmut Uhlig) distinguesse, e ciò alimentava i suoi dubbi classificatori, espressionismo da espressività, due predicati per niente coestensivi. Si può ormai concludere che alla resa grammaticale quanto di espressivo è nell'espressionismo e lo abilita a metafora critica metastorica, per un verso è incluso nell'opera di Stramm, per l'altro di Becher e del grande Benn. Eppure capita di trovare costituita una terna Heym-Trakl-Stadler come tipica della poesia espressionistica (evidentemente col pensiero al limite cronologico costituito dalla loro morte tragica e precoce), o di leggere che Benn e Heym (l'accostamento è dell'autorevole Sörgel) sono i fondatori dell'espressionismo letterario: legittimo dunque chiedersi se Heym e Trakl siano stati innovatori linguistici. La risposta non può essere che assai debolmente affermativa. Di Georg Heym (1887-1912), questo ‛sacerdote degli orrori', Stadier additò plausibilmente ‟la durezza troppo rigida della forma", appena attenuata nella postuma Umbra vitae: ‟la rigida regolarità dei suoi ritmi [ma ciò vale per ogni altro aspetto formale], che rinserrano un caos in fermento ed ebullizione sotto una forma concisa e altrettanto imperturbata"; la sua lontananza dall'espressionismo proverbiale è indicata anche da Benn. Qualche torsione, presumibilmente condizionata da valori ritmici, cui consuonano nella lirica altri stridori, può al massimo avvertirsi (siamo già in Umbra vitae) nella prolessi di quest'inizio: ‟Deine Wimpern, die langen, / Deiner Augen dunkele Wasser, / Lass mich tauchen darein" [‛Le tue ciglia lunghe, / dei tuoi occhi le buie acque, / lasciamici tuffare"], con Deine Wimpern... ripreso da darein invece di * In deine ecc.
Nemmeno
5. Irradiazione dell'espressionismo
La testimonianza del maggiore scrittore dell'espressionismo è sempre utile per tracciare i confini di ciò che merita questo predicato, nella misura stessa in cui, come protagonista, dichiara la sua ingenua perplessità davanti a un'etichetta assegnata dall'esterno. Pur senza scordare che per Benn il solo competente a trattare della ‛parola' è il poeta lirico, andrà raccolta la sua testimonianza anche sulla prosa. E per lui la più affascinante prosa del cosiddetto espressionismo resta quella dei primi libri di Kasimir Edschmid (teorico anche della visionarietà espressiornstic a), Sechs Mündungen e Timur; più affascinante, egli precisa, perfino della ‟gigantesca, carica, densa" di Alfred Döblin. Resta comunque il fatto che della seconda ondata espressionistica, coincidente con la repubblica di
L'irradiazione dell'espressionismo tedesco si ravvisa per solito in modo elementare. Certo il Pinthus ricorda opportunamente la collaborazione di
Ma la vera selezione dev'essere opera propriamente formale, e a tal fine riescono preziose le definizioni di Benn, naturalmente inclusive della motivazione, per refutare automaticamente l'interpretazione formalistica più volte avanzata, per solito a scopo denigratorio, dell'espressionismo. Tali definizioni sono contenute nel coraggioso scritto apologetico del 1933 Bekenntnis zum Expressionismus [Professione di espressionismo], in gran parte letteralmente ripreso nell'introduzione del 1955 all'antologia (di esecuzione editoriale) Lyrik des expressionistischen Jahrzents. L'espressionismo connota, al pari della fisica moderna con la sua disintegrazione dell'atomo, un'epoca aperta, come la precedente dall'inchiesta kantiana circa la possibilità dell'esperienza, dalla domanda circa la possibilità della Gestaltung (che si può rendere provvisoriamente con ‛strutturazione formale'). Ed è lo stile, chiamato altrove futurismo o cubismo, ‟polimorfo nella sua inflessione empirica, unitario nel suo atteggiamento fondamentale di distruzione della realtà, di spietata penetrazione alla radice delle cose [Andie-Wurzel-der-Dinge-Gehen], fin là dove esse non possono più essere rinviate al processo psicologico, individualmente e sensualmente colorate, falsate, ammorbidite, convertibili, ma nel perenne silenzio acausale dell'Io assoluto aspettano la rara chiamata dello spirito creativo". Più stringenti però ai fini della verbalità le descrizioni dei grandi predecessori: il Goethe particolarmente del secondo Faust, con la relazione non più tematica ma puramente espressiva tra i singoli versi; Nietzsche, la cui esistenza (nella sola redazione del 1955) fu ‟un lacerare con parole la propria essenza interiore, un impulso a esprimersi, formulare, abbagliare, sfolgorare con ogni rischio e senza riguardo ai risultati, un'estinzione del contenuto a profitto dell'espressione"; soprattutto il Hölderlin dei frammenti, dov'è un ‟carico della parola, delle poche parole, con un'immensa raccolta di tensione creativa, o piuttosto una cattura di parole sotto tensione, e queste parole catturate del tutto misticamente continuano poi a vivere con un potere di suggestione positivamente inesplicabile". Su questi fondamenti Benn può costruire a ritroso una linea di espressionismo tedesco ante litteram, in cui inscrive col Goethe tardo (qui l'espressa citazione esemplificativa ‟Entzahnte Kiefer schnattern und das schlotternde Gebein, / Trunkener vom letzten Strahl" [‟schiamazzano mascelle sdentate e ossami ciondolanti, I ebbri dell'ultimo raggio"]), Nietzsche e il Hölderlin dei Bruchstücke, il Kleist della Penthesilea, Carl (fratello maggiore di Gerhardt) Hauptmann (per il quale parla di ‟Ausdruckdichtung", preziosa indicazione dell'equivalenza di espressionismo e poesia espressiva), il tardo ottocentista
Un'indicazione significativa di affinità elettiva si ricava finalmente dalle scelte operate dagli autori espressionisti in quanto traduttori (prescindendosi anche da quelli che furono fecondi e non unilaterali, come Zech dal francese - fra l'altro di Verhaeren - e dallo spagnolo, Wolfenstein dal francese e dall'inglese). Basti annotare che Stadier, alsaziano, tradusse Jammes e Péguy (corse poi la leggenda che Stadler e Péguy si riconoscessero dall'opposta parte del fronte dove sarebbero presto caduti, e si scambiassero dei bigliettini...); Becher adattò Majakovskij; Iwan Goll, anche lui alsaziano e poeta bilingue, si adoperò per la versione tedesca di Ulysses.
6. Estensione dell'espressionismo nella romanistica tedesca. Heiss, Spitzer, Richter
Se è giusto dare il primo luogo all'espressionismo germanico, sembra opportuno seguire subito dopo l'estensione che
Non è certo un caso che l'estensione della categoria stilistico-grammaticale di espressionismo a una letteratura non germanica - estensione che è cominciata dalla francese contemporanea - sia opera di accademici di lingua tedesca e si assesti con l'inventore stesso della ‟critica stilistica" (Stilkritik) e anche della sua definizione verbale,
Come suo predecessore lo Spitzer riconosce un altro francesista tedesco, Hanns Heiss, nello scritto, risarcito da un capitolo composto per un volume collettivo mai stampato, Vom Naturalismus zum Expressionismus. Ausschnitte aus der modernen französischen Literatur. L'epigrafe di espressionismo, ovviamente incoraggiata dal parallelismo cronologico col movimento tedesco, è introdotta apoditticamente, senza che ciò implichi alcun contatto culturale: il Heiss ravvisa, tra i fattori dell'evoluzione che alterò il sistema parnassiano-naturalistico, solo numerati elementi esterni, la poesia nordamericana, il romanzo russo e il teatro scandinavo (nel quale non è esplicitamente detto se si comprenda Strindberg, solo precedente citabile all'agitazione del dramma espressionistico). Evidentemente l'etichetta è, nella sua stessa genericità, qualcosa talmente familiare al pubblico tedesco che non occorrono speciali definizioni perché essa venga applicata (giacché si tratta di questi due soli autori) a Jules Romains e a
Il beneficio del tempo e soprattutto la successiva linea reattiva dello scrittore, ripiegato su un facondo umanitarismo, hanno, come si suol dire, ridimensionato la funzione di capofila qui assegnata a Romains. Il suo apporto merita di essere misurato con gli strumenti della linguistica piuttosto che descritto psicologicamente; e qui interverrà lo Spitzer. Ma un altro rappresentante di quello che il Heiss chiamava espressionismo - e qui si tratta anzitutto di trovare un termine antitetico a naturalismo - è da lui sottoposto a sopravvalutazione nel quadro complessivo, quel simpatico produttore di ‛linea estatica' che fu Émile Verhaeren (il quale non per niente si suole annoverare tra i precursori del Romains unanimista). Il Heiss nota giustamente che quanto separa dal naturalismo il Verhaeren celebratore della vita moderna è il fatto che egli non la descriva ma prolunghi il suo io nel cosmo (‟Je ne distingue plus le monde de moi-même", ‛tToute la vie est dans l'essor"), non poeticizzi il mondo contemporaneo ma ne scopra la nuova poeticità. Egli peraltro mette in ombra il cantore delle ‛città tentacolari' a profitto di quello panico: l'‟enivrement de vie élémentaire" che illumina anche la scelta procurata da André Gide. Qui il Heiss giunge a qualche constatazione linguistica più circostanziata, tanto sulla libertà acquistata dai ritmi e sulla sintassi franta, interiettiva, apostrofante, quanto sulle parole chiave (bouillir, bouger, bondir, s'exalter, ivre, fou, fervent, effort, élan, fièvre, furie, extase, fino al neologismo s'illimi- ter) e sul peso gettato sul verbo. Ma il critico, tutto intento alla generalizzazione di un del resto pregevole panorama complessivo, non può procedere che per opposizioni equipollenti, espressionismo contro naturalismo, affermazione contro negazione, dinamico contro statico, attività contro quietismo, altruismo contro
Premessa ideale alla ricerca dello Spitzer (cfr. Stilstudien, Il, 118) è la distinzione operata dallo Schuchardt fra il neo- latino come Wortmensch [uomo della parola] e il germanico come Sachmensch [uomo della cosa]; un neolatino ideale gli appare uno scrittore quale
Lo Spitzer così riepiloga il suo saggio: ‟Jules Romains vede la vita come un perpetuo p a r t o r i r e e m o r i r e, come d i s s o l u z i o n e e crescita, come formazione e trasformazione di gruppi, come reciproca compenetrazione di anima e corpo. Il suo stile rispecchia questa esperienza individuale [motto dello scritto è ‟individuum NON est ineffabile"]: poiché egli ha costruito la sua immagine del mondo senza rispetto della fisica, anche il suo stile deve abbandonare i binari normali della lingua. All'immagine espressionistico-istintiva del mondo corrisponde una lingua espressionistico-istintiva nella sua sintassi e nella sua metafisica". Gli istituti linguistici relativi all'atteggiamento in tal modo tratteggiato possono esser riassunti così: quantificazione e specificazione dei verbi di durata (exister plus, davantage, bien mieux, un peu, plus ardemment o addirittura en patois, d'une certaine façon, vers la femme, o semplicemente in un tempo storico, le groupe des femmes exista; e analogamente le groupe mourut, la chair se dépêche de naître ecc.); uso metaforico di immagini di parto, sputo, vomito, evacuazione (‟La salle le pondit come un oeuf", ‟Le vin s'échappa comme une brusque diarrhée", suinter riferito al sole, a una folla, alla persona di un prete, ecc.) e processi similmente dissolutivi o al contrario ricompositivi (e qui è citata la definizione di Franz Landsberger, Impressionismus und Expressionismus, secondo cui è espressionista chi tende ‟a distruggere la natura per costruire un nuovo mondo dalle sue macerie ); rappresentazioni antropomorfe, per esempio di una strada (‟Apres le boulevard, ce fut soudain une rue épaisse. Les mouvements y étaient tortillés l'un contre l'autre comme les fils de chanvre dans une corde. Le bas des maisons s'étalait en une boutique exubérante qui empiétait sur le trottoir. Pareilles aux glaces d'une chambre qui se regardent et qui se renvoient chaque image comme une balle jusqu'à ce qu'elle aille rebondir dans l'infini, les façades faisaient silencieusement, par-dessus le tumulte de la chaussée, des échanges prompts et excessifs. Les gens passaient ainsi sous une voute d'épées croisées") o di un'agonia (lungo brano che comincia ‟Peu à peu, il ne pensait plus. Il eut dit que son dâme s'échappait de sa téte et coulait dans son torse pour y former une sorte de mare épaisse et lourde"), da cui risulta una parificazione nella resa dei fatti psichici (‟un chagrin net, carré, calme") e corporei (‟les cheveux emphatiques"). Nel trarre le conclusioni generali lo Spitzer è indotto a toccare di tre temi metodologici fondamentali: comparazione di espressionismo pittorico ed espressionismo letterario; entro quest'ultimo, comparazione di espressionismo francese (estrapolato da quello di Romains) ed espressionismo germanico; rapporto di procedimenti espressionistici e procedimenti impressionistici.
Sul primo punto lo Spitzer, che maneggia con agilità gli strumenti bibliografici allora disponibili sull'espressionismo figurativo (Fechter, Hausenstein, Landsberger), parte dalla distinzione di Paul Fechter fra espressionismo pittorico ‛intensivo', volto a produrre paesaggi interiori senza ricorso al mondo esterno, ed espressionismo ‛estensivo', potenziamento del mondo empirico. L'espressionismo letterario (tacitamente ampliato fino a includere il futurismo auspicato nei manifesti marinettiani) terrà allora della direzione estensiva di quello pittorico (tacitamente ampliato fino a includere il cubismo). Le strade antitradizionali aperte allo scrittore sarebbero tre: dissoluzione della sintassi, formazione di nuove parole, dilatazione semantica. Romains si restringe a quest'ultimo partito, intendendosi per soluzione metaforica, al limite, anche quella implicante cambiamenti nella costruzione sintattica (se penser o penser le groupe, dormir l'amour, plein ses musées ecc., assimilabili a innovazioni rilevabili nei versi dell'espressionista austriaco
Ambiguo nel suo pensiero fra Romains come persona e come rappresentante della grammatica francese (ciò che rientra nell'ambiguità costitutiva della Stilkritik), lo Spitzer riferisce la rinuncia alle altre due possibilità a difficoltà interne del francese rispetto al tedesco, particolarmente per ciò che è della formazione delle parole (una frase come quella di Theodor Däubler ‟Da plötzhch untertulpt sich eine Tü te" [*D'un tratto si sottotulipana un cartoccio] è impossibile in francese), mentre in sede sintattica taluni canoni marinettiani, frattanto più radicali, osserva lo Spitzer, nel Marinetti programmatico che, non di rado, nel Marinetti autore in proprio, trovano esecuzione in altri autori francesi (per esempio la soppressione della punteggiatura in Apollinaire o i procedimenti interiettivi nel primo
La categoria grammaticale tipicamente espressionistica è il verbo, come l'impressionistica l'aggettivo. Con la sua posizione semiclassica, Romains amplia flagrantemente il verbo, ma innova largamente anche nell'aggettivo (‟une fruiterie feuillue, débordante"), pur se l'aggettivo può avere un' origine participiale (appunto débordante) e dunque contenere un principio di azione. Questa polarizzazione vale anche all'interno d'una tradizione linguistica: come Kerr era un neolatino ‛onorario', così entro il gusto germanico
In autori quale particolarmente lo Spitzer la definizione di espressionismo è certamente morfologica, ma inserita nella storia: anche esteso alla Francia, esso è pur sempre un carattere della letteratura del primo anteguerra. Ciò corrisponde alla chiarezza quasi cartesiana della sua impostazione, per cui, pur trattando la Stilkritik sempre fatti linguistici interpretati idealisticamente nel loro stato nascente, sono separate anche in distinti volumi, Sprachstile e Stilsprachen, le singole innovazioni grammaticalizzate e i sistemi linguistici innovanti degli individui-autori. A questo sostanziale assorbimento dell'etimologia nella critica letteraria si oppone la totale parificazione operata dai meri linguisti, di cui è un esempio estremo il saggio di Elise Richter Impressionismus, Expressionismus und Grammatik (1927). Il precedente, valido per ogni definizione linguistica dei vari ‛ismi', è nel saggio di
La fenomenologia della Richter, idealista dunque solo per la sua accettazione della creatività linguistica, non nella concezione ingenua della realtà, distingue l'impressionismo (Eindruckskunst del Walzel), riproduzione delle cose in quanto appaiano all'osservatore, dal naturalismo, ‟riproduzione il più possibile esatta del mondo esterno", come dall'espressionismo (Ausdruckskunst), ‟riproduzione di rappresentazioni o di sentimenti suscitati dalle impressioni secondo che esterne o interne". Se il naturalismo si realizzerebbe allo stato puro nell'onomatopea, l'impressionismo caratterizzerebbe certo gli istituti rilevati dal Bally, quali la perifrasi mediante sostantivazione dell'aggettivo (‟une blancheur de colonnes" per des colonnes blanches, anzi già in
Importerà comunque estrarre dalle pagine della Richter una definizione dell'espressionismo ormai ridotto nello stato di categoria a priori e un'elencazione delle categorie degli istituti che gli sono correlati.
‟L'espressionismo - così scrive la Richter - non si occupa di ciò che è obbiettivamente presente e di come si possa ineccepibilmente constatare questa presenza obbiettiva. Esso dà i l p e n s i e r o e il sentimento soggettivo sulle cose, l‛ i d e a delle cose presente nell'Io speculativo. L'espressionista non dice che cosa accade o che cosa egli vede, ma che cosa lo commuove nello scorgere un processo o una cosa, la sua sensazione personale e il suo giudizio (o eventualmente pregiudizio) sulle cose. Egli prescinde pregiudizialmente da ogni vero di natura; non colloca il mondo esterno in quanto tale nell'ambito della sua rappresentazione; informa del suo stato d'animo in questa o quell'occasione, lo stato in cui l'hanno indirizzato gli eventi esterni, o, per usare l'espressione moderna, come ‛vi reagisce'. L'espressionismo abbraccia ogni modo di palesare il dato interiore e irrazionale. Secondo Rilke l'essenza dell'artista è dire se stesso, l'intimamente proprio, lo specifico (in Worpswede [referto sul cenacolo espressionista di questa località della Bassa
Sono definizioni che naturalmente consuonano ai programmi dell'espressionismo storico a partire dal manifesto principe di
È a questo punto evidente che con la Richter la categoria di espressionismo, eventualmente polarizzata con quella di impressionismo, viene a designare aprioristicamente un aspetto necessario e permanente dell'espressione e perde per il critico buona parte della sua utilità euristica. Questa è infatti legata a un'incompiuta o solo iniziata grammaticalizzazione, anzi si manifesta in quella che la cultura francese chiamerà la nozione di écart. La posizione dello Spitzer appare invece equilibrata in quanto un ‛ismo' e costituito in lui dalla descrizione di un sistema di istituti linguistici relativi a una personalità (il classicismo per Racine) o a un gruppo di cultura comune (il simbolismo francese) o infine a un gruppo virtuale (l'espressionismo appunto per Romains, ma tacitamente per vari suoi vicini oggetto di parallele monografie, quali Philippe o Péguy, senza contare Barbusse). Il suo oggetto è dunque storicamente concreto, ma sempre passibile di estrapolazione generalizzante: obbedisce cioè ai due, dialetticamente composti, requisiti di un'analisi stilistica portata sulla lingua degli autori.
7. Altri ‛espressionisti' francesi (Céline, Audiberti, Michaux)
Nessuno scrittore francese merita con tanto ritardo la qualifica di ‛espressionista' nel senso definito dai francesisti tedeschi (non per niente fece ancora a tempo a richiamare l'attenzione dello Spitzer) quanto Céline (Voyage au bout de la nuit uscì nel 1932, all'ultima opera, il postumo Rigodon, lo scrittore attese fino alla morte, sopraggiunta nel 1961); ma ciò vale anche per uno scrittore in qualsiasi lingua. Se infatti l'espressionismo si qualifica più visibilmente per una rappresentazione antropomorfica del mondo esterno e ‛unanimistica' delle folle, niente è più, per così dire, ortodossamente espressionistico di questa notazione ferroviaria, in una delle prime pagine di Mort a' crédit (stampato nel 1936): ‟La gare c'était dedans comme une boîte, la salle d'attente pleine de fumée avec une lampe d'huile en haut, branleuse au plafond. Ça tousse, ça graillonne [scaracchia] autour du petit poêle, les Yoyageurs, tout empilés, ils grésillent dans leur chaleur. Voici le train qui vrombit, c'est un tonnerre, on dirait qu'il arrache tout. Les voyageurs se trémoussent, se décarcassent [ce la metton tutta), chargent en ouragan les portières". Oppure, dallo stesso libro (dal quale anche la restante documentazione), di questa notazione invece fluviale, nel cui impressionismo prevalgono i verbi: ‟Plus loin, c'est Villeneuve-Saint-Georges ... La travée grise de l' Yvette après les coteaux ... En bas, la campagne ... la plaine ... le vent qui prend son élan ... trébuche au fleuve... tourmente le bateaulavoir... C'est l'infini clapotis... les triolets des branches dans l'eau ... De la vallée ... En vient de partout ... Ça module les brises ..." (nella stessa tonalità la scena che segue del naufragio). O ancora di questo finale marino di capitolo (
Nella prima citazione la violenza del cromatismo si affida, almeno sussidiariamente, a elementi gergali (quelli che sono stati tradotti fra parentesi), perché la descrizione è tradotta nel linguaggio dell'historicus, un monologo interminato che costituisce la trama di tutto Céline (ma non un monologo interiore, bensì tutto esteriorizzato: un monologo naturalista, tanto più vecchio di Joyce); e l'historicus è potentemente colloquiale, e come usa argot ricorre a una sintassi parlata (‟La gare c'était", ‟les voyageurs [...] ils grésillent"), benché fra tante deformazioni populiste se ne insinui una rigorosamente lirica (‟branleuse"). E di impianto lirico è la struttura che si palesa nelle altre due citazioni e che si subordina alla precedente, invadendo questo e i libri successivi: una triturazione del discorso che è segnalata dai puntini di sospensione dopo ogni segmento impressionistico e risponde a un'abitudine ben ottocentesca (tanto che, se essa si ritrova in Gadda, come del resto in certo Beckett, ancor più appariva in Faldella); proprio lo stile ‛staccato' della recitazione naturalistica da cui, nelle istruzioni per i suoi drammi, voleva preservarli l'ipersintattico, ieraticamente oratorio Claudel (ed è lo stile, fedelmente rispettato per esempio dai Pitoèff, in cui si realizza ancora Pirandello e al quale s'accorda la smorfia espressionistica delle sue didascalie). Un enunciato potentemente metaforico come ‟Le Phare écarquille la nuit" sembrerebbe infatti autosufficiente in una resa poetica frammentistica se non fosse freneticamente incalzato, in un parossismo di spezzature, dai successivi addendi, di varia qualità, che tendono a un impossibile esaurimento e perciò non conoscono limite: se lo scrittore si fermasse, per così dire, al momento buono, avrebbe le qualità da lui più disformi, la selettività e la reticenza di un classico.
Céline porta all'iperbole la rappresentazione delle funzioni corporee da cui il primo espressionismo francese aveva desunto le sue metafore predilette: la sua corporeità orgiasticamente secerne deiezioni, atti sessuali, malattia, vomito, percosse. Se si resistesse a trascrivere ciò che appena si sopporta alla velocità della lettura, sarebbe facile mostrare come, quando uno qualunque di questi brani, per esempio quello sul mal di mare nella traversata della Manica, sembra aver raggiunto il suo culmine (a fine di paragrafo: Sur l'horizon des confitures ... la salade ... le marengo le café-crème ... tout le ragout ... tout dégorge ..."), un'implacabile iterazione (‟Il lui est remonté une carotte un morceau de gras ... et la queue entière d'un rouget .") riempie ancora pagine compatte di materiale similare: l'oltrepassamento della sazietà è tale che Céline varca se stesso con un'appendice continua di parodia quantitativa di se stesso. Una manifestazione espressionistica, che si afferma negando il limite, è perennemente minacciata dall'esito nel grottesco dell'autoimitazione. Per ciò che è di Céline, la sua euristica è tutta tesa alla ripetizione di situazioni parallele, pianerottoli deliranti nel suo flusso (quando naturalmente il flusso non s'intenda come liscio, ma come cellularmente interrotto, ruvido e granulare), e tesa anche qualitativamente, nel senso che la febbre o l'ubriachezza intervengono in aggiunta a provocare nuovi stati visionari, come nel gran pezzo sull'invasione estiva delle Tuileries, di cui si segna qui qualche punto: ‟Mais il survient juste alors toute une armée de cramoisis, une masse compacte, râlante, suifeuse, dégoulinante des quatorze quartiers d'alentour... [...] Au plus profond, toutes les famllles, à la recherche de leurs morceaux dans l'enfer et le brasier des chaleurs... Il giclait des quartiers de viande, des morceaux de fesses, des rognons loin, jusque dessus la rue Royale et puis dans les nuages... [...] Le monstre aux cent mille braguettes, écroulé sur les martyrs, remue la musique dans son ventre ...". Comprensibilmente, gli stati provocati da queste eccezioni fisiologiche acquistano una più probabile legittimità espressiva. In generale l'oltranza di Céline rivela flagrantemente la sua motivazione pratica, la turpe infelicità' della sua sorte che si compensa in un'òstentazione di abiezione: abiezione linguistica per quanto spetta alla presente ricerca, cioè elezione a rovescio tanto nella stratificazione del lessico quanto nella sintassi e nell'‛esecuzione' del discorso. Allegorizza questo autobiografismo, ancora non del tutto letterale (come sarà invece nella trilogia ‛nordica' che chiuderà l'opera del collaborazionista), la prima persona del racconto, non propriamente espressionistica, visto che l'Io degli espressionisti ha un valore mistico, non soggettivo, e che i personaggi del loro teatro sono funzioni senza individuale stato civile.
Sia consentito richiamare ancora l'attenzione su alcuni effetti secondari. All'interno dello stile diretto rari lacerti in stile indiretto mantengono parità di enfasi mediante il ntmico rinnovo di burleschi trinomi (nell'esempio seguente si tratta di rimproveri paterni): ‟Alors c'était l'anathème! Le blasphème atroce! ... Le parjure abominable! ... J'avais pour moi la jeunesse et je foirais [me la facevo addosso] en simagrées? Ah! l'effroyable extravagance! Ah! l'impertinence diabolique! Ah! l'effronterie! Tonnerre de Dieu! J'avais devant moi les belles années! Tous les trésors de l'existence! Et j'allais groumer [mugugnare] sur mon sort! Sur mes petits revers misérables! Ah! Jean-de-la-foutre-bique [dilatazione, mediante bique ‛strega', di jean-foutre]! C'était l'insolence assassine! Le dévergondage absolu! La pourriture inconcevable!"
Senza essere affatto esente da presenze gergali (quelle sempre tradotte fra parentesi), che però si rifugiano soprattutto in interiezioni, come se l'altrui beneducato discorso incespicasse in questi scoppi di furore, lo stile indiretto, quasi per segnare la differenza di livello (il padre sapeva di lettere) rispetto al locutore ordinario che è all'infimo immaginabile, serba un differenziale decoro che è fonte di sicura comicità, particolarmente in quei tali punti di simmetria che sono l'appannaggio retorico di un'antica cultura.
Può però darsi che lo stile indiretto si riferisca a una comunità plebea, come gli abitanti del Passage des Bérésinas minacciati da voci di demolizione. Allora è, proporzionalmente, la percentuale gergale che viene aumentando, come è chiaro anche solo dal centro del passo (che è cominciato propriamente in stile indiretto): ‟De temps a autre, faut bien comprendre, ‛a venait à fermenter un peu dans la bobèche [capoccia] des miteux [poveracci], des dròles de mensonges, commeça sur le pas des boutiques, surtout les jours de canicule ... Ça venait comme des bulles dans leur bourrichon [cranio] crever en surface... avant les orages de septembre... Alors, ils se montaient des bobards [frottole], des entourloupes (balle] monumentes [per monumentales], ils révaient tous de réussites, de carambouilles [inghippi] formidables... Ils se voyaient expropriés, c'était des fantasmes! persécutés par l'État! Ils ballonnaient [si gonfiavano d'aria], ils se détraquaient la pendule [davano di fuori], complétement bluffés [sbalestrati], soufflés de bagornes [pieni di storie] ... eux qu'étaient pâlots d'habitude ils tournaient au cramoisi ...".
Una patente alternanza dei due registri è nella pagina sulle morti possibili, che investe il maestro di anatomia patologica, uomo di squisito umanesimo, nel suo crudele miscuglio di argot e di inevitabili termini tecnici, una volta (‟la ‛troisième'") letteralmente e le altre idealinente (‟la Rolandique" ecc.) messi fra virgolette, perché anche l'aristocraticità delle
‛Les morts les plus exquises, retenez bien ceci Ferdinand, ce sont celles qui nous saisissent dans les tissus les plus sensibles ...' Il parlait précieux, fignolé, subtil, Metitpois, comme les hommes des années Charcot. Ça lui a pas beaucoup servi la Rolandique, ‛la troisième' et le noyau gris ... Il est mort du coeur finalement, dans des conditions pas pépères... d'un grand coup d'angine de poitrine, d'une crise qu'a duré vingt minutes. Il a bien tenu cent vingt secondes avec tous ses souvenirs classiques, ses résolutions, l'exemple à César... mais pendant dix-huit minutes il a gueulé comme un putois ... Qu'on lui arrache le diaphragme, toutes les tripes vivantes... Qu'on lui passait dix mille lames ouvertes dans l'aorte ... Il essayait de nous les vomir... C'était pas du charre [burla]. Il rampait pour ça dans le salon... Il se défonçait la poitrine... Il rugissait dans son tapis... Malgré la morphine. ‛Ça résonnait dans les étages jusque devant sa maison ... Il a fini sous le piano. Les artérioles du myocarde quand elles éclatent une par une, c'est une harpe pas ordinaire...".
Un'analisi che si spinga appena un po' oltre la superficie grigia e massiccia di questa scrittura rivela dunque varianti notevoli e, magari contro la disposizione prima del critico, da dichiarare magistrali. Tuttavia questa antologizzazione, che fa violenza all'assunto monotono dello scrittore, mette in luce una situazione tipica di ogni espressionismo verbale. Quest'opera, perseguita con così gigantesca solerzia, di traduzione, mai sgarrante, in una lingua fittiziamente divaricata dalla norma, si tratti di Céline come di Folengo o di Rabelais, paga la sua riuscita non con la sua illeggibilità, che sarebbe ipotesi risibile, ma con l'illeggibilità della sua continuità. Non il logos ma la natura di Gadda lo intese perfettamente, che felicemente non riuscì mai a varcare lo stato di frammento narrativo. E lo intese la natura di Joyce, che perseguì una sinfonia articolatissima o una ciclicità eterna. Le costruzioni espressionistiche complete e lineari possono solo infrangersi in segmenti per aver diritto all'ammirazione.
Un'esperienza esasperatamente espressionistica, non contenta alla sintassi surreale delle immagini, ma che esercita la sua violenza sulla verbalità e la fonicità, è anche quella di
Eccezioni di espressività s'incontrano pure nello scrittore d'origine belga
L'invenzione lessicale immaginaria si può esercitare tanto nell'ambito prevalente della descrittività verbale, come in Le grand combat (da Qui je fus): ‟ll l'emparouille et l'endosque contre terre; / Il le rague et le roupète jusqu'à son drâle; Il le pratèle et le libucque et lui barufle les ouillais; I Il le tocarde et le marmine, / Le manage rape à ri et ripe à ra. / Enfin il l'écorcobalisse.", quanto nell'ambito sostantivale aggettivale, come in Dimanche à la campagne (da Lointain intérieur, titolo egualmente programmatico): ‟Jarrettes et Jarnetons s'avancaient sur la route débonnaire. / Darvises et Potamons folâtraient dans les champs. / Une de parmegarde, une de tarmouise, une vieille paricaridelle ramiellée et foruse se hatait vers la ville [...]".
Un caso particolarmente interessante è quello della parola-zero, sorta di plastica del silenzio, quale in En vérité (da Mes propriétés): ‛'(...) En vérité, la femme ce n'est pas moi. / C'est moi le bon chemin qui ne fait rebrousser personne. / C'est moi le bon poignard qui fait deux partout où il passe. / C'est moi qui... / Ce sont les autres qui ne pas...".
L'inversione del soggetto (o dell'oggetto) si attua spesso nel tipo ‟Peu se disputent les chiens, peu les enfants, peu rient e non meno spesso nel tipo prolettico (mise en relief per così dire, fuori declinazione, già attestata nelle Choses vues di Victor Hugo) che si può documentare col caso a più termini ‟Or, le canal de l'urètre, tout ce qui est liquide, oui, mais les cristaux il ne les laisse passer qu'avec un mal de chien".
Estremamente diffusa, beninteso senza contare le banali iterazioni superlative, la ripresa esemplificabile con ‟Mais eux s'en vont prudents, prudents, à pas prudents, méditant sur la Nature, qui a tant, qui a tant de mystères" oppure ‟Forer, forer, étouffer, toujours la glacière-misère. Répit dans la cendre, à peine, à peine; à peine on se souvient".
Viene infine l'assenza di particelle attualizzanti, come (l'esempio è ricavato da Lointain intérieur) ‟Soleil n'arrive qu'à son heure".
Simile assolutizzazione del sostantivo, banale in tedesco letterario (si veda con lo stesso nome: ‛'Sonne aus finsterer Schlucht bricht" [‟Il sole rompe da buia gola"], Trakl; ‟Sonne kniet vor mir" [‟Il sole mi s'inginocchia davanti"), Heynicke), in francese è altamente differenziale.
Queste varie firme lasciate da Michaux nella sua opera cospirano, da punti assai divergenti dell'orizzonte, verso una stessa interpretazione: che è quella d'una magia affabile, addomesticata, casalinga e patetica. Il perfetto amalgama con la realtà, preparato da giochi di parole surrogati a enunciato proprio e dall'alternarsi di serie associate per calembour e di serie sinonime, culmina nell'uso di vocaboli immaginari in funzione normale. La collocazione anomala del soggetto produce un cambiamento effettivo di prospettiva: il soggetto, rimosso dal suo piano ordinario, vige in un pianissimo, preceduto dalla maggior vistosità delle più sentimentali parole di qualità e d'azione. Nella ripetizione asindetica si attua una durata, ma partecipata, rimormorata a se stesso, sia che si riconosca una fatalità, sia che s'incontri una resistenza o si penetri nell'intimo. Di esegesi meno salda l'ultimo punto, che comunque esibisce l'assolutizzazione di verbo e sostantivo, non attualizzati, la materia presa nella sua totalità, non partitiva. Nell'esempio addotto soleil non tende peraltro inevitabilmente verso uno statuto di nome proprio: l'abbondante presenza di verbi senza soggetto può estendersi a ‟n ‛arrive qu'à son heure", sopraggiungente dopo una sorta di esclamazione evocatoria.
La diversa percentuale dei caratteri segnati consente di più singole interpretazioni. Così, essi mancano, salvo un paio di iterazioni, al Voyage en Grande Garabagne, i cui lunghi periodi (dove peraltro compaiono mouche e voile non articolati) sono inconfondibili: tentativo isolato di parodiare un referto scientifico sul mondo magico. D'altra parte con Épreuves e Face (se si eccettua la parte esorcistica, cioè ancora ottimistica e vitale) si ha una complessiva diminuzione dei fenomeni studiati, a ogni modo una modifica dell' equilibrio, per cui alla drastica riduzione della parola immaginaria e alla circoscrizione della ripetizione asindetica, parossistica con ufficio di esorcismo, si oppone la sopravvivenza, anzi un'infeconda crescita, dell'inversione e dell'eliminazione degli attualizzanti, non più dunque associati a fantasia e ritmo: fossile schema che dà un mondo invertito rispetto alla norma, onirico, ma immobile e quasi caricaturale. Questo è del resto il momento in cui l'autore formula la propria poetica irrazionale e la sua giustificazione: alla meccanizzazione si accompagna l'autocoscienza. Come la critica delle varianti, così quella che possiamo dire la critica grammaticale è in grado di descrivere anche processi involutivi, oltrepassando la mera neutra, non assiologica, rilevazione.
Importante è comunque, e da segnare all'attivo, che, rinnovandosi i contenuti (esperienze con gli stupefacenti), la prosa di Michaux sia contrassegnata da innovazioni grammaticali, essenzialmente da alterazioni pre- e suffissali. In Misérable Miracle (1956), a pochi righi di distanza: ‟cristallinement", tiges ambulacraires", ravinements virevoltants". In L'infini turbulent (dove d'altra parte continuano le assolutizzazioni del tipo ‟Singularité gagne"): ‛Infinivertie, elle [cioè la mescalina, ‟la démentielle infinisante"] détranquillise"; ‟mellisation du monde"; ‟dérythmiquement"; ‟olyraillerie. Polyrythmie. Polydévastation". In un passo dello stesso libro si descrive una proprietà linguistica del drogato, che riesce a centrare la parola cache-col solo dopo aver scartato successivamente un'infinità di altri composti, cespuglio di parole a vuoto", quali ouvre-boîtes, pare-brise, cache-sexe, ecc.; ma il fenomeno precedente rappresentava in atto il processo stesso di deformazione. In sostanza l'esperimento chemioterapico si immette in un alveo già scavato sotto la piena luce della coscienza.
8. Joyce
Se espressionismo è violenta sollecitazione linguistica volta a esplorare l'Io più interno, nessun dubbio che l'iperbole ne vada riconosciuta nell' Ulysses di
A rintracciare il carattere già propriamente (prima che estensivamente) espressionistico della scrittura joyciana si può procedere cominciando da prelievi minori. Per esempio segnalando il trasporto d'una per sé impressionistica onomatopea nel settore flessivo della grammatica, procedura non estranea ad alcune lingue (l'ha studiata il Karcevski per l'interiezione in russo), nel caso specifico agevolata dalla terminazione in dentale, che può anche mimetizzarsi quasi come una desinenza del tempo passato (sllt come jogged). Bloom, l'Ulisse dublinese, così rende e interiormente commenta il rumore della macchina tipografica (in tondo l'onomatopea in funzione verbale): ‟Sllt. The nethermost deck of the first machine jogged forward its flyboard with sllt the first batch of quirefolded papers. Sllt. Almost human the way it sllt to calo attention. Doing its level best to speak. That door too sllt creaking, asking to be shut. Everything speaks in its own way. Sllt". Da notare che questa metamorfosi dell'inorganico in parola s'inquadra per sapiente antitesi in un paragrafo (uno dei tanti, allogati sotto titolature giornalistiche, in cui si suddivide il settimo capitolo, ambientato al giornale) intitolato orthographical, cioè dedicato alla divisione della parola nei suoi componenti grafici ed eventualmente alla loro metaforizzazione (in tondo gli elementi grafici sillabati: ‟It is amusing to view the unpar one ar alleled embarra two ars is it? double ess ment of a harassed pedlar while gauging au the symmetry of a peeled pear under a cemetery wall"). Quanto alla curva di frequenza, non meno sapiente, dell'onomatopea, si va dalle due prime occorrenze inorganiche alle due flessive per chiudere come aveva cominciato, in modo inorganico: documentando direttamente, oltre che nel discorso, lo sforzo della macchina e anche della porta per comunicare (‟Ogni cosa parla a suo modo"). Per l'affermazione di principio della parola antropomorficamente concessa alle cose il passo è già stato speculato (ed. 1952, p. 87) nel notissimo saggio esegetico di Stuart Gilbert (la cui prima edizione ebbe la preventiva approvazione di Joyce stesso), anche se il Gilbert chiama ‟una peculiarità della tecnica joyciana" ciò che per sé sarebbe genericamente espressionistico. In effetti il Gilbert la inquadra nella serie - dove non si tratta più di parole - delle dinamo (‛Beingless beings. Stop!") che ‟pulsano" (throb) autonomamente, del disco della slot-machine che ‟occhieggia" (ogles) agli astanti, della camicia ‟crocifissa" sulla corda, dei luppoli rampicanti avvolti come serpenti. Ma il Gilbert torna a ravvisare il culmine del procedimento quando alcuni oggetti (un ventaglio, un sapone, un cappello e addirittura l'ipostatizzata ‟Fine del Mondo") acquistano la parola nel capitolo sabbatico (il quindicesimo) che si svolge al postribolo, interamente intessuto di dialoghi e didascalie. Così il sapone al limone pronuncia il seguente distico: We ‛re a capital coupie are Bloom and I: / He brightens the earth, I polish the sky".
Ovviamente la tecnica più impressionante di Uliysses, e che come tale apparve fino dalla pubblicazione della sua maggior parte in rivista fra il 1918 e il 1920, fu quella che
Se per la sua meravigliosa novità il monologo ‛femminile' ebbe a suscitare la più intensa ammirazione e a provocare conati d'imitazione tuttora non estinti, anche perché interpretato a norma, se non delle rozze ‛parole in libertà' del futurismo, del sopravveniente automatismo e delle associazioni (in senso psichiatrico) surrealistiche, non va trascurata la sottigliezza del monologo ‛maschile' nelle sue varie forme. Il soliloquio di Stephen sulla spiaggia si inserisce entro un discorso narrativo in tempo storico (‟Stephen dosed his eyes [...]", ‟Airs romped around him [...]", ‟He had come nearer the edge [...]" ecc. ecc.), dal quale si smotta continuamente senza segnali nè grafici nè sintattici nel discorso interno. Si passa dal he all'I: ‟His pace slackened. Here. Am I going to Aunt Sara's or not?", con prelievo impressionistico della realtà pensata (segue infatti ‟My consubstantial father's voice"), impressionismo di secondo grado, dove il ‛parlato', in stato di lucida veglia, ha la stessa struttura del parlato esterno: la composizione impressionistica in paratassi nominale segna la somma degli atomi della riflessione, discreti se non proprio irrelati (e più allontanati, frattanto, al minor livello culturale di Bloom). È un perenne passaggio dal ‛fuori' al ‛dentro', dal naturalismo minimo dei punti di riferimento al prevalente impressionismo dell'Io, dal quale erompe il capitolo in questione (‟Ineluctabie modality of the visibile: at least that if no more, though through my eyes"), mentre da un pensiero presente (‟Behind. Perhaps there is someone") eromperà nel finale la visione reale in tempo narrante (‟He turned his face [...]"), di un trealberi che silenziosamente veleggia. All'interno del segmento si notano col Gilbert i tentativi di riproduzione, onomatopea organizzata, del discorso marino (‟a fourworded wavespeech: seesoo, hrss, rsseeiss, ooos") e l'approssimazione plurilingue, ma ridotta al comun denominatore (trascina trascines), a una resa ‛motivata' (‟She trudges, schlepps, trains, drags, trascines her load").
Il monologo ‛maschile' non veste sempre le stesse apparenze. Sia ad esempio il decimo capitolo, il quale si suddivide in diciotto sezioni consacrate a seguire altrettanti itinerari contemporanei di vari personaggi per le strade di
Il poliglottismo si verifica a un piano più elementare come citazione da varie lingue, o anche come mescolanza ‛macaronica' (‟OMNIUM GATHERUM", ‟Muchibus thankibus", Vobiscuits" ecc.); nell'esempio dato sopra è un saggio di descrizione dinamica; ma il poliglottismo fondamentale, rispetto a quello relativamente esterno, è un poliglottismo interno, sia di onomatopee nella più larga accezione contro linguaggio non motivato, sia di toni e stili e infine idioletti. Tale poliglottismo interno ha il suo proprio macaronismo (in conglomerati come ‟A sudden-at-the-momentthough-from-lingering-illness-often-previously-expectorated-demise") e può evolvere da una deformazione che non stravolge il significato a un ammicco fondato sul solo significante (‟Just mix up a mixture of theolologicophllolological. Mingo, minxi, mictum, mingere"). Nella linearità temporale della parola joyciana (nel senso saussuriano di parole) l'incatenamento semantico può essere sostituito di repente da un concatenamento fonico. La riflessione sull'Io, più esattamente sulla permanenza dell'Io (‟But I, entelechy, form offorms, am I by memory because under everchanging forms"), attraverso il nodo ‟I, I and I. I", evade bruscamente con uno sberleffo sull'omonimia di ‛Io' e ‛vocale I' (‟A.E.I.O.U."). Sicché il plurilinguismo diventa anche bilinguismo di lingua-del-significato e lingua-del-significante. Il capitolo (undecimo) sulle due bariste, attuato come una ‟fuga per canonem" (Gilbert), comincia sotto forma di un coagulo insensato di frasi e lacerti sonori anticipati dal brano stesso.
La poliglottia di Ulysses si corona nel macrocosmo nel suo aspetto stilistico, includendo organicamente brani narrati, monologanti (i ‟says I", ‟says Joe" ecc. del dodicesimo capitolo), dialoganti, catechistici (il penultimo, a domanda e risposta), in vari livelli di monologo interiore discreto e a blocco continuo ecc. Partendo da uno staccato realistico-analitico, si chiude con l'evocazione di un flusso continuo. Ulysses è una summa moderna, dopo la Commedia la prima nuova summa della poliglottia, versata espressionisticamente dentro l'Io (‟I said yes I will Yes") anziché verso un Fuori mentale.
L'epos mitico-dublinese in quattro parti di Finnegans Wake (1922-1939) reca al parossismo alcuni aspetti di Ulysses, e più vistosamente quello che vi apriva la ‟fuga per canonem" delle bariste. La difficoltà ne è enormemente accresciuta e sembra a primo aspetto invarcabile; ma essa riesce rassicurante in confronto alle punte del simbolismo e del cosiddetto ermetismo perché l'oscurità non si lega tanto a nessi soggettivi di immagini e a irripetibili, incomunicabili occasioni liriche quanto alle allusioni linguistiche che si moltiplicano, frattanto oggettivamente deformandolo, lasciandovi tracce misurabili, attorno a ogni elemento della catena parlata. Queste multiple irradiazioni descrivono uno spazio molto complesso e in qualche modo oltrepassano l'obiezione mossa a Ulysses da
Perfettamente pianificato, com'è ovvio, il Wake non intende dunque essere una summa stilistica come Ulysses, e a questo antico carattere fa succedere una continuità di comportamento che si realizza nel collegare mentalmente, ma anche fisicamente, per l'alterazione che gli viene inflitta, ogni vocabolo col portatore o i portatori di altre nozioni. Uguale il comportamento, ma inesauribile la fantasia, di modo che la procedura, in sé monotona (come potrebb'essere di ogni impianto manieristico-barocco), fornisce a ogni tratto occasioni di ammirazione. L'insieme è oscuro (e si tratta, per la parte più autorevole della critica, di un'oscurità programmatica, che intende equivalere all'irrazionalità e all'enigmaticità del mondo), ma i lampi vi sono continui.
Si aggiunga che l'operazione allusiva si svolge, oltre che dall'inglese all'inglese e verso numerose altre lingue, anche all'interno di queste: poliglottia che non è necessariamente alienante (l'opera del dublinese, ancorata attorno a Dublino, vuole però trascendere i limiti di una sola lingua e raggiungere linguisticamente ogni esperienza umana), ma anzi in qualche punto, del resto ravvicinato, riesce peculiarmente confidenziale a ogni lettore. Il ‟Colpa di Becco, buon apartita!", che compare in un discorso di Shaun (p. 412), altera in distinte relazioni, ‛verso' il precedente contesto e ‛via' da esso, le formule interiettive corpo di Bacco e buon appetito, poiché vi si trattava di un'impresa deglutitoria (quindi l'appetito) di certe capre, goats (quindi il becco). Analogamente, in un passo assai ricco di deformazioni latine (513), si conforma, rispetto al proverbiale ex ungue leonem in filigrana, l' ‟Ex ugola lenonem" del testo joyciano.
Accanto alla pluralità linguistica (non più, come di norma in Ulysses, stilistica) entro una sola lingua, che certo costituisce un caso-limite o anzi un unicum, risalta uno stato di fatto che interessa l'origine figurativa della categoria espressionistica. Benché la dilatazione temporale della parola raggiunga virtualmente e attualmente dimensioni che ne rendano un'opera mal paragonabile (se non per campioni rappresentativi, in casi di costanza tonale, dei rispettivi macrocosmi) a quelle delle arti figurative, frenate dalla loro spazialità e quindi per la verità realizzate serialmente, il caso particolare di questa deformazione inintermessa ma sempre diversa costituisce il Wake in fattispecie-limite dell'iperbole espressiva. Basti compararlo, si dica, a Guernica (non occorrerebbe meno di interi periodi di Picasso). Un paragone non inappropriato sarebbe del resto quello di Rabelais a Bosch o a Bruegei il Vecchio.
Non è facile esemplificare la plurilingue torsione espressiva di Finnegans Wake perché manca, e probabilmente mancherà per un pezzo, un'esegesi completa e prudente: poco fu pubblicato in vita dell'autore, e perciò coonestato dal suo controllo. Un'analisi dei primi quattro paragrafi è stata fornita nella Skeleton Key di Campbell e Robinson (v., 1947, pp. 28-38), ma va consultata con la più grande cautela perché dà di norma troppo e talora troppo poco. Persuasivo quanto è detto dell'inizio sopra citato, che verte sulla posizione di Dublino rispetto al fiume Liffey e al mare d'Irlanda: trascurando le allusioni di merito (Adam and Eve's è una chiesa sulla Liffey, anche se qui serve per un equivoco coi progenitori, ecc.), sul piano linguistico vicus ‛strada' equivocherà con l'autore della Scienza nuova, la più evidente base culturale del libro, coi suoi corsi e ricorsi (recirculation, infatti); e commodius, oltre al suo ovvio valore (da scrivere, s'intende, -ious), conterrà un riferimento all'imperatore Commodo, citato anche altrove nel Wake, come a un compendio dei vizi della decadenza. Ma si veda una frasetta così semplice come ‟What bidimetolobes sinduced by what tegotetabsolvers!". A parte la troppo facile somma (taciuta come superflua) di sin + induced, giusta è la traduzione di ‛tentatrici' (bid-me-to-loves) e di ‛confesson'; ma più che perplessi lascia il rintracciamento nell'ultimo coagulo verbale di tête-a-téte e fors'anche di teg ‛pecorella' (o ‛donna'), perlomeno quando si omette la formula Ego te absolvo con le possibilità di reduplicazione della dentale. O si veda la ‟peniate war" di
Qui ci si può fermare, anche se Campbell e Robinson seguitano a dare, sulla prima pagina e mezzo delle oltre seicento, suggerimenti preziosi e glosse temerarie, degne degli anagrammi di Saussure e di certi rebus scovati in Dante. Ma per restare al certo si cerchi, nel Census della Glasheen, il nome del protagonista maschile, Finn (MacCool), non distinguibile da Finnegan, identificabile con H(umphrey) C(himpden) E(arwicker), o della femminile, sua moglie Anna Livia Plurabelle, e sfogliare le decine e anzi centinaia di varianti sotto cui si presentano queste fluide entità mitologiche. Il nome completo della donna si presenta una volta sola, ma poi si veda appy, leppy andplayable", Annah the Allmaziful, the Everliving, the Bringer of Plurabilities", ‟Amnis Limina Permanent", ‟Annushka Lutetiavitch Pufflovah", o ancora ‟appia lippia pluvaville", anny livving plusquebelle", ‟
9. Espressionismo lirico in Pessoa
Se l'innovazione espressionistica, in senso stretto o dilatato, si realizza in lingue rotte alla sperimentazione, è legittimo chiedersi come, in quegli stessi anni, reagiscano lingue ‛minori' di cui è meno nota la pieghevole elasticità alla violenza sollecitatrice. Solo un collegio di specialisti potrebbe rispondere adeguatamente a questa domanda e delineare stabilmente un'‛internazionale' dell'espressionismo. Non è dubbio ad esempio che in essa un luogo importante terrebbe l'ungherese
Queste litaniate identità acquistano il loro flagrante valore conoscitivo attraverso i membri sintattici infinitivali, sia in funzione di predicato nominale (o templo estar..., o eu nâo poder...) sia di vari complementi (de haver coro, em hoje ser ..., até só se ouvir...), che costituirebbero, come in sostanza puntualmente sono, un sovrano ardimento se non rientrassero in una norma peculiare della grammatica portoghese, per cui l'equilibrio fra la sostanza nomillale e l'azione assume un assetto nuovo, del tutto consono alla rottura espressionistica delle frontiere tradizionali fra nome e verbo, sia statistiche sia qualitative. Si aggiunge che estar, haver ecc. sono infiniti ‛coniugati', benché con desinenza zero perché per caso riferiti tutti a una terza o a una prima singolare, mentre in ogni altra evenienza sarebbero muniti di desinenza personale (come, nello stesso poema, in ‟Eos dois grupos encontram-se e penetram-se / Até formarem só um que é os dois..." = ‟e i due gruppi s'incontrano e si compenetrano / fino a formarne uno solo che è tutti e due"). Il cosiddetto ‛genio della lingua' ha da sempre elaborato per il poeta quest'invenzione morfologico-sintattica, del tutto corrispondente all'eccezionale situazione. È dunque razionale, e non mera pressoché provinciale vischiosità psicologica, che tanto fervore nazionale animi un poeta così raro e squisitamente minoritario.
10. Espressionismo italiano attorno alla ‟Voce" (Rèbora, Pea, Onofri, Boine)
Di espressionismo in senso letterario si è cominciato a parlare in Italia alla fine del secondo anteguerra, in relazione a fatti meno contemporanei che del precedente anteguerra, poi man mano retrospettivamente. In Italia l'avanguardia oltresonora, che connetteva le varie arti, si chiamò infatti futurismo, ebbe limitato interesse linguistico, e consente pertanto di isolare sincere manifestazioni di accusata espressività: se altrove l'espressionismo, in senso relativamente proprio e storico, fa assistere a un prolungamento dell'io nel mondo, dissoluzione dell'uomo nella realtà esterna o assorbimento del reale nell'umano che sia, qui appare evidente il prolungarsi dell'io in un suo corpo linguistico, che si governa con sue nuove leggi e che per definizione non può costituirsi in tradizione, ma che, visto postumamente, escresce con frequenza dalla linea classica del costume espressivo in scapigliatura e protesta, in tentazione di rivoluzione permanente. È finalmente in questo significato metastorico che va intesa la categoria di espressionismo adoperata, ancor prima che elaborata, dalla critica italiana: categoria che, come le sue congeneri, è anzitutto di critica militante.
Il futurismo non fu affatto un fenomeno nazionale, anzi neppure a rigore un fenomeno letterario, posto che la letteratura nasce in confini linguistici e che costitutiva della corrente era la rottura delle frontiere fra le arti, cioè un assunto metalinguistico. Il fondatore del futurismo era un italiano, ma bilingue e di esperienza internazionale, ed efficace primariamente attraverso la parte francese della sua attività. Come altri italiani della sua generazione, Marinetti fu soprattutto un manager e un attivista intellettuale, decisivo nell'ordine pragmatico quanto modesto nell'ordine poietico; ma l'internazionalità della sua predicazione fece sì che il lievito fermentasse non solo in modi diversi, ma di qualità diversa, nelle varie aree linguistiche. Nessuna reagì efficacemente - e s'intende entro i confini della letteratura - quanto la russa: il futurismo e il cubo-futurismo russi, personalità come quelle di Majakovskij, Esenin, Chlebnikov col suo zaùm o lingua transmentale, raggiungono la qualità più alta prodotta da quell'irradiamento e spesso toccano l'ambito dell'espressionismo più su precisato. Più d'una stilla futurista finì nei calici dell'espressionismo primogenito, quello tedesco; così come la discendenza francofona del futurismo, Apollinaire, Dada, più tardi il surrealismo, non si qualificano espressionisti solo perché svolti (nonostante Arp, Bali ecc. in Dada) in un altro ambiente linguistico. In Italia riuscì decisiva l'eterogeneità del verbo predicato nei manifesti del futurismo e della realizzazione esibita dal fondatore e dai più stretti discepoli. La trama impressionistica e metaforica di fondo, il carattere grezzo dell'interiezione restavano troppo al di qua, nelle opere del futurismo italiano, dei centrati rilievi su un nuovo prestigio da attribuire alle varie parti del discorso, sul rapporto del verbo e dell'aggettivo al sostantivo e la funzione nominale del verbo, che si contenevano, per una sorta di intuitiva competenza, nei manifesti del movimento.
E neanche si ebbero riflussi, in Italia, di espressionismo storico, fosse pure in accezione francese. Si eccettua una fugace citazione unanimistica nel primo Ungaretti (Italia: ‟Sono un poeta / un grido unanime / sono un grumo di sogni"), a cui sono del resto consentanei i passi d'identificazione col cosmo (‟Il cuore ha prodigato le lucciole / s'è acceso e spento / di verde in verde / ho compitato [...] M'ama non m'ama / mi sono smaltato / di margherite", ecc.): si ricorda che in Ungaretti fu sempre simpatia per la persona di Romains. A fortiori mancarono echi dell'espressionismo letterale nei pochi che ebbero qualche familiarità con le cose di Germania e attuarono lievi alterazioni nel modulo linguistico: Pirandello con la sua dolorosa smorfia (un monologo tanto più risentito è nel Palazzeschi dì Perela'), il ‟Sigfrido dilettante" (Cecchi) Slataper, Campana nei suoi momenti di iterativa balbuzie, tanto più tardi, per certi angosciati paesaggi mitteleuropei, Alvaro Bisogna cercare, in quello stesso decennio prebellico, personalità spontaneamente parallele, non derivate (si pensi al whitmanismo di Péguy nell'eco particolarmente di Jahier): il più infiammato espressionista degli anni vociani fu senza dubbio Boine, anche se, in una morfologia man mano più lontana, soccorrono i nomi di Rèbora, Pea, Onofri.
Ai presenti effetti non importano tanto, dei Frammenti lirici (1913) di Clemente Rèbora, uno dei libri allora più europei, i paralleli referti sull'io (‟Vorrei palesasse il mio cuore / Nel suo ritmo l'umano destino", ‟E immemore di me epico arméggio / Verso conquiste ch'io non griderò" ecc.) quanto le accensioni vernacole (‟L'ignava slaia dei rari passanti, / La schiavitù croia dei carri pesanti", ‟Fastidi grassi tramiamo"), che veneranno poi perfino le eccellenti traduzioni dal russo (‟farfugiiando", ‟far focchiava", ‟piangiutina", parlata ‟mostosa"), e le concomitanti accensioni dei verbi (‟uno sdraia / Passi d'argilla", ‟Mi scardassò la vita", ‟Sbirbó nano i cavallanti", ‟sferza e spoltrisce l'affanno / La vita che bramisce", ‛'Il sol schioccando si spàmpana", ‟Lo spazio zonzando scintilla", ‟razzante pendice / Che rarefà di zanzare", sguscia / Fulminea la vita / E, misuratasi al cielo, / Spennecchia e trabocca e ricade / E rinnova il suo stelo"). Squassato da un impeto religioso che fra qualche decennio si spoglierà in una conversione dominata dal ‛principio di passività' del prete rosminiano, Rèbora si appiglia a ogni sporgenza del suo linguaggio per comunicare il proprio tremito al mondo.
Risorse vernacole, non del lombardo stavolta ma d'un toscano di periferia, sono il principale appannaggio di
Singolarità per singolarità, tutt'altra fisionomia occupa
Le novità della prosa (incluso il quasi-verso) di Boine sono state sistematicamente schedate; e si possono perciò riassumere i risultati dell'operazione. Tre fatti servono, e servirebbero ciascuno da solo, a localizzare grammaticalmente Boine: la produzione di deverbali; la fusione degli epiteti; l'inversione ritmica degli avverbi. La prima formazione, da verbi per lo più intransitivi o riflessivi, prevale enormemente in Frantumi (postumi, 1918), poemetti in prosa che scandagliano le ‟larve del caos", rispetto alla narrazione autobiografica del Peccato (1914), e così significa un raggelamento dell'azione, del resto sommariamente identificata col peccato. Un esempio estremo è il seguente: ‟Ma che dolore-piacere per tutte l'ossa ammaccate quel tuo rannicchio di sedia ostessa!"; dove non basterà tradurre ‛il rannicchiarsi', ma ‛il potersi rannicchiare su quella tua sedia'. E così ‟sprofondi senza sostanza", ‟sbarri dell'impossibile", ‟sconfino dell'ansia", ‟rispecchio di lago", ‟spalanco di blu" e numerosi altri esempi. Lo stesso colore immobile esce dalle formazioni suffissali (‟festatica aspettanza", ‛'carezzosa prigione della mia mano" ecc.), e anche i neologismi desostantivali (quali ‟così così mi ruscelli di chiarità", ‟d'ogni pena mi stabarro smemorato" ecc.), non di rado infatti in ridondanti figure etimologiche (‟s'inombrano d'ombra", a valle divallo", ‛'svalico i valichi della realtà"), hanno una funzione immobilmente descrittiva. Il secondo dato, la fusione degli aggettivi, già esondante nel Peccato, non si può meglio interpretare che con la formula contenuta nell'autorecensione del romanzo :‟intenzione di esprimere una compresenza di cose diverse nella brevità dell'attimo". In ‟Oh nel sonno voluttà del tuo corpo molle- allacciato col mio!", ‟corpo molle-allacciato" non è, o solo accessoriamente, ‛corpo mollemente allacciato', ma ‛corpo la cui tenerezza si sente nell'avvinghiamento'. La lista, lunghissima (che si può rappresentare con ‟viscide-spalancate occhiaie" o ‟ritorno notturno-silente" o ‟sonno [...]moncoravvolto" per i Frantumi, con ‟amico ignaro-parlante" o ‟il bosco d'olivi contorto-cinereo" o ‟al mucchio, lungi, rotto-colorato della città" per Il peccato), va naturalmente tenuta staccata dal tipo flessivamente distinto ‟ampioscandita", mentre include i casi in cui la funzione, in largo senso, di epiteto sia assunta, a diversi gradi di fusione, da nomi (‟Sei così iride-soffio", ‟lo scoppio-scintille del tuo volto-vecchiaia, il guizzo cilestre del tuo occhio-dolore", ‟riso-rifugio chiarito di te" ecc.). Nell'ultimo caso è in qualche modo il sostantivo che si aggettivizza, facendosi portatore di qualità; e ciò ovviamente contrasta con la normale concezione antiaggettivale e filoverbale che si suole assegnare all'espressionismo (com'è nel futurismo), mentre concorda con l'accennata detrazione di azione al verbo: l'espressionismo di Boine può allora apparire come un espressionismo inverso, pur movendo da un'identica matrice, la (dolorosamente concentrata) riflessione sopra l'azione; allo stesso modo il tanto innovante Boine è impaziente dei neologismi (altrui), ‟smania delle parole di zecca, mai viste, mai udite o rifuse". L'acuita presenza dell'azione come oggetto di riflessione si traduce in un'alterazione ritmica di cui il terzo fenomeno caratterizzante, lo spostamento degli avverbi, è la manifestazione più vistosa nel Peccato (‟non ne conosceva le regole bene", ‟non posso rimaner in convento più", ‛'la cosa diventa romantica qui" ecc.). È evidente che tale inversione si fonda sopra un rallentamento della dizione e un aumento degli incisi (*‟la cosa / qui / diventa romantica", segue la divaricazione dell'avverbio dal verbo): per decomporsi l'azione deve fermarsi. Il fatto ora appuntato è un caso particolare di frangimento ritmico seguito da ricomposizione. L'apocope mantenuta nonostante l'apposizione incidentale in ‟vien, sogno torbido nella mia notte, la larvale sostanza dell'uomo" presuppone il
11. Espressionismo gaddiano
Dall'espressionismo degli anni vociani, spesso legato (com'è anche o soprattutto il caso del mistico-modernista Boine) a una condizione religiosa, bisogna saltare, poiché di mezzo c'è il neoclassicismo della ‟Ronda", alla fine del secondo anteguerra, quando in materia di sollecitazioni espressive (peraltro non grammaticali né sintattiche e nemmeno strettamente lessicali, ma prettamente analogiche) si vede albeggiare al massimo il cosiddetto ermetismo, in cui traluce, attraverso la lettura dei surrealisti, un qualche riflesso indiretto dell'irrazionalità futurista. Il nuovo espressionista, se lo si può costringere in questi confini, è naturalmente
A una considerazione sommaria, una prima fase del narratore riflette linguisticamente, non per mera verosimiglianza naturalistica nel dialogato, ma ibridandosi in un ‛macaronico' dialettale che invade estemporaneamente l'historicus, mentre grumi materici vengono prelevati dal vernacolo, l'ambiente natio: variando però dai ‛disegni milanesi' dell'Adalgisa (e in parte delle Novelle dal Ducato in fiamme, poi Accoppiamenti giudiziosi) il linguaggio dei campestri ‟calibani gutturaloidi",
La persuasione del carattere asimmetrico e composito della deformazione deve valere da prefazione permanente alla lettura anche del Gadda narratore, intriso di aggressiva realtà ma non naturalista. Anzi l'oggetto linguistico può essere speculato in quanto puro, patologico oggetto (Cognizione: ‟Qui moto a luogo si dice scià nei dialetti della Keltikè") e trasceso in un enunciato di lingua speciale. Nello stupendo Incendio di via Keplero (Novelle), di cui si è potuto dire che è l'unica italiana resa unanimistica (‟neppur Sua Eccellenza
Tracciata una semplice periferia alle possibili rappresentazioni di Gadda, si constata che al suo interno non sta un'opera compiuta, statica, a tutto tondo, ma, certo non a caso, anzi per un'istintiva volontà più intelligente dell'intelligenza, una serie, con l'eccezione di pochi ‛studi' in sé perfetti, di mirabili frammenti o, nel senso tedesco del termine, ‛torsi' narrativi. I circoli di questo mondo eracliteo, in straordinaria fermentazione di divenire, non si chiudono, ma è consentito solo contemplarne l'intrico in spaccati che, nei punti più interni dove si possono ignorare le tragiche curvature dell'orizzonte, acquisiscono una felice parvenza d'immobilità e una sincera capacità liberatoria. Qui il riso di chi si definì ‟il convoluto
Singolare ventura di Carlo Emilio Gadda, questo grande solitario di cui rapinosamente s'impadronì una sorte non del tutto pertinente, fu di concomitare con la nuova ondata naturalistica del dopoguerra. Gli inizi di Pavese furono contemporaneamente di color locale e di monologo interiore, ma bisogna cercare altrove un incoraggiamento alla ‛mimesi'; nè bisognerà cercarlo in Fenoglio, nemmeno in quello abbastanza pavesiano della Malora: la sua maggior tensione espressiva, anche se non i più assestati successi, si forma, nel postumo Partigiano Johnny, su un impianto curiosamente bilingue, che ripropone in altro modo l'importanza della letteratura allofona in quel discrimine. Se Fenoglio scrive mezzo americano, il problema non è distante da quello degli scrittori a cui l'arte della traduzione insegnò un'espressività che faceva aggio sulla media del testo tradotto: ciò è vero per Pavese e per Vittorini (nel ricorso, anche qui, d'una generazione precedente, di Cecchi, Rèbora, Jahier, Linati ecc. in quanto traduttori), ma è più energicamente vero per Gadda, che per far premio sull'originale scelse nientemeno che Quevedo. Comunque motivazioni molto diverse dalle gaddiane ispirarono gli scrittori che, all'accompagnare con i loro parlari meticci la profonda mutazione sociale del dopoguerra, trovarono un incoraggiamento nella travolgente fortuna toccata agli istituti di Gadda. Senza il Gadda romanesco non si concepirebbero i due romanzi, Ragazzi di vita e Una vita violenta, che
Si esita ad annettere, pur estensivamente, all'espressionismo lo scrittore più importante comparso (con Signorina Rosina, 1956) dopo Gadda, il suo coetaneo
12. Per una linea espressionistica in Italia
Ma la parte svolta da Gadda sulla scena letteraria promoveva un'urgente domanda di carattere storico: quali analoghi ha la ‛funzione Gadda' e di che (discontinui) segmenti si compone la sua linea anticlassica? I precedenti locali di Gadda si faceva presto a rintracciarli, benché poco rilevanti ai suoi fini, nella Scapigliatura lombarda conclusa in Lucini e nel giovane Linati; nel Linati per esempio del suo primo libro, Il tribunale verde (1906), dettato da ‟un confuso e delizioso panteismo". Ma la Scapigliatura lombarda, nei suoi autori più proverbiali tutt'altro che calligrafica, ebbe almeno uno scrittore rilevante, e certamente attivo su Gadda, in Carlo Dossi, da L'Altrieri (1868) a La desinenza in a (1878). L'espressività caricaturale e umoristica del precoce Dossi fu probabilmente efficace sulla prosa, segnatamente la narrativa, del napoletano
Naturalmente la ricerca degli analoghi va condotta ancora a ritroso. Se gli Scapigliati sono un precedente vicino nel tempo, un precedente culturale di grande evidenza è la poesia macaronica. Folengo è un nodo capitale, poiché, mentre per un verso la sperimentazione bi- o plurilingue di cui essa si nutre si attesta in manifestazioni eterogenee del medesimo ambiente, come il linguaggio pedantesco (dal polifilesco al fidenziano) e il pavano, veste della prima poesia veramente dialettale d'Italia, per un altro dà la mano al grande predecessore non italiano, Rabelais, la cui ilare violenza è, come in lui stesso, crisi linguistica nello stesso momento che gnoseologico-morale.
La poesia dialettale non contribuisce all'espressionismo qui definito, cioè a un'espressività di crisi, se non in forma polemica. Dante, che nel suo stile ‛comico' come enciclopedia di stili definita dalla variante inferiore includeva, ma sottomettendole, le virtualità che un giorno si sarebbero dette espressionistiche (e che ai suoi tempi si liberano allo stato puro nel grottesco e nella tautologia di cui è principe Jacopone da
Bibliografia
Bahr, H., Expressionismus, München 1916 (tr. it.: Espressionismo, Milano 1945).
Benn, G., Gesammelte Werke (a cura di
Campbell, J., Robinson, H. M., A Skeleton Key to Finnegans Wake', London 1947.
Chiarini, P., ‛Parole nel vuoto'. La lirica di Georg Heym tra ‛Jugendstil' ed espressionismo, in AA. VV., Filologia e critica. Studi in onore di
Contini, G., Varianti e altra linguistica, Torino 1970.
Edschmid, K., Über den Expressionismus in der Literatur und die neue Dichtung, Berlin 1919.
Gilbert, S., James Joyce's ‛Ulysses', London 1930, 19522.
Glasheen, A., A Census of ‛Finnegans Wake'. An Index of the Characters and their Roles, Evanston, Ill., 1956; London 1957.
Heiss, H., Vom Naturalismus zum Expressionismus. Ausschnitte aus der modernen französischen Literatur, in ‟Die neueren Sprachen", 1921, XXIX, pp. 91-129.
Lange, V. Expressionism: a topographical essay, in AA. VV., Filologia e critica. Studi in onore di Vittorio Santoli, vol. II, Roma 1976, pp. 495-515.
Lukács, G., Skizze der Geschichte der neueren deutschen Literatur, Berlin 1953 (tr. it.: Breve storia della letteratura tedesca dal Settecento ad oggi, Torino 1956).
Lukács, G., ‛Grösse und Verfall' des Expressionismus, in Probleme des Realismus, Berlin 1955.
Martini, F. (a cura di), Prosa des Expressionismus, Stuttgart 1970.
Mittner, L., L'espressionismo, Bari 1965.
Mittner, L., Storia della letteratura tedesca, vol. III, Dal realismo alla sperimentazione (1820-1970), t. II, Dal fine secolo alla sperimentazione (1890-1970), Torino 1971, pp. 1188-1294.
Pessoa, F., Obras completas, 10 voll., Lisboa 1942-1973.
Pessoa, F., Obra poética,
Pessoa, F., Poesie (a cura di L. Panarese), Milano 1967.
Pessoa, F., Imminenza dell'ignoto (a cura di L. Panarese), Milano 1972.
Pinthus, K., Menschheitsdämmerung. Ein Dokument des Expressionismus, Hamburg 1959.
Richter, E., Impressionismus, Expressionismus und Grammatik, in ‟Zeitschrift für romanische Philologie", 1927, XLVII, pp. 349-371.
Soergel, A., Dichtung und Dichter der Zeit, vol. II, Im Banne des Expressionismus, Leipzig 1925.
Spitzer, L., Der Unanimismus Jules Romains' im Spiegel seiner Sprache (Eine Vorstudie zur Sprache des französischen Expressionismus), in ‟Archivum Romanicum", 1924, VIII, pp. 59-123, poi in Stilstudien, II. Stilsprachen, München 1928, pp. 208-300 (tr. it. di
Trakl, G., Poesie, Milano 1974.
Espressionismo musicale
di Ugo Duse
sommario: 1. Definizione. 2. Antecedenti storici. 3. Evoluzione dell'espressionismo musicale. 4. Il ritorno all'ordine. 5. Espressionismo e atonalità. 6. I rapporti con la tradizione. 7. Poetica dell'espressionismo musicale. 8. Considerazioni conclusive. □ Bibliografia.
1. Definizione
L'espressionismo musicale è l'insieme delle esperienze più o meno omogenee maturate tra il 1906 e il 1925 in alcuni musicisti, soprattutto tedeschi, i quali le avallarono dal punto di vista teorico con le idee sostenute nella Harmonielehre di A. Schönberg del 1911 e negli scritti apparsi in Der blaue Reiter, almanacco curato da V. Kandinskij e Fr. Marc, edito a Monaco nel 1912.
Riduttivamente da parte di alcuni storici, esteti e sociologi della musica si identifica con l'espressionismo musicale la seconda Scuola di
Queste definizioni, di per sé, non possono rendere pienamente ragione di ciò che definiscono. In effetti la prospettiva storica in cui la definizione viene pensata è in questo caso assai più lontana di quanto non indichino le date dal momento in cui si manifestò e si affermò ciò che oggi chiamiamo espressionismo musicale. La sua comprensione diviene quasi possibile solo se si tengono ben presenti gli equivalenti pittorici e letterari e si inquadra questo insieme nella più ampia fenomenologia del futurismo italiano, del surrealismo francese e di altri movimenti artistici che in qualche misura a essi hanno fatto capo. Ciò è tanto più necessario proprio per valutare la verosimiglianza di certe interpretazioni correnti, secondo le quali ‟se si prescinde dallo specifico colore che l'avanguardia assume nelle varie culture e se ne considerano l'appello centrale, le ragioni di fondo, è indubbio che quei movimenti rappresentino una presa di coscienza affatto analoga" (v. Bortolotto, 1966, p. 329). Si accetti o no questo punto di vista, e vedremo come esso sia piuttosto da respingere; l'esigenza del confronto rimane per la mappa storica che necessariamente rivendica.
Questa impostazione considera ovviamente allora solo nella sua illusorietà la ‛categoria' dell'espressionismo musicale, come proiezione di una falsa coscienza di sé nel fenomeno. Inoltre: qualsiasi tentativo di trasferire, di volta in volta, dalla letteratura, dalle arti visive l'analisi del linguaggio o della gestualità espressionisti nella musica, se ha, entro certi liiniti, un senso unificante, cozza però contro la non ancora conosciuta logica del linguaggio musicale, analiticamente indagabile solo a un livello grammaticale. Le sue scelte ‛logiche' sono infatti solo morfologiche, hanno valore soltanto all'interno di una data forma, sono pure convenzioni anche se gratificate di spiegazioni e giustificazioni storiche.
Quando si nega, come fanno gli espressionisti, il carattere mimetico della musica, si dichiara per ciò stesso l'impossibilità di esprimere musicalmente qualsiasi cosa comprensibile in termini logici, scientifici, proprio per la mancanza di un parametro logico nella musica. L'interiorità, ciò che per il mistico è vero proprio perché non razionalizzabile, è conseguentemente l'unica sfera affine alla musica. Se lo sconosciuto razionale del vero ha qualche cosa di comune con la ancora sconosciuta logica della musica, allora la musica è l'interiorità fatta arte, non la sua rappresentazione o imitazione, non una mimesi che sottenderebbe sempre una relazione naturalistica.
Malgrado tale radicalismo antipositivistico, questo atteggiamento può essere ricondotto alla ‛logica dei sentimenti' di
La non mimeticità della musica è chiaramente affermata nel saggio di Schönberg Das Verhältnis zum Text comparso su Der blaue Reiter: ‟Un paio di anni fa provai profonda vergogna scoprendo che, per alcuni Lieder di Schubert, a me ben noti, non avevo mai avuto la minima idea dell'argomento trattato dal testo poetico. Ma quando poi ebbi letto le poesie, mi accorsi che non ne avevo ricavato alcun elemento per la comprensione di quei Lieder, perché esse non mi costringevano minimamente a modificare l'idea che m'ero fatta della musica. Al contrario, mi accorsi che, senza conoscere la poesia, ne avevo afferrato il contenuto, il contenuto vero, forse più profondamente che se fossi restato aderente alla superficie dei veri e propri pensieri espressi dalle parole. Ma ancor più decisivo di questa esperienza fu per me il fatto di scrivere molti dei miei Lieder nell'ebbrezza della sonorità iniziale delle prime parole, senza preoccuparmi minimamente dell'ulteriore sviluppo della composizione poetica, anzi senza neppure comprenderlo nell'esaltazione della creazione, e solo qualche giorno dopo, rendendomi ragione del contenuto poetico del Lied, con mio profondo stupore, risultò che mai avevo reso omaggio tanto bene al poeta come quando, trasportato dal primo e immediato contatto con la sonorità iniziale, intuivo tutto ciò che da questa, con assoluta necessità, doveva derivare" (v. Schönberg, 1912, p. 31). La musica è in grado di afferrare la cosa in sé, di travalicare il muro del fenomeno, e questa sua capacità è riconducibile al campo dell'esperienza. L'intuizione è privilegiata rispetto a ogni altra attività conoscitiva, proprio perché sta alla base del processo creativo: questi sono postulati romantici non misconoscibili. Il nuovo, se mai, sta nella circostanza che alcuni musicisti li hanno fatti propri per rivedere a fondo le convenzioni della musica, trasformarne profondamente le strutture morfologiche.
Il radicalismo perseguito nel negare qualsiasi funzione mimetica alla musica restò più nelle enunciazioni che nei fatti. I testi musicati dagli espressionisti portarono in realtà ai contenuti più attenzione di quanto non fosse lecito attendersi; le loro composizioni anzi divennero un tutt'uno con quei testi, postulando l'analisi congiunta: e poiché quei testi pretesero essi stessi di essere parte della più profonda interiorità dell'io, quella musica diventò non solo un'espressione mimetica, ma una sovradeterminazione della mimesi. È caratteristica dell'espressionismo musicale una notevole mancanza di rigore teoretico, che d'altronde si presenterebbe come una contradictio in adiecto per chi proclama il primato dell'intuizione; tuttavia è bene sottolineare che la poetica espressionistica è l'aspetto meno importante del complesso fenomeno.
2. Antecedenti storici
L'antinomia tra musica come forma e musica come espressione è alle origini dell'espressionismo musicale. Essa ne accompagna lo sviluppo nel senso che condiziona non solo i mezzi espressivi e le teorizzazioni degli espressionisti, ma anche i caratteri comuni delle reazioni neoclassicista e della Gebrauchsmusik.
Gli espressionisti muovono indubbiamente sul piano teorico da F. von Hausegger, secondo il quale l'espressione è l'essenza della musica, anzi espressione filtrata e sublimata. Tale punto di partenza si oppone radicalmente alla teoria di Hanslick delle forme sonore in movimento quali unico contenuto della musica. Tuttavia, nel momento della negazione di ogni contenuto extra-musicale romanticamente inteso, gli espressionisti fanno propria anche la posizione di Hanslick. Questa constatazione salda, al di là di ogni dubbio, l'espressionismo al romanticismo.
Il presupposto che l'interiorità è espressa soprattutto dall'arte sembra non privilegiare particolarmente la musica. E infatti l'espressionismo è un fenomeno soprattutto letterario, pittorico, cinematografico e musicale. Tuttavia il gesto, la dinamica espressiva, le forzature morfologiche, sia in ambito letterario che pittorico e cinematografico, ubbidiscono a una visione e a una pratica contrappuntistiche. Il primato romantico della musica sulle altre arti viene così recuperato identificando il linguaggio alogico o metalogico dell'interiorità con il linguaggio musicale e teorizzando per la poesia, la pittura e il cinematografo la necessità di dilatare i rispettivi linguaggi in quella stessa direzione per esprimere il più alto grado di soggettività.
L'interiorità come verità, come modo di vivere il mondo, è una ipertrofia dell'io. Così venne sempre considerata da quei pensatori occidentali che non avessero accettato il punto di vista soggettivistico. Ipertrofia è eccesso, esagerazione. Ovunque incontriamo un giudizio di esagerazione, riduttività all'io, riduttività partendo dalle posizioni dell'io, ipertrofia soggettivistica, in tutta la storia della critica d'arte, vediamo che l'oggetto della critica presenta tratti accoglibili come espressionisti dalla sensibilità moderna. Di qui la possibilità di una storia dell'espressionismo in generale e di quello musicale in particolare, almeno a partire da quando la critica musicale venne ad affacciarsi sulla scena della storia della musica, sia pure in maniera non autonoma, nelle opere dei teorici musicali al tempo della massima fioritura della scuola fiamminga. Le accuse di intemperanze che Glareano rivolge a Josquin des Prés si collocano su questa linea; analogamente le critiche di Artusi a Cipriano de Rore,
La circostanza per cui ciò che costituì motivo di scandalo in Josquin, de Rore, Gesualdo e Monteverdi venne poi a caratterizzare elementi peculiari del barocco, allo stesso modo che l'accentuato cromatismo dell'ultimo Bach fu recuperato contro l'Affektenlehre dal romanticismo hoffmanniano, non è casuale. Tutto quanto apre nuove vie all'arte non può inizialmente presentarsi se non come unicamente pensato, un a priori, anche se in qualche caso (vedi Monteverdi) il punto di partenza è decisamente naturalistico, donde una rottura degli equilibri tra il pensante e il pensato: il pensiero diviene oggetto a se stesso, la sua attività dilatata verso l'interno. L'esasperazione e la veemenza che accompagnano questo processo si potenziano della consapevolezza dell'isolamento e dell'incomprensione; di qui il senso di angoscia, smarrimento e dolore che sempre caratterizzano questi parti. La critica del presente, tanto più del presente musicale, viene condotta in ogni epoca col mettere innanzi tutto in discussione il modo di esprimersi universalmente accettato, le forme, e scatena inevitabilmente da parte della cultura ufficiale l'accusa di incoerenza e di caoticità, di incomprensibilità, di confusione mentale.
L'epoca successiva stabilizza più o meno pacificamente ciò che la precedente definì intemperanza, incoerenza; ne fa anzi i propri tratti distintivi. Relativamente alla musica, dall'operazione assorbimento restano però di solito esclusi come elementi di disordine permanente, e pertanto inaccettabili per l'establishment, il cromatismo lineare, quello tensionale adottato per opposizione di accordi, la dissoluzione e l'istantaneità della forma, l'aforisticità che ne consegue, un uso alterato della voce umana. Vengono invece accolti e riplasmati nelle nuove condizioni, cioè prima nello spirito barocco, poi in quello del romanticismo, i grandi intervalli delle melodie, la divergente conduzione delle parti verso gli estremi dell'acuto e del grave in funzione espressiva, le divagazioni armoniche vieppiù lontane dalla tonalità di partenza, l'atematismo, la sottolineatura del fattore timbrico e della percussione, la poliritmia, la simbolistica accordale.
Questi due raggruppamenti danno un quadro abbastanza completo dei mezzi artistici che furono, soprattutto dalla critica conservatrice, indicati come abnormi manifestazioni per l'ordine musicale esistente. Il primo comprende quelli che potremmo definire veramente dirompenti, e quindi necessari nelle fasi acute di transizione. Il secondo, quelli che, per ragioni di una certa unità stilistica sui generis determinata dalla tradizione dell'antitradizione, si accompagnano ai primi.
Almeno due decisive crisi di crescenza della musica occidentale sono state attraversate e profondamente segnate, nei criteri compositivi allora seguiti dagli innovatori, da elementi che ritroviamo nell'espressionismo musicale del Novecento. Anch'esso è una fase di transizione e, sulla base dell'analisi delle costanti stilistiche che caratterizzano questa crisi di sviluppo, bisogna convenire che Wagner, soprattutto con Tristan und Isolde, presenta una sintomatologia assai chiara dei prodromi del fenomeno: qui infatti elementi dirompenti come il cromatismo in tutte le sue manifestazioni e l'abdicazione formale della struttura del melodramma si accompagnano ad altri elementi caratteristici quali l'ipertrofia della timbrica strumentale, l'assolutizzazione del motivo conduttore, la simbologia accordale, si che vengono convogliate in un'unica intenzione artistica esperienze espressionistiche del grande cromatismo più antico, del superamento formale e del divagare armonico proprie dell'ultimo Bach, specialmente nella mediazione beethoveniana, e conquiste espressive dei più vicini Weber, Liszt e Berlioz.
Lo scacco degli sforzi infruttuosi di mezzo secolo per superare ordinatamente il punto morto del dopo Tristano, gli approdi tristaneggianti del più significativo impressionismo francese, soprattutto con Pelléas et Mélisande, l'esaurimento delle capacità espressive del rigoroso diatonicismo mahleriano maturano le condizioni dell'esplosione espressionista. È perciò fuor di dubbio che si tratti essenzialmente di un fenomeno di crisi. Che denunci se stessa ben oltre i limiti della musica, è secondario; altrettanto chiaro deve essere che il suo insorgere non è obbligatoriamente un fatto patologico: essa appartiene, come le analoghe precedenti, dalle quali trae un'ulteriore propria giustificazione storica, al campo più ricco e vasto della genetica e della fisiologia dell'arte.
3. Evoluzione dell'espressionismo musicale
Una periodizzazione dell'espressionismo musicale è intimamente legata a una delle due prospettive nelle quali può essere inquadrato. Le due prospettive sono ovviamente schemi: esistono infatti molti gradi intermedi tra di esse e a ognuna si può far corrispondere un periodo. Stuckenschmidt fonde addirittura insieme le due prospettive. Poiché qui si considera riduttiva quella che fa coincidere il fenomeno con la Scuola viennese, il problema si pone per la prima. Possiamo individuare due fasi, una eminentemente tonale, l'altra eminentemente atonale. Usiamo quest'ultimo termine, malgrado i rilievi fatti da Schbnberg, poiché nella pratica è universalmente impiegato.
La prima fase ha in comune con le precedenti crisi molti mezzi espressivi, ma sembra cercare una via d'uscita ancora in un ambito tonale, pur con interventi innovatori in campo armonico. Insofferenze della forma, sua dilatazione, divagazioni armoniche sempre più ardite, ricorso sempre più frequente alla dissonanza, recupero dell'intervallo di quarta soprattutto nella formazione dell'accordo, riflessione e teorizzazione sulla precarietà della situazione armonica raggiunta sono le sue peculiarità; questo periodo si può far iniziare con la Settima sinfonia di
La tardiva sistematizzazione di queste esperienze si trova nel Manuale di armonia di Schönberg, che appare quando quel periodo è già concluso da tre anni e il suo autore sta raggiungendo il culmine della maturità espressionista. Nel Manuale di armonia si ha un'interpretazione dello sviluppo del linguaggio musicale che giustifica le conquiste successive dell'espressionismo. Gli ultimi
Questo mi dimostra che l'idea stessa era necessaria, che le sue armonie sono parte costitutiva dell'idea in cui non è possibile mutare nulla" (ibid., p. 523). Il quattordicesimo capitolo del manuale, Ai confini della tonalità, trae la sua grande importanza dall'analisi, condotta principalmente su Wagner, del carattere ambiguo e corrosivo che sono venuti assumendo gli accordi di settima diminuita, le triadi eccedenti, le successioni di accordi alterati e vaganti.
Il secondo periodo si apre con Fünftehn Gedichte aus Das Buch der hängenden Gärten op. 15 e si può far concludere con l'op. 26, il Quintetto per flauto, oboe, clarinetto, fagotto e corno. Le opere più significative di questa fase sono: ancora di Schönberg i Fünf Orchestersücke op. 16, i Sechs kleine Klavierstücke op. 19, e Herzgewächse op. 20, per soprano leggero, celesta, armonium e arpa, i Vier Lieder per voce e orchestra op. 22, i Fünf Klavierstücke op. 23, la Serenade per clarinetto basso, mandolino, chitarra, viola, violino, violoncello e voce di baritono op. 24, la Suite per pianoforte op. 25, ma soprattutto Erwartung, monodramma per voce di soprano e orchestra op. 17, Die glückhche Hand, dramma musicale per baritono, coro misto e orchestra op. 18, e Pierrot lunaire, melodramma - tre volte sette poesie - per voce recitante, pianoforte, flauto (ottavino), clarinetto (clarinetto basso), violino (viola) e violoncello op. 21; di Skrjabin il Prometheus (Le poème du feu) op. 60 per pianoforte e orchestra, le sonate per pianoforte a partire dall'op. 62, i poemi per pianoforte a partire dall'op. 61, i preludi per pianoforte op. 67 e op. 74; di Bartók Allegro Barbaro e 14 Bagatellen op. 6 per pianoforte, Der wunderbare Mandarin op. 19, il secondo Quartetto per archi op. 17; di Berg la Sonata per pianoforte op. 1, il Quintetto d'archi op. 3, i Fünf Orchesterlieder nach Ansichtskartentexten von P. Altenberg op. 4, i Vier Stücke per clarinetto e pianoforte op. 5, i Drei Orchesterstücke op. 6, il Wozzeck; di Webern i Fünf Sätze e le Sechs Bagatellen per quartetto d'archi op. 5 e op. 9, i Sechs Stücke per orchestra op. 6 e i Fünf Stücke per orchestra op. 10, i Vier Stücke per violino e pianoforte op. 7; di Busoni la Berceuse élégiaque; di G. F. Malipiero Panthea.
Opere che solitamente si definiscono espressioniste sono state scritte anche in seguito; tuttavia il loro carattere epigonico sta in ciò: che l'espressionismo musicale era ormai universalmente accettato, che i suoi maggiori rappresentanti si orientavano o si erano già orientati in altre direzioni, talora divergenti tra loro; che, infine, i loro autori approdarono tutti, come per esempio prima Krenek e poi Dallapiccola, alla tecnica dodecafonica, rivelando il carattere della loro posizione, di riverberazione in Křenek, di ripercorrimento storico in Dallapiccola.
Il momento centrale di questo periodo è il 1912, l'anno del Cavaliere azzurro e dei Pierrot lunaire. In effetti, tutto quanto di nuovo l'espressionismo doveva dire è già detto in quell'anno; ciò che segue è arricchimento, affinamento, ricerca stilistica, ricerca di eventuali implicazioni, tentativo di superare certe antinomie: problemi, a ben guardare, lontani (se non addirittura all'opposto) da quelli originari del movimento. Ciò che doveva essere spezzato (la forma), distrutto (la tonalità), emancipato (la dissonanza), radicalmente rinnovato (la melodia), liberato dalla costrizione formale (il ritmo), è già stato allora spezzato, distrutto, emancipato, rinnovato, liberato. Dal 1912 fino al primo dopoguerra è tutta una lunga parabola discendente, piena ancora di idee e di germi fecondi, ma che prepara la fine o, quanto meno, l'evoluzione verso l'ordine. Poiché l'espressionismo musicale è anzitutto rifiuto dell'ordine, di qualsiasi ordine, a favore dell'intuizione formale, la ricerca di soluzioni formali da rendere obbligatorie al nuovo status è la sua abdicazione.
Dal 1909 al 1912, dal Libro dei giardini pensili al Pierrot lunaire, attraverso Über das Geistige in der Kunst di Kandinskij, la prima mostra del Cavaliere azzurro a Monaco, con i quadri di Fr. Marc che dovevano ogni sera essere ripuliti dagli sputi dei visitatori, se l'espressionismo non brucia completamente se stesso, solo allora è grande fiammata, prima di disperdersi in illuminanti, durature, ma pur sempre effimere scintille. Lo stesso fenomeno non si ha nè in letteratura nè in pittura nè nel cinematografo. Se l'occasione per la conflagrazione espressionista è data dalla rivolta antiimpressionista maturata nel quadro dell'attività del gruppo dresdiano Die Brücke, la natura mimetica della musica romantica invece è molto particolare rispetto alle altre arti. La musica romantica era vissuta nell'antinomia e dell'antinomia forma-pura espressione, che comunque escludeva l'imitazione della natura. L'impressionismo musicale aveva già minato la tonalità; i suoi rapporti con il corrispondente movimento pittorico sono molto meno stretti dei rapporti tra l'espressionismo pittorico e quello musicale. La galleria di Chabrier contiene le opere di Monet, Renoir, Sisley, Manet e Cèzanne; ma lui oscilla da Wagner alle ricerche modali: aderisce alla corrente, non alle necessità dell'epoca. L'approdo di Debussy alle raffinatezze dannunziane svela un altro volto dell'impressionismo, quello che eredita l'imaginifica del decadentismo.
Di contro può essere subito rilevato un tratto peculiare dell'espressionismo: il rifiuto non di tutto ciò che precede, ma del presente, l'estraniamento non dal mondo con la sua storia e le sue conquiste civili e artistiche, ma dalle sue attualità, ritenute innaturali, che si dovrebbero vivere se non ci si rivoltasse. Ciò lo distingue nettamente dal futurismo, dal surrealismo, dal cubismo e movimenti consimili. Niente che ad esso assomigliasse avrebbe mai potuto conquistare Stravinskij, Milhaud, Honegger. Certamente questi e altri musicisti furono talora influenzati da ciò che si faceva a Vienna e a Berlino, ma vissero quelle esperienze come un inevitabile riflesso artistico dell'epoca. Dietro l'espressionismo musicale c'è l'inconfondibile irrazionalismo della
I musicisti che si richiamano all'espressionismo spezzano la forma cui sono stati artisticamente educati, distruggono la tonalità in cui sono stati cresciuti, con dolore, con rimpianto, ma convinti dell'ineluttabilità storica della loro missione. In Skrjabin l'estasi va conquistata; l'estraniamento dall'oggetto dei viennesi è un'intuizione frutto di una grande educazione.
4. Il ritorno all'ordine
Ci si è frequentemente riferiti a questo periodo come a un periodo di esperimenti che si sarebbe concluso con l'individuazione dodecafonica. Il pattern sociologico esige la continuità, il progresso all'infinito: a questa esigenza ubbidisce una visione della dodecafonia come inevitabile punto di approdo dell'espressionismo. In ultima analisi è la sociologia del reale che sempre si identifica con il razionale. Se per alcuni musicisti questo periodo può essere anche valutato come sperimentale (Hindemith, per esempio), per la maggioranza di quelli che hanno aderito alla poetica di Der blaue Reiter non si può dire altrettanto; nè in una valutazione d'insieme si possono mettere sullo stesso piano episodi di vita e vite intere.
Poiché d'altronde la musica dei nostri giorni, con la cui ottica noi valutiamo storicamente il fenomeno, non ha una esclusiva matrice espressionista, occorre sottolineare che il periodo in questione fu esente da caratteristiche che invece in essa si trovano, e si esauri non tanto nello sperimentare, ma per coerente rinuncia a evolversi in quella direzione; ripiegò infatti più o meno ordinatamente sulla ricerca formale e - tenendo conto delle posizioni da cui era partito - questo ripiegamento fu un compromesso. Ciò vale soprattutto per Schönberg, che già Adler nel suo Handbuch der Musikgeschichte del 1924 indicava come il maggior rappresentante degli espressionisti, e per i suoi allievi Berg e Webern. Mentre infatti gli altri musicisti che caratterizzarono nel primo e nel secondo periodo il movimento espressionista o rientrarono nella tonalità, o cercarono nel folclore altre soluzioni, o approdarono a conclusioni oggettivistiche, o, come Skrjabin, vennero a mancare, il solo gruppo viennese rimase fedele alla musica come espressione, alla poetica dell'interiorità. Per questo gli era estraneo lo sperimentalismo, non potendovi essere alcun rapporto tra immediatezza del sentire e atteggiamento sperimentale.
Tuttavia la stessa intransigente fedeltà a un ideale di musica come verità interiore, l'inevitabile chiusura solipsistica che questo habitus implica portano come conseguenza, assieme alla negazione della forma, l'esaltazione dell'istinto formale: ogni espressione del vero interiore doveva essere intuita in una sua forma particolare, irripetibile quanto lo era quel frammento di verità e individualità; l'originalità di quel vero colta d'istinto veniva èspressa in una forma ad hoc altrettanto originale e assoluta. Questo rifiuto della forma come veicolo di comunicazione minacciava gli espressionisti di un pericolo di naufragio in un mare d'acqua bollente - come si esprimeva Schönberg - un mare che bruciava dentro ad artisti che non sapevano nuotare controcorrente. Essi si posero quindi il problema: o rinunziare all'espressione dell'interiorità, considerare conclusa, almeno momentaneamente, questa fase musicale, come era accaduto almeno altre due volte, accontentandosi di consolidare conquiste importanti come l'emancipazione della dissonanza e un certo grado di atonalità, ovvero cercare e dare all'espressione sonora nuovi principi formali. Fu questa soluzione a prevalere. I nuovi principi formali dovevano mettere fine al caos, impedire, in fondo, che nel continuare del caos andassero perdute conquiste veramente decisive. In tal senso non si potrebbe neppure parlare di compromesso. Non c'erano più possibilità, solo una necessità. Ma questa posizione, comunque la si voglia esaminare, svela di per sé la propria sostanza compromissoria. Si ritorna alla forma perché altrimenti non si comunica l'idea musicale, anzi, al limite, senza forma non c'è nemmeno idea musicale (v. Webern, 1960). È chiaro che l'espressione allo stato puro, il grido originario, si sono già, sia pure musicalmente, concettualizzati, e in quanto concetti sono destinati alla comunicazione perché ubbidiscono alle convenzioni che la informano.
La preoccupazione di far conoscere ad altri le proprie esperienze interiori è la fuga terrorizzata di fronte alle conseguenze di una solitudine, di un radicalismo solipsistico, dei quali non si vede la fine, ma si paventano le conseguenze. Dal caotico, dal profondo baratro dell'io informali nella loro vitalità emerge lo schema, la forma non-solo-artistica. L'individuazione dodecafonica fu presentata come metodo di comporre con dodici suoni che non stanno in relazione che fra loro; in realtà questo fu il principio compositivo del periodo espressionista. La dodecafonia è un metodo che mette in relazione tra loro i dodici suoni del totale cromatico non per un loro interno organizzarsi di volta in volta sulla base delle esigenze espressive, ma nel momento in cui si forma la relazione in base a leggi predeterminate, rigorose. Così l'ordine, da lui considerato mai fine a se stesso, ma soluzione di necessità, è il punto d'approdo dell'esponente più rappresentativo di un movimento che nel 1912, in Der blaue Reiter, teorizzava l'anarchia nella musica (v. Hartmann, 1912). Ancora una volta la paura dell'ignoto aveva vinto; il sostrato religioso dell'espressionismo era venuto alla superficie con tutte le sue contraddizioni e l'esigenza di un principio gerarchico. D'altronde, distrutta l'armonia, sconvolti i principi melodici, ripudiata la forma, mai tuttavia erano stati posti in discussione il sistema temperato, i suoi strumenti, le sue delimitazioni grammaticali; Schönberg anzi aveva nettamente respinto le ricerche di Busoni sui terzi di tono. Per questo l'espressionismo musicale è ancora un modo di esprimersi nei limiti del temperamento equabile fissato da Bach e da Rameau, e quindi un'affermazione del vero interiore non incondizionatamente diretta, come invece pretendevano gli espressionisti, e assoluta, ma mediata da un'interpretazione del suono e del mondo sonoro conseguente al razionalismo del XVII secolo.
La dodecafonia andò a cercare i propri principi formali nel contrappunto fiammingo. Non poté, in definitiva, che riproporre un ordine già collaudato. In quest'ordine, liberamente scelto e non frutto di assoluta necessità, Schönberg dichiarò di sentirsi libero, più libero di quando componeva senza norme, nello spirito dello Sturm und Drang espressionista. Annotò sul suo manoscritto in margine all'Adagio del Quintetto per fiati op. 26: ‟Credo che Goethe sarebbe soddisfatto di me". Ed è senz'altro vero, soprattutto per il principio di autorità che la proposizione mette in evidenza. Se un tempo doveva ubbidire solo alle leggi dell'interiorità, in seguito il primo posto fu preso dall'idea direttrice secondo cui andavano innanzi tutto rispettati i sensi degli altri, i quali possono essere aggrediti solo da un qualche cosa di formalizzato; l'idea centrale fu quella di trovare il mezzo di comunicazione adatto, la serie e i modi in cui dev'essere trattata; ciò finì col realizzare un compromesso di fondo tra l'idea che si doveva esprimere, e che era già il frutto di una mediazione, con l'idea direttrice del veicolo comunicante. Nemmeno più, quindi, l'ordine fine a se stesso come natura della musica, ma per rendere accessibili nella propria interiorità se stessi agli altri: ciò che agli inizi del movimento sarebbe stato del tutto inammissibile.
5. Espressionismo e atonalità
Per molti anni e dalla maggioranza degli storici della musica l'espressionismo musicale venne confuso con l'atonalità, ovvero l'atonalità fu concepita e ritenuta la sua conquista peculiare, e già nel Manuale d'armonia Schönberg entra nel vivo della polemica per precisare i suoi discordanti punti di vista sul termine e sull'intera questione.
Se, per comodità, intendiamo atonale una musica con una linea melodica senza la tonica e un'armonia che non si fonda su alcuna tonalità, vediamo subito che una parte notevole della produzione musicale espressionista non risponde a queste caratteristiche. Per chiarire tale affermazione precisiamo che neppure il più piccolo segmento di una linea melodica deve presentare, per potersi definire in tutto atonale, alcuna relazione tonale: non si può neppure dare, tra due note successive, la possibilità di una percezione di cadenza o comunque di rapporto con una tonica sottintesa; inoltre, dal punto di vista armonico, nessuna relazione funzionale deve percepirsi negli accordi tra loro, o con una eventuale triade di tonica sottintesa.
L'accordo mistico di Skrjabin, do-fa diesis-si bemolle-mi-la-re, si scompone linearmente in due segmenti: do-sol bemolle-si bemolle, cadenza sospesa di mi bemolle minore (VI-II-V) e mi-la-re, cadenza perfetta di re minore, per la precedente attrazione del si bemolle (II-V-I); se fa diesis (sol bemolle) e la si considerano poi eventualmente ritardi di sol, anche la posizione verticale può interpretarsi come nona di dominante di fa maggiore.
È stato osservato che le sei note sono l'8°, il 9°, il 10°, l'11°, il 13°, il 14° armonico di do: questo significherebbe che l'accordo non si fonda sui criteri dell'alterazione tonale, ma su basi fisiche e perciò scientifiche (v. Stuckenschmidt, Neue Musik..., 1951). In realtà sono presenti il 1°, il 5° e il 7° armonico di do (quest'ultimo in virtù del temperamento della scala), ovverossia una settima di dominante di fa senza la quinta, cui si sovrappongono il 1°, il 3° e il 5° armonico di re, opportunamente abbassati all'ottava; nel contesto di una simile tensione, si individuano come la triade di dominante di sol minore. Infatti l'abitudine-attitudine di un orecchio musicalmente coltivato tende a scomporre l'accordo, dopo una prima percezione globale, orizzontalmente e poi a simultaneizzare verticalmente gli intervalli.
Noi definiamo mistico l'accordo di Skrjabin solo per rispettare le intenzioni dell'autore. Stando così le cose, ogni analisi contraddice l'espressività di cui esso si carica presentandosi come una successione di quarte, anziché di terze, malgrado la nostra tendenza a ricondurlo alla normalità. Ma il nostro orecchio è un giudice conservatore: se i dettami che deve applicare offrono appena appena una qualche ambiguità, subito li interpreta alla luce della normatività più antica. Le quarte si oppongono alle terze in una ipotetica assuefazione accordale che in realtà non c'è, mentre sono ben radicate in noi, e perché ‟ombre delle quinte" (Cartesio) e come ambito tonale nella risposta al soggetto di fuga. Poiché nella musica il primato storico e percettivo è della melodia, noi tendiamo a individuare nell'accordo di Skrjabin un allargamento, un artificio melodico integrativo, e percepiamo innanzi tutto le strutture formali ‛buone' della melodia. Ciò anche per la semplice ragione che non possiamo da soli cantare polifonicamente. Ora l'accordo di Skrjabin è, per il nostro orecchio, una
Solo ottusità e pigrizia armoniche possono sentire come atonale, specie dopo Wagner, l'accordo di Skrjabin. Schönberg aveva quindi ragione quando affermava nel 1921: ‟Non si è studiato il problema se ciò a cui lo schiudersi di queste nuove sonorità dà vita non sia appunto la tonalità di una serie di dodici note, anzi probabilmente lo è, e allora questo sarebbe un fenomeno parallelo alla circostanza che ha dato luogo ai modi gregoriani, a proposito della quale ho detto che ‛si sentiva l'attrazione di una tonica, ma non si sapeva quale fosse, e allora le si provavano tutte'. Qui non la si sente affatto, eppure ciò nonostante probabilmente essa esiste. Volendo per forza trovare dei nomi, si potrebbe pensare ai termini ‛politonale' o ‛pantonale': ma prima di tutto bisognerebbe stabilire se questa musica non è semplicemente tonale" (v. Schönberg, 1911; tr. it., p. 509, nota 1).
Come la fine dell'illusione dell'esistenza di un sistema tonale fu decretata dal dato sperimentale che l'orecchio individua perfettamente un'unica qualità strutturale anche nelle varie tonalità trasposte - e d'altro canto l'uso di trasportare i Lieder nelle più svariate tonalità aveva già indicato come superata tutta la simbologia che le accompagnava - così la presenza di una stessa dominante per il maggiore e il minore, con conseguente priorità della sensibile tonale sulla sensibile modale, aveva fatto dire a Busoni: ‟Arriviamo di necessità alla coscienza dell'unità del nostro sistema tonale. I concetti di affine e di estraneo cadono, e con ciò tutta l'ingarbugliata teoria di gradi e relazioni. Noi abbiamo un'unica tonalità, ma essa è di un genere ben misero" (v. Busoni, 19542, p. 147). Dobbiamo così mettere accanto agli accordi vaganti, alle settime diminuite, alle triadi eccedenti, alle successioni di accordi alterati anche la raggiunta coscienza della povertà del sistema tonale, coscienza non estranea neppure a quelli che, come Hindemith, si schierarono dalla parte della restaurazione. L'emancipazione dalla dissonanza in un sistema che ha i semitoni cromatici uguali a quelli diatonici non può che risolversi in politonalità, perché tutte le note risuonano alla comune coscienza tonale come potenziali sensibili, specialmente quando gli intervalli sono molto piccoli o si collocano a distanze di settima, di nona o di tritono.
L'esempio dell'accordo mistico può essere esteso a tutta la musica cosiddetta atonale degli espressionisti. Solo l'adozione del metodo dodecafonico, e neppure questo come regola generale (vedi Berg), irrigidisce, o sembra irrigidire, certe situazioni contrappuntistiche in una sfera difficilmente riconducibile a una tonalità anche allargata; le regole rigorose imposte al compositore per ricondurlo a un ordine formale infatti sfuggono alle leggi gestaltiche, postulando eventualmente interpretazioni diverse. Purtuttavia nella scelta della serie molto rimane, per l'occhio, del mondo tonale.
Soprattutto in Schönberg, in Berg, in Webern, in Skrjabin ‛atonali' le successioni melodiche, talora per responsabilità armoniche, richiamano tonalità ben precise. C'è chi vede là un'allusione ironica a realtà sonore assenti (v. Bortolotto, 1966), ma ciò comporterebbe la volontà di sottoporre a frustrazione l'ascoltatore, atteggiamento, questo, del tutto estraneo alla prospettiva espressionista. In realtà siamo in presenza di una concatenazione di modulazioni che l'orecchio vive come cadenze, anche se influenzato da un nostro atteggiamento intellettuale che condivide come necessario, oppure accetta come inevitabile, o ancora ammette come valido questo criterio di assenza d'ogni criterio tradizionale nella composizione politonale.
D'altronde oggi la nostra disposizione non ha nulla in comune con quella degli storici e dei critici della musicà di mezzo secolo fa, perché noi oggi conosciamo il punto di arrivo di Schönberg e della sua scuola e viviamo in mezzo alla nuova musica che non è l'erede di quella scuola, ma caso mai, e solo per qualche aspetto, delle teorizzazioni dell'ultimo Webern. Per noi oggi la Berceuse élégiaque non è molto più tonale di tanta parte di Erwartung, le distanze tra la Sinfonia da camera op. 9 di Schönberg e, prescindendo dal loro carattere aforistico, i Sei pezzi per orchestra op. 6 di Webern sono molto minori di quanto gli occhi suggeriscano.
Nella politonalità degli espressionisti noi cogliamo il rimpianto di cose semplici, il rimpianto dell'elegante banalità quotidiana che a certi livelli sociali si chiamò belle époque, forse anche la consapevolezza di una grande avventura miziatasi al di là della tranquillità, o senza la tranquillità, del ritorno a casa. Solo infatti nel nuovo establishment del riconoscimento americano Schönberg ammetterà che ‟on revient toujours". Altri musicisti invece, per nulla vicini all'espressionismo, come Ch. Ives e E. Varèse, raggiunsero l'atonalità più schietta senza le ambiguità e i rimpianti dei mitteleuropei; ma diversa era la visione del mondo che guidava il loro orecchio e la loro mano.
L'equivoco atonalità = espressionismo è determinato soprattutto da ciò: che gli esegeti e gli apologeti dei compositori espressionisti, incredibilmente, videro in Schönberg soprattutto il grande musicista che attuò un ultimo sviluppo del romanticismo e portò il cromatismo all'estrema conseguenza dell'atonalità, senza accorgersi o senza preoccuparsi troppo del fatto che questa era la valutazione di Les six (punto 3 del loro manifesto), sostenitori della restaurazione dell'armonia diatonica e della tonalità più intransigente (punto 4) del classicismo francese (punto 2).
Si è così adottato il giudizio degli amici di Cocteau, quello di un movimento nato nel seno di una borghesia vincitrice di una guerra imperialistica, su di un fenomeno apparso prima di quella guerra, e per di più sorto nell'ambito della parte sconfitta, espressione quindi di una cultura completamente sconfitta, come era quella della Mitteleuropa, ovverossia la cultura degli imperi centrali. Perché quel giudizio sia stato adottato quasi universalmente e sia possibile ancor oggi, malgrado quanto hanno scritto e composto Schönberg e i suoi allievi, è razionalmente spiegabile solo come lapsus patologico della vita quotidiana di conservatori sornioni travestiti da corifei dell'avanguardia.
6. I rapporti con la tradizione
I massimi esponenti della Scuola viennese non ritennero mai di collocarsi sulla stessa linea dei futuristi e dell'avanguardia francese. Essi si consideravano i continuatori del classicismo viennese e del romanticismo in particolare e, più in generale, i continuatori della grande tradizione polifonica fiamminga. Questa loro convinzione appare evidente, oltre che nelle loro composizioni, nel culto di Mahler, che ebbe ad archetipo stilistico i fiamminghi; nella rivalutazione di Brahms, che i postwagneriani avevano sempre misconosciuto; nell'interpretazione di Beethoven come massimo erede di Bach e perfetto realizzatore della forma classica, espressa soprattutto nel periodo e nella frase di otto battute. Le battaglie combattute, le polemiche provocate o subite furono sempre in difesa di una tradizione della quale gli altri tendevano a ignorare i valori. Non sostanzialmente diversa la posizione di Skrjabin: tutto il senso della sua svolta antičajkovskijana, del suo allontanarsi dal pianismo chopiniano, sta in una valutazione molto soggettiva dell'inquinamento portato nella musica vera' dalla musica popolare. In lui emergono le tentazioni faustiane comuni tanto al classicismo quanto al romanticismo, sia pure in prospettive diverse. La sua ripugnanza verso la musica popolare consegue da una ben precisa concezione della cultura e dell'arte come fatto di cultura quali risultati di un processo di continuo superamento, di eliminazione del superfluo, di enucleazione di costanti e di loro sublimazioni.
In maniera pregnante il romanticismo degli espressionisti si manifesta nella teatralità drammatica delle loro scelte espressive. Il Poema del fuoco prevede come parte integrante della sua esecuzione la proiezione su di uno schermo di sequenze di colori; Erwartung è una scena lirica risolta teatralmente per far partecipare lo spettatore alla trasfigurazione del mondo esterno realizzata dall'angoscia interiore di un unico personaggio; Die glückhche Hand affida a una dosata gestualità e a una minuziosa messinscena un simbolismo grevemente romantico che solo in quel modo può reggersi; in Der wunderbare Mandarin l'assoluto primato della sessualità esteso sino al miracolo si proietta nella pantomima; Wozzeck è un melodramma tradizionale, con il suo recupero di forme ‛chiuse' e il suo lirismo spiegato.
Anche la citazione è un mezzo rappresentativo: O du lieber Augustin (Scherzo del Quartetto op. 10 di Schönberg), le misure il e 12 del Il dei Cinque pezzi per quartetto d'archi op. 5 di Webern (tema dell'Adagio della Nona di Bruckner), la mis. 24 del V pezzo (Scherzo della Quinta di Mahler), misure 11, 12, 13, 14 e poi 32 del IV dei Sei pezzi per orchestra op. 10 (Der Abschied prima, e I tempo della Nona sinfonia di Mahler poi), solo per citare alcuni casi, assolvono a una funzione rievocativa, creano uno sfondo scenico.
Non minore continuità con la tradizione presenta la scelta della forma liederistica. Gran parte della produzione dei tre viennesi è liederistica; anzi, liederistica è quasi sempre la fase di preparazione per nuovi passi in avanti. Nel Lied viene realizzato, o tende a prospettarsi, quell'estraniamento dal rapporto tradizionale con il testo che prepara all'essenzialità delle composizioni strumentali. Sotto molti aspetti, viene seguita la stessa via di Mahler.
Infine, ultima ma non per importanza, la Sprechstimme schönberghiana: un intervento sul modo di parlare che deve stabilire un nuovo rapporto con il testo. Il tono parlato sfiora la nota, sfuggendola subito: è una forma di gestualità vocale che, nel rifiuto di sostenere la nota, riflette la stanchezza, l'usura della parola, e quindi la necessità della mediazione musicale per comprenderla; e questa è la linea teorica di Wolf.
Il Pierrot lunaire, considerato assieme a Le sacre du printemps di Stravinskij il punto di volta della musica nella prima metà del secolo, è senza dubbio l'acme dell'espressionismo musicale. In esso infatti si estrinsecano in massimo grado tutte le caratteristiche fondamentali della musica espressionistica ma anche tutti gli elementi della sua fedeltà alla tradizione, ivi compreso il sottendimento tonale di cui si è già parlato. Innanzitutto la scelta del testo: un ciclo di 21 poesie, opera di Giraud, simbolista della Parnasse de la Jeune Belgique, tutto sommato mediocri e di dubbio gusto, con fughe nel nonsense prive di grazia e cerebralmente dozzinali. Questa scelta da parte di Schönberg ci appare proprio una parodia del melodramma ottocentesco: la narrazione delle traversie della più patetica tra le maschere svela i limiti e l'impotenza dell'eroe idealizzato della borghesia, allo stesso modo che Von heute auf morgen svela le ridicolaggini dell'ideale borghese dell'amor coniugale come moda e convenzione. E se la critica si ferma alla superficie non ci si deve meravigliare: gli intellettuali viennesi, disillusi nella loro volontà di leadership dal fallimento del ‛48, continuarono per oltre mezzo secolo a cullarsi nel gusto della parodia. Questa specie di sinfonia fantastica del piccolo borghese presenta in secondo luogo un recupero formale dal punto di vista della simmetria e quindi un superamento negativo dell'immediatezza espressiva. Le tre parti sono composte ciascuna di sette arie, che nel testo accennano anche alla possibilità di essere, con il ‛daccapo', una possibilità regolarmente frustrata: tre atti e un solo protagonista dolciastro e anacronistico. Se in Erwartung il delirare della donna è alla fine giustificato dal ritrovamento del cadavere dell'amato, se in Die glückhche Hand la solitudine dell'uomo è conseguenza della determinazione con cui lotta, Pierrot è la patologia della fantasia perpetuamente sospesa tra velleità di rivincita e nostalgie ai limiti della regressione psichica. L'altalena si conclude con l'immancabile ritorno a casa, una casa che è anche quella di Arlecchino, amante di Colombina. Pierrot ha finito la sua belle époque e torna tra Bembo e Serio a essere Pierrotto. E le sue traversie sono presentate con una ferocia senza limite, sia come condizione disperata dell'involuzione narcisistica, sia come crollo di valori, tanto più tragico quanto più si tratta di valori inesistenti. Il vecchio profumo del tempo delle fiabe, un tempo in cui si raccontava in mi maggiore, è l'ultima immagine, ma sembra piuttosto l'aura premonitrice di un'altra crisi comiziale. In terzo luogo c'è un recupero anche della forma in senso stretto: Mondestrunken non è atematico, poiché viene costruito sul tema di un Lied di Berg (Nacht dai Sieben frühe Lieder) una terza sopra e sul motivo del Naturlaut della Terza sinfonia di Mahler (quarto movimento a 6), e queste due strutture sono poi trattate la prima canonicamente, la seconda in pizzicato ostinato. Valse de Chopin è un valzer lento, Nacht una passacaglia, Mondfleck un canone cancrizzante che conclude con una cadenza sospesa di fa diesis minore, Serenade un altro valzer lento, Heimfahrt una barcarola, O alter Dufi una canzone strofica variata tripartita. La composizione nel suo insieme è polifonica e vi prevale lo stile imitativo. Con Pierror lunaire il ritorno all'ordine è un fatto compiuto e non è impossibile che ciò non sia estraneo al successo sempre incontrato dall'opera.
Un cenno a parte meritano le idee di Webern, studioso della polifonia fiamminga e di Bach come suo ultimo erede. Webern concepisce l'evoluzione musicale come un processo di continuo allargamento del campo, nello spirito della problematica che aveva investito più la scienza che le arti. L'emancipazione della dissonanza e lo sbocco atonale sono una conseguenza del fatto che noi arriviamo a scoprire sempre nuove leggi della natura in rapporto al senso dell'udito, e che esse sono le leggi della musica perché ‟la musica è la natura con le sue leggi in rapporto al senso dell'udito" (v. Webern, 1960; tr. it., p. 23). Egli inoltre ritiene fondamentale il principio di comprensibilità dell'idea musicale. Il musicista deve innanzi tutto ‛farsi capire'. Dunque la sua posizione mette in evidenza che nell'espressionismo confluiscono posizioni teoriche notevolmente discordanti. Questa concezione weberniana spiega anche la ragione per cui l'avanguardia del dopoguerra s'i è richiamata a lui piuttosto che agli altri viennesi. Egli è l'unico del gruppo grazie al quale, in una certa misura, è possibile stabilire un rapporto tra espressionismo e la nuova musica dei giorni nostri, anche senza la mediazione obbligata della dodecafonia. La nuova musica, ricorrendo all'elettronica, realizzando suoni sempre più differenziati nella percussione dei materiali più disparati, è già uscita dal sistema temperato, che i più radicali usano ormai come semplice mezzo di contrasto. Essa si colloca pertanto sulla scia dello sperimentalismo acustico, della psicologia acustica, considerando chiaramente la musica come la natura con le sue leggi in rapporto al senso dell'udito; sul piano strettamente musicale essa deve a E. Varèse, e in una certa misura anche a O. Messiaen, molto più di quanto non debba alla scuola di Schònberg.
7. Poetica dell'espressionismo musicale
L'attività dell'artista è istintiva; poca influenza vi prende la coscienza, ed egli ha la sensazione che ciò che fa gli sia dettato da dentro, che egli lo faccia solo obbedendo alla volontà di qualche forza che è in lui e di cui ignora le leggi" (v. Schönberg, 1911; tr. it., p. 521). Queste parole di Schönberg sintetizzano la poetica dell'espressionismo musicale, anticipando. quelle di Th.
L'armonia tradizionale si fonda sul principio della prevalenza dei primi armonici sugli altri. Essi hanno una forza di attrazione insostituibile e questa può anche essere una legge, scoperta dall'uomo a uno stadio di sviluppo della musica, quando più oltre non si poteva andare. Anche altre leggi, come quella di gravità, innegabilmente sono universali. Ma l'uomo avanza e ne scopre di nuove, in un certo senso ancora più importanti - che gli permettono di eluderne altre -, per esempio quella di gravità, vincendo la forza di gravità. Così il compositore scopre che i principi armonici non sono l'ultima riva, ma che si può andare ben oltre; scopre che il senso dell'udito può liberarsi dei presupposti psicologicamente indotti del diatonicismo, dal momento che si è già liberato in passato di altri condizionamenti. Soppresse le funzioni tonali in armonia e gli schemi di modulazione nella melodia, scomparsa la cadenza, a questo punto non ha più senso neppure il tema: l'amorfismo diventa inevitabile. Guida l'attività compositiva una totale libertà, che deve risaltare anche nel rapporto con il testo, rivelarsi nella mancanza di qualsiasi vincolo nella scelta dei suoni. Sono queste le conclusioni cui arrivano Schönberg e Kulbin nei loro articoli in Der blaue Reiter.
L'essenzialità della folgorazione interiore che l'istinto porta alla luce è espressa anche dalla massima concentrazione che si realizza nella mancanza di ripetizioni, nel divieto dell'uso di accordi prefiguranti una tonalità, nella riduzione dei mezzi. Teoricamente si può dare questa spiegazione: la ripetizione di una successione di note costituisce un tema; così pure quella di una stessa nota, perché viene a creare un centro d'attrazione; l'uso di determinati accordi rimanda alle funzioni tradizionali. Il sentimento che esprime se stesso rifiuta l'ambiguità di polisensi, aspira all'unità di verità ed espressione, rinuncia alla ripetizione come elemento indispensabile per la comprensione dell'idea musicale. La verità interiore, che è nello stesso tempo il tutto e un suo frammento, trova nell'aforisma musicale la sua realizzazione più compiuta.
Il processo riduttivo dei mezzi che, antiteticamente all'ipertrofia strumentale dell'ultimo Ottocento, accompagnò l'evolversi dell'espressionismo musicale, non ha invece una elaborazione teorica. Non è difficile tuttavia comprenderlo in questa poetica, ove si consideri che un generale principio di economia è presupposto dalla chiarezza con cui l'interiorità deve essere espressa. Allo stesso principio, anche se qui soccorre la mediazione dell'idea, ubbidisce la Klangfarbenmelodie: non riduzione dei mezzi che producono il suono, ma riduzione e coneentrazione della qualità del suono al solo parametro timbrico.
Una valutazione estetica positiva della dissonanza si registra non infrequentemente nello sviluppo del linguaggio musicale: nel passaggio dal gregoriano alla polifonia, dissonanze e consonanze sono quasi sullo stesso piano; se non nella stessa misura, il fenomeno si verificò anche quando il cromatismo di Cipriano de Rore e di Gesualdo preparò l'ambiente più idoneo per l'accettazione della nuova legge armonica; d'altro canto essa stessa nel suo costituirsi passò attraverso le arditissime armonizzazioni bachiane dei corali. Particolari rapporti con il testo caratterizzano sempre crisi di crescenza della musica: si pensi alla pratica dell'ochetus, e poi a Petrus de Cruce. Derivare quindi dall'estraniamento o dalla forzatura del testo, come dalla dissonanza, una valutazione dell'espressionismo musicale quale categoria artistica del dolore vuol dire ignorare le originali tecniche protopolifoniche, i mottetti tettonici del Trecento e, sul piano estetico, non fare un passo ‛avanti rispetto ai Problemata di Aristotele.
Se consideriamo infine i diversi atteggiamenti pratici delle più eminenti personalità dell'espressionismo musicale in relazione alla grave crisi dei quindici anni che vanno dal 1930 al 1945, nemmeno una morale comune può essere invocata a caratterizzare dall'esterno questa poetica, che in definitiva è stata, anche nelle sue contraddizioni, la più coerente, la più individualisticamente e la meno socialmente impegnata delle poetiche del sentimento in ambito musicale, e che risente soprattutto del fatto di essersi maturata in un periodo in cui gli intellettuali della Mitteleuropa si immergevano nella grande scoperta del secolo, la psicanalisi, cercando di risolvere nei suoi meandri o nelle varie psicologie del profondo che ne derivarono i loro insolubili problemi.
8. Considerazioni conclusive
L'espressionismo musicale, come l'espressionismo in genere, è stato considerato innanzi tutto il punto d'approdo del romanticismo e secondariamente, in questo contesto, un tratto caratteristico dell'arte dell'Occidente, un movimento spontaneo di protesta contro la società capitalistica e il suo ordine a livello della sovrastruttura, una propaggine del decadentismo, una corrente il cui antinaturalismo è di origine schizotimica.
La polemica che si sviluppò tra marxisti a proposito di quello letterario lo coinvolse di fatto.
Fu definito arte degenerata dai nazisti che lo coinvolsero nella condanna dell'espressionismo pittorico e letterario: le argomentazioni teoriche dei lor'o ideologi non si discostano da quelle dei neoclassicisti. A tutt'oggi è avversato nell'URSS perché nella vasta libertà compositiva che caratterizza le opere dei suoi rappresentanti non si prefigura alcun interno ordinamento gerarchico, quale invece l'ideologia ufficiale di quel Paese, avendo abbandonato la teoria marxista dell'estinzione dello Stato, tende a esaltare, quasi dato di fatto metafisico, nelle poetiche del realismo socialista.
Il Novecento vive grandi conquiste musicali che non si sono ancora probabilmente concluse. L'espressionismo musicale è, al di fuori dell'ideologismo con cui è stato aggredito e mistificato, la prima importante manifestazione del processo di rinnovamento del linguaggio musicale moderno. Ne costituisce la pars destruens, con tutti i limiti e le contraddizioni che una tale pratica comporta. Risultante quintessenziata della cultura musicale mitteleuropea, anche con il suo provincialismo teoretico, ci appare oggi come la più coerente manifestazione del romanticismo piuttosto che il suo punto d'approdo.
Bibliografia
AA.VV., Bilancio dell'espressionismo, Firenze 1965.
Adler, G., Handbuch der Musikgeschichtet, Frankfurt a. M. 1924.
Adorno, Th. W., Philosophie der neuen Musik, Tübingen 1949 (tr. it.: Filosofia della musica moderna, Torino 1959).
Adorno, Th., W., Dissonanzen. Musik in der verwalteten Welt, Göttingen 1956 (tr. it.: Dissonanze, Milano 1959, 19732).
Adorno, Th., W., Klangfiguren, Berlin-Frankfurt a. M. 1959.
Adorno, Th., W., Einleitung in die Musiksoziologie. Zwölf theoretische Vorlesungen, Berlin-Frankfurt a. M. 1962 (tr. it.: Introduzione alla sociologia della musica. Dodici lezioni teoretiche, Torino 1971).
Bauer, A., Atonale Satztechnik, Berlin 1925.
Bekker, P., Neue Musik, Stuttgart-Berlin 1923.
Bloch, E., Diskussionen über Expressionismus, in Werke, vol. IV, Frankfurt a. M. 1962, pp. 264-275.
Bortolotto, M., Espressionismo, in La musica, vol. II, Torino 1966, pp. 329-337.
Boulez, P., Schönberg est mort, in ‟The score", maggio 1952 (tr. it.: Schönberg è morto, in Note d'apprendistato, Torino 1968, pp. 233-239).
Bruce, A., Some thoughts on simmetry in early Webern: Op. 5 n. 2, in ‟Perspectives of new music", 1972, n. 2-3, pp. 159-163.
Busoni, F., Entwurf einer neuen Ästhetik der Tonkunst, Trieste 1907; nuova ed., Leipzig 1910 (tr. it.: Cenni di una nuova estetica musicale, in ‟Harmonia", 1913, I, n. 2-3).
Busoni, F., Scritti e pensieri sulla musica, Firenze 19542.
Eaglefield-Hull, A., Modern harmony, London 1914.
Ehrenforth, K. H., Ausdruck und Form. Arnold Schönbergs Durchbruch zur Atonalität in den ‛George-Liedern' op. 15,
Eimert, H., Atonale Musiklehre, Leipzig 1924.
Eimert, H., Stockhausen, K. (a cura di), Die Reihe. Information über serielle Musik. Anton Webern, Wien 1955.
Erpf, H., Studien zur Harmonie-und Klangtechnik der neuen Musik, Leipzig 1927.
Erpf, H., Vom Wesen der neuen Musik, Stuttgart 1949.
Gerlach, R., Die Handschriften der Dehmel-Lieder von Anton Webern. Textkritische Studien in ‟Archiv für Musikwissenschaft", 1972, II, pp. 93-114.
Gerlach, R., Anton Webern. Ein Winterabend op. 13 n. 4 Zum Verhältnis von Musik und Dichtung
Hartmann, Th., H., Über die Anarchie in der Musik, in Der blaue Reiter, München 1912, pp. 43-47.
Hofmann, W., Stilbestimmung des musikalischen Expressionismus, in Expressionismus, in Die Musik in Geschichte und Gegenwart. Allgemeine Enzyklopädie der Musik, vol. III, Kassel-Basel 1949 ss., pp. 1658-1673.
Kandinskij, V., Über das Geistige in der Kunst, München 1912 (tr. it.: Della spiritualità nell'arte, Roma 1940).
Kandinskij, V, Über die Formfrage, in Der blaue Reiter, München 1912, pp. 74-100.
Kandinskij, V., Marc, Fr. (a cura di), Der blaue Reiter, München 1912 (tr. it.: Il cavaliere azzurro, Bari 1967).
Kulbin, N., Die Freie Musik, in Der blaue Reiter, München 1912, p. 69.
Kurth, E., Die romantische Harmonik und ihre Krise in Wagners Tristan, Berlin 1920.
Laaff, E., Atonalität, in Die Musik in Geschichte und Gegenwart. Allgemeine Enzyklopädie der Musik, vol. I, Kassel-Basel 1949 ss., pp. 760-763.
Lach, R, Das Konstruktionsprinzip der Wiederholung in Musik. Sprache und Literatur, Wien 1925.
Leibowitz, R., Schönberg et son école, Paris 1947.
Mersmann, H., Die Tonsprache der neuen Musik, Mainz 1928.
Mersmann, H., Neue Musik,
Milhaud, D., Polytonalité et atonalité, in ‟La revue musicale", 1923, IV, pp. 29-44.
Payne, A., Schönberg, London 1968.
Redlich, H. F., Alban Ber. Versuch einer Würdigung, Wien 1957.
Reich, W.,
Rognoni, L., La scuola musicale di Vienna. Espressinismo e dodecafonia, Torino 19662.
Sabanejew, L., ‛Prometheus' von Skrjabin, in Der blaue Reiter, München 1912, pp. 57-68.
Schönberg, A., Harmonielehre, Wien 1911, 19222 (tr. it.: Manuale di armonia, Milano 1963).
Schönberg, A., Das Verhältnis zum Text, in Der blaue Reiter, München 1912, pp. 27-33.
Skrjabin, A., Prometheische Phantasien, Berlin 1924.
Slonimsky, N. (a cura di), Music since 1900, New York 1937.
Stefan, P., Neue Musik und Wien, Wien 1921.
Stefan, P., Arnold Schönberg, Wien 1924.
Stein, E., Von neuer Musik, Köln 1925 (tr. it.: Nuovi principî formali, in H. H. Stuckenschmidt, La musica moderna, Torino 1960, pp. 363 ss.).
Stein, E., Orpheus in new guises, London 1953.
Stuckenschmidt, H. H. Arnold Schönberg, Zürich 1951.
Stuckenschmidt, H. H., Neue Musik zwischen den beiden Kriegen, Berlin-Frankfurt a. M. 1951 (tr. it.: La musica moderna, Torino 1960).
Webern, A., Der Weg zur neuen Musik, Wien 1960 (tr. it.: Verso la nuova musica, Milano 1963).
Wiessmann, A., Die Musik in der Weltkrise, Berlin 1924.
Wellek, A., Atonalität, in Die Musik in Geschichte und Gegenwart. Allgemeine Enzyklopädie der Musik, vol. I, Kassel-Basel 1949 ss., pp. 763-766.
Wellesz, E. Arnold Schönberg, Leipzig 1921.
Westphal, K., Die moderne Musik, Leipzig 1928.
Wörner, K. H., Mannzen, W., Expressionismus, in Die Musik in Geschichte und Gegenwart. Allgemeine Enzyklopädie der Musik, vol. III, Kassel-Basel 1949 ss., pp. 1655-1658.