ESSERE

Enciclopedia Italiana (1932)

ESSERE (fr. être, sp. ser; ted. Sein, ingl. being)

Augusto GUZZO

Per il pensiero greco antichissimo "essere" era la stessa realtà sensibile, il mondo. Ma il cangiamento della realtà sensibile è essenziale all'essere, o questo è sempre identico a sé stesso? Eraclito, che considera l'essere perennemente fluente, identifica l'essere con la natura; Parmenide, che considera l'essere come sempre uguale a sé stesso, dichiara la natura un inganno dei sensi. Così l'"essere", immutevole, si contrappone all'"esistere", mutevole, che è divenire e molteplicità. Altra antitesi: i Pitagorici ammettevano, oltre all'essere, che identificavano col pieno, il non-essere, che identificavano col vuoto, e spiegavano la molteplicità dei corpi con l'inserirsi del vuoto tra il pieno. Gli Eleati, al contrario, negarono il vuoto o non essere, non riconobbero che l'essere, cioè il pieno: il quale, considerato come il solo pensabile, risultò semplice, indivisibile, immoltiplicabile, sicché le varie cose del mondo, che distinguiamo con nomi diversi, risultarono parvenze ingannevoli, fuori del vero essere, unico, identico e semplice. Tuttavia, tanto l'essere fisico degli Ionici quanto l'essere afisico degli Eleati e di quanti seguirono gli Eleati nel contrapporre un essere vero e non sensibile - con le quattro radici di Empedocle, le omeomerie di Anassagora e gli atomi di Democrito - alla natura sensibile e fenomenica, furono un essere assoluto e oggettivo, non relativo al soggetto che lo conosce: quale fu, invece, quello di Protagora. In deliberata contrapposizione al relativismo sofistico, Socrate cercò di fissare quel che ciascuna cosa è per il concorde pensiero degli uomini più giudiziosi, comunque tale cosa apparisca ai varî uomini nelle varie circostanze. Quel che ciascuna cosa è, vale a dire la sua definizione o il suo concetto, acquistò per Platone valore metafisico, quando egli contrappose questo essere o essenza della cosa a ciò che di essa appare e muta, concependo l'essere come idea, o specie, o forma, che il mutevole fenomeno copia e riflette. Aristotele in parte reagisce a questa separazione di ciò che è, sempre identico a sè stesso, da ciò che esiste o appare, sempre mutevole e fuggente, in quanto dichiara che veramente è ciò che esiste di fatto, mentre l'universale o specie non può dirsi che sia se non per metafora. Tuttavia Aristotele, affermando che per natura sono primi gli universali sebbene la nostra mente tardi riesca a concepirli, mantiene il concetto platonico dell'essere come distinguibile dall'esistere di cui è fondamento. Della quale distinzione tra essere ed esistere si valse il pensiero cristiano per tradurre in termini di filosofia la concezione biblica di un ordine di esistenze qual è il mondo, creato dall'essere primo, autore di tutte le essenze e di tutte le esistenze. Il concetto di un essere non presupposto al pensiero come inerte oggetto da conoscere, ma identico col pensiero stesso che pensa, sembra contenuto nel celebre "Cogito, ergo sum" di Cartesio. Parimenti l'essere delle azioni umane è la stessa attività che dà loro origine. Si tende così a non vedere nell'essere il presupposto del conoscere e dell'agire; e a non ammettere altro essere che quello vivente della stessa attività.

Poiché il pensiero umano non fa che dire delle cose che sono e quel che sono, Kant non considerò l'essere come un concetto, ma come il porre col pensiero le cose e le loro determinazioni.

Fra tutte le categorie o modi di pensare la realtà, quella dell'essere sembrò a Hegel così indeterminata da equivalere a nulla, quando l'essere non si concepisca esso stesso come divenire, dove quel che nel divenire non muta, cioè l'essenza, si contrappone a ciò che muta, il fenomeno. (v. essenza).

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