VISCONTI, Estorre

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 99 (2020)

VISCONTI, Estorre

Fabrizio Pagnoni

(Estore, Astorre). – Figlio naturale di Bernabò (v. la voce in questo Dizionario), signore di Milano, e Beltramola de Grassi, nacque probabilmente attorno al 1356.

Secondo le cronache, infatti, Estorre aveva ventinove anni nel 1385, al momento della cattura del padre da parte di Gian Galeazzo Visconti (Cronaca Carrarese, a cura di A. Medin - G. Tolomei, 1931, p. 236).

Nella circostanza, Estorre riuscì a sfuggire alla prigionia, riparando a Brescia con alcuni dei fratellastri. È l’unica notizia disponibile sulla sua vita sino ai primi anni del Quattrocento.

Non sembra aver avuto alcun ruolo nel governo delle città viscontee sottoposte al controllo di Bernabò; intraprese probabilmente la carriera militare, anche se della sua attività non sono rimaste tracce. Fra il 1386 e il 1387 trovò forse ospitalità alla corte scaligera, dove anche il fratellastro Carlo si era rifugiato, ma fu costretto a fuggirne dopo la conquista viscontea di Verona del 1387 (Villa, 1981, p. 45). Il legame con Carlo non si esaurì: ancora nel luglio del 1392 questi si adoperò presso il Comune di Firenze affinché concedesse a Estorre un salvacondotto (Romano, 1891, p. 47).

Qualche mese prima, il 3 maggio 1392, Estorre aveva potuto regolare con il principe la propria posizione: al termine di una stagione di accordi e transazioni fra Gian Galeazzo e gli eredi di Bernabò, spuntò la concessione in feudo di un compatto patrimonio immobiliare situato nel Milanese, fra Pessano, Bornago, Carugate e Cascina Valera, nonché della possessione di Merlino, in distretto lodigiano (Villa, 1981, p. 49; Milano, Biblioteca Ambrosiana, ms. D59suss., c. 15r).

Furono la morte di Gian Galeazzo (settembre 1402) e la conseguente crisi del ducato a determinare le condizioni per il ritorno di Estorre sullo scenario politico non soltanto milanese, con un ruolo questa volta da protagonista.

Sin dall’estate del 1403 l’opposizione al potere esercitato dalla duchessa Caterina Visconti e dal primo camerario Francesco Barbavara si era catalizzata attorno a un nuovo gruppo di potere, coordinato da Francesco e Antonio Visconti di Somma e da alcuni esponenti delle principali famiglie ghibelline milanesi (Cognasso, 1955, p. 89). Si trattava di un gruppo ideologicamente connotato dalla critica al modello politico ducale ‘centralista’ e feudale proposto da Gian Galeazzo, aperto all’idea di una Lombardia ‘plurale’, caratterizzata da un coordinamento di signorie ghibelline di stampo sostanzialmente mono-cittadino (Del Tredici, 2015, pp. 55-57).

Nella primavera del 1404, mentre a Milano la fronda ghibellina riusciva a isolare la duchessa e a imporre il proprio controllo sul duca Giovanni Maria, Estorre fu probabilmente impegnato, assieme al fratellastro Carlo, nella spedizione militare condotta da Guglielmo della Scala e Francesco da Carrara per la riconquista di Verona (Villa, 1981, p. 52). Dopo la morte di Caterina (17 ottobre), Antonio e Francesco Visconti rintuzzarono l’offensiva guelfa portata da Pandolfo Malatesta e Giovanni Vignati, insignoritisi rispettivamente di Brescia e Lodi (Cognasso, 1955, p. 117). L’impresa fu militarmente sostenuta dagli eredi di Bernabò: defunti nel frattempo sia Carlo che Ludovico, il peso dell’eredità del vecchio signore di Milano gravava ora sulle spalle di Giovanni Carlo, detto il Piccinino (figlio di Carlo), Galeotto, Mastino e, appunto, Estorre.

Già in ottobre alcuni armigeri alle dipendenze di Giovanni Carlo ed Estorre compirono azioni militari contro i guelfi bergamaschi: un mese dopo, dietro pressioni di Francesco e Antonio Visconti, Giovanni Maria assegnò Bergamo e la Ghiara d’Adda a Mastino, Brescia (con la Valcamonica e la Riviera del Garda) a Giovanni Carlo, i castelli di Morengo e Martinengo a Estorre (Chronicon Bergomense, a cura di C. Capasso, 1926-1940, p. 155). Ma sul piano delle operazioni militari, nei mesi successivi fu proprio Estorre il protagonista indiscusso.

Nel dicembre del 1404 conseguì un grande successo imprigionando Ugolino Cavalcabò, che si trovava nei pressi di Manerbio con più di duecentocinquanta guelfi cremonesi (ibid., p. 157). Il 21 dicembre si incontrò a Bergamo con Mastino «pro recuperando civitatem Brixie»; due giorni dopo lasciò la città orobica in direzione del territorio bresciano (ibid.). Già il 5 gennaio 1405 si presentò alle porte di Montichiari esibendo la patente con cui Giovanni Carlo lo aveva nominato suo procuratore a ricevere il giuramento di fedeltà dalle terre a lui spettanti (Brescia, Biblioteca Queriniana, ms. H.IV.7, cc. 9r-10r).

Mentre le operazioni nel Bresciano procedevano spedite, minori risultati ottenne in territorio orobico (dove fallì l’assalto a Redona e non poté impossessarsi di Martinengo: Chronicon Bergomense, cit., pp. 160, 163).

Riuscì ad assoggettare buona parte della pianura bresciana: venne così a prodursi una spaccatura netta fra la parte settentrionale del contado (controllata da Pandolfo Malatesta) e la Bassa, in cui Estorre agiva come luogotenente di Giovanni Carlo, coordinava una fitta rete di fedeltà locali e, operando da Morengo (o anche da Palazzolo, ove si trovava la cancelleria di Piccinino), nominava officiali e amministrava i rapporti con le potenze vicine (Brescia, Biblioteca Queriniana, ms. H.IV.7, cc. 11v-12v; Pagnoni, 2018, pp. 654 s.).

Tuttavia, la situazione mutò rapidamente. Alla fine di luglio del 1405 Estorre fu catturato da Malatesta nei pressi di Provaglio: il riscatto fu fissato in 10.000 fiorini, ma il Piccinino si accordò con Pandolfo per la restituzione del prigioniero in cambio della cessione di Palazzolo (Chronicon Bergomense, cit., pp. 168-170). Questi eventi avvicinarono Malatesta a Estorre e Giovanni Carlo, e generarono forti sospetti contro di loro da parte del governo ducale. In settembre Estorre fu catturato dal capitano ducale Stangolino della Palude e tradotto prigioniero a Monza: correva infatti voce di un suo passaggio dalla parte di Pandolfo Malatesta (Cognasso, 1955, p. 120).

Dietro a questi avvenimenti va inoltre vista anche una rottura tra Estorre Visconti e i Suardi, la cui influenza su Bergamo era ormai totale. Nei mesi successivi, proprio i Suardi ottennero in feudo dal duca la terra di Morengo, appartenuta a Estorre (Chronicon Bergomense, cit., pp. 170-176).

La prigionia monzese durò fino al 1407: in aprile Estorre «factus fuit dominus Modoetie per homines partis gibeline» (ibid., p. 170). La sua liberazione aveva forse avuto luogo qualche mese prima quando, alla certosa di Garignano, Facino Cane aveva promosso un accordo fra Giovanni Maria e tutti gli esponenti di casa Visconti, fra cui gli eredi di Bernabò (Cognasso, 1955, p. 126).

Estorre investì politicamente sul suo rapporto con Monza: assecondò le istanze di separazione espresse dal grosso borgo milanese, riuscì a guadagnare il consenso degli homines e promosse il conio di monete con le proprie insegne (Frisi, 1794, I, p. 191; Villa, 1981, p. 59). Si unì inoltre in matrimonio a una monzese, Margherita di Giovanni Infrascati, da cui ebbe due figli, Francesco ed Estorre, quest’ultimo nato postumo (ibid., p. 68; Litta, 1823, tav. V).

Nel 1408 Estorre ricomparve attivamente sullo scacchiere politico ducale, dove nel frattempo Carlo Malatesta era riuscito ad acquisire un forte ascendente su Giovanni Maria Visconti (Gamberini, 2001, p. 355). Fra maggio e giugno coordinò con Facino e Giovanni Carlo un’azione su Milano, attaccando i quartieri di San Simpliciano e Porta Orientale; in agosto occupò per breve tempo Cassano d’Adda (B. Corio, Storia di Milano, a cura di A. Morisi Guerra, 1978, pp. 1014 s.). Nel marzo del 1409 Estorre fu nuovamente impegnato al fianco di Cane contro la lega antighibellina promossa dal duca.

Nei mesi seguenti, Cane divenne di fatto il padrone assoluto del ducato e ottenne il titolo di governatore di Milano. Il 30 marzo 1410, su probabile ispirazione di costui, fu siglato fra il duca Giovanni Maria ed Estorre un accordo inerente al libero transito dei rispettivi sudditi (C. Morbio, Codice Visconteo-Sforzesco, 1846, p. 90). I rapporti tornarono a farsi tesi nel 1411 quando Cane, ormai proiettato alla conquista dello Stato, dopo aver scacciato Giovanni Carlo da Cantù provò ad assediare Monza, ma senza successo: alla fine di agosto, a nome del duca, strinse infatti con Estorre una nuova «pax et concordia» (Villa, 1981, p. 63).

L’improvvisa malattia di Facino, nella primavera del 1412, rimescolò le carte in tavola: il carattere ondivago di Giovanni Maria non dava garanzie e il gruppo di ghibellini ‘radicali’ che sin dal 1403 si era reso protagonista della scena politica milanese decise di sbarazzarsene. Questi influenti personaggi (fra i quali vi erano membri delle casate dei Visconti di Somma, Aliprandi, da Baggio, Pusterla) carezzavano, ora, la possibilità di chiudere definitivamente i conti con l’eredità materiale e immateriale di Gian Galeazzo, eliminando i suoi discendenti; il progetto prevedeva di collocare proprio Estorre alla guida del ducato (Del Tredici, 2015, pp. 32 s.). Il 16 maggio, dopo l’assassinio del duca e la morte di Facino, i congiurati mobilitarono il popolo milanese fomentandone il sostegno nei confronti del proprio candidato; nel frattempo Estorre faceva il suo ingresso in città (B. Corio, Storia di Milano, cit., p. 1029).

La presa di potere fu accompagnata dalla ricerca di una legittimazione dal basso e di un forte legame con la dimensione urbana «del tutto rispondente all’ideologia di questa frangia ghibellina» (Del Tredici, in corso di stampa): Estorre, ricevendo da una delegazione di cittadini il baculum, le chiavi e il vessillo della città, fu proclamato signore in duomo, mentre Bartolomeo Caccia, vescovo di Piacenza e membro della congiura, ammaestrava il popolo contro il duca defunto e a favore di Estorre (Villa, 1981, pp. 64 s.).

Gli equilibri interni al casato visconteo restavano peraltro assai precari e la situazione nel territorio dello Stato assai incerta. Filippo Maria, sopravvissuto alla congiura, organizzò una spedizione su Milano, dove poteva contare su un nucleo di fedelissimi, fra i quali Vincenzo Marliani, che controllava il castello di Porta Giovia (A. Biglia, Rerum Mediolanensium historia, 1731, col. 36; Del Tredici, 2015, p. 52). A fine maggio fu imposto il blocco alla città ed entro la metà di giugno Estorre e Giovanni Carlo dovettero riparare a Monza. L’8 agosto ebbe inizio l’assedio del borgo brianzolo (Villa, 1981, p. 66). Nel frattempo, Filippo Maria provvide a punire Estorre, sottraendogli la terra di Merlino, assegnata in feudo proprio a Marliani (Cengarle, 2007, p. 194).

Durante le operazioni militari, Estorre fu ferito da una spingarda e trovò la morte, il 7 gennaio o il 7 febbraio 1413 (Villa, 1981, pp. 66 s.).

La resistenza del borgo continuò fino a inizio maggio a opera di Valentina, sorella del defunto.

Nei successivi capitoli di resa al principe, si specificò che le esequie di Estorre (poi sepolto nel cimitero del duomo di Monza, nel cui museo si conserva ancora oggi la sua spada) avrebbero dovuto tenersi a spese di Filippo Maria. Con quell’atto si regolarono i rapporti con i vari eredi di Bernabò ancora in vita, fra i quali figurava Francesco, figlio di Estorre, al quale furono assegnate possessioni per una rendita annua di 1600 fiorini (Frisi, 1794, II, p. 181; Villa, 1981, pp. 70 s.).

La morte di Estorre rappresentò la sconfitta di quel gruppo di potere ghibellino che sin dal 1403 aveva provato a chiudere i conti con l’eredità di Gian Galeazzo, proponendo una differente traiettoria politica per la Lombardia viscontea. Nella sua paziente ricostruzione del ducato Filippo Maria puntò al contrario in maniera decisa sulla valorizzazione dell’eredità paterna e godette, non a caso, del sostegno di quel composito – come è stato definito – «partito dello Stato» che trovava i suoi riferimenti ideali e materiali nel modello di governo del primo duca (Del Tredici, 2015, p. 33).

Fonti e Bibl.: Brescia, Biblioteca Queriniana, ms. H.IV.7, cc. 9r-10r, 11v-12v; Milano, Biblioteca Ambrosiana, ms. D59suss., c. 15r; A. Biglia, Rerum Mediolanensium historia, in RIS, XIX, Mediolani 1731, col. 36; C. Morbio, Codice Visconteo-Sforzesco ossia raccolta di leggi, decreti e lettere familiari dei duchi di Milano, Milano 1846, p. 90; Chronicon Bergomense guelpho-ghibellinum, a cura di C. Capasso, in RIS, XVI, 2, Bologna 1926-1940, pp. 155, 157, 160, 163, 168-176; G. Gatari - B. Gatari, Cronaca Carrarese, a cura di A. Medin - G. Tolomei, in RIS, XVII, 1, Bologna 1931, p. 236; B. Corio, Storia di Milano, a cura di A. Morisi Guerra, Torino 1978, pp. 1014 s., 1029.

A.F. Frisi, Memorie storiche di Monza e sua corte, Milano 1794, I, p. 191, II, p. 181; P. Litta, Visconti di Milano, ff. 9-12, Milano 1823, tav. V; G. Romano, Gian Galeazzo Visconti e gli eredi di Bernabò, in Archivio storico lombardo, XVIII (1891), 1, pp. 5-59, 2, pp. 291-341; F. Cognasso, Il ducato visconteo da Gian Galeazzo a Filippo Maria, in Il ducato visconteo e la Repubblica ambrosiana, in Storia di Milano, VI, Milano 1955, pp. 3-383 (in partic. pp. 89, 117, 120, 126); E.T. Villa, La vicenda di E. V., in Archivio storico lombardo, CVII (1981), pp. 41-76; A. Gamberini, Giovanni Maria Visconti, in Dizionario biografico degli Italiani, LVI, Roma 2001, pp. 352-357 (in partic. p. 355); F. Cengarle, Feudi e feudatari del duca Filippo Maria Visconti. Repertorio, Milano 2007, p. 194; F. Del Tredici, Il partito dello stato. Crisi e ricostruzione del ducato visconteo nelle vicende di Milano e del suo contado (1402-1417), in Il ducato di Filippo Maria Visconti, 1412-1447. Economia, politica, cultura, a cura di F. Cengarle - M.N. Covini, Firenze 2015, pp. 27-67 (in partic. pp. 32 s., 52, 55-57); F. Pagnoni, La difficile eredità ducale. Popolo e fazioni in Lombardia e nella Brescia malatestiana (1404-1421), in Archivio storico italiano, CLXXVI (2018), 4, pp. 645-676 (in partic. pp. 654 s.); F. Del Tredici, La libertà dei ghibellini. Fazione e dialettica costituzionale a Milano (secoli XIV e XV), in Gaspare Ambrogio Visconti e la Milano di fine Quattrocento, a cura di M.S. Albonico, in corso di stampa.

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