etica In senso ampio, quel ramo della filosofia che si occupa di qualsiasi forma di comportamento (gr. ἦθος) umano, politico, giuridico o morale; in senso stretto, invece, l’e. va distinta sia dalla politica sia dal diritto, in quanto ramo della filosofia che si occupa più specificamente della sfera delle azioni buone o cattive e non già di quelle giuridicamente permesse o proibite o di quelle politicamente più adeguate.
I filosofi nelle loro dottrine etiche hanno avuto di mira due differenti obiettivi, spesso ricercati congiuntamente. Da una parte si sono proposti di raccomandare nella forma più articolata e argomentata l’insieme di valori ritenuti più adeguati al comportamento morale dell’uomo; dall’altra hanno mirato a una conoscenza puramente speculativa del comportamento morale dell’uomo, badando non tanto a prescrivere fini, quanto a ricostruire i moventi, gli usi linguistici, i ragionamenti che sono rintracciabili nel comportamento etico. Nel 20° sec. è invalso l’uso di distinguere nettamente tra questi due indirizzi nella riflessione sulla morale, caratterizzando come e. una filosofia prevalentemente pratica, impegnata in difesa di determinati valori, e come metaetica una filosofia con pretese esclusivamente teoretiche e conoscitive, rivolta a ricostruire la logica e il significato delle nozioni in uso nella morale.
Alle origini dell’e. greca troviamo nei poemi omerici l’affermazione della superiorità di virtù, quali il coraggio e la pietà verso gli dei, adeguate alla vita del guerriero. In risposta alle esigenze di una società contadina troviamo invece, nelle opere di Esiodo, la prevalenza di virtù come l’operosità e la frugalità. Ai sette savi si fanno poi risalire una serie di massime in cui il bene morale viene legato alla ricerca personale di saggezza. Particolarmente vivace fu nella cultura ateniese del 5° sec. a.C. il dibattito sui fini della condotta umana. I sofisti sottolinearono l’origine umana e non divina dei valori, riconducibili all’imposizione o dello Stato o di gruppi di cittadini più forti, e, in contrasto con l’opinione più diffusa, sostennero la tesi dell’insegnabilità della virtù, impegnandosi a elaborare particolari tecniche retoriche volte a ottenere la persuasione a proposito della superiorità di determinati valori.
La ricerca sulla nozione di bene va considerata al centro dell’attività filosofica di Socrate, al quale si fa risalire il primo tentativo di definire la natura propria della virtù, mettendone in luce la non riducibilità alle mutevoli nozioni del bene: l’universale è essenzialmente l’universale etico, e cioè propriamente i concetti con cui si regolano e giudicano le azioni. Tra i socratici, chi meglio capì l’insegnamento del maestro fu Platone, per il quale il problema morale restò al centro della filosofia. Ma il concetto socratico trapassò nell’‘idea’, divenendo forma non più soltanto del mondo umano ma anche di quello naturale; e così l’unità del teorico e del pratico si ruppe. La frattura assunse forma sistematica nella concezione psicologica che contrapponeva, nell’anima, la parte razionale, sede della conoscenza, a quella irrazionale, sede degli affetti. Dall’accentuazione di uno dei termini dell’antitesi nacque il ripiegamento platonico sull’antica escatologia orfico-pitagorica, negatrice della vita presente per una vita oltremondana; la vita divenne distacco progressivo dal corpo dell’esule anima immortale, che nell’iperuranio aveva già contemplato le idee e ora, ricordandosene, aspirava a ritornarvi.
L’ampia trattazione etica di Aristotele (al quale si deve l’introduzione del termine e.) fu rivolta a fondare il bene non tanto su un’idea di perfezione assoluta, quanto piuttosto su una definizione della natura essenziale dell’uomo. Fine supremo della condotta umana è la felicità ( eudemonismo), che potrà essere raggiunta adeguando il comportamento alle esigenze proprie della natura umana. Una volta colto il carattere essenzialmente razionale dell’uomo, la felicità è fatta consistere nella vita secondo ragione. È solo con il prevalere delle facoltà razionali e con la realizzazione delle virtù dianoetiche (sapienza, scienza, intelligenza, arte, saggezza) che l’uomo può essere felice. Anche laddove sono gli impulsi sensibili a determinare le scelte è però possibile indicare una forma di comportamento virtuoso: avremo le diverse virtù etiche (coraggio, temperanza, liberalità, mansuetudine) che consistono nel dominare gli impulsi sensibili secondo un criterio del ‘giusto mezzo’ che esclude gli estremi viziosi.
Anche nell’e. post-aristotelica resta ferma la tendenza a identificare il bene supremo nel raggiungimento della felicità. L’edonismo di Epicuro fu anzitutto esigenza di liberazione dell’uomo dal timore di superiori fini, o volontà, che dominassero
Su una concezione religiosa totalmente nuova si fonda l’e. cristiana: essa è dominata dall’idea, predicata da Gesù di Nazaret, dell’ineffabile paternità di Dio innanzi al quale gli uomini sono tutti uguali e tutti fratelli. La regola di condotta evangelica, proprio perché esemplata sulla perfezione divina, si traduce in comandamento d’amore per gli altri; cade ogni distinzione etnica e sociale e l’incondizionato amore per il fratello, anche se nemico e peccatore, è il sommo comandamento. L’e. cristiana è un operoso donare sé stessi, senza nulla chiedere in cambio, solo in vista dell’attuazione del Regno che è sì dono di Dio, ma insieme meta cui l’uomo deve tendere. Inserita in un messaggio di universale riscatto, l’e. cristiana scopre una nuova dignità dell’uomo, chiama gli umili, gli incolti, i peccatori al più grande ideale di perfezione morale, rivela il senso del dolore e dell’amore, e pone a fondamento della nuova e. l’esempio del Cristo, il Figlio di Dio fatto uomo che, incarnandosi e morendo in croce, riscattò gli uomini donando loro «il potere di diventare figli di Dio» (Giov. 1, 12).
Inserendosi nella tradizione e nella civiltà del mondo mediterraneo, il cristianesimo doveva necessariamente misurarsi con
Nell’Umanesimo e nel Rinascimento l’accentuarsi degli interessi ‘civili’, la polemica contro aspetti della spiritualità medievale (l’ascetismo in particolare), la rivendicazione di un fare politico autonomo rispetto alla legge morale, il ritorno ai filosofi antichi, riportano al centro delle discussioni sull’uomo e sul suo comportamento temi dell’e. classica. Si ricordi l’esaltazione della virtus come attività puramente umana e civile, che accetta i limiti terreni e si distacca da ogni preoccupazione metafisica: l’affermazione di questa virtus è alla base di ogni celebrazione umanistica della dignitas hominis, e trova il suo massimo riconoscimento in
La ricerca del piacere e della propria conservazione torna in T. Hobbes, che ne fa l’impulso più forte nella natura umana: gli obblighi morali non riconducibili alla tendenza individuale al piacere sono il risultato delle imposizioni della forza statuale che mira, attraverso queste norme, alla conservazione della pace sociale. Contro la dottrina hobbesiana reagirono gli esponenti della scuola neoplatonica di
Nella filosofia inglese del 18° sec. a porsi in primo piano è piuttosto la questione dell’identificazione del criterio o facoltà che permette agli uomini di distinguere tra vizio e virtù. Già in A. Shaftesbury il recupero dell’e. stoica e l’affermazione, in contrasto con l’e. ‘egoistica’ di Hobbes, della presenza nella natura umana di un ‘senso morale’ si congiungono con il riconoscimento che il comportamento virtuoso deriva da una benevolenza universale. La tesi di una radice sentimentale delle distinzioni morali verrà ripresa da F. Hutcheson,
Un fondamento razionale alle distinzioni etiche daranno invece autori come
In polemica con l’e. utilitaristica, per
In polemica contro alcune tesi centrali dell’e. idealistica, S. Kierkegaard sostiene l’irriducibile individualità della scelta etica, contrapponendo poi la sfera della vita morale, caratterizzata dalla continuità e dall’impegno per l’universalità, alla vita estetica, dominata dal caso, e alla vita religiosa, come ‘scandalo’ e superamento della dimensione della società. In senso anti-hegeliano A. Schopenhauer presenta una morale in netta antitesi con la storia e la società: fine della condotta etica non è l’integrazione nella tradizione, ma piuttosto la negazione completa dei bisogni naturali fino all’annullamento di ogni desiderio e al più completo ascetismo. In F. Nietzsche contro i valori, accettati dall’e. cristiana e socialista dell’altruismo, del livellamento, della sottomissione, si propone una scelta ‘immoralistica’ in nome della volontà di potenza, dell’autoaffermazione e della completa liberazione degli istinti.
Di natura completamente diversa è lo sviluppo della riflessione sull’e. nella cultura inglese, in cui prevale l’accettazione del principio utilitaristico che vede la condotta morale nella realizzazione della maggiore felicità per il maggiore numero di persone. All’interno dell’e. utilitaristica del 19° sec. si tenterà principalmente di determinare con maggiore precisione il calcolo dei piaceri richiesto dall’applicazione del principio dell’utilitarismo. Così, mentre con
Alla seconda metà del 19° sec. risale il tentativo di
4. La riflessione sull’e. nel 20° secolo
Nella riflessione filosofica del 20° sec. l’obiettivo di proporre una ben precisa tavola di valori passa in secondo piano, rispetto al tentativo di caratterizzare le condizioni proprie dell’esperienza morale. L’eredità di Comte fu al centro dell’opera di
A ricostruire la genesi psicologica della morale sono rivolte alcune analisi di
In ambito anglosassone, il discorso etico di G.E. Moore, basato sull’intuitività e l’oggettività dei giudizi morali, è stato messo in discussione dalla critica neopositivistica, rappresentata soprattutto da A.J. Ayer. Secondo Ayer il linguaggio etico non è riducibile in schemi logici, in quanto non si rintracciano in esso né proposizioni puramente logiche né proposizioni fattuali: esso è dunque linguaggio che convoglia emozioni puramente soggettive. Di fronte all’impossibilità di ricomprendere nell’ambito della filosofia neopositivistica qualsiasi discorso di tipo non strettamente scientifico, quello etico in particolare, si è tentato, soprattutto in
5. Il ritorno all’e. normativa
Dopo la lunga stagione in cui si è ritenuto che la riflessione filosofica di tipo etico dovesse limitarsi all’analisi del linguaggio morale, l’ultimo trentennio del 20º sec. ha visto una svolta radicale verso concezioni di tipo normativo, che intendono cioè affermare la natura prescrittiva e oggettiva delle richieste della morale. Il nucleo comune di questo orientamento sta nel concepire l’e. come una teoria che risponde a questioni pubbliche, legate alla tematica della giustizia o dell’accettabilità delle istituzioni politiche da un punto di vista morale. L’opera che ha inaugurato questa fase è A theory of justice (1971) dove J. Rawls propone una particolare forma di neocontrattualismo che ha egemonizzato la discussione teorica degli anni 1970 e 1980. La svolta teorica di Rawls consiste nel mettere da parte l’insieme di questioni che avevano caratterizzato la fase metaetica. La vita morale in quanto tale va caratterizzata per Rawls secondo una prospettiva deontologica, che ha a che fare con l’esposizione di alcuni principi in grado di suggerire una soluzione adeguata alle principali questioni di giustizia che si devono affrontare nella sfera pubblica. Due sono i principi al centro della teoria della giustizia: il principio di salvaguardia della libertà e dell’autonomia di ciascun individuo e il principio di ‘differenza’ o equità, secondo cui oneri, premi e limitazioni possono essere accettati sul piano sociale solo se rivolti a migliorare le condizioni dei più svantaggiati, e dunque a rendere più eque le istituzioni che governano la vita associata. Ulteriori e successive aggiunte di Rawls specificavano: l’indicazione di un ordine ‘lessicale’ tra i principi di giustizia, ossia un ordine che vincola e subordina il principio di differenza al principio di libertà; l’enunciazione della regola del maximin, ossia il criterio per cui in situazioni di incertezza bisognerà sempre privilegiare l’esito meno negativo per coloro che si trovano nelle condizioni peggiori; la tesi della completa neutralità delle istituzioni politiche e delle loro regole ispiratrici rispetto alle diverse concezioni della vita buona.
Numerosi sono stati i tentativi di elaborare concezioni alternative a quella di Rawls. R. Nozick ha proposto una teoria etica delle istituzioni pubbliche che ritiene necessario evitare qualsiasi ingerenza statale nella sfera dell’autonomia individuale. Una serie di pensatori contesta poi le premesse individualistiche e per così dire liberali della teoria morale di Rawls. Questa contestazione si spinge più o meno in profondità, dando talvolta luogo a prospettive alternative, come nel caso, per es., della cosiddetta e. comunitaria. Influenti esponenti del comunitarismo, quali A. C. MacIntyre e C. Taylor, hanno contrapposto a Rawls una prospettiva che mette al centro dell’e. non tanto la giustizia quanto l’idea di bene. Altri pensatori si sono impegnati in una riformulazione dell’e. utilitaristica. J.C. Harsányi ha conciliato utilitarismo e teoria della scelta razionale, mettendo al centro del calcolo non più stati d’animo come il piacere o il dolore, ma le preferenze personali. J.J.C. Smart ha cercato di riproporre un utilitarismo edonistico e dell’atto, rivisitandone criticamente i fondamenti. Ancor più marcato è lo sforzo con cui R. M. Hare si è impegnato a rielaborare l’utilitarismo in una forma di moralità maggiormente in grado di soddisfare il requisito di autonomia dell’e. e la sua natura logica in quanto insieme di prescrizioni universalizzabili. Infine, R. B. Brandt ha sviluppato la dottrina utilitaristica in una prospettiva volta a caratterizzare la moralità come qualcosa che verrebbe accettato da uno spettatore ideale pienamente informato, suggerendo che l’utilitarismo è l’unico criterio etico in grado di individuare quell’insieme di norme che accetteremmo di porre alla base di una sorta di società ideale.
Le concezioni utilitaristiche sono state però ampiamente criticate. R.M. Dworkin, per es., ha denunciato l’incapacità dell’utilitarismo di rendere conto del tratto etico più caratteristico della nostra epoca, ovvero la piena salvaguardia del diritto di ciascun individuo a non essere discriminato o limitato nella propria autonomia. Le critiche all’utilitarismo in nome dei diritti documentano già il mutamento di prospettiva verificatosi negli anni 1980 in seno all’e. teorica verso la dimensione della cosiddetta e. applicata. Tale mutamento va di pari passo con il passaggio dalle questioni della giustizia distributiva a un insieme di temi che coinvolgono più da vicino il riconoscimento di diritti individuali di libertà e la sfera privata delle vite degli agenti morali.
L’esigenza di sviluppare una teoria etica in grado di fondare i diritti morali individuali viene soddisfatta nelle più diverse maniere anche nelle culture filosofiche dell’Europa continentale. Così, la filosofia di lingua tedesca, in particolare attraverso gli strumenti dell’ermeneutica, ha cercato di realizzare una fondazione/">fondazione universalistica dei diritti e più radicalmente delle regole e delle norme morali. K.O. Apel si è particolarmente impegnato a connettere la sua analisi pragmatica del discorso alla nozione morale di responsabilità. L’e. di Apel si basa sulla tesi che tanto la comunità universale della comunicazione quanto le condizioni intersoggettive dell’argomentazione razionale presuppongono l’osservanza di una ben precisa norma morale, da intendersi come un dovere specifico che esige il riconoscimento degli stessi diritti a tutti i membri della comunicazione. Sulla stessa linea procede
Verso la fine del 20° sec. si afferma l’esigenza che la riflessione etica offra suggerimenti utili per risolvere i nuovi problemi morali suscitati dalle grandi trasformazioni che gli sviluppi della ricerca scientifica e della tecnologia hanno prodotto nelle società occidentali. Per la prima volta si pongono alla condotta umana alcune drammatiche alternative morali riguardanti la cura delle malattie, i modi di nascere e di morire. All’interno del nuovo orientamento di e. pratica o applicata vanno così consolidandosi vari settori di analisi, come l’ e. medica, dalla millenaria tradizione ippocratica, edificata sul rispetto del principio bonum faciendum, malum vitandum, posto a fondamento della relazione medico-paziente. Tuttavia, pur occupandosi da sempre degli aspetti morali connessi all’esercizio della pratica medica, alla luce dei nuovi complessi scenari in cui il medico può essere chiamato a valutare implicazioni e conseguenze di scelte nell’ambito di delicati settori, come la sperimentazione sull’uomo, la gestione delle situazioni di fine vita, il consenso informato, l’e. medica si ridefinisce (➔ bioetica).
Si vanno consolidando anche altri ambiti di ricerca su nuove questioni etiche. Le conseguenze più o meno negative dello sviluppo tecnologico sulle relazioni tra l’uomo e l’ambiente naturale hanno dato corso a un’estesissima letteratura concentrata sulle questioni della cosiddetta e. ambientale. Le diverse concezioni sviluppatesi in quest’area possono essere distinte a seconda che giungano a individuare le regole che devono presiedere al rispetto della natura sulla base di una considerazione prevalentemente antropocentrica della moralità, o si spingano invece a radicare tale rispetto in una forma più o meno profonda di ecologismo, che considera la natura stessa fornita di diritti e dotata dunque di un intrinseco valore morale. Non meno ampia è stata l’elaborazione di teorie volte a porre un limite a una condotta irresponsabile nei confronti delle risorse limitate a disposizione sulla Terra, facendo appello alle responsabilità delle generazioni attuali nei confronti di quelle future.
Anche le questioni etiche relative al trattamento degli animali sono state ampiamente affrontate con un’attenzione del tutto nuova. Il diffuso interesse per le questioni etiche riguardanti il modo di rapportarsi agli animali può essere visto come una presa d’atto delle inutili crudeltà a essi inflitte in conseguenza dell’uso di nuove tecniche, nell’ambito della produzione industriale del cibo e nella sperimentazione a fini farmaceutici o per il perfezionamento di beni di consumo. In quest’area di riflessione molto influente è stata la forma di e. utilitaristica di
Come sviluppo e specializzazione della lunga riflessione degli ultimi secoli sugli intrecci tra moralità e decisioni economiche va poi vista quell’area dell’e. applicata comunemente designata e. degli affari. Obiettivo di quest’ambito di ricerca è di rendere esplicita la portata delle relazioni più propriamente morali nell’ambito dell’organizzazione delle imprese impegnate nelle attività produttive. Viene così sistematicamente approfondito il ruolo dei rapporti fiduciari, della reputazione e dei riconoscimenti di autorità di tipo morale per il buon funzionamento della vita delle aziende.
Il dibattito teorico sull’e. è stato ulteriormente arricchito dalle proposte emerse dal cosiddetto pensiero delle donne. Le questioni discusse in quest’area vengono elaborate su un piano più o meno alternativo, giungendo nelle correnti più radicali sino a contestare nei suoi stessi fondamenti la concezione morale tradizionale. Da una parte vi è chi, come