Etnologia
L'etnologia (dal greco ἔθνος, "popolo", e λόγος, "discorso", letteralmente "studio dei popoli"), sorta intorno alla metà dell'Ottocento come raccolta sistematica e studio metodico di testimonianze delle culture allora classificate 'primitive', è andata progressivamente assumendo il carattere di disciplina autonoma nell'ambito delle scienze dell'uomo; si è così distinta dall'indirizzo antropologico dominante in quell'epoca, basato su un approccio di tipo fisico-biologico, attento soprattutto agli aspetti anatomici e fisiologici delle differenze fra le popolazioni. Condividendo con l'antropologia culturale (v.) l'oggetto di studio (tecniche, costumi, credenze, forme della vita sociale, politica, religiosa ecc.), l'etnologia si occupa prevalentemente dei fenomeni di origine, diffusione, contatto dei sistemi culturali, al fine di acquisire una conoscenza scientifica dei modi di vita dei popoli, dei loro caratteri distintivi e della loro distribuzione geografica, della struttura e dell'evoluzione delle società.
sommario: 1. Uomini diversi, costumi diversi. 2. I selvaggi visti da vicino. 3. Corpi umani e corpi sociali. 4. Gli altri e noi. □ Bibliografia.
1. Uomini diversi, costumi diversi
La terminologia scientifica tra Ottocento e Novecento registra una considerevole imprecisione nell'impiego di designazioni quali etnologia e antropologia, con oscillazioni, discordanze e mutamenti di significato, a seconda dei diversi contesti, dei periodi storici e delle tradizioni scientifiche di ciascun paese. Il sorgere delle prime società scientifiche, nella prima metà del 19° secolo, rivela incertezze, indeterminazioni e ambiguità terminologiche, che si manifestano in una generale interscambiabilità dei termini. Non si tratta, però, soltanto di un'ambiguità lessicale. Le implicazioni teoriche, filosofiche e ideologiche cristallizzate intorno a questi vocaboli determinano anche il sorgere di conflitti e opposizioni in seno al mondo scientifico: opposizione tra fautori del monogenismo, ossia della concezione secondo la quale le diverse razze umane potevano essere intese come diversi rami sviluppatisi a partire da un unico tronco originario, e fautori del poligenismo, che le intendeva come il risultato di origini e processi di sviluppo indipendenti; inoltre, conflitto tra una concezione dello studio della cultura più legata alle discipline umanistiche e storiche e, di conseguenza, alla filosofia e una concezione che si richiamava alla storia naturale e ai metodi rigorosi delle scienze della natura. In quel periodo, le scienze dell'uomo risentivano ancora profondamente dell'eredità settecentesca e si basavano su un intreccio di interessi biologici e sociologici. Quando ci si riferiva alla varietà degli esseri umani si sottolineava innanzitutto la diversità nell'aspetto fisico, le differenze visibili tra i corpi degli europei e quelli degli abitanti degli altri continenti: tuttavia, spesso si confondevano i caratteri propriamente biologici (come, per es., il colore della pelle, le caratteristiche dei capelli, le dimensioni e le proporzioni del corpo ecc.) con aspetti culturali (come, per es., i costumi, il modo di vestire, di costruire le abitazioni ecc.), psicologici e morali. I diversi gruppi umani potevano così venire classificati secondo una tipologia che comportava la distinzione in razze, popoli, tribù, poi più recentemente culture, gruppi etnici, gruppi sociali.
Mentre nell'etnologia ottocentesca si pensava semplicemente che i diversi criteri usati per distinguere un tipo umano dall'altro (criteri biologici, geografici, linguistici, culturali) coincidessero, nel corso del Novecento si è spostato sempre più l'accento verso la dimensione socioculturale, che è venuta a costituire l'oggetto proprio dell'etnologia, mentre le caratteristiche fisiche divenivano il terreno proprio dell'antropologia fisica. Durante tutto il periodo evoluzionistico (seconda metà del 19° secolo), tuttavia, si poteva scorgere nel pensiero etnologico un'impercettibile accentuazione della concezione biologistica contro quella culturalistica, anche quando questa impostazione non si risolveva in un aperto e dichiarato atteggiamento razzistico (Harris 1968). La diffusa credenza nella superiorità dell'europeo, nonché della civiltà da lui creata, era fondata su una particolare combinazione di elementi, che derivava in parte dalla classificazione biologica delle razze umane e in parte dalla considerazione dell'ineluttabilità dei processi di evoluzione storica e sociale. L'uomo europeo era considerato innanzitutto superiore agli altri esseri umani in virtù delle sue caratteristiche biologiche, che lo distinguevano dalle altre forme, imperfette, immature o degenerate, di umanità. Inoltre, egli era ritenuto superiore, in quanto portatore di una civiltà più elevata, la quale aveva raggiunto, durante l'intera storia dello sviluppo umano, i livelli più eccelsi e le conquiste più mirabili.
2. I selvaggi visti da vicino
Il consolidarsi dell'etnologia moderna, sia negli Stati Uniti sia in
Gli aspetti che erano stati oggetto iniziale di curiosità per la nascente etnologia, le strane forme in cui il corpo veniva impiegato e manipolato presso i popoli esotici, vennero visti come comportamenti sociali ai quali i ricercatori sul campo dedicarono particolare attenzione. Mutilazioni rituali, come la circoncisione e simili pratiche effettuate durante lo svolgimento di riti di iniziazione, ma anche semplicemente la decorazione dei corpi, la rasatura dei capelli, la perforazione delle orecchie, l'abbigliamento, la pittura, si rivelavano momenti sociali importanti e complessi, aventi strette relazioni con determinate situazioni collettive, con particolari tipi di rapporti sociali, con specifiche fasi del ciclo vitale di uno o più individui. Il corpo e il suo trattamento divenivano quindi una sorta di specchio delle situazioni sociali in cui individui e gruppi erano coinvolti, ed esprimevano, tanto per l'osservatore esterno quanto per gli stessi partecipanti, in linguaggio simbolico, una quantità di messaggi socialmente rilevanti, che dovevano essere decodificati e interpretati, al fine di giungere a una più completa comprensione di un determinato fenomeno culturale (v. anche cultura).
Analogamente, R. Radcliffe-Brown (1922), nella sua ricerca fra gli abitanti delle
3. Corpi umani e corpi sociali
La stretta connessione posta dagli etnologi tra corpo umano e società conduce non solo a vedere il corpo come un prodotto sociale, come immagine e luogo in cui si riflettono le dinamiche delle relazioni interpersonali, ma anche a interpretare la stessa società come un corpo, un insieme integrato e funzionale. È la cosiddetta analogia organica, che è tipica specialmente degli autori che si richiamano alla prospettiva funzionalistica: secondo questa la società può essere analizzata alla stregua di un organismo, in cui le varie parti costituiscono un complesso ordinato, all'interno del quale ciascuna svolge la sua funzione. Questa concezione deriva soprattutto da É. Durkheim (1912), che considerava la società essenzialmente come un sistema di forze sovraindividuali. Attualmente gli antropologi adottano in genere concezioni più sfumate: la società non viene vista tanto come un organismo né come un sistema stabile, quanto piuttosto come qualcosa di complesso e di fluido, costituito da reti di interazione, scambio e comunicazione, in cui, oltre agli aspetti di permanenza e continuità, assumono un rilievo determinante i fenomeni di conflitto e di mutamento (Remotti 1993).
L'etnologia ha messo in luce l'influenza della società su nozioni come quelle di purezza e di tabu, sui sistemi simbolici e classificatori, sulle categorizzazioni del mondo animale (Douglas 1966, 1970). In particolare, i simboli tratti dal mondo naturale (il corpo umano, il sangue, il respiro, la saliva, gli escrementi) sono sempre caricati di uno specifico significato sociale, che cambia a seconda del tipo di società preso in esame, perché ciascun gruppo umano opera una selezione tra le forme e le immagini messe a sua disposizione dalla natura e ne trasceglie alcune per elaborare una varietà di espressioni simboliche e rituali. Inoltre, gli stessi fenomeni percettivi, le categorie attraverso le quali si descrivono quelli che sembrano dati immediati della coscienza si rivelano come influenzate e modellate dal sistema culturale in cui gli individui sono nati e cresciuti. Una lunga controversia ha visto, per es., confrontarsi etnologi e linguisti sui sistemi di classificazione dei colori: da una parte coloro che ritenevano che la scelta di termini e di criteri di distinzione siano puramente arbitrari, frutto di convenzioni culturali specifiche, dall'altra coloro che sottolineavano l'esistenza di limiti psicobiologici, che pongono determinati vincoli alla percezione e all'esperienza (Berlin-Kay 1970; Sahlins 1976). La maggior parte degli studiosi è comunque d'accordo sul fatto che l'esperienza, la percezione, le emozioni acquistano senso e valore soltanto se filtrate attraverso griglie predisposte dalla cultura, tanto che "senza i modelli di guida della cultura umana [...] l'uomo, letteralmente, non saprebbe che cosa sentire" (Geertz 1962, p. 47). Il comportamento umano, infatti, è sempre guidato e diretto da sistemi organizzati di significati simbolici e gli esseri umani devono imparare come provare sentimenti nei confronti degli oggetti o di altre persone: l'espressione è mediata da immagini collettive che si ritrovano nei rituali, nei miti, nelle opere d'arte e in altri prodotti culturali (Geertz 1973).
A questo proposito, gli etnologi hanno posto in luce l'importanza delle forme di comunicazione non verbale (Bateson 1973) nella trasmissione di messaggi socialmente rilevanti, che possono esprimersi nella gestualità, nella disposizione delle persone nello spazio le une in rapporto alle altre, in forme specifiche di comportamento, quali, per es., le attività cerimoniali, le attitudini di saluto o di rispetto, le buone maniere a tavola. Particolare attenzione è stata poi rivolta dagli etnologi alla danza e alla musica (Hanna 1977), in quanto peculiari varietà di comportamento non verbale socialmente rilevanti, che spesso producono particolari condizioni emotive nei soggetti coinvolti: stati di trance, di esaltazione, di perdita della coscienza, di alterazione delle facoltà cognitive e percettive. Tutti questi fenomeni rivelano come nelle diverse società umane anche le funzioni corporali più elementari, quali il ridere e il piangere, il mangiare, il muoversi, lo stare accanto a un'altra persona siano intrise di significati culturali e sociali, esprimano sempre qualcosa circa le relazioni fra individui, i rapporti di parentela e di potere, le credenze e i valori particolari di un determinato gruppo umano. Come ha mostrato
4. Gli altri e noi
L'etnologia è nata come il prodotto di un particolare momento nella storia del pensiero occidentale, in cui si pensava che la scienza avesse la capacità di osservare, descrivere, spiegare e interpretare qualsiasi fenomeno della natura e della società, ivi comprese le caratteristiche culturali dei popoli dei continenti extraeuropei, che venivano definiti primitivi, selvaggi, senza storia o senza scrittura ecc. Questo atteggiamento rendeva naturale e indiscutibile il presupposto che esistesse una distinzione originaria e determinante tra la società osservante, quella occidentale moderna, e le società oggetto di osservazione e di studio scientifico. In tempi recenti questi presupposti e queste certezze sono stati messi sempre più spesso in discussione. Gli stessi oggetti della riflessione etnologica si sono modificati e hanno perso gran parte della loro definibilità e circoscrivibilità immediata: popoli, gruppi sociali ed etnici sono formazioni soggette a continue trasformazioni e riadattamenti, a contatti e interrelazioni che si modificano nel corso del tempo (Remotti 1990). Oggi si tende a impiegare sempre meno il termine etnologia, quasi fosse il relitto di una fase superata della storia delle discipline che si occupano dell'uomo. Sarebbe sbagliato, tuttavia, pensare che essa non abbia più alcun ruolo da svolgere. Nel corso degli anni gli etnologi hanno raccolto un'immensa quantità di documentazione, di informazioni e di osservazioni, hanno accumulato un numero sterminato di oggetti, di documenti visivi e sonori che testimoniano di una infinita varietà di costumi e tradizioni appartenenti ai popoli più diversi e più lontani, provenienti da ogni angolo della Terra. Questo materiale, frutto della fatica e degli sforzi di centinaia di ricercatori, costituisce un patrimonio prezioso di conoscenza dei diversi modi in cui gli esseri umani hanno creato le proprie istituzioni, si sono posti in relazione gli uni con gli altri, hanno impiegato il proprio corpo per esprimere valori e credenze, vi hanno impresso i propri simboli, ne hanno sondato le qualità e le possibilità; certamente, ovunque gli uomini si sono posti domande sul significato e sulla natura dell'essere umano e hanno cercato di fornire una risposta. L'etnologia non si situa dunque in una posizione privilegiata, che le permetta di osservare e di giudicare, con illusoria imparzialità e distacco, le risposte date da altre culture a quegli interrogativi che sono all'origine della sua stessa nascita e del suo sviluppo. Essa ha tuttavia il merito di aiutarci ad avere un orizzonte più ampio, di rammentarci che, nel tentare di fornire una nostra risposta a questi problemi, non possiamo ignorare le molteplici voci che, grazie al lavoro dell'etnologia, ci giungono da ogni parte, anche dagli angoli più remoti del nostro mondo.
bibliografia
B. Berlin,P. Kay, Basic color terms,
R. Biasutti, Le razze e i popoli della terra, 4 voll.,
Id., Natural symbols, London, Routledge, 1970 (trad. it. Torino, Einaudi, 1979).
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Id., The interpretation of cultures,
J.L.H. Hanna,To dance is human, in Anthropology of the body, ed. J. Blacking, London, Academic Press, 1977, pp. 211-32.
M. Harris, The rise of anthropological theory, New York, Crowell, 1968 (trad. it. Bologna, Il Mulino, 1971).
B. Malinowski, The sexual
R. Radcliffe-Brown, The Andaman islanders,
F. Remotti, Noi, primitivi: lo specchio dell'antropologia, Torino, Bollati
Id., Luoghi e corpi: antropologia dello spazio, del tempo e del potere, Torino, Bollati Boringhieri, 1993.
Right and left. Essays on dual symbolic classification, ed. R. Needham, Chicago, University of Chicago Press, 1973.