FIERAMOSCA, Ettore

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 47 (1997)

FIERAMOSCA, Ettore

Felicita De Negri

Primogenito di Raynaldo, nobile capuano; ne è ignota la data di nascita, precedente comunque al 1479, quando nacque il secondogenito Guidone. Il padre del F., e prima di lui il nonno Rossetto, erano stati uomini d'arme, al servizio dei sovrani aragonesi di Napoli.

Il F. fu allevato alla corte di Ferrante I d'Aragona; la sua presenza è documentata sin dal 1492, anno al quale risale il primo pagamento in suo favore di 10 ducati mensili. Se ne può dedurre che egli prestasse servizio come paggio, secondo un costume diffuso fra i rampolli delle nobili famiglie. La morte di Ferrante e il deteriorarsi della situazione politica e militare del Regno non valsero a rompere i legami fra i Fieramosca e la dinastia aragonese. Infatti alla discesa di Carlo VIII ne condivisero le sorti, mentre altri uomini d'arme, fra cui Pompeo e Fabrizio Colonna, mutarono bandiera. L'ipotesi di una partecipazione del F. all'assedio di Gaeta (in cui morì il padre), che pure da taluni è stata formulata, non trova riscontro nelle fonti. Tuttavia egli, divenuto nel frattempo capitano dei balestrieri, trovò modo di distinguersi nella guerra che le forze aragonesi intrapresero contro i Francesi alla partenza di Carlo VIII dal Regno. Lo conferma l'elargizione con cui Ferrante II, una volta ritornato sul trono, volle gratificarlo: i feudi di Roccadevandro e Camino, già appartenenti a Federico di Monforte, che si era schierato a favore dei Francesi.

Il favore del trono per il F. proseguì immutato anche sotto il nuovo monarca, Federico, che si servì di lui nel maggio 1497. inviandolo ad Ascoli. Non sappiamo se in quella circostanza il compito del F. fosse di natura diplomatica o militare; l'incarico è comunque da porre in relazione con la guerra che Alessandro VI andava conducendo nelle Marche agli Orsini.

La contesa politico-militare per la corona di Napoli attraversava intanto una fase di stallo: gli Aragonesi erano, almeno in teoria, padroni del Regno, ma i Francesi restavano saldamente attestati a Sora, Isola e Roccadevandro. Accordatisi (11 maggio 1500) ai danni dell'ignaro Federico con gli Spagnoli, fino a quel momento presenti nel conflitto in veste di soccorritori della monarchia aragonese, i Francesi mossero alla conquista della capitale; una parte delle truppe fedeli al sovrano, al comando di Fabrizio Colonna, si asserragliò in Capua; fra gli altri, anche il F. con il fratello Guidone. Presa Calvi dagli invasori il F. assaltò il castello e ne scacciò gli occupanti (13 luglio 1501). Nonostante questo successo, Capua fu presa (24 luglio 1501). A Federico non restò che partire per Ischia e di lì in Francia, dove chiese asilo all'antico nemico.

Stando alla testimonianza del Galateo, il F. avrebbe accompagnato l'ex sovrano nell'esilio francese; di conseguenza, in patria fu considerato "ribelle" dalla fazione angioina vittoriosa e, in quanto tale, gli furono sequestrati la rendita della gabella nuova (20 genn. 1502) e i feudi di Roccadevandro e Camino, che ritornarono a Federico di Monforte. Senonché, caduti in mano spagnola gli ultimi caposaldi aragonesi, molti dei condottieri dello spodestato Federico, giudicando ormai vana ogni speranza di riscossa, passarono al servizio di Consalvo di Cordoba, comandante dell'esercito del Cattolico. I capitoli dell'accordo fra il "gran capitano" e i Colonna, Pompeo e Fabrizio, furono conclusi il 7 sett. 1502 e l'inizio della milizia spagnola del F. non dovrebbe essere di molto posteriore.

Risale allo stesso periodo di tempo il suo ingresso nella corte napoletana di sua maestà cattolica; la posizione di cortigiano valse al F. la provvisione di 650 ducati annui. Rimane traccia di un pagamento a suo favore (maggio 1503) di 120 ducati "per suo nutrimento", corrisposto, secondo un uso all'epoca diffuso, sotto forma di tessuti pregiati: "velluto nigro", "damasco" e sete colorate.

L'accordo intervenuto fra Francesi e Spagnoli per la spartizione del Regno non tardò a mostrare la sua fragilità, con il risultato di accendere una nuova, aspra contesa fra le due potenze rivali. Principale teatro della guerra fu la Puglia: asserragliatosi Consalvo in Barletta, l'esercito avversario, dopo aver lasciato trascorrere più di un mese nell'incertezza, mosse anch'esso alla volta della città pugliese. Obiettivo dei Francesi era non già di assalire Barletta - nonostante essa avesse una debole difesa muraria - ma piuttosto di attirare Consalvo in campo aperto, ciò che avrebbe permesso di sfruttare al meglio la propria superiorità numerica. Invano, giacché gli Spagnoli ben compresero la manovra: ai Francesi non restò allora che disseminarsi su di un territorio amplissimo, da Cerignola a Terlizzi, e tentare con continue scorrerie di intralciare il flusso di viveri al caposaldo nemico. Gli uomini del gran capitano, dal canto loro, contrastarono l'azione dell'avversario mediante improvvise sortite di piccoli manipoli di cavalleria leggera. Ebbe inizio così una guerra fatta di scorrerie, di colpi di mano, di stratagemmi, con episodi di sfide e duelli in cui si affrontavano i cavalieri delle opposte fazioni.La famosa disfida di Barletta (13 febbr. 1503) non si discosta per tipologia da consimili episodi guerreschi che l'avevano preceduta. La celebrità di cui essa ha goduto discende dal significato di difesa dell'onore nazionale che si è voluto attribuire alla contesa, nella quale tredici campioni italiani, capitanati dal F., si batterono vittoriosamente contro altrettanti cavalieri francesi, al fine di vendicare le offese di G. de La Motte al valore militare degli Italiani. Prospero Colonna, che ebbe da Consalvo l'incarico di sovrintendere alla questione, scelse tredici combattenti fra i più valorosi delle sue bande. Il comando toccò al F., che già aveva tentato, inutilmente, di incontrare in singolar tenzone il signor de Froment, anch'egli autore di frasi ingiuriose all'indirizzo degli Italiani.

Ai fini del confronto fra Francesi e Spagnoli per il possesso del Regno, la disfida non ebbe alcuna efficacia risolutiva. Ben più determinante fu invece la battaglia di Cerignola, il 28 apr. 1503. Il F. partecipò con i Colonna, il duca di Termoli e altri condottieri napoletani al consiglio di guerra che si tenne dopo l'uscita da Barletta per decidere se assalire i Francesi o proseguire alla volta di Cerignola. In seguito prese parte al combattimento, militando nella cavalleria pesante agli ordini di Prospero Colonna. Sconfitti i Francesi, il 13 maggio Consalvo occupò Napoli. Il F. non era al suo seguito perché impegnato nell'inseguimento del principe di Salerno, che, dopo aver sostato in Aversa l'8 maggio, si era diretto verso Capua e l'aveva occupata. Al comando di 500 cavalieri e 100 fanti, vi entrò a sua volta il 10, cacciandone i Francesi. La guerra continuò nelle valli del Garigliano. Il F. colse l'occasione per strappare a Federico di Monforte le terre di Roccadevandro e Camino, già da lui infeudate. Contro il castello di Roccadevandro, ben munito, mosse Fabrizio Colonna il 23 ottobre con 1.500 fanti e sei pezzi di artiglieria; il Monforte, molto più debole e privo di aiuti, fu costretto ad arrendersi. Il 3 genn. 1504, con la resa di Gaeta, la conquista del Regno si poteva considerare compiuta. In quelle circostanze il F. toccò i vertici della sua fortuna. Il Cattolico, oltre ad infeudarlo delle terre di Miglionico, con il titolo di conte, e di Aquara, gli conferì il possesso di Mignano, Roccadevandro, Camino e Camigliano e della gabella nuova di Capua. Fu poi designato ad accompagnare Prospero Colonna nella spedizione che conduceva in Spagna Cesare Borgia. L'università di Capua colse l'occasione per conferirgli l'incarico di intercedere a suo favore presso il sovrano, perché le confermasse alcuni privilegi. Il F. adempì al suo compito: i privilegi furono concessi ed anzi il sovrano in una sua lettera ordinò all'università di dare piena fede alle cose che il F. avesse riferito. La partenza per la Spagna era avvenuta, secondo notar Giacomo, il 7 ag. 1504; il F. e gli altri ritornarono quasi un anno più tardi (7 apr. 1505).

Comincia, a questo punto, il periodo più oscuro nella vita del Fieramosca. Costretto a rinunciare, in base all'accordo stretto fra il Cattolico e Luigi XII con la pace del 1505, a Roccadevandro e Camino, già feudi del Monforte, e a Miglionico, che ritornò sotto il dominio del principe di Bisignano, non risulta dai documenti che fosse stato indennizzato con nuove terre. Sembra invece che dovesse accontentarsi della rendita di 600 ducati sui fiscali di Civitella d'Abruzzo, somma notevolmente inferiore a quella da lui goduta per i beni feudali che gli venivano sottratti. Di fronte alla sua ferma opposizione, il sovrano lo avrebbe fatto rinchiudere in un castello. Alla fine, comunque, il F. fu costretto a cedere e ad accontentarsi della magra contropartita. Non gli sarebbero state risparmiate, di conseguenza, difficoltà economiche, in seguito alle quali vendette il feudo di Camigliano e poi quello Aquara a Giulio de Scortiatis (1512). D'altra parte, però, egli avrebbe manifestato con chiarezza il suo scontento, rifiutandosi di combattere oltre per le armi spagnole.

In effetti il F. ricercò altrove un ingaggio, offrendo sin dal 1506 (16 marzo) i suoi servigi al marchese di Mantova; dell'aprile 1510 è invece una sua analoga offerta alla Repubblica di Venezia, a sostegno della quale, in una lettera alle autorità veneziane, il F. ricordava le benemerenze proprie - in particolare la partecipazione alla disfida - e quelle dell'avo Rossetto, che era stato al soldo della Serenissima durante la guerra di Ferrara. Chiedeva per sé una condotta di 100 uomini d'arme, altrettanti cavalieri leggeri e il comando dell'artiglieria con 400 fanti e una compagnia di 150 cavalieri per ciascuno dei fratelli Guidone e Cesare.

La proposta del F. - che non ebbe seguito - assumeva una particolare gravità, perché - secondo quanto riferisce il Passaro- il 20 maggio 1509 era stato emesso un bando con cui il re Cattolico vietava a tutti i sudditi di andare al servizio dei Veneziani, pena la morte. Va precisato, inoltre che la concessione di 600 ducati sui fiscali di Civitella d'Abruzzo in luogo dei feudi resi agli "Angioini" era stata concepita, in origine, come accomodamento provvisorio, in attesa di poter procedere ad un "equivalente excambio in stato con vaxalli". Perciò non è da escludere che il F. intendesse cercare, una più conveniente compensazione quando, nel 1514, si recò ancora in Spagna, raccomandato alla corte dall'università di Capua.

Il F. morì a Valladolid, stando al Passaro, il 20 genn. 1515. Essendo rimasto senza eredi diretti, gli successe il fratello Guidone.

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