CHECCHI, Eugenio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 24 (1980)

CHECCHI, Eugenio

Paolo Petroni

Di famiglia toscana, nacque a Livorno il 4 ott. 1838 da Leopoldo Francesco, funzionario di polizia, e da Carlotta Romula Botti.

Come ha scritto egli stesso, a sedici anni risalgono i suoi primi parti letterari. Ancora studente comincia a pubblicare articoli su riviste e giornali fiorentini. A vent'anni si laurea in legge a Siena a pieni voti e inizia come volontario la carriera di concetto in prefettura, che non gli si rivela congeniale. È attratto dal mondo teatrale e letterario e il successo gli arride sin troppo precocemente, come ricorda con ironia: "In quegli anni, visto che il codice penale non comminava pene per certi delitti, ne perpetrai uno sotto forma di commedia storica in due atti, intitolata La gioventù di Goldoni, rappresentata in parecchie città". La morte del padre e le ristrettezze economiche della madre, rimasta sola con molti figli piccoli, lo costringono a cercare un posto stabile e chiede ad Andrea Maffei una raccomandazione per la Biblioteca nazionale di Firenze. L'assunzione gli viene promessa in un prossimo futuro, ma la cosa si trascina per anni se ancora nel '71, in una lettera sempre al Maffei, si parla di Correnti, ministro della Pubblica Istruzione, e della possibilità di avere quel posto. Ha preso intanto a collaborare a due giornali fiorentini, la Gazzetta del popolo dal 1861 e la Gazzetta d'Italia dalla fondazione. Nel '62 si era sposato. In questo periodo, il C. mandava corrispondenze politiche e parlamentari alla Perseveranza di Milano (cfr. una sua lettera inedita del 30 dic. 1864 diretta a Carlo Lorenzini, il ben noto Collodi, lettera conservata con altre nella Biblioteca nazionale di Firenze). Dietro insistenze di amici, era divenuto socio dell'Associazione per la tutela e lo svolgimento dei diritti costituzionali, della quale il suo giornale stampava i comunicati. Inoltre per due anni, e fino all'arrivo del Lanza al governo, egli fu redattore capo della Gazzetta ufficiale del Regno.

Come critico si è ormai fatto un nome. Il Costetti lo ricorda allegro e spensierato, ma tutt'altro che indulgente, all'osteria "La tana del carbone", di fronte al teatro del Cocomero con L. Alberti, T. Salvini, S. Morelli, C. Collodi. F. Martini e altri a discutere dopo ogni spettacolo. Diviene segretario della Società d'incoraggiamento diretta da O. Barsanti, che bandisce concorsi teatrali. Nel '70 vi concorre lui stesso con Un'eccezione alla regola, senzariuscire vincitore. Con gli amici organizza burle in grande stile e sue specialità pare fossero "i pesci d'aprile". Memorabile quello portato avanti con la complicità della Gazzetta d'Italia e lungamente preparato. Dapprima venne dato l'annuncio dell'arrivo a Firenze di un grande principe indiano e questi puntualmente giunse, ma si trattava dello stesso C. travestito col costume da Otello di T. Salvini. Altre comparse le fece nei parchi e nelle strade cittadine, sempre senza farsi riconoscere, finché la Gazzetta non annunciò l'improvvisa morte del tanto ammirato e onorevole ospite e la prevista cremazione pubblica del suo corpo per la notte del 31 marzo alle Cascine, alla confluenza del Mugnone nell'Arno. Nonostante la pioggia accorse una grandissima folla e solo dopo la mezzanotte venne dato l'annuncio che si trattava di un "pesce".

Nel '72 comincia a lavorare come operatore in Borsa con l'agente di cambio Haraneder, finché dopo dieci anni se ne distacca, pur continuando sempre a scrivere sui giornali. Nel 1887, avendo raggiunto per titoli la abilitazione all'insegnamento, insegna lettere prima presso la scuola "Metastasio" a Roma e poi all'istituto tecnico "Leonardo da Vinci", che lascia dopo ventisette anni d'insegnamento per aver maturato il diritto alla pensione nel 1914.

Infatti fin dal 1883 il C. si era trasferito da Firenze a Roma, chiamatovi da Baldassarre Avanzini affinché dirigesse il Fanfulla della Domenica, succedendo a L. Capuana, chiamato in Sicilia con un incarico universitario. Il C., che lavorava anche al Fanfulla quotidiano sin dalla fondazione, rimane alla guida del settimanale con la nuova qualifica per circa una decina d'anni. Oramai è un giornalista affermato. Nella sua carriera ha scritto di tutto, dall'economia, con lo pseudonimo di "Nabab", alla politica, firmandosi "Didimo", ma il suo campo d'azione rimane lo spettacolo, la critica musicale e drammatica, per la quale usa altri pseudonimi, "Calibano" e "Tom": quest'ultimo sarà quello più noto, derivato dal nome di un suo amatissimo cane.

Due fatti sono indicativi per capire il personaggio, da una parte l'ammirazione per Verdi e Manzoni, che sfiorava la venerazione e gli impedì tutta la vita di incontrarli di persona, nonostante gli si fossero presentate più occasioni; dall'altra la sicurezza di certi giudizi e la partecipazione con cui viveva il suo mestiere. All'idea di incontrare il grande Verdi era preso da un tremito e da un terrore reverenziale, che spinsero Boito a desistere dai suoi tentativi di farli stare insieme. Una grande familiarità aveva invece con G. Puccini, per il quale, come egli stesso racconta (Giornale d'Italia, 10 marzo 1916), scrisse alcuni versi a conclusione del duetto dell'ultimo atto della Tosca, poiché, durante le prove, il maestro trovò non riusciti quelli previsti dal libretto di G. Giacosa. Lo stesso con Mascagni, di cui, il giorno precedente la prima della Cavalleria rusticana, scrisse: "Il nome di Pietro Mascagni, ignoto fino a stamane, come quello di Carneade per Don Abbondio, avrà stasera il saluto di un pubblico festante, otterrà forse il più ambito di tutti i battesimi: quello della fama che dura" (Fanfulla, 17 maggio 1890): parole profetiche che renderanno attesi e apprezzati i giudizi del Checchi.

Ai primi anni del secolo risale anche la sua amicizia col giovane Silvio D'Amico, nata d'estate sul treno che portava i romani alla spiaggia di Ladispoli. Questo vitalissimo settantenne, tre volte nonno, giornalista famoso, letterato citato da Raffaello Barbiera già nel Salotto della contessa Maffei, era un po' il centro dell'attenzione di tutti, così che venne perfino scherzosamente, ma pomposamente nominato sindaco dell'allora inesistente villaggio marino. Proprio durante quei viaggi una giovane signora romana s'innamorò di lui e presto divenne la sua seconda moglie, essendo la prima morta da vari anni. Nuove nozze felici e feconde come erano state le prime. Chiuso il Fanfulla quotidiano, il C. è direttore del Giorno di Lodi, quindi, sempre col suo pseudonimo di "Tom", nel 1913 succede a Domenico Oliva come critico drammatico e di costume al Giornale d'Italia, dove rimane sino a pochi mesi prima della morte, che lo coglie a Roma il 15 maggio 1932.

Accanto alla sua attività di giornalista è da segnalare certamente la vasta produzione letteraria e saggistica che, pur senza scendere al di sotto di un livello dignitoso, non presenta particolari caratteristiche di novità o interesse. Da ricordare le vivaci polemiche sostenute con il Guerrazzi, con l'amico Ferdinando Martini, col Carducci, con il Capuana, con Giulio Salvadori e con Filippo Crispolti ed infine col Tilgher.

Non è un caso che tra le sue prime cose pubblicate vi sia una prefazione alla traduzione di A. Maffei del Faust di Goethe e un saggio su Verdi, visti come esempi della cultura romantica italiana, ché sempre il C. si batté per l'indipendenza letteraria nazionale contro le influenze francesi e tedesche. L'ambiente fiorentino in cui crebbe e il grande modello di Manzoni lo portarono a restare estraneo a molta modernità contemporanea, ma anche a fuggire tutto un certo ciarpame accademico classico, e i suoi Racconti,novelle,dialoghi si sottraggono alle dispute del tempo come a certe possibili venature scapigliate, cui se non altro la sua vita notturna e teatrale avrebbe potuto avvicinarlo. Al suo amore per il palcoscenico sono da attribuire alcuni testi drammatici, da Un'eccezione alla regola (1870), a Coincidenza,Lampi di caldo,Strategia,Una cartolina postale e Un bacio all'oscuro, rimasti inediti, accanto a Mozart fanciullo (1879), che Antona Traversi ricorda come "un attino di oggetto musicale, che ebbe successi lieti in teatri privati e aristocratici", Il piccolo Haydn, che fu nel repertorio di E. Novelli, Un amore e tosse (compagnia Monti, Firenze 1881), Chi non prova non crede (compagnia Pasta, Roma 1886); Venti lire di cortesia (compagnia Andò, Roma 1889), A chi riporterà... (comp. del Teatro Minimo di Martoglio, Roma 1910) e il più noto Vigilia d'armi, che andò in scena pochi mesi prima della morte dell'autore. È un testo costruito tematicamente sopra i versi del Sant'Ambrogio di Giusti; R. Simoni scrisse, la sera della prima: "Il Checchi ha fatto scorrere entro la trama del suo atto il filo d'oro di quei versi: e questa è una trovata d'autore che accresce poesia all'opera scenica" (Corriere della sera, 27 febbr. 1932). Anche la musica lo affascina e nascono i libretti per A basso porto di N. Spinelli, per l'Ermenegilda e Pergolesi di P. A. Tasca e i tre atti della Maria Dulcis per A. Bustini. Suoi sono ancora libri di storia del Risorgimento spiegata ai fanciulli, il cui pregio consisteva nel rifiuto della retorica e che ebbero grande successo sino all'ultima guerra e altri volumi biografici e di aneddoti su personaggi noti e meno noti, da Cristoforo Colombo a Rossini sino alle Biografie e macchiette in punta di penna.

Alle cure del C. si deve poi la prima edizione delle Confessioni di un italiano del Nievo nel 1867, il cui manoscritto gli era stato affidato da Erminia Fuà Fusinato. Il libro uscì in versione integrale, nonostante le forti pressioni di Le Monnier in favore di lunghi tagli.

Il C. accettò solo il cambiamento del titolo (Memorie di un ottuagenario) "perché non si credesse trattarsi di una delle solite pappolate politiche di un reduce dalle patrie galere". È comprensibile la sua riserva, alla fine del secolo, per il silenzio della narrativa italiana, i cui autori, scrive, o si son dati alla politica o hanno preso d'assalto le cattedre universitarie o si sono gettati "come belve affamate sul giornalismo, lavoro aspro e roditore, che sega l'anima". Non ama infatti il nuovo, poiché, come nota a proposito della poesia del XIX secolo, "la bella serenità dei passati tempi pare sfuggita", ora restano "gli scatti di Arturo Graf, o le liriche sussultanti, balzanti, sudanti di Giovanni Pascoli".

L'opera cui il C. deve però la sua fama e un posto, anche se fra i minori dell'Ottocento, nelle storie letterarie, è Le memorie di un garibaldino, uscite per la prima volta a puntate sulla Gazzetta del popolo e poi anonime in volume (1866) col titolo Memorie alla casalinga di un garibaldino. Quasi tutti gli autori di ricordi garibaldini scrissero a una certa distanza dagli avvenimenti (quelle dell'Abba sono dell'80), con vista più chiara e passioni decantate. Tra i noti solo il superficiale e prolisso Achille Bizzoni e il C. scrissero e pubblicarono a caldo. Ne conseguono risultati di immediatezza e partecipazione corale, all'opposto delle grige e ufficiali pagine di G. Adamoli e di quelle di A. G. Barrili, venate di un umorismo tutto letterario. La visione soggettiva del C., scanzonata e cruda allo stesso tempo, rende accettabili anche i lati più sentimentali e le invocazioni alla patria, che nascono spontanee dal contrasto tra il ricordo della dolcemente mossa Toscana e le dure, azzurre vette dei monti trentini. Così dalla sua attenzione per i colori della natura, vivacizzati dal continuo movimento delle rosse macchie dei garibaldini, si arriva a un ingenuo "Oh bellissima Italia! Chi mi sa dire quale delle tue provincie è meno bella delle altre?" Dopo le notti di luna, in cui il C. prende appunti per il giornale e si perde nel paesaggio, ecco le pagine sugli "urli feroci", sul "cozzo delle baionette", su "le pozze di sangue" al tragico passaggio del fiume Chiese o durante la battaglia, anzi "il duello sanguinoso" di Bezzecca, in cui il fratello minore Tito (fonte del C. per le memorie stesse) rimane ferito malamente a una gamba; accanto denti fracassati, visi mutilati: "io chiudeva gli occhi raccapricciando". Vengono quindi le pagine sull'ospedale allestito all'interno della chiesa di Tiarno, care agli antologisti come il Pancrazi e a Benedetto Croce, che vi si sofferma nella Letteratura della Nuova Italia. Il raffronto con certe pagine del Pellico appare sin troppo scontato, specie nell'episodio, pieno di pietà per il nemico, del tirolese muto nella sua sofferenza, cui viene amputata una gamba. Il dato quotidiano impedisce il ricorso alla retorica, rendendo le memorie del C. tra le migliori che ci sono rimaste, assieme, in questo senso, a quelle di Giuseppe Bandi. Anche la lingua è pulita e meno letteraria di quella che si trova nelle pagine successive alle Memorie. Non per nulla gli guadagnarono le ambitissime lodi del Manzoni. Non mancano nemmeno, a vivacizzare la pagina e il racconto, notazioni dialettali, cui è attribuito un tono comico-verista. Il limite del C., ma anche la sua forza, consiste nel saper risolvere quasi sempre il racconto in una scenetta, in un bozzetto, e talvolta gli sfuggono notazioni di questo tipo: "Un pittore avrebbe potuto cavarne un quadretto di genere". Vi è così una tendenza alla macchietta, ma anche una "diseroicizzazione", come dice G. Mariani, del racconto. Così il capitano è un beone, le patate appena raccolte in un campo finiscono tra le gambe del cavallo di Garibaldi e quasi tutti corrono "taroccando perché nella camicia rossa c'entravano due volte", ma le frecciate più dure sono riservate ai comandanti, ai superiori, con notevole schiettezza: "Era destinato che tutto congiurasse ai nostri danni: la nessuna pratica militare negli ufficiali (salvo alcune eccezioni), l'armamento pessimo, la mancanza d'istruzione nelle compagnie, la proditoria amministrazione delle società incaricate di provvedere i viveri...". I discorsi roboanti del colonnello Nicotera sono poi uno dei divertimenti dei volontari, tanto che quando questi diverrà ministro dell'Interno e gli verrà presentato il C., come si legge nell'appendice all'edizione del 1903 delle Memorie, "Fece uno scatto, aggrottò i sopraccigli e mi fissò con quel suo sguardo imperioso, gravido di minacce, che esercitava un fascino pauroso sul garibaldini un po' cuccioli - Lei dunque - disse il fiero Barone - ha scritto di me cose che mi vennero sotto gli occhi troppo tardi...".

Al contrario di quanto comunemente si crede è giusto quanto si trova scritto in articoli usciti in occasione della morte del C.: "scrisse le Memorie usando il diario del fratello Tito, che fu a Bezzecca con Garibaldi". Tornano in questo caso alcuni fatti altrimenti incomprensibili, come i dieci anni che nel libro il C. si toglie, figurandosi diciottenne, nonché la mancanza del suo nome sia nel Dizionario del Rosi, sia in quello degli Eroi garibaldini del Castellini, ove invece compare il fratello sotto il nome errato di Cecchi. Famose sono poi le sue riscritture delle piatte corrispondenze che arrivavano al Giornale d'Italia dal fronte russo-giapponese. Comunque sia, e prove sicure mancano, nulla è tolto all'autore, di cui G. Bellonci può scrivere: "Fu pronto a sentire il fascino della camicia nera, l'appello della rivoluzione fascista, egli che aveva portato la camicia rossa al fuoco austriaco", secondo un abbinamento caro alla retorica del ventennio.

Opere: Memorie alla casalinga di un garibaldino (anonime), Livorno 1866; poi Memorie di un garibaldino (col nome dell'autore e una lettera di G. Rizzi all'editore), Milano 1888; e con una aggiunta, ibid. 1903; Prefazione, in W. Goethe, Il Fausto, trad. di A. Maffei, Firenze 1878; Racconti,novelle,dialoghi, Milano 1884; Carduciens et manzoniens in La Revue contemp., 25 marzo 1885, pp. 406-16; Racconti,novelle,dialoghi per giovanetti, Firenze 1886; Cristoforo Colombo, ibid. 1886; G. Verdi,il genio e le opere, ibid. 1887 e (nuova edizione aggiornata) 1926; L'Italia dal 1815 a oggi,narraz. stor. per i giovani, Milano 1888, e Della presente indifferenza letteraria, in Conferenze tenute a Roma nel Collegio Romano, Firenze 1893, pp. 341-368; Nostalgie marine,profili,macchiette,paesaggi, Milano 1895; Giardini storici romani:Pincio e Gianicolo,biografie e macchiette in punta di penna, con un ritratto dell'autore e disegni di G. Ciampi, ibid. 1897; Rossini, Firenze 1898; Pergolesi, Berlino 1898; Il romanzo e la novella del sec. XIX in Italia e all'estero, in Il secolo XIX nella vita e nella cultura dei popoli, Milano 1900; La poesia del sec. XIX in Italia e all'estero, ibid. 1900; Fra un treno e l'altro,bizzarrie e vagabondaggi, Firenze 1901; Il teatro italiano negli ultimi 50 anni, in Nuova Antologia, 1º luglio 1901, pp. 105 ss.; Calendimaggio e La buca delle fate, Pisa 1902; Maria Dulcis, Roma-Torino 1902; Goldoni e il suo teatro, Firenze 1907; Bella Italia,amate sponde - tocchi in penna,ricordi,aneddoti, Milano 1907; Vita di Garibaldi narrata ai giovani (con 80 incisioni di E. Matania), ibid. 1907; La pleiade musicale, in La vita italiana nel Risorgimento, s. 2, III, Firenze 1911, pp. 41-73; Come si è fatta l'Italia, Bologna 1913; Libretti e librettisti di G. Verdi, in Nuova Antol., 16 ott. 1913, pp. 529-40; Prefaz., in I. Nievo, Le confessioni di un ottuagenario, Firenze 1915; Prefaz., in A. Manzoni, I promessi sposi, Milano 1920; Note e motivi, Milano s. d.

Fonti e Bibl.: G. Costetti, Il teatro ital. nell'800, Rocca San Casciano 1901, pp. 231-259, 472, 478, 523; I. Baccini, La mia vita, Roma-Milano 1904, pp. 182-187; A. Chierici, Il quartopotere a Roma..., Roma-Voghera 1905, pp. 41, 241, 254; E. Benvenuti, Lettere ined. di A. Maffei riguardanti la sua traduz. del Faust, in Letteratura tedesca, 1907, n. 4, pp. 3, 5, 7, 10; Id., A. Maffei poeta originale e traduttore, in Pro cultura, 1911, n. 2, pp. 26-27; L. Barboni, Geni ecapi ameni dell'800,ricerche e ricordi intimi, Firenze 1911, p. 125; Annali del teatro italiano, a cura di M. Ferrigni, I, 1921, pp. 142, 203, 313; II, ibid. 1923, pp. 204, 443; Fulvio [F. Palmieri], Il gatto di Tom, in Il Piccolo di Roma, 4 sett. 1923; P. Pancrazi, I toscani dell'Ottocento, Firenze 1924, p. 267; C. Antona Traversi, Eleonora Duse,sua vita,sua morte,suo martirio, Pisa 1926, pp. 2, 243-244, 259-262; Dizion. degli italiani d'oggi, Roma 1928, p. 141; C. Pellizzi, Lelettere ital. del nostro secolo, Milano 1929, pp. 162, 449; G. Ravegnani, I contemporanei, Torino 1930, p. 237; A. Bonaventura, Musicisti livornesi, Livorno 1930, p. 57; L. Lodi, Giornalisti, Bari 1930, pp. 164-173; R. Simoni, Vigilia d'armi di E. C., in Il Corriere della sera, 27 febbraio 1932; Lavita operosa di E. C. uomo,scrittore,patriota,ibid., 17 maggio 1932; G. Bellonci, È morto E. C., in Il Giornale d'Italia, 17 maggio 1932; R. De Renzis, E. C. librettista e critico musicale,ibid., 17 maggio 1932; D. Angeli, Un giornalista d'altri tempi, in Il Messaggero, 17 maggio 1932; S. D'Amico, La morte di E. C. Salutoal decano, in La Tribuna, 17 maggio 1932; V. Tieri, E. C., in Il Popolo di Roma, 17 maggio 1932; C. Giachetti, E. C., in La Nazione, 18 maggio 1932; La morte di E. C., in Giornale di Genova, 20 maggio 1932; Tom, in Il Popolo di Romagna, 21 maggio 1932; E. C., in Marzocco, 22 maggio 1932; C. Montani, Giorn. del passato: Tom..., in Giornale di Sicilia, 20 maggio 1932; C. Giachetti, La morte di un decano, in Echi ecommenti, 25 maggio 1932; F. Scarpelli, Tom,qualche ricordo personale, in Giornale di Roma, 26 maggio 1932; Bladinus, E. C., in L'Illustrazioneital., 29 maggio 1932, p. 722; W. V. Ricordo dellivornese C., decano dei giornalisti, in Il Telegrafo, 2 giugno 1932; G. Titta-Rosa, Garibaldiana, in Il Secolo XX, 8 giugno 1932; A. De Angelis, Ricordi di E. C. critico musicale, in Riv. nazionale di musica, 16 giugno 1932, p. 21-25; L. Dell'Acqua, Polemichette d'altri tempi,Tom e P. Mascagni, in La Sera, 17 giugno 1932; L. Checchi, Le "Confessioni di un ottuagenario" e l'opera di E. C., in Il Messaggero, 23 sett. 1932; F. Scarpelli, Giornalismo allegro,storia,aneddoti,profili, Milano 1932, pp. 232-242; C. Giachetti, Ultimevoci del teatro ottocentesco, in La Nazione, 19 marzo 1933; F. Martini, Lettere, Milano 1934, pp. 618-621; A. De Angelis, La musica a Roma nelsec. XIX, Roma 1935, pp. 76-77, 79, 126; P. Pancrazi, Racconti e novelle dell'Ottocento, Firenze 1938, p. 267; C. Antona Traversi, La veritàsul teatro ital. dell'Ottocento, Udine 1940, p. 269; F. Flora, Storia della letter. ital., III, Milano 1940, pp. 656 s.; B. Croce, La letter. della Nuova Italia, VI, Bari 1940, pp. 10-12; G. Marzot, Battaglie veristiche dell'Ottocento, Messina 1941, pp. 149, 195; G. Papini, Ritratti ital., Firenze 1944, p. 138; G. Stuparich, Scrittori garibaldini, Milano 1948, pp. XVIII-XIX, XXIV-XXIX, XXXIII-XXXVIII, 580-714, 813, 1075, 1079-1080; M. Dell'Arco, La lunga vita di Trilussa, Roma 1951, pp. 39, 99-100; G. Trombatore, Memorialistidell'Ottocento, Milano-Napoli 1953, pp. 1007-1009; M. Apollonio, Storia del teatro ital., VII, Firenze 1954, p. 643; C. Salvini, T. Salvini..., San Casciano 1955, pp. 331-334; E. Gara, Carteggio pucciniano, Milano 1958, pp. 31, 142, 189; L. Russo, I narratori, Milano-Messina 1958, p. 93; M. Saccenti, Scrittori garibaldini, in Convivium, XXVII (1959), 4, p. 478; S. Pasquazi, Il Manzoni nelle scuole e una polemica carducciana, in Annali della Pubblica Istruzione, VII (1961), 2, pp. 155-165; L. Checchi, Un ignoto collezionista toscano di manoscritti, in Accademie e Biblioteche d'Italia, agosto 1962, pp. 173-203; Id., Unapagina di storia giornalistica: due lettere di E. C. adA. Maffei, in Rass. stor. del Risorgimento, L (1963), pp. 271-274; Id., Le peripezie editoriali del capolavoro di I. Nievo..., in Nuova Antol., sett. 1964, pp. 87-101; Id., Un bibliotecario mancato,E. C., in Almanacco dei bibliotecari ital., Roma 1966, pp. 105-12; L. Jannuzzi, Carteggio Tenca-Maffei, Milano 1966, pp. 225-226, 254; R. Bigazzi, I colori del vero, Pisa 1969, pp. 135-136; G. Mariani, Antologia di scrittori garibaldini, San Casciano 1970, pp. 200-228; Id., Ottocento romantico everista, Napoli 1972, pp. 163, 165, 172-178, 181-183, 185, 187-191, 195-196, 622; C. Ceccuti, Uneditore del Risorgimento:F. Le Monnier, Firenze 1974, pp. 98-99; Enciclopedia dello spettacolo, III, col. 574; Enc. della musica Ricordi, I, Milano 1963, p. 469; La Musica,Diz., I, p. 392.

CATEGORIE