FAINA, Eugenio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 44 (1994)

FAINA, Eugenio

Carlo Travaglini

Nacque a San Venanzo (Terni) il 2 apr. 1846 da Claudio (conte di Civitella dei Conti dal 1852) e dalla pittrice Giuseppina Anselmi, torinese. Crebbe a San Venanzo nella vasta tenuta di cui era proprietario e conduttore il padre, appartenente ad una delle più illustri e ricche famiglie patrizie umbre. Studiò al collegio della Sapienza in Perugia, per frequentare poi la facoltà di giurisprudenza a Siena, ove si laureò nel 1867 con il massimo dei voti e la lode.

Appena ventenne, ancora studente - probabilmente sollecitato dall'esempio dello zio Zeffirino, valoroso combattente risorgimentale e noto esponente politico - partì volontario nelle file garibaldine per la liberazione del Veneto, partecipando, tra il maggio ed il settembre 1866, alla battaglia di Varese e alla campagna del Trentino. In questa occasione strinse una duratura amicizia con il conterraneo Cesare Fani, che ricoprì successivamente importanti incarichi politici e governativi.

Influenzato dagli interessi artistici della madre e dalla passione dello zio paterno Mauro per le antichità etrusche, coltivò gli studi e le ricerche archeologiche, tanto che alla prematura scomparsa dello zio ne ordinò ed ingrandì la raccolta privata con nuovi preziosi ritrovamenti nella necropoli orvietana, giungendo fino alla creazione in Orvieto di un Museo Faina di antichità etrusche. Meritò la stima degli eruditi e conseguì nel 1875 la nomina a membro corrispondente dell'Istituto archeologico di Berlino.

Il campo prevalente dei suoi interessi fu tuttavia rivolto, fin dagli anni giovanili, verso l'economia agraria e l'impegno politico e civile. Appena laureato, visitò l'Inghilterra per studiarne da vicino gli istituti ed i sistemi agrari; in anni successivi si recò in Olanda per esaminare l'efficacia delle organizzazioni cooperative e del mutualismo agrario di cui fu in seguito fervente propugnatore.

A venticinque anni, nell'aprile del 1871, si sposò con Isabella Danzetta, di nobile famiglia umbra, dalla quale ebbe tre figli: Claudio, Gina e Maria.

Ancora giovanissimo, fece le sue prime prove nella vita politica: nel 1868 era entrato a far parte del Consiglio comunale di Orvieto e nel 1874 ottenne il suo primo incarico amministrativo quale sovraintendente alle Carceri della stessa città. Nel 1876 venne nominato ispettore agli Scavi e monumenti: in questa veste promosse restauri alla facciata e all'interno del duomo orvietano, nonché il riordinamento del Museo civico di antichità e belle arti.

A partire dal 1880, quando per la prima volta venne eletto in Parlamento quale deputato del collegio di Orvieto, la sua attività politica assunse una dimensione più rilevante. Nella successiva legislatura, la XV, risultò eletto a Perugia nel primo collegio, compagno di lista di Leopoldo Franchetti, seggio che conservò ininterrottamente fino al 1892. Con r. d. del 10 ott. 1892 venne nominato senatore.

Nei primi anni della sua carriera politica militò tra le fila dell'opposizione di destra, ma, a partire dal 1883, si schierò quasi sempre con il governo, pur mantenendo ben ferma la sua salda ispirazione liberalconservatrice.

Nell'attività parlamentare non si limitò a rappresentare i bisogni e a tutelare i legittimi interessi della regione umbra, ma si segnalò in particolare per la competenza con cui seguì tutta la vasta materia riguardante l'agricoltura e la questione sociale nelle campagne, nonché i temi di carattere finanziario. In Senato fu membro della commissione permanente di Finanza, di quella per i Trattati di commercio e le tariffe doganali e della commissione di vigilanza sulla Circolazione e gli istituti di emissione. Nel corso della crisi ministeriale del giugno 1898 Luigi Luzzatti e Cesare Fani avanzarono la candidatura del F. a ministro dell'Agricoltura, ma questi si dichiarò indisponibile non essendo del tutto convinto di poter seguire il presidente del Consiglio incaricato, Antonio di Rudinì, nella nuova fase della sua politica: il ministero in effetti cadde nel giro di un paio di settimane, caratterizzato su una linea troppo apertamente repressiva.

Per valorizzare le potenzialità della propria regione il F. sostenne la necessità della costruzione della linea ferroviaria centrale umbra, pubblicando un documentato saggio contenente anche proposte operative riguardo al tracciato e al sistema di scartamento (La ferrovia Umbertide-Perugia-Todi-Terni. Considerazioni di E. Faina, deputato al Parlamento, Orvieto 1885).

Ma il maggiore impegno lo dispiegò sul piano della battaglia culturale e politica per l'istruzione agraria. Iniziato alle discipline agrarie da un valente cultore di agronomia, il marchese Raffaele Antinori, il F. aveva poi studiato ed assunto a modello esemplare l'attività del marchese Cosimo Ridolfi, che aveva legato il suo nome alla celebre azienda agraria di Meleto e all'Istituto superiore agrario dì Pisa. Così, muovendosi in un'analoga prospettiva, il F., che nel 1874 aveva assunto la direzione della propria azienda agraria, cominciò ad avviare, a partire dal 1882, attraverso il reinvestimento di una quota cospicua della rendita forfettaria, un ambizioso progetto di bonifica della sua proprietà, composta di tre vaste tenute prevalentemente di alta collina e con una superficie complessiva dì circa 6.000 ettari.

Si trattò di un'opera notevole e per vari aspetti pionieristica sul piano della sistemazione idrogeologica, del recupero produttivo e del ripopolamento delle zone montane e collinari, di cui tracciò un'approfondita analisi critica, non sottacendo gli errori inevitabilmente compiuti nella realizzazione del progetto, nella monografia La tenuta di San Venanzo nell'Umbria. Venticinque anni di lavoro in un vasto possesso di montagna (Roma 1899). Il rilevante investimento fondiario si articolò nel tempo in una serie complessa di interventi: dalla costruzione di decine di chilometri di strade, alla riduzione dei terreni in declivio a ripiani, dalla sistemazione del corso delle acque allo sviluppo dell'appoderamento, dalle piantagioni di viti ed olivi alla pratica di avvicendamenti razionali delle colture, da ampi rimboschimenti alla ristrutturazione o edificazione ex novo di decine di case coloniche, dall'introduzione di macchine e attrezzi perfezionati e di concimi chimici alla costruzione di acquedotti, linee elettriche e telefoniche, fino alla promozione di uno speciale tipo di cooperativa di consumo fra i coloni avente anche funzioni mutualistiche di assistenza nell'invalidità e nella vecchiaia.

Fu convinto assertore dell'importanza decisiva dell'istruzione agraria per fondare su solide basi i processi di modernizzazione dell'agricoltura: un'istruzione agraria concepita più come componente essenziale di una trasformazione nel profondo della cultura e della mentalità dei proprietari, degli imprenditori e degli operatori agricoli che come semplice strumento di diffusione delle conoscenze agronomiche e di sviluppo dei metodi di gestione e delle tecniche di coltivazione. Lottò per anni, con il sostegno di altri parlamentari umbri, come Cesare Fani, Leopoldo Franchetti e Guido Pompilj, per sottrarre alla dermanazione il patrimonio fondiario dell'ex abbazia di S. Pietro e per istituire una fondazione agraria, amministratrice del patrimonio stesso, avente come scopo quello della creazione e del finanziamento di un istituto di istruzione agraria. Un importante risultato in questa direzione venne ottenuto con la legge 10 luglio 1887, che istituì la Fondazione agraria di Perugia, di cui fu nominato primo presidente il F., che conservò poi quasi fino alla morte questo incarico.

Dopo un altro decennio di battaglie parlamentari, il F. ottenne nel 1896 una legge per la creazione dell'Istituto agrario sperimentale di Perugia, che venne effettivamente inaugurato, dopo appena quattro mesi, il 25 novembre dello stesso anno. L'Istituto, fin dall'inizio della sua attività, si propose obiettivi ambiziosi e stipulò una convenzione con l'università di Perugia per la mutuazione degli insegnamenti comuni. Il F. ne assunse la direzione e vi impartì l'insegnamento di economia politica applicata all'agricoltura. La legge 21 luglio 1902 diede una configurazione definitiva all'Istituto, riconoscendone il livello universitario. A seguito di quest'ultima riforma dell'ordinamento, il F. assunse nel 1903 la carica di presidente dell'Istituto, che mantenne ininterrottamente fino al 1923, quando, in occasione del riordinamento degli istituti superiori agrari, decise, ormai quasi ottuagenario, di optare per la carica di presidente onorario.

Sempre in prima fila tra gli esponenti della grande proprietà terriera e i cultori di scienze agrarie a livello regionale e nazionale, fu presidente del Comizio agrario di Orvieto e nel 1898 fondò la cattedra ambulante di agricoltura di Perugia; fu vicepresidente della Società dei viticoltori italiani e componente dei principali organismi consultivi ministeriali in materia di agricoltura: il Consiglio superiore dell'agricoltura, il Consiglio superiore dell'istruzione agraria, la Commissione censuaria centrale. Nel marzo del 1905 venne nominato presidente della commissione reale per la costituzione in Roma dell'Istituto internazionale di agricoltura, predecessore dell'odierna FAO (Food and Agriculture Organization), e nel maggio del 1908 ne divenne primo presidente, incarico che mantenne fino al 1910 quando, in seguito a dissapori emersi nel consiglio direttivo, preferì rassegnare il mandato, accettando, tuttavia, di conservare il titolo di presidente onorario.

Nel 1906 venne eletto presidente della commissione parlamentare d'inchiesta sulle condizioni dei contadini nelle province meridionali e nella Sicilia, promossa da Giovanni Giolitti, all'epoca presidente del Consiglio, insieme a quella sulle miniere della Sardegna.

Della commissione fecero parte personalità di vario rilievo, tra le quali meritano di essere ricordati F. S. Nitti, relatore per la Basilicata, e il marchese R. Cappelli, relatore per gli Abruzzi, che succedette al F. nell'incarico di presidente dell'Istituto internazionale di agricoltura. L'indagine, nota oggi agli studiosi con il nome di "inchiesta Faina", offrì un esame aggiornato ed approfondito delle condizioni del Mezzogiorno, che si concretizzò nella pubblicazione di quindici volumi, tra studi e relazioni, e rappresentò un'importante novità sul piano metodologico nell'esercizio del potere di inchiesta da parte del Parlamento. Infatti i più consolidati sistemi delle audizioni pubbliche delle autorità locali e delle forze sociali e della predisposizione di relazioni da parte dei parlamentari membri della commissione vennero preceduti da approfondite analisi delle varie realtà regionali ad opera di qualificati esperti e da un'accurata programmazione, che si avvalse del contributo di un tecnico di valore come F. Coletti, chiamato a svolgere l'inedita funzione di segretario generale della commissione d'inchiesta.

Allo scoppio della prima guerra mondiale, nel maggio del 1915, il F. si arruolò nel corpo volontari ciclisti-automobilisti e venne impiegato presso il comando dell'XI corpo d'armata. Congedato nel novembre 1915, riprese servizio come sottotenente d'artiglieria nel febbraio 1916, raggiungendo nel giugno del 1918 il grado di maggiore. In considerazione dell'età assai avanzata non poté essere impiegato in compiti bellici operativi, ma ne vennero tuttavia ampiamente utilizzate le competenze tecniche: ebbe infatti l'incarico di organizzare e dirigere, quale fiduciario tra i ministeri della Guerra, dell'Agricoltura ed il comando supremo, l'impiego della manodopera militare nell'industria e nell'agricoltura. Dopo Caporetto chiese di essere inviato al fronte; assegnato alla 3a armata, gli venne affidata la direzione dei lavori agricoli effettuati con la manodopera dei militari e dei prigionieri di guerra.

Nel febbraio del 1916 fu nominato presidente del Comitato tecnico dell'agricoltura, istituito in luogo e vece del Consiglio superiore dell'agricoltura per la durata della guerra. Nel 1917 fu chiamato a far parte della giunta consultiva per i profughi di guerra e nel febbraio 1918 venne nominato presidente della commissione per lo studio dei provvedimenti a difesa e a conservazione della piccola proprietà rustica e montana. Nel 1919 venne chiamato, come regio commissario, a coordinare l'impiego della manodopera militare e dei prigionieri di guerra per realizzare opere di bonifica agraria e di rimboschimento montano, procedendo, tra l'altro, al recupero produttivo dei terreni sulla destra del Piave e delle valli dell'Isonzo e dell'Idria.

Nell'immediato dopoguerra riprese con vigore un'iniziativa, sperimentata a partire dal 1912 nella tenuta di San Venanzo e poi rapidamente estesa a numerosi Comuni dell'Umbria, di promozione di scuole rurali postelementari per l'elevamento del livello culturale e la formazione professionale dei lavoratori agricoli.

Il progetto ebbe un'accoglienza favorevole e un'interessante diffusione anche in altre regioni - Veneto, Calabria, Campania, Abruzzi, Marche, Piemonte - e portò alla costituzione di un Ente nazionale per la scuola rurale presieduto da Giovanni Gentile e di cui il F. assunse la presidenza onoraria. Si trattò dell'ultimo rilevante impegno del F. - poi continuato dal figlio Claudio - che curò personalmente anche l'elaborazione del programma dei corsi e il coordinamento della redazione dei materiali didattici.

Nel 1922 ottenne, per primo in Italia, un giusto riconoscimento dell'impegno per il progresso dell'agricoltura italiana: la medaglia d'oro al merito del ministero d'Agricoltura. Intanto la sua esistenza aveva assunto, a partire dal 1920, in conseguenza di una grave malattia agli occhi, un carattere sempre più privato, conducendosi prevalentemente nella tenuta di San Venanzo.

La crisi del primo dopoguerra lo trovò fortemente preoccupato per la crescita dei movimenti socialista e popolare e per l'ondata di agitazioni sociali. Interprete insieme degli interessi dei proprietari fondiari e di una visione economicistica volta all'incremento della produttività e della produzione agricola, denunciò la "falsa via in cui si sono messi i dirigenti del partito socialista e popolare. Essi, pure avendo fini diversi, sentito il bisogno di accaparrarsi le masse rurali, hanno adottato uno stesso metodo di lotta: incitarle a chiedere una parte sempre maggiore sulla produzione del podere, anche a costo di vedere diminuita la produzione stessa complessiva" (Le agitazioni agrarie dopo la guerra nei paesi di mezzadria, Perugia 1920, p. 16).

Il F. mantenne fermo il suo consolidato legame con l'ala conservatrice del partito liberale; così il 2 nov. 1922, in una lettera alla figlia, pur rallegrandosi per la nomina di Giovanni Gentile a ministro della Pubblica Istruzione, sottolineava il "dolore che a me, liberale del vecchio stampo, ha arrecato lo spettacolo dell'uso esclusivo della violenza e della subornazione per la conquista del potere". E ancora, in una lettera dell'ottobre del 1924, esprimeva l'avviso che "il Partito Liberale più che collaborazionista debba considerarsi come riserva pronta ad entrare in campo quando ce ne fosse bisogno, per contrastare l'ascesa delle opposizioni. Collaborare vuol dire assumere, per disciplina, anche le responsabilità di cose che non si approvano, mentre costituirsi in riserva significa lasciare il Governo al Partito che lo tiene pure operando d'accordo in quelle direttive di governo comuni ai fascisti ed ai liberali".

Il F. morì nella sua tenuta di San Venanzo il 2 febbr. 1926.

L'opera del F. rimane legata a due campi particolarmente significativi di impegno: l'istruzione agraria e l'inchiesta parlamentare sulle condizioni dei contadini nelle province meridionali e nella Sicilia.

La battaglia culturale e politica per l'istruzione agraria rappresentò il contenuto unificante della sua attività di grande proprietario e imprenditore agricolo, di parlamentare, di studioso. Una battaglia condotta su due piani distinti: da un lato l'istruzione agraria superiore per la quale aveva progettato l'Istituto di Perugia - che doveva interessare i rampolli dei grandi proprietari fondiari e dei grandi affittuari capitalisti nonché i giovani che intendessero avviarsi all'insegnamento e alla ricerca - e, dall'altro, le scuole popolari rurali, dirette all'educazione delle grandi masse contadine, che, dal nome del loro ideatore, vennero appunto diffuse e conosciute come "scuole Faina".

Secondo il F., "per esercitare l'agricoltura come un'altra industria qualsiasi bisogna sapere; anzi il bisogno di sapere è nella professione nostra maggiore che nelle altre" (La tenuta di San Venanzo..., p. 7). Un sapere inteso non come conoscenza delle sole tecniche agrarie, ma assai più ricco ed ampio. "Le Scuole di agricoltura in Italia - osservò il F. - ... sono di data relativamente recente e tutte ebbero in sul nascere carattere professionale. Ma presto ... la scuola si distaccò dal campo, le ricerche di laboratorio presero il sopravvento sugli esperimenti e sulle esercitazioni colturali, e l'educazione scientifica sostituì completamente l'educazione agraria. La scuola si scisse in due: in alto la superiore, di carattere puramente scientifico, frequentata solo da chi aspira all'insegnamento o a professioni sussidiarie dell'agricoltura; in basso la scuola pratica o professionale, destinata ai piccoli proprietari, agenti di campagna e direttori d'industrie rurali. Unico scopo dell'una e dell'altra il maggior beneficio netto della intrapresa agraria, senza preoccuparsi di altro; in una parola, agricoltura ridotta a questione esclusivamente tecnica da risolversi nel solo interesse dell'intraprenditore. Tutto ciò va bene, ma oggi non basta più. L'agricoltura, industria necessaria all'esistenza stessa della società e dello Stato, va studiata sotto tutti i punti di vista, e non solo nei suoi rapporti coll'intraprenditore ma altresì nei suoi rapporti coi proprietari della terra, coi lavoratori, coi consumatori, con lo Stato. ... Sempre mirando al fine speciale del nostro Istituto, abbiamo sostituito alle nozioni di legislazione rurale il corso completo di istituzioni di diritto civile, economia politica e statistica, alcune parti del diritto civile e commerciale e del diritto amministrativo, ed in fine uno studio speciale delle questioni che si riferiscono alle condizioni dei contadini. Cognizioni superflue certo per un perito agrimensore, estranee alla parte tecnica dell'agricoltura, ma necessarie per un proprietario che, pur dedicandosi alla coltura delle proprie terre, non intende rinunciare per questo alla parte che gli spetta nella vita sociale" (Inaugurazione del R. Istituto agrario sperimentale, Perugia 1896, pp. 8-13).

Nella relazione finale dell'inchiesta parlamentare sul Mezzogiorno il F. seppe ricostruire con grande equilibrio una sintesi delle analisi e delle proposte svolte collegialmente dalla commissione, consacrando felicemente il paziente e tenace lavoro di mediazione tra i diversi orientamenti di cui sono testimonianza i verbali delle discussioni in seno alla giunta parlamentare.

Il F. ripercorre i grandi temi del rimboschimento, dell'assetto idrogeologico e della bonifica, dei contratti agrari, del latifondo e della formazione della proprietà coltivatrice, delle condizioni di lavoro e di vita delle classi agricole - in collegamento anche con il problema dell'emigrazione -, del ruolo degli enti locali e dello Stato. Nelle conclusioni il F. sottolineò efficacemente un limite culturale dell'inchiesta e cioè la sostanziale marginalizzazione della questione meridionale: "se l'inchiesta attuale si fosse estesa a tutto il Regno come l'inchiesta Jacini, i confronti sarebbero stati più sicuri e i risultati avrebbero esercitato un'influenza pratica maggiore sull'opinione pubblica e sui poteri dello Stato" (Inchiesta parlamentare sulle condizioni dei contadini nelle province meridionali e nella Sicilia, VIII, Relazione finale del presidente della Giunta parlamentare d'inchiesta, Roma 1911, p. 113). E proprio sul tema dell'efficacia dell'intervento pubblico la relazione presenta forti accenti di modernità: "i provvedimenti richiesti o proposti, quando anche, profondendo denaro, fosse possibile attuarli tutti, non risolverebbero il problema meridionale, perché la causa vera di tutti i mali lamentati è il basso livello intellettuale e morale delle classi agricole lavoratrici, e forse non di quelle solamente. Molto potrà fare la scuola. ... ma è illusione credere che basti la scuola. Ciò che è essenzialmente necessario, e senza il quale né forza di leggi, né forza di denaro riusciranno mai, è onestà di Governo, giustizia amministrativa ... perché la questione agraria meridionale è soprattutto una questione morale" (ibid., pp. 121 s.).

Oltre alle opere già citate, fra gli scritti principali del F. si segnalano: La istruzione superiore agraria in Italia e la scuola di Perugia, Roma 1896; Dei guadagni e dei consumi dei contadini nei paesi di mezzadria, in Nuova Antologia, 16 maggio 1905, pp. 263 ss.; Il ritorno dell'emigrante, Roma 1912; Un esperimento di scuola popolare rurale, in Atti della R. Acc. dei Georgofili, s. 5, IX (1912), pp. 111-127; Il manuale della scuola rurale, Firenze 1927.

Fonti e Bibl.: Spante, San Venanzo (Terni), Archivio famiglia Faina; necrol., in Bollettino della Deput. di storia patria per l'Umbria, XXIX (1926), pp. LXXXVII-XC; Illustrazione italiana, 14 febbr. 1926, p. 172; S. Sapuppo Zanghi, La XVa legislatura italiana, Roma 1883, pp. 229 s.; T. Sarti, IlParlamento subalpino e nazionale, Terni 1890, p. 436; P. De Gregorio, Appendice all'opera Il Parlamento subalpino..., Terni 1894, ad vocem; A. De Gubernatis, Diz. biografico, Roma 1895, s.v.; T. Sarti, IlParlamento italiano nel cinquantenario dello statuto, Roma 1898, pp. 260 s.; P. Procacci, La tenuta di San Venanzo nell'Umbria, Firenze 1900, passim; R. Dalla Volta, L'Istituto internazionale di agricoltura e i suoi primi lavori, in Atti della Regia Accad. dei Georgofili, s. 5, VII (1910), pp. 177-194; G. Giolitti, Memorie della mia vita, I, Milano 1922, pp. 177, 180; Fondazione per l'istruzione agraria, Perugia, Relazione morale e finanziaria (1921-1925). Sintesi del trentennio 1896-1925, Perugia 1927, passim; G. Morassutti, 1898-1928. (Cattedra ambulante di agricoltura per la prov. di Perugia): Storia vicende attività nei suoi 30 anni di vita, Perugia 1928, passim; Senato del Regno, Cenni necrologici, Roma 1929, pp. 199-204; A. Vivenza, Discorso in commem. del ... E.F., in R. Ist. sup. agrario, Cerimonie per il XXXVº anno di vita dell'istituto, Perugia 1934; A. Prampolini, Agricoltura e società rurale nel Mezzogiorno agli inizi del '900. L'inchiesta parlamentare…, Milano 1981, pp. 11-71; Le regioni dall'Unità ad oggi, L'Umbria, a cura di R. Covino-G. Gallo, in Storia d'Italia (Einaudi), Torino 1989, ad indicem; A. Grohmann, Perugia, Roma-Bari 1990, ad indicem; A. Placanica, Il mondo agricolo meridionale, in Storia dell'agricoltura italiana in età contemporanea, a cura di P. Bevilacqua, Venezia 1990, II, pp. 214-219; L. D'Antona, L'"inteligenza" dell'agricoltura, ibid., III, p. 409; Dizionario del Risorgimento nazionale, III, pp. 29 s.; A. Malatesta, Ministri, deputati, senatori dal 1848 al 1922, sub voce.

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