Eugenio Montale

Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco (2014)

Giuseppe Ledda

Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook

Massimo poeta del Novecento italiano, premio Nobel nel 1975, Eugenio Montale è anche prosatore, traduttore e critico letterario fra i principali del secolo. Dagli anni Venti fino alla fine degli anni Settanta, la sua poesia e la sua voce intellettuale rappresentano non solo un punto di riferimento per la vita letteraria del Paese, ma anche una delle testimonianze più vive e indipendenti sulla realtà civile italiana.

La formazione

Eugenio Montale

La bufera

La bufera che sgronda sulle foglie

dure della magnolia i lunghi tuoni

marzolini e la grandine,

(i suoni di cristallo nel tuo nido

notturno ti sorprendono, dell’oro

che s’è spento sui mogani, sul taglio

dei libri rilegati, brucia ancora

una grana di zucchero nel guscio

delle tue palpebre)

il lampo che candisce

alberi e muro e li sorprende in quella

eternità d’istante - marmo manna

e distruzione - ch’entro te scolpita

porti per tua condanna e che ti lega

più che l’amore a me, strana sorella, -

e poi lo schianto rude, i sistri, il fremere

dei tamburelli sulla fossa fuia,

lo scalpicciare del fandango, e sopra

qualche gesto che annaspa...

Come quando

ti rivolgesti e con la mano, sgombra

la fronte dalla nube dei capelli,

mi salutasti - per entrar nel buio.

E. Montale, Tutte le poesie, Milano, Mondadori, 1984

Ultimo di sei figli, Eugenio Montale nasce a Genova il 12 ottobre 1896 in una famiglia della media borghesia, da Domingo, commerciante di prodotti chimici, e Giuseppina Ricci. Nel primo tempo della sua vita, trascorso nella città natale, studia presso i Barnabiti, si diploma ragioniere e si dedica agli studi di canto, progettando intorno al 1917 di sfruttare la bella voce da baritono per intraprendere la carriera musicale. La morte del suo insegnate Ernesto Sivori e una timidezza innata gli impediscono il debutto in teatro ma la passione e la competenza musicale diventeranno ragioni fondamentali del suo fare poetico, come riconoscerà egli stesso descrivendo con molta lucidità il suo esordio di poeta: “Ubbidii a un bisogno di espressione musicale. Volevo che la mia parola fosse più aderente di quella degli altri poeti che avevo conosciuto. […] E la mia volontà di aderenza restava musicale, istintiva, non programmatica”. Nelle lettere agli amici, Montale descrive i suoi anni giovanili come un intreccio di “sofferenze incredibili fisiche e filosofiche”. La sua prima guida è la sorella Marianna, con la quale il giovane poeta avvia un vero e proprio sodalizio intellettuale, scambiando con lei pareri di lettura, consigli e impressioni. L’arricchimento culturale dell’esperienza montaliana è documentato in forma asistematica dalle pagine del cosiddetto Quaderno genovese, un diario intellettuale risalente al 1917, ma pubblicato postumo nel 1983. Montale legge Dante, Shakespeare, Tasso, Leopardi e i simbolisti francesi. Cita con ammirazione la poesia di Guido Gozzano e di Corrado Govoni e include i filosofi Cartesio, Spinoza, Bergson e Schopenahuer fra i 40 autori da condurre con sé nell’ipotesi scherzosa di ritirarsi a vita cenobitica. Se si aggiungono l’influsso del filosofo Giuseppe Rensi, nato in Veneto ma genovese d’adozione, la passione per la musica “descrittiva e impressionistica” di Debussy e, di lì a poco, il dialogo diretto con i poeti liguri, Ceccardo Roccatagliata Ceccardi, Adriano Grande e soprattutto Camillo Sbarbaro – sulle poesie di quest’ultimo, Trucioli, scrisse il primo articolo letterario, nel 1920 sul periodico “L’Azione” – si completa il ritratto del giovane Montale “dilettante di gran classe”, per usare un’immagine cara al poeta.

Durante la prima guerra mondiale viene richiamato alle armi e mandato alla Scuola d’applicazione di fanteria di Parma dove stringe amicizia con il coetaneo Sergio Solmi, poeta e critico di raffinato gusto modernista. All’indomani della guerra, dopo aver militato al fronte fino al 1918, prima in Vallarsa e poi a Caldaro, viene comandato come sottotenente capo a Torino, presso un campo di concentramento di prigionieri nemici. Questo soggiorno si rivela molto importante anche sul piano intellettuale perché, tramite la mediazione di Solmi, si avvicina moltissimo all’ambiente culturale e ideale della città, allora particolarmente vivo in grazia della presenza simultanea di Antonio Gramsci e Piero Gobetti, direttore ed editore, quest’ultimo, dei settimanali “La rivoluzione liberale” e “Il Baretti”, ai quali Montale viene presto invitato a collaborare. Attraverso gli ambienti letterari torinesi, conosce i protagonisti della letteratura triestina, sia poeti già maturi come Umberto Saba, a cui lo legheranno negli anni una stima e un’amicizia sincere, sia personaggi geniali ed enigmatici come Roberto “Bobi” Bazlen, che gli consiglia di leggere Kafka, Musil, e soprattutto Italo Svevo, del quale Montale riconosce precocemente il valore fin dal 1925, con l’articolo Omaggio a Italo Svevo uscito su “L’Esame”.

Le prime raccolte e l’ambiente fiorentino

Nel 1922, intanto, pubblica alcuni articoli e le prime poesie su un’altra rivista torinese di area gobettiana, “Primo Tempo”, fondata dal critico Giacomo Debenedetti, tanto che tre anni dopo, nel 1925, sembra quasi naturale che la sua prima raccolta di versi, Ossi di seppia, esca proprio per le Edizioni di Piero Gobetti. In quello stesso 1925, Montale sottoscrive tempestivamente il manifesto degli intellettuali antifascisti promosso dal filosofo liberale Benedetto Croce, mentre nel 1928 – ancora a Torino, ma dall’editore Ribet – avrebbe dato alle stampe una seconda edizione degli Ossi, accresciuta di alcune poesie fondamentali fra le quali Delta (poi tradotta in inglese da Samuel Beckett) e Arsenio, il testo di lì a poco accolto, nella traduzione dell’anglista Mario Praz, dall’importante rivista internazionale di poesia “Criterion”, redatta da Thomas Stearns Eliot. L’atonia vitale e la disperazione metafisica degli Ossi danno voce alla spiritualità latente di una nuova generazione di letterati. Soprattutto nella sezione eponima, Ossi di seppia e in Meriggi e ombre, le poesie mettono l’accento sulla vanità ingannevole della rappresentazione umana, chiudendo definitivamente i conti con l’idea di una rivelazione trascendentale. La realtà altro non è che un insieme di frantumi, residui, relitti, rottami, “ossi di seppia”, appunto, abbandonati sulla spiaggia dopo la tempesta. Negli Ossi il lettore riconosce la presenza di Pascoli e d’Annunzio, ma non trova l’ammiccare al verso altrui. A questo proposito il critico Guido Guglielmi ha spiegato che la parola di Montale è da subito “una parola della molteplicità”, che se riprende altri poeti non si limita a evocarli, ma li piega analiticamente alla propria intenzione oggettivante, espressa da una lingua cosale, aspra e petrosa.

Nel 1927 Montale si trasferisce a Firenze, allora capitale letteraria italiana, dove si pubblica una rivista di vocazione europea come la “Solaria” di Alberto Carocci e dove sono presenti scrittori come Carlo Emilio Gadda, Elio Vittorini, Antonio Delfini e i futuri ermetici Mario Luzi e Carlo Bo. Lavora prima per l’editore Bemporad, poi come direttore del Gabinetto Vieusseux. Nel 1938 viene sollevato dall’incarico per aver rifiutato di iscriversi al partito fascista e da allora fino alla fine della guerra vive soltanto di traduzioni e sporadiche collaborazioni. Traduce narratori come Nathaniel Hawthorne, Herman Melville, John Steinbeck, collabora attivamente all’antologia Americana curata da Vittorini e comincia un denso percorso di traduttore di versi (confluito nel 1948 nel Quaderno di traduzioni, dove si leggono poesie di Eliot, Jorge Guillén, Gerard Manley Hopkins, Emily Dickinson, William Butler Yeats, Joyce e Costantinos Kavafis). Nel 1932 esce La casa dei doganieri e altre poesie, nucleo centrale del libro che consacra Montale fra i più importanti poeti dell’epoca, Le occasioni, uscito nel 1939 e dedicato a I.B., Irma Brandeis, una giovane dantista americana di cui il poeta si era innamorato, presente nel libro con lo pseudonimo mitologico di Clizia, visiting angel, donna messaggera fra terra e cielo. Libro strutturalmente complesso, Le occasioni raggiungono il risultato di una poesia in cui la ricerca del segreto nel pulsare assoluto dell’attimo si fonde con l’esperienza privata del soggetto lirico. Il cuore del volume è rappresentato dalla seconda sezione, i Mottetti, fatta di poesie brevi che, in una dialettica continua di assenza-presenza, attesa-epifania, sviluppano un canzoniere d’amore, in parte stilnovistico, in parte petrarchesco. Nelle Occasioni, Montale impiega la tecnica del correlativo oggettivo (introdotta da Eliot nel 1920), che prevede di collegare concretamente una serie di oggetti e di eventi esterni a una particolare trama emotiva. Il poeta italiano spiega più volte di essere giunto indipendentemente a questa poetica, avendo sentito il bisogno di esprimere l’occasione biografica della poesia traducendola in un oggetto reale.

A Milano

Nel 1946, dopo aver partecipato alla breve esperienza politica del Partito d’azione e aver fondato, con Alessandro Bonsanti, il quindicinale “Il mondo”, si trasferisce a Milano, la sua terza e definitiva città, dove viene assunto al “Corriere della sera” come redattore ordinario della terza pagina. D’ora in avanti il “secondo mestiere” di giornalista, saggista e prosatore accompagnerà costantemente quello creativo (le prose di viaggio, gli scritti di critica letteraria e musicale escono, approvati dall’autore ma non per sua cura, rispettivamente nei volumi Fuori di casa, del 1969, Sulla poesia, del 1976 e Prime alla Scala, del 1981).

Nel 1956 esce La bufera e altro, preceduta nel 1943 dalla plaquette Finisterre, pubblicata clandestinamente a Lugano con l’aiuto del critico e amico Gianfranco Contini. Montale considerava Finisterre un’appendice all’“esperienza petrarchesca” delle Occasioni: “Finisterre conclude le Occasioni; mentre le altre poesie della Bufera tornano a un’espressione più diretta, allentano le maglie di una tessitura fin troppo rigorosa”, e precisa ancora “dopo la Liberazione ho scritto poesie di ispirazione più immediata”. Nel medesimo 1956 esce anche Farfalla di Dinard, un libro apparentemente minore, di prose autobiografiche e d’invenzione, che è in realtà un piccolo capolavoro da leggere a fianco della raccolta di versi. Nella Bufera, infatti, l’esperienza assoluta del negativo e del male, dopo Auschwitz e dopo Hiroshima, procede di pari passo con una rivalutazione del lato terreno dell’esistenza definito dell’eros e dai valori di una resistenza etica istintuale. Non a caso con questa raccolta Montale approfondisce il suo straordinario confronto con la lezione di Dante. Secondo il modo dantesco della pluralità dei sensi della scrittura, nella Bufera i temi apocalittici della storia collettiva e gli aspetti minimi del quotidiano più dimesso si inseriscono gli uni negli altri, narrando una storia di speranze e delusioni che comunque non esclude, nell’explicit sospeso delle Conclusioni provvisorie, l’“attesa” e il “sogno” di una diversa realtà.

Dopo la Bufera, Montale smette di scrivere poesie per quasi un decennio. Nel 1966 pubblica Auto da fé, un importante volume di saggi e meditazioni intellettuali, mentre il successivo libro di versi, Satura, esce nel 1971 e riunisce, eccetto Botta e risposta I che è del 1961, poesie scritte a partire dal 1964. La raccolta, dedicata alla moglie Drusilla Tanzi (detta Mosca), da poco scomparsa e presa a interlocutrice dall’io poetico, introduce un tono nuovo di comunicazione affettuosa e familiare. Anche sul piano stilistico, infatti, Montale si mostra capace di un rinnovamento molto profondo, attraverso il dialogo serrato con la poesia di Pier Paolo Pasolini, della neoavanguardia e di Vittorio Sereni. I materiali degradati, gli oggetti-scorie della lingua e dell’esperienza si caricano e danno luogo a una scrittura impostata sul ritmo franto delle allitterazioni interne e delle rapide interiezioni, tendente spesso al comico. Per il Montale “vecchio” la poesia ha il valore di una cosa fragile e apparentemente dimenticata, può ormai solo stare, come la pietra o un altro oggetto, senza altro scopo che la sua mera presenza. Nel dicembre 1975, durante il suo discorso di accettazione del premio Nobel assegnatogli nell’ottobre precedente, dal titolo interrogativo È ancora possibile la poesia?, Montale afferma che le opere letterarie, seppure ormai ridotte a una polifonia di voci sfuggenti e “praticamente impossibili a identificarsi nella civiltà consumistica”, dovrebbero perseguire sempre l’obiettivo di porre un limite al “diffondersi di quello spirito utilitario che in varie gamme si spinge fino alla corruzione, al delitto e a ogni forma di violenza e di intolleranza”, rifiutando “con orrore il termine di produzione”. Seguiranno questa poetica intima e civile tutte le raccolte della senilità, precedenti di pochissimo la morte del poeta, avvenuta a Milano il 12 settembre 1981, ma tutt’altro che opere minori. Nel 1973 esce Diario del ’71 e del ’72, nel 1977 Quaderno di quattro anni. Nel 1980, all’interno dell’edizione critica dell’Opera in versi, viene inserita la silloge degli Altri versi (organizzata dai curatori Gianfranco Contini e Rosanna Bettarini).

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