EZZELINO II DA ROMANO, IL MONACO

Federiciana (2005)

Ezzelino II da Romano, il Monaco

Antonio Rigon

In una lettera spedita nel 1238 a Federico II, Ezzelino III da Romano, secondo il contemporaneo cronista Rolandino da Padova, avrebbe ricordato che, essendo stato suo padre E. un suddito obbediente dell'Impero e della Corona, anch'egli si era posto sotto la tutela dell'imperatore. L'idea tradizionale di una costante fedeltà all'Impero dei da Romano non ha in realtà fondamento. Emersa negli ultimi decenni dell'XI sec. tra le casate eminenti della Marca veronese e radicata nei castelli di Onara e di Romano, la famiglia, che estendeva il proprio dominio in un'area relativamente ampia tra i territori dei comitati di Treviso e di Vicenza, non lontana da quello di Padova, aveva manifestato orientamenti filopapali nell'età della riforma e, nel secolo successivo, con Ezzelino I, si era schierata dalla parte dei comuni lombardi nelle lotte contro l'imperatore Federico I Barbarossa, che solo con la pace di Costanza del 1183 aveva riammesso nella grazia imperiale il signore da Romano.

Subentrato al padre Ezzelino I negli anni Ottanta del XII sec., E. (1150 ca.-1235 ca.) ne proseguì la politica di inserimento nella vita comunale, rafforzando i legami con Treviso e partecipando attivamente, a fianco dei trevigiani, alle lotte politiche tra le città. Presente nella lista dei cittadini che il 4 aprile 1184 giuravano un accordo con gli uomini di Ceneda, fu console del comune di Treviso nel 1187 e podestà dal luglio 1190 al luglio 1192. Con il 1192 si arresta il suo impegno diretto ai vertici del comune, nel consolato e nella podesteria, ma, sino al ritiro dalla politica nel 1221, fu attivo sulla scena trevigiana, tessendo una solida rete di relazioni con famiglie signorili, con il notabilato urbano, con enti ecclesiastici.

Più volte presente come teste ad atti relativi ai canonici, nel 1190 fu primo fra i pari della curia canonicale e nel 1192 emise una sentenza in favore dei canonici stessi. Come testimone nel 1188 e come podestà nel 1191 seguì le vicende relative alla vendita che Guecello e Gabriele da Camino fecero al comune di Treviso della metà del castello di Zumelle e di beni nel Bellunese per la somma di 13.000 lire necessarie a pagare i debiti. La capacità del da Romano di attirare consensi, di intrecciare rapporti e di diventare punto di riferimento per domini del contado ed élites urbane è dimostrata dai matrimoni delle figlie Agnese e Palma rispettivamente con Giacomo Guidotti, forse appartenente ad un ramo dei conti di Treviso, e Gualpertino del fu Gualpertino da Cavaso, che rimarranno suoi fedeli alleati. Significativo è anche il fatto che il 5 agosto 1190 Bonifacio da Crespignaga gli affidasse la tutela dei figli. La solidarietà di interessi con Treviso emerge anche dall'atto con cui, nel 1203, assieme ai cittadini di quella città si impegnava a negare aiuto a Zordanino da Orgnano, se questi si fosse ribellato al comune.

Esperienze di governo, intreccio di alleanze, convergenza di interessi portarono E. ad affiancarsi costantemente al comune di Treviso, in particolare contro il patriarca di Aquileia per il controllo dei vescovati di Ceneda, Feltre e Belluno. Alla pace di Mantova del 1193, assieme al podestà, rappresentò il comune trevigiano allora in lotta appunto con il patriarca, con i vescovi di quella diocesi e con altri per il possesso di beni e giurisdizioni. Una lunga lite, che gli costò la scomunica, lo contrappose tra il 1185-1187 e il 1198 al monastero di Sesto al Reghena, di giurisdizione patriarcale, per beni usurpati al cenobio. In seguito appoggiò ripetutamente i conti di Gorizia, avvocati della Chiesa di Aquileia, ribelli al patriarca, ed esercitò, soprattutto nel Friuli occidentale, una forte influenza indiretta attraverso la famiglia da Prata, per i cui membri fu guida e consigliere ascoltato e attraverso la quale si garantì da eventuali aggressioni da parte del patriarcato.

Importanza particolare rivestono gli arbitrati ezzeliniani nelle controversie che coinvolsero i da Prata. Testimone a Pordenone nel 1190, in occasione della lite che contrappose gli stessi da Prata ai Caporiano, e ancora teste nel 1199 a Camolli all'accordo di pace tra Guecelleto da Prata, suo figlio Federico e il comune di Treviso, nel 1214 il da Romano fu arbitro nella contesa tra il suddetto Federico e suo fratello Gabriele. In seguito anche Ezzelino III e Alberico da Romano furono coinvolti in arbitrati tra i membri della casata. Per quanto riguarda i rapporti con gli episcopati di Feltre e Belluno, l'interesse del da Romano appare a più riprese sotto forma di presenza ad atti importanti, come la concordia stabilita tra quei vescovi e il comune di Treviso nel febbraio del 1200, o di interventi di sostegno come il prestito di 5.000 lire concesso al vescovo di Feltre, attestato in documenti del 1206 e del 1207.

Nel frattempo erano maturate nuove condizioni politiche con l'emergere all'interno delle città comunali delle partes e con l'intreccio di relazioni da esse stabilito con le fazioni di altre città. Dando un nuovo indirizzo alla politica familiare, cui impresse respiro regionale, E. si inserì nelle lotte tra Padova e Vicenza per la supremazia su Bassano, grosso centro semiurbano e nodo essenziale per le comunicazioni in molteplici direzioni. I bassanesi nel 1175 si erano assoggettati con giuramento ai vicentini ma, confermando una notizia fornita da Rolandino da Padova, due documenti del 1187 e del 1191 dimostrano che E. teneva curia in Bassano. L'esercizio del potere signorile su quel centro fu all'origine dell'inimicizia con Vicenza, ove divampavano le lotte interne tra le fazioni dei conti e quella dei da Vivaro, espulsi dalla città nel 1194. Alleatosi con i Vivaresi intenzionati a rientrare in città, E. ottenne l'appoggio di Padova che pure mirava al controllo su Bassano e, tra il 1193 e il 1194, la cedette ai padovani in cambio di una forte somma di denaro, provocando la reazione vicentina. Vano fu nel 1196 il tentativo di mediazione dei rettori della Lega lombarda che ne ordinavano la restituzione ai vicentini e ingiungevano ai padovani di non chiedere compensi al da Romano. In realtà Vicenza non rientrò in possesso di Bassano, che dal comune di Padova fu subito ceduta di nuovo a Ezzelino II. L'alleanza con Padova non durò tuttavia a lungo. Dopo tentativi di accomodamento e scontri con il comune di Vicenza, culminati nella battaglia di Carmignano del 1198, nella quale i vicentini furono sconfitti dai padovani, da E. e dal marchese Azzo d'Este, proprio la crescente potenza espansiva degli Estensi, collegati con il comune padovano, fece maturare le condizioni per un rovesciamento di alleanze. Staccandosi da Padova, E. si avvicinò a Vicenza e Verona, rafforzando i legami con tutti gli avversari della casa d'Este, tra i quali Salinguerra II Torelli che, a Ferrara, si opponeva alla preponderanza estense e agiva come elemento di coagulo delle forze antiestensi. Se, sul finire del 1198, fu il podestà di Verona ad arbitrare la pace tra E. e Vicenza (pegno fu la concessione in ostaggio di Ezzelino III), nel 1207 lo stesso E. intervenne con il conte del Tirolo, in Verona, a favore della pars dei Monticoli. Agli inizi del Duecento l'inserimento di E. nel gioco delle partes, delle quali in prospettiva sovracittadina si avviava a diventare un protagonista assoluto, era così un fatto acquisito.

Il legame di parte fu essenziale nel qualificare i rapporti tra i da Romano e Verona perché, mentre altrove essi dispo-nevano di autonome basi di potere, di robuste relazioni vassallatiche, di solidi rapporti con enti ecclesiastici, di castelli e masnade, a Verona il rapporto si consolidò sulla base di semplici legami di fazione, di appartenenza alla pars Monticulorum antiestense e antisveva, avversa alla filoestense pars Comitum. Abbastanza chiare appaiono le ragioni dell'emergere di una situazione esplosiva nella terraferma veneta. Non fu la faida familiare tra i da Romano e i da Camposampiero a originare i mali della Marca come vuole Rolandino da Padova, secondo il quale, battuto sul tempo da un'ingannevole iniziativa di Ezzelino I che fece sposare suo figlio E. alla nobile Cecilia d'Abano, promessa a Gherardo da Camposampiero, costui si vendicò stuprando successivamente la donna e aprendo la strada alle vendette incrociate e a una lotta senza quartiere che infiammò l'intera regione. A scatenare la violenza furono piuttosto le lotte di fazione cittadine (alimentate anche da simili episodi) nelle quali, nel giro di pochi anni, i da Romano da una parte e gli Estensi dall'altra divennero i punti di riferimento. Il potenziale infettivo di questi scontri fu tale che nel 1210 il comune di Bologna per tenersi fuori dalle lotte nella Marca impose che nessuno, senza l'autorizzazione del podestà, potesse accettare denaro dal marchese d'Este, dagli eredi di Salinguerra, dal conte da Sambonifacio o da Ezzelino II da Romano.

Il riaffacciarsi nelle vicende della Marca di un grande protagonista come l'Impero di Ottone IV di Bruns-wick e di Federico II di Svevia contribuì anche a definire gli schieramenti nei confronti dell'Impero degli Svevi, al quale finirono coll'aderire quanti militavano nella parte estense, anche se, più che di orientamenti ideologici, si deve parlare di scelte pragmatiche dettate dalle opportunità offerte da una situazione complessa e dal prevalere di ostilità locali. Padova, ad esempio, non dilaniata dalle lotte di fazione, condusse una politica assai cauta sostenendo nel 1209 E. nella difesa di Bassano contro Vicenza e Verona e attaccando a sua volta le roccaforti estensi nel 1213 con l'aiuto del da Romano.

Pur nella fluidità delle alleanze locali in quel giro di anni si erano comunque delineate le posizioni di fondo nei confronti dei pretendenti al trono imperiale. Dopo la morte di Enrico VI, Azzo d'Este e il conte da Sambonifacio si erano schierati con Filippo di Svevia, mentre E. e Salinguerra, con Milano e altre città, avevano parteggiato per Ottone IV che, da Trento, scendeva a Roma per esservi incoronato imperatore. E. gli andò incontro nel Veronese e lo accompagnò nel viaggio verso Roma e da lì, di nuovo, nell'Italia settentrionale.

Fu un'occasione d'incontro dei vertici della feudalità della Marca. Il filoezzeliniano cronista Maurisio, che seguiva E., descrive l'accoglienza e gli onori tributati al da Romano, la sua difficile convivenza con il marchese d'Este e con Salinguerra Torelli, pure presenti a corte, che accusavano E. di tradimento. Con difficoltà l'imperatore era riuscito ad evitare lo scontro e a imporre loro la promessa di amicizia.

Tra l'autunno del 1209 e la primavera dell'anno seguente il da Romano seguì l'imperatore nei suoi spostamenti verso la Marca di Ancona, che fu assoggettata all'Impero, e nell'Italia centrale (fra Umbria, Toscana e Romagna). Poi, secondo Maurisio, ebbe l'appoggio imperiale per esercitare la podesteria in Vicenza negli anni 1210-1211, carica che ricoprì anche nel 1212-1213: a conferma di una prolungata prevalenza della sua fazione in città. Sono questi gli anni del controllo ezzeliniano su Vicenza, di spregiudicate alleanze (con Padova contro gli Estensi nel 1213), dell'autorevole e continuata influenza su Treviso, del consolidamento dei rapporti familiari e patrimoniali.

Già quattro volte sposato (con Agnese d'Este, con Speronella Dalesmanini, con Cecilia d'Abano, con Adelaide dei conti di Mangona in Toscana), aveva avuto quattro figlie femmine (Palma Novella, Emilia, Sofia, Cunizza) e due maschi (Ezzelino III, Alberico) da Adelaide, e due figlie rispettivamente da Agnese (Palma) e da Cecilia (Agnese). Palma, andata sposa nel 1207 a Gualpertino del fu Gualpertino da Cavaso era già morta nel 1218, quando il padre faceva richiesta al genero di restituzione della dote; nello stesso anno 1207 Emilia aveva sposato Alberto dei conti di Vicenza. Nel 1211, assieme ai conti Mainardo di Gorizia e Alberto del Tirolo, E. era a Trento, quando il nobile friulano Ludovico di Strassoldo alienava al vescovo Federico da Trento la sua parte del castello di Beseno che dominava la Val Lagarina. Probabilmente si colloca in tale contesto e in tale ambito cronologico anche il matrimonio di Sofia con Enrico d'Egna, membro di un casato che godeva di numerosi agganci patrimoniali e familiari nell'area trentino-tirolese e nella Marca veronese-trevigiana sino al Friuli.

Il prevalere in Vicenza della fazione avversa ai da Vivaro nel 1217 e 1218, sotto la podesteria di Rambertino da Bologna, indusse E. a occupare il castello di Marostica, conducendo scorrerie nel territorio vicentino. Una mediazione fu tentata dal podestà di Padova e dall'autorevole priore del monastero padovano di S. Benedetto Giordano Forzatè i quali, dopo aver fissato un compromesso fra le parti, il 21 giugno 1218 emanavano una sentenza nella quale, fra l'altro, si stabiliva la restituzione di Marostica e Bassano a Vicenza.

Il 24 luglio, al momento della ratifica, E. era malato in Padova. Il priore Giordano Forzatè andò a visitarlo nel palazzo di Egidio Bonizi dove due medici assistevano l'infermo. A giurare il mantenimento dell'accordo fu, a nome del padre presente all'atto, Ezzelino III. La malattia del da Romano, che ribadiva forse uno stato di cagionevole salute altre volte manifestatosi, e l'intervento decisivo del figlio Ezzelino III erano i primi segnali di un cambiamento di vita che non avrebbe tardato molto a palesarsi.

La fragile pace raggiunta si ruppe rapidamente. Nel 1219 Uguccione Pilio della fazione dei conti, che pretendeva per la sua pars il controllo di due terzi delle cariche e degli uffici, scatenò un tumulto in Vicenza, si fece eleggere podestà e provocò l'uscita dalla città degli amici di Ezzelino II. Mentre questi era impegnato a Treviso, allora in lotta con il nuovo patriarca di Aquileia Bertoldo e con il vescovo di Treviso, Uguccione faceva eleggere podestà di Vicenza Rambertino da Bologna che già in passato aveva dimostrato la propria avversione ai da Romano.

E. fu presente il 15 settembre 1219 alla dedizione di molti castellani del Friuli a Treviso di cui assumevano la cittadinanza; il 23 maggio 1220 assisté ad analogo atto con il quale si assoggettavano al comune trevigiano numerose famiglie bellunesi. Nel 1219 aveva ceduto per danaro il castello di Campreto ai padovani, i quali l'anno seguente innalzarono a pochi chilometri da Castelfranco Veneto, baluardo trevigiano, il castello di Cittadella che ridimensionava economicamente e amministrativamente quello di Onara.

A reagire fu Ezzelino III che operò sia sul piano militare che politico: da Bassano mosse contro i vicentini, infliggendo loro una dura sconfitta a Bressanvido; accettò poi la mediazione padovana per rientrare con il fratello Alberico e la sua pars in Vicenza, resistendo con la forza agli avversari subito mobilitatisi in città contro di lui; intraprese un'accorta politica matrimoniale, volta alla pacificazione della città di Verona, con i da Sambonifacio, capi della fazione dei conti, sposandosi con Zilia, sorella del conte Rizzardo, il quale a sua volta si unì in matrimonio con la sorella di Ezzelino III, Cunizza (1222).

E., invece, aveva deciso di cambiar vita (da qui l'appellativo di 'Monaco').

La tradizione di rapporti con il mondo ecclesiastico e monastico aveva radici antiche nei da Romano e si configurava nei modi consueti dell'inserimento nelle clientele vassallatiche di vescovadi, capitoli canonicali, abbazie; nella fondazione di chiese, monasteri, ospedali; nel patronato di enti religiosi. La loro propensione al cumulo di cariche in quanto avvocati laici delle Chiese di area veneto-friulana (patriarcato di Aquileia, vescovadi di Feltre e Belluno, monasteri del Pero e di Sesto al Reghena) è stata largamente comprovata, così come è documentato il costante interesse per il cenobio di S. Croce di Campese alla cui fondazione, a opera dell'ex abate di Cluny Ponzio, i da Romano avevano concorso assieme ad altre famiglie. Il 20 settembre 1202 E. aveva venduto al priore di Campese un podere in Angarano e il villaggio di Foza per 1.000 lire; il 3 ottobre 1205 emanò una sentenza nella controversia fra il monastero e il comune di Angarano per boschi in Valstagna e altre località; il 5 giugno 1216 donava al cenobio i suoi diritti su un'isola nel fiume Brenta verso la chiesa di Solagna.

Dopo aver comunicato al papa Onorio III la decisione di vivere il resto dei suoi giorni "in religiosa conversatione et habitu", ottenendo dal pontefice l'approvazione e la protezione apostolica su di lui e sui beni trattenuti per il proprio sostentamento, il 21 novembre 1221 E. donava al monastero di S. Croce di Campese i diritti sulla chiesa di S. Spirito di Oliero, da lui stesso fondata e dotata, trattenendone il giuspatronato e con esso i diritti temporali. Non sembra che egli intendesse prendere i voti monastici. Restando laico aveva invece raccolto attorno a sé una societas religiosa e, dimostrando interesse per la cultura, impegnava i monaci di Campese a tenere in S. Spirito di Oliero quattro litterati, di cui almeno due monaci, e almeno altri due sacerdoti pure letterati. Gravavano però su di lui sospetti di insincerità e accuse di eresia. A più riprese aveva subito la scomunica, peraltro per ragioni politiche più che religiose.

Dopo essere stato minacciato di scomunica da Urbano IV fu in seguito scomunicato, come attesta una lettera di Gregorio VIII del 1187, per la mancata restituzione di beni usurpati al monastero di Sesto al Reghena. Interventi e moniti papali (anche di Celestino III nel 1191) non sembrano averlo indotto a rinunciare ai beni, e solo nel 1198 fu liberato dalla scomunica dal patriarca di Aquileia. Quindici anni dopo risultava però di nuovo scomunicato. Nel 1213 infatti Innocenzo III rimproverò i padovani per l'alleanza con lo scomunicato E. contro il marchese d'Este.

Anche dal chiostro d'altra parte E. seguiva le vicende politiche della Marca. Dopo aver diviso nel 1223 il patrimonio tra i figli Ezzelino III e Alberico, continuò a esserne ascoltato consigliere e punto di riferimento per alleati e parenti. Il 21 maggio 1228 presenziò alla risoluzione della lite e alla divisione dei beni tra Federico da Porcia e Guecello da Prata, figli del defunto Gabriele, demandata a Ezzelino III e ad Alberico che si avvalevano del consiglio del padre. Sempre nel 1228, secondo la cronaca di Rolandino da Padova, avrebbe spedito agli stessi Ezzelino III e Alberico una lettera con la quale, a proposito del contestato castello di Fonte, li esortava a cedere di fronte al comune di Padova la cui potenza era ancora troppo superiore a quella dei da Romano. Nulla peraltro impediva di pensare che in futuro i padovani e anzi tutte le genti della Marca si sarebbero dovute sottomettere alla dominazione di uno di loro o di tutti e due, secondo quanto aveva profetizzato la loro madre Adelaide.

E. visse ancora abbastanza per vedere, se non la realizzazione di questo sogno di dominio, un mutamento di indirizzo politico quando, nell'aprile del 1232, suo figlio Ezzelino III e i Monticoli passarono in Verona dalla parte dello svevo Federico II, operando un cambiamento di linea grazie al quale Ezzelino III diventerà, da allora, il leader della pars Imperii nella Marca.

Ancor vivo nel gennaio del 1233, in un documento del 16 febbraio 1235 E. risulta morto, probabilmente non da molto tempo.

fonti e bibliografia

Per le fonti documentarie resta tuttora fondamentale il Codice diplomatico eceliniano, in Storia degli Ecelini, a cura di G.B. Verci, III, Bassano 1779. Cf. inoltre J.F.B.M. De Rubeis, Monumenta ecclesiae Aquileiensis, Argentinae 1740; Codex Wangianus. Urkundenbuch des Hochstiftes Trient angelegt von Friedrich von Wangen, Bischofe von Trient und Kaiser Friedrichs II. Reichsvicar für Italien, a cura di R. Kink, Wien 1852; K.F. Stumpf-Brentano, Acta Imperii inde ab Heinrico I ad Heinricum VI usque adhuc inedita, Innsbruck 1865-1881 (riprod. anast. 1964); A.S. Minotto, Acta et diplomata e r. tabulario veneto, II, Documenta ad Belunum, Cenetam, Feltria, Tarvisium spectantia, Venetiis 1871; Regesta Imperii, V, 1-3, Die Regesten des Kaiserreiches […], a cura di J.F. Böhmer-J. Ficker-E. Winkelmann, Inns-bruck 1881-1901; J.V. von Pflugk-Harttung, Urkunden der Päpste 590-1197, III, Stuttgart 1886; P. Pressutti, Regesta Honorii papae III, I-II, Roma 1895; P.F. Kehr, Italia pontificia, VII, Venetiae et Histria, I-II, Berolini 1923-1925; F. Scarmoncin, Comune e debito pubblico a Bassano nell'età ezzeliniana (dai documenti dell'Archivio del Museo civico: aa. 1211-1259), Bassano 1986.

Quanto alle fonti cronachistiche v. Rolandino da Padova, Cronica in factis et circa facta Marchie Trivixane (1200 cc.-1262), in R.I.S.2, VIII, 1, a cura di A. Bonardi, 1905-1908; Liber regiminum Padue, ibid.; Cronaca di Antonio Godi vicentino dall'anno MCXCIV all'anno MCCLX, ibid., 2, a cura di G. Soranzo, 1909; Gerardo Maurisio, Cronica dominorum Ecelini et Alberici fratrum de Romano (a. 1183-1237), ibid., 4, a cura di G. Soranzo, 1913-1914; Chronicon Marchiae Tarvisinae et Lombardiae (a. 1207-1270), ibid., 3, a cura di L.A. Botteghi, 1914-1916; Niccolò Smereglo, Annales civitatis Vincentiae (a. 1200-1312), ibid., 5, a cura di G. Soranzo, 1921.

Per quel che riguarda la storiografia i contributi più aggiornati sono raccolti nei Nuovi studi ezzeliniani, a cura di G. Cracco, Roma 1992 (v. anche i precedenti G. Fasoli et al., Studi ezzeliniani, ivi 1963, e il recente volume Ezzelini signori della Marca nel cuore dell'impero di Federico II, a cura di C. Bertelli-G. Marcadella, Milano 2001, con annesso catalogo della mostra).

Di utile consultazione è la monografia di M. Rapisarda, La signoria di Ezzelino da Romano, Udine 1965, alla quale si può aggiungere C. Polizzi, Ezzelino da Romano. Signoria territoriale e comune cittadino, Cassola 1989, che raccoglie numerosi documenti. Sulla cronachistica di età ezzeliniana v. i classici lavori di G. Arnaldi, Studi sui cronisti della Marca Trevigiana nell'età di Ezzelino da Romano, Roma 1963 (riprod. anast. 1998) e di G. Arnaldi-L. Capo, I cronisti di Venezia e della Marca Trevigiana dalle origini alla fine del secolo XIII, in Storia della cultura veneta, I, Dalle origini al Trecento, Vicenza 1976, pp. 387-423.

Su singole città e realtà territoriali v. G. Biscaro, Il comune di Treviso e i suoi più antichi statuti fino al 1218, "Nuovo Archivio Veneto", n. ser., 1, 1901, pp. 95-130; 2, 1902, pp. 107-146; 5, 1903, pp. 128-160; L. Simeoni, Il comune veronese sino ad Ezzelino e il suo primo statuto, in Studi di Verona nel medioevo, II, Verona 1960 ("Studi Storici Veronesi", 10, 1959); R. della Torre, L'abbazia di Sesto in Silvis dalle origini alla fine del '200. Introduzione storica e documenti, Trieste 1979; Storia e cultura a Padova nell'età di sant'Antonio, Padova 1985; A. Castagnetti, Società e politica a Ferrara dall'età post-carolingia alla signoria estense(sec. X-XIII), Bologna 1985; G. Cracco, Da comune di famiglie a città satellite (1183-1311), in Storia di Vicenza, II, L'età medievale, a cura di Id., Vicenza 1987, pp. 73-130.

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