COLLOREDO, Fabrizio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 27 (1982)

COLLOREDO, Fabrizio

Maria Rosa Pardi Malanima

Nacque in Friuli nel 1576 da Giovanna di Mels e da Fabio, discendente dal ramo della famiglia che aveva avuto come capostipite Vicardo di Guglielmo, vissuto nel sec. XIV. Capitano della cavalleria dei feudatari dei Friuli, Fabio, nel periodo della guerra fra Firenze e Siena, era passato al servizio del duca Cosimo I e in seguito trasferì a Firenze la famiglia: il C., nel 1587, fu accolto come paggio presso la corte di Ferdinando I de' Medici dove si provvide a completare la sua educazione. Divenuto cameriere di Cosimo nel 1592, il 26 marzo 1595 fu accolto nell'Ordine di S. Stefano. Come cavaliere partecipò, col grado di capitano, all'impresa di Bona, in Barberia. Durante questa azione si distinse particolarmente a capo di duecento nobili volontari.

Per ricordare le gesta dei cavalieri, nella villa di Petraia, nel Volterrano, per volere del granduca, furono dipinti i ritratti dei tre comandanti della spedizione: Amuzio Inghirami, Silvio Piccolomini e il C., nell'atto di essere ricevuti dal gran maestro di S. Stefano Cosimo II.

Negli anni seguenti il C. ottenne alte cariche nell'Ordine: nel 1617 era gran connestabile e nel 1621 priore in Lunigiana. Altre cariche ottenne alla corte, quale, nel 1602, quella di maestro di camera del granduca Ferdinando, incarico che avrebbe conservato fino alla morte. Ma soprattutto rilevante fu la sua attività diplomatica. Nel 1608 fu inviato a Venezia ad annunziare il matrimonio fra Cosimo e l'arciduchessa Maria Maddalena d'Austria. Compito precipuo dell'ambasciatore era quello di ottenere le navi che portassero la sposa da Trieste ad Ancona. Da questa città l'arciduchessa e il suo seguito avrebbero proseguito alla volta di Firenze. Nello stesso anno si recò a Monaco e Salisburgo per porgere le condoglianze dei Medici per la morte della duchessa Maria. Nel 1609 egli compì un lungo viaggio in Polonia e in Germania per comunicare alle varie corti la morte di Ferdinando I.

Sul viaggio esistono due resoconti, uno dello stesso C. (Arch. di Stato di Firenze, Mediceo del Principato, 6377, ins. 4) e un altro di un nobile fiammingo, Daniele Eremita, che aveva tenuto un diario poi pubblicato dal Graeve col titolo di Iter Germanicum sive epistola ad equitem Camillum Guidum scripta de relatione ad Rodolphum Caes. Aug. et aliquot Germaniae principes.

Nella relazione del C., accanto a descrizioni riguardanti questioni di etichetta e di protocollo, si trovano alcuni pungenti giudizi sui costumi dei principi tedeschi: "trovai il S. Duca Cristiano di Sassonia assai dedito al vino, che lo fa star continuamente stupido, e quasi senza parlare". Sul fratello dell'elettore, Giorgio, il C. scriveva: "è principe galante e assai spiritoso, ma assai collerico, si diletta ancora lui delle cacce, non facendo mai altro che andare in campagna". Nel suo rapporto; inoltre, il C. tratteggiava anche le tendenze politiche dei personaggi di maggior rilievo, non tralasciando naturalmente di parlare della loro fede religiosa, elemento continuo di discordie in quelle regioni. A proposito del langravio Maurizio d'Assia specificava che: "fa profession d'essere il più dotto Principe di Alemagna et il maggior menagiero, ... essendo nemico ... della nostra religione et predicando ... lui stesso alli suoi popoli, procura con ogni studio et diligentia di provocare tutti gli altri principi contro il Papa". Il langravio si dichiarava favorevole alla politica delle case di Francia e di Inghilterra e avverso all'Austria.

Il C. rilevava particolarmente che "tutti gli elettori secolari e li altri principi di Germania Eretici ... fanno professione di essere servitori del Re di Francia, ... vestono alla francese e parlano anche francese. In molti ragionamenti si sono allargati con dirmi che dubitano che V. A. per rispetto del Parentado che ha di nuovo con Casa d'Austria ella non si sia per dichiarare al tutto Spagnolo, che in tal caso non seguiterebbero la medesima confidenza, che hanno avuto per il passato con il Serenissimo Granduca Ferdinando". Tali opinioni venivano propugnate soprattutto dall'elettore del Brandeburgo e da Maurizio d'Assia, i quali esprimevano anche il timore che vi fossero dissapori fra la Toscana, da una parte, e Francia e Inghilterra dall'altra. Il C. si affrettava a smentire queste illazioni. Gli elettori tedeschi, inoltre, erano molto ansiosi di sapere se anche Cosimo II, come Ferdinando, avrebbe continuato la politica di neutralità tanto ben accetta alla Germania.

Il C. era appena tornato a Firenze, quando, nel gennaio 1610, veniva nuovamente nominato ambasciatore straordinario e inviato a Roma a condolersi della morte di Giovan Battista Borghese, fratello del papa Paolo V. L'anno successivo fu inviato in Spagna per condolersi della morte della regina Margherita, madre della duchessa. Nel 1614 ebbe un nuovo incarico militare, il comando di un corpo di corazzieri, inviato in aiuto del duca di Mantova impegnato contro i Savoia.

Nel 1615 il granduca premiava l'opera diplomatica e militare del C., concedendogli il titolo di marchese. Le terre che costituivano il feudo erano comprese nei territori di Santa Sofia, Cicognaia e Monterotondo, posti nella valle di Marecchia in Romagna. Questi luoghi erano appartenuti in precedenza ai conti di Montedoglio e ai Gonzaga. Si dava facoltà al C., in mancanza di discendenti maschi, di nominare alla successione un ramo collaterale della sua famiglia. Nel 1621, infatti, il C., perduta la speranza di avere un erede dalla moglie Claudia, figlia di Orazio Colloredo, cedeva il feudo ai figli del fratello Niccolò, che lo avrebbero mantenuto alla famiglia fino al 1794.

Nel 1619 veniva inviato in Lorena per complimentarsi del matrimonio di Nicolle col principe di Vaudemont. In questi stessi anni diveniva sempre più intimo del granduca Cosimo, tanto che quest'ultimo lo nominava, nel suo testamento, fra i quattro consiglieri della Reggenza.

Nel 1621, alla morte del granduca, il C. si recava prima in Lorena poi in Francia a comunicare la notizia.

Al re di Francia avrebbe dovuto assicurare la continuità della politica toscana nei confronti di quel regno. Da parte della famiglia granducale, inoltre, si inviavano lettere per il principe di Condé e il conte di Soissons. Nelle istruzioni si raccomandava al C. di recarsi a visitare per primo il nunzio apostolico "perché con uno che rappresenta la persona del Papa, non ci pare che s'abbia a star su i puntigli" (Arch. di Stato di Firenze, Mediceo del Principato, 2639, C. 404).

Di ritorno da Parigi il C. passò per le Fiandre, facendo tappa a Bruxelles ove porse le condoglianze all'infanta Isabella per la morte del marito Alberto. Tornato a Firenze si dedicò, come tutore di Ferdinando II, alle cure del governo. Subito nacquero discordie fra lui e gli altri consiglieri: monsignor Medici, Niccolò dell'Antella e il conte Orso d'Elci.

Un ambasciatore lucchese presso la corte granducale descrivendo i rapporti fra i quattro affermava: "questi, come sono di natione differenti, sono parimente et d'animo et di volontà nemica, benché l'utilità e l'interesse se li tenga in uffizio, senza che se ne vedano apertamente gli sbaratti; l'Arcivescovo e il conte Orso, ... sono di fattione spagnuola, l'Antella, non ben contento di possedere in molte altre cose il primo luogo, invidia il suo favore con i principi e s'unisce con l'Arcivescovo, ..., et questi due e il Coloredo, devoti particolarmente a Madama, temendo l'Imperio rigoroso dell'Arciduchessa, destreggiano per fuggire incontri, et il Coloredo per lo stesso fine s'è ritirato volentieri da questo maneggio, permutandolo col governo di Siena" (in Pellegrini, Relazioni, p. 159).

Infatti il C., il più debole fra i quattro consiglieri, abbandonò il campo, accettando la carica di governatore a Siena, che esercitò fino al 1627, quando fu richiamato a Firenze, creato maggiordomo maggiore e confermato consigliere di Stato.

Sebbene non si abbiano notizie precise sulla situazione patrimoniale del C., da alcuni elementi è possibile arguire che questa dovette essere piuttosto florida. In Toscana il C. possedeva, oltre al feudo di Santa Sofia, le terre che gli spettavano come priore di Lunigiana, di cui "aumentava il fondo acquistandone il libero padronato per la sua famiglia" (Crollalanza, p. 167). Inoltre sempre piuttosto rilevanti erano stati i compensi ricevuti per il servizio prestato alla corte granducale: come ambasciatore straordinario aveva percepito 2.000 scudi, se la missione comportava un trasferimento all'estero, 300 scudi se non doveva uscire dall'Italia. Per tutto il tempo che aveva ricoperto la carica di consigliere dell'arciduchessa aveva ricevuto 2.000 scudi annui. Sappiamo, inoltre, che possedeva anche un castello nel Friuli, a Susans, che aveva fatto completamente ristrutturare sul modello delle ville medicee.

Il C. morì a Firenze nel 1645.

Fonti e Bibl.: Firenze, Biblioteca naz., Manoscritti Passerini, 187; Arch. di Stato di Firenze, Mediceo del Principato, 977, cc. 474, 644; 2633, cc. 185 ss., 190 ss., 198-207; 2637, cc. 470 ss.; 2638, c. 254; 2639, cc. 21, 65, 404, 440; 6377, ins. 4; Ibid., Carte strozziane, serie I, XCIII, c. 16; Ibid., Miscellanea medicea, 922; D. Eremitae, Aulica vita ac civilis et opuscula varia, a cura di I. C. Graur, Ultraiecti 1701, pp. 356 ss.; A. Pellegrini, Relaz. ined. di ambasc. lucchesi alle corti di Firenze, Genova, Milano Modena, Parma, Torino (secoli XVI-XVII), Lucca 1901, pp. 139 ss., 155 ss., 159 ss., 175, 181 ss., G. Galilei, Opere (edizione nazionale), X, p. 151; XIV p. 97; XV, p. 37; XVIII, p. 155; XX, p. 422; G. Gigli, Diario sanese, Lucca 1723, II, p. 635; G. B. Crollalanza, Mem. storico-genealog. della stirpe Walsee-Mels, Pisa 1875, pp. 162 ss., 212 ss.; P. Antonini, Ibaroni di Waldsee, i visconti di Mels e i signori di Colloredo, Firenze 1877, pp. 76 ss.; G. Braida, Il castello di Colloredo e i suoi signori, in La Panarie, novembredicembre 1927, p. 346; C. Argegni, Condottieri, capitani, tribuni, Milano 1937, I, pp. 179, 296; M. Del Piazzo, Gli ambasciatori toscani del Principato (1537-1737), Roma 1953, pp. 17, 44, 50, 69, 82, 89, 93, 94. 102, 112, 137;G. Marchetti, Il Friuli uomini e tempi, Udine 1959, p. 749.

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