PIGNATELLI, Fabrizio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 83 (2015)

PIGNATELLI, Fabrizio

Bruno Pellegrino

PIGNATELLI, Fabrizio. – Nacque a Montecorvino (Salerno) il 2 novembre 1659 da Aniello, principe di Montecorvino, e da Giovanna Brancia.

Fu battezzato il 5 dello stesso mese dal vescovo di Acerno, monsignor Camillo Ragone, nella collegiata di S. Pietro Apostolo. Suo antenato fu Bartolomeo Pignatelli, ‘il pastor di Cosenza’ ricordato da Dante.

Succedendo nella sede leccese allo zio Michele Pignatelli, a sua volta succeduto nella stessa sede ad Antonio Pignatelli, poi pontefice Innocenzo XII, prima della nomina a vescovo appartenne ai «seggi più riveriti di Napoli» e alle «carriere più riguardevoli della Metropoli istessa del Regno», avendo ricoperto le cariche di amministratore del Monte della Misericordia, del Monte di Pietà e della chiesa del Monte dei Morti, e di deputato della Cappella di S. Gennaro (Fatalò, c. 173).

Conseguita il 30 gennaio 1696 la laurea in utroque iure a Napoli dove era arcivescovo lo zio cardinale Francesco, già arcivescovo di Taranto, ricevette gli ordini di suddiaconato e diaconato, rispettivamente il 12 e il 19 febbraio. Il 25 febbraio 1696 fu ordinato sacerdote dal cardinale Giacomo Cantelmi arcivescovo di Napoli nella cappella privata del suo episcopio, con lettere dimissoriali dell’ordinario di Acerno. Ebbe in commenda le abbazie di S. Benedetto di Salerno e di S. Maria di Pattano, in diocesi di Capaccio, e diversi altri benefici. Consacrato vescovo a Roma dal cardinale Giacomo Boncompagni l’8 aprile 1696, prese possesso della diocesi il successivo 30 aprile tramite il vicario generale. L’8 dicembre 1711 venne nominato vescovo assistente al soglio pontificio.

Pignatelli fece il suo ingresso in diocesi il 19 luglio. Diversamente dall’immediato predecessore, che aveva celebrato un sinodo nel 1687, si astenne dal convocarne uno. Come scriveva nella Relatio ad limina del 1705, era lo stesso popolo a non volerlo, anche se nella stessa Relatio e nelle due uniche visite personali al clero e ad alcuni luoghi della diocesi – di cui si conserva la documentazione nell’Archivio della Curia arcivescovile di Lecce –, registrava inadempienze gravi tra il clero e la popolazione (Mazzotta, 1998, pp. 58 s.).

Ne descrisse l’entità riferendo che la città contava circa 4000 famiglie e 16.000 anime e che sulle rendite della mensa vescovile, consistenti in 3420 ducati, gravava un totale di 1380 scudi romani a causa di pensioni (1000 per il cardinale Collaredo, 250 per monsignor Andrea Santacroce, 60 per monsignor Domenico Landi, vescovo di Veroli, 40 per il reverendo Giulio Guaschi, 30 per il reverendo Giuseppe Prichiero).

Mentre provvide con personali elargizioni alla precarietà finanziaria, nel 1705 un rimedio pastorale cominciò a essere impiegato grazie al sostegno offerto da Pignatelli a una congregazione di preti secolari leccesi detta dei padri pietosi, che già alla fine del XVII secolo a Napoli aveva iniziato ad affermarsi e a operare, in seguito all’approvazione da parte di Antonio Pignatelli delle nuove costituzioni delle Apostoliche missioni (Semeraro, 1980, p. 174).

Con l’episcopato di Pignatelli fu portato a soluzione un problema che si trascinava dagli anni immediatamente successivi alla promulgazione dei decreti tridentini: l’erezione del seminario diocesano, la cui costruzione era stata iniziata solo nel 1694 dal suo predecessore Michele Pignatelli alla vigilia della morte (Mazzotta, 1994, pp. 28-33). Grazie anche a un lascito testamentario di 1000 ducati del predecessore e a offerte spontanee di alcuni cittadini, Fabrizio superò le difficoltà finanziarie invocate dai vari vescovi a giustificazione della mancata istituzione del seminario, un pretesto che di fatto copriva lo scontro tra potere vescovile e ordini regolari della città, preoccupati questi ultimi di perdere la loro egemonia sul piano dell’istruzione e della cultura. In realtà, la creazione del seminario poté giungere a conclusione il 1° settembre 1709, solo dopo che era stato avviato a normalizzazione il rapporto tra autorità episcopale e ordini regolari, soprattutto gesuiti e teatini (il cui incremento e relativo attivismo sul piano culturale erano esplosi all’epoca di monsignor Luigi Pappacoda) e fu quindi accettata una diversa articolazione della proposta educativa e formativa (Spedicato, 1996, pp. 172 s.).

Per gli aspetti architettonici, l’edificio del seminario arricchì ancora una volta la particolare fastosità di un’edilizia con la quale soprattutto il Pappacoda aveva fortemente impresso a Lecce il volto della barocca città-chiesa. Ancora sul versante dell’edilizia religiosa, nel 1724 fu completata la chiesa di S. Maria della Provvidenza delle Alcantarine, la cui vita monastica aveva avuto inizio a Lecce nel 1703. Completarono la ricostruzione delle rispettive chiese le terziarie francescane con S. Matteo (1700) e nel 1717 i carmelitani dell’antica osservanza con S. Maria del Carmine (Fagiolo - Cazzato, 19862, p. 106).

Se a inizio secolo si andava stemperando la conflittualità con gli ordini religiosi, negli stessi anni si acuiva la tensione tra le autorità civile e religiosa a proposito dei diritti feudali goduti dalla chiesa leccese. Contro di essi si era registrata la dura presa di posizione dell’Università, che attribuiva l’indebitamento delle finanze comunali, incapaci di far fronte ai versamenti dovuti alla fiscalità regia, proprio all’abuso dei privilegi goduti dagli ecclesiastici. Nel 1708 l’amministrazione aveva cercato senza successo di arginare il debito aumentando di un carlino a tomolo la tassa sulla farina, vietando contemporaneamente agli ecclesiastici di vendere a privati l’esenzione della gabella. L’ulteriore intervento del potere centrale che mirava a ridurre l’esercizio giurisdizionale del vescovo portò, nel 1710, alla soppressione di 33 mulini ecclesiastici siti in monasteri e conventi anche fuori le mura, con l’erogazione di un solo rotolo di pane franco di gabella per ogni ecclesiastico. Pignatelli tentò di procrastinare l’esecuzione del provvedimento convocando sindaco e decurioni; la loro diserzione acuì tuttavia lo scontro con il vescovo, il quale lanciò contro di loro la scomunica.

Aggravandosi sempre più il conflitto tra le due autorità, le tensioni giunsero a un punto di rottura difficile da sanare. Di fronte al netto rifiuto del vescovo di recarsi sia a Napoli, convocato dal viceré cardinale Vincenzo Grimani, sia a Barcellona, invitato dalla stesso imperatore Carlo VI nel tentativo di giungere a una composizione dei contrasti, il viceré, il 28 maggio 1710, dispose la confisca delle rendite vescovili e l’obbligo per Pignatelli di lasciare la diocesi. Un ulteriore invito a recarsi a Napoli rivoltogli dal nuovo viceré, cardinale Borromeo Aresio, cadde nel vuoto e pertanto venne fatto obbligo al vescovo di abbandonare immediatamente «la sua chiesa e l’intero Regno», così consumandosi, agli occhi delle autorità vaticane, «un violento abuso del potere civile» (Hierarchia catholica Medii aevi, V, Padova 1952, p. 244).

L’11 novembre 1711, prima di partire per Roma, Pignatelli, nell’indifferenza o tiepidezza sia della congregazione dei Vescovi e regolari sia degli ordini religiosi leccesi, dopo aver consegnato le cedole della scomunica del preside e di altre 58 persone al suo vicario generale, lanciò l’interdetto alla città e a tutta la diocesi, «in pena dell’insulto arrecato alla libertà e giurisdizione ecclesiastiche e del grave oltraggio inflitto alla dignità vescovile con lo sfratto dalla città e da tutto il Regno di Napoli» (Spedicato, 1996, p. 176). Per otto anni, «assente il vescovo dalla città, i riti sono stravolti, le porte delle chiese restano chiuse, gli abitanti vengono privati di alcuni dei sacramenti, i morti della sepoltura religiosa. Le prolungate siccità, i forti temporali, le invasioni di bruchi, le grandinate sono intese come manifestazione dell’ira divina nei confronti di una città colpita dalla scomunica» (Fagiolo - Cazzato, 19862, p. 105).

Il governo centrale tentò di alleggerire la situazione con l’invio di alcuni sacerdoti che potessero adempiere agli uffici divini, ma furono accolti freddamente dalla popolazione, mentre un ruolo di supplenza fu effettivamente svolto dai gesuiti e, in particolare, con due missioni nel 1713 e nel 1715, dalla congregazione dei frati pietosi delle missioni apostoliche. Non mancò, tuttavia, tra gesuiti e frati pietosi dell’antagonismo. Finalmente, il 15 marzo 1719, con il dissequestro dei beni della mensa vescovile, messi a disposizione del vescovo residente a Roma, il governo vicereale pose fine alla grave situazione di disorientamento dell’intera diocesi che, priva di una guida pastorale, era in preda a contrasti anche tra le diverse fazioni del clero e del capitolo. Festosamente accolto dalla popolazione, Pignatelli rientrò a Lecce il 24 aprile, distruggendo come primo suo atto i cedoloni di scomunica e assolvendo i censurati. In uno spirito di normalizzazione e di riappacificazione, valutando positivamente il ruolo di supplenza svolto dalla Compagnia di Gesù, affidò ai padri la pratica delle quarantore circolari e degli esercizi spirituali per il clero. Il contrasto tra i poteri civile e religioso fu definitivamente appianato nel 1750, quando furono riassegnati alla mensa vescovile i diritti giurisdizionali contestati nel 1710.

Pignatelli era intanto venuto a mancare il 12 maggio 1734. Nel 1730 aveva lasciato la sede leccese per trasferirsi a Napoli, dove era rimasto infermo a causa di un colpo apoplettico.

Lasciata al seminario la somma di 200 ducati, nel testamento del 2 maggio 1733 aveva disposto: «Seguendo la mia morte in Lecce, voglio che il mio cadavere sia seppellito nella mia chiesa cattedrale nella sepoltura comune dei RR. Sacerdoti, senza pompa, pregando i medesimi reverendi sacerdoti di volere accettare il mio cadavere nella detta sepoltura, poiché, benché indegnissimo, sono ancor io lor fratello e sacerdote» (Paladini, 1923, p. 30).

Fonti e Bibl.: Roma, Archivio segreto Vaticano, Proc. Cons., 90, cc. 289-295; Proc. Dat. 73, cc. 134-195; Arc. Congr. Conc., Relazioni ad Limina, Lycien. Visitatio Sacrorum Liminum et Relatio Status Ecclesiae Lycien. et Diocesis Anni MDCCV; Lecce, Biblioteca provinciale N. Bernardini, ms. 37, cc. 173-185: N. Fatalò, Serie de’ vescovi di Lecce.

G. Guerrieri, Un interdetto contro la città e la diocesi di Lecce, 1711-1719, Lecce 1898, passim; G. Paladini, La chiesa cattedrale di Lecce nel glorioso succedersi dei secoli, Lecce 1923, p. 30; L. Guglielmo, Per la storia dell’interdetto di Mons. P. (Lecce 1711-1719), Lecce 1934; N. Vacca, L’Interdetto contro la città e la diocesi di Lecce in una relazione inedita della sua Università, in Rinascenza salentina, 1935, 4, pp. 189-204; A. Antonaci, L’interdetto di Lecce nei documenti dell’Archivio Segreto Vaticano, in La Zagaglia, 1961, 9, pp. 69-77; F.M. Miglietta, I precedenti dell’interdetto della diocesi e della città di Lecce (1711 - 1719) nella corrispondenza tra la S. Sede e il Vescovo durante gli anni 1710 - 1712, in Studi Salentini, XLV - XLVI (1974), pp. 5-43; O. Caputo, I vescovi nati nelle diocesi di Salerno e Acerno, Salerno 1976, pp. 318-322; M. Semeraro, Le Apostoliche Missioni. La Congregazione dei ‘padri salesiani’ o ‘Preti pietosi’ nel Sette-Ottocento leccese, Roma 1980, p. 174; G. Argento, Consulta intorno all’interdetto di Lecce, testo, introduzione e appendice a cura di M. Paone, in M. Paone, Contributi alla storia della Chiesa di Lecce, Galatina 1981, pp. 71-116; E. De Giorgi, L’Interdetto contro la città e la diocesi di Lecce (nelle cronache e documenti del tempo), Lecce 1984, passim; M. Fagiolo - V. Cazzato, Lecce, Bari 19862, pp. 105 s.; Memorie ossia notiziario di molte cose accadute in Lecce dall’anno 1656 sino all’anno 1719 del Signor Giuseppe Cino Ingegnere leccese, in Cronache di Lecce, a cura di A. Laporta, Lecce 1991, pp. 69-96; Notizie della città di Lecce ricavate da un manoscritto di Andrea Panettera leccese, in Cronache di Lecce, a cura di A. Laporta, Lecce 1991, pp. 96-109; O. Mazzotta, Il Seminario di Lecce (1694-1908), Lecce 1994; M. Spedicato, La città e la chiesa, in Storia di Lecce dagli Spagnoli all’Unità, a cura di B. Pellegrino, Roma-Bari 19962; F. Gaudioso, Lecce in età moderna. Società amministrazione e potere locale, Galatina 1996, pp. 71-72; O. Mazzotta, Sinodi e attività sinodale a Lecce in età post-tridentina (secc. XVI-XIX), Lecce 1998, pp. 58 s.; B. Pellegrino - O. Confessore, Breve storia di Lecce, Pisa 2009, pp. 62-65.

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