SANTAFEDE, Fabrizio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 90 (2017)

SANTAFEDE, Fabrizio

Stefano De Mieri

– Nacque probabilmente a Napoli intorno al 1555 da genitori di cui si ignorano i nomi (Zezza, 2003, p. 196). Gli esordi come pittore dovettero avvenire nella bottega di Marco Pino, il più autorevole artista attivo nella capitale del Viceregno nel secondo Cinquecento. Infatti, da una dichiarazione resa in qualità di testimone in un processo intentato da Pino e dalla figlia Giulia contro Antonio Spano nel 1575, emerge che Santafede, «etatis annorum viginti in circa», aveva cominciato a frequentare la casa del maestro dalla fine degli anni Sessanta. Nel 1576 Fabrizio sposò Isabella Ciminello, dalla quale ebbe diversi figli (Salazar, 1904).

Il discepolato presso l’artista senese appare confermato dalla più antica opera riferibile a Santafede (1575 circa), l’Epifania in S. Biagio ad Aversa, replica su tavola, con poche varianti, dal dipinto di Pino in S. Antoniello ai Vergini a Napoli (Leone de Castris, 1996). Al plasticismo espanso del suo maestro rinviano altre opere di poco successive, in primis la grandiosa tavola raffigurante la Vergine col Bambino e sei santi campeggiante sul maggiore altare della cattedrale di Matera (1577-80 circa) (Previtali, 1982), un’opera in cui l’artista dà prova di considerevoli capacità ritrattistiche nel busto del committente, Giovanni Pietro Sanità; nelle scene della predella, invece, si esercita su modelli di Michelangelo, Raffaello e Federico Zuccari, conosciuti attraverso le stampe (p. 296).

Il legame con la cultura ‘piniana’ è ribadito da alcune repliche da prototipi partenopei celebri del maestro senese richieste a Santafede negli anni Ottanta, quali la Circoncisione in S. Domenico a Taranto, desunta dalla pala del Gesù Vecchio, e la Natività commissionatagli da Fabrizio de Sangro nel 1587 per la parrocchiale di Casacalenda (Campobasso), copia di una delle ancone nella chiesa dei Ss. Severino e Sossio (Leone de Castris, 1991, pp. 26, 261 s.; De Mieri, 2009-2011).

Tuttavia, sin dagli inizi i dipinti di Santafede esprimono una naturale pacatezza espressiva, ottenuta con l’adozione di ritmi calmi, misurati, e di composizioni simmetriche ed equilibrate, lontane dalla frenesia delle ideazioni di Pino. Basti rammentare le pale d’altare, su tavola, risalenti al nono decennio, dal Rosario in S. Sofia a Giugliano (richiestogli già nel 1579: Archivio di Stato di Napoli, Notai del ’500, Donato Antonio Guariglia, scheda 171, prot. 14, cc. 742r-743r) alla Madonna del Suffragio in S. Antonio a Manduria (1580 circa) (Barbone Pugliese, 1987), dalla Vergine col Bambino e i ss. Bartolomeo e Giovanni evangelista in S. Pietro Martire a Napoli, del 1581 circa (De Mieri, 2006, p. 491 nota 4), al Rosario in S. Domenico a Mola di Bari, dall’inedito Battesimo di Cristo nella chiesa partenopea di S. Maria dei Sette Dolori, con l’intenso ritratto dell’ignoto donatore, alla Madonna di Loreto e al Rosario nella chiesa dello Spirito Santo a Sant’Antimo (Napoli), dalla Madonna col Bambino e quattro santi della congrega di S. Sofia (Napoli, Museo diocesano) alla Madonna col Bambino e i ss. Francesco d’Assisi e Benedetto in S. Maria di Montecalvario (Leone de Castris, 1991, pp. 261-264).

Di questa medesima fase, a conferma dell’ormai raggiunta affermazione nel mercato vicereale, sono numerose altre tavole, come il Rosario in S. Giovanni in Palco a Mercato Sanseverino, del 1586 (Restaino, 1989-1990 [1990], p. 94), la Madonna col Bambino e i ss. Stefano e Girolamo in S. Francesco a Caiazzo (1588), cui si lega uno dei pochi disegni noti del pittore (Londra, Victoria and Albert Museum, inv. n. CAI.837), l’Immacolata in S. Antonio a Sarno (1589), l’Epifania in S. Maria della Misericordia a Bellante (Teramo; De Mieri, 2007-2008) e la Natività della congrega dei Neri in S. Restituta a Napoli (Leone de Castris, 1991, pp. 261-267).

Tali dipinti dimostrano che nel corso della prima maturità Santafede gradualmente si accostò prima «alla ‘riforma devozionale’ di più oculato e pedissequo realismo ‘senza errori’» (p. 261) di Scipione Pulzone, e poi, sempre più, alle forme edulcorate e armoniose e ai principi di naturalezza e di stretto decoro formale dei «riformati toscani», in particolare Santi di Tito e Domenico Passignano, dai quali Santafede accolse il colorire alla veneta. Non è da escludere che avesse conosciuto i pittori appena ricordati durante una sosta a Firenze; più verosimilmente, però, dovette studiarne qualche opera tra Roma e Napoli (pp. 261 s.). L’adesione alla ‘riforma’ toscana e l’attenzione ai fiamminghi attivi nel Meridione, in ispecie Cornelis Smet, e ai modi di Giovan Bernardo Lama e Silvestro Buono consentirono all’artista di elaborare un «linguaggio di pietà» (p. 262) destinato a ottenere vasta risonanza.

Sin dagli esordi Santafede aveva conquistato l’apprezzamento dell’aristocrazia partenopea. Nel 1592 la sua fama veniva suggellata dalla commissione dell’Annunciazione nel polittico di S. Maria a La Vid (Burgos), realizzato assieme a Girolamo Imperato, Wenzel Cobergher, Giovan Battista Cavagna e Domingo Treceño, su richiesta del viceré Juan de Zúñiga (Previtali, 1978, p. 110; De Mieri, 2007-2008; Bosch Ballbona, 2009). Con questi pittori, a esclusione di Treceño, si ritrovò a lavorare al distrutto soffitto dell’Annunziata a Napoli nel 1594 (per il quale dipinse uno Sposalizio della Vergine), edificio in cui si ammiravano anche altre sue opere (De Dominici, Vite de’ pittori..., 1742-1745, 2003, p. 866; Pinto, 2016, pp. 4788 s., 4792).

Autentico capolavoro dell’artista è la solenne tavola della Madonna col Bambino tra i ss. Benedetto, Mauro e Placido nella cappella Medici di Gragnano nella chiesa dei Ss. Severino e Sossio (1593), «un quadro limpidamente classico e splendente, di una lucida verità luminosa» (Previtali, 1978, p. 121), dove si è colta una stretta vicinanza all’equilibrato realismo di Santi di Tito (Leone de Castris, 1991, p. 262), unitamente a una personale rielaborazione di formule compositive raffaellesche.

Riccardo Naldi vi ha scorto infatti «una rinnovata e approfondita riflessione sull’importanza che, nella tradizione della pittura napoletana del Cinquecento, si era da subito guadagnata la lezione di Raffaello. Un autore con il quale tornare a confrontarsi per recuperare una sintassi e uno stile capaci di comunicare allo spettatore con una certezza e una immediatezza volte a contenere gli eccessi di artificiosità dello stile tardo-manieristico» (Naldi, 2004, pp. 167 s.).

Analoga tendenza si riscontra nella Madonna delle Grazie con s. Girolamo e il beato Pietro da Pisa di S. Maria della Grazie a Caponapoli (ultimata nel 1595: Filangieri, IV, 1888), nella Madonna di Loreto in S. Francesco a Quisisana a Castellammare di Stabia (1595-98) e nella più tarda Madonna del Rosario di Lucito (Campobasso), del 1601-02 (Naldi, 2004, pp. 167-170).

Accanto al «ritorno all’ordine compositivo chiaro e regolato» si avverte però, specie nella tavola di Caponapoli, un marcato interesse per la pittura densa e pastosa, la stesura libera e la ricchezza della gamma cromatica dei veneti, in particolar modo di Jacopo Palma il Giovane e di Leandro Bassano, le cui opere era possibile osservare nelle chiese e nelle collezioni napoletane (Leone de Castris, 1991, p. 262).

Nel 1602 Santafede completò la splendida Incoronazione della Madonna nel soffitto di S. Maria la Nova (1602), «creduta dagl’intendenti per opera del famosissimo Tiziano» (De Dominici, 1742-1745, 2003, p. 877). Coeve o di poco successive sono la Pietà della cappella del Monte di Pietà (1601-03), celebrata già nelle Rime di Daniele Geofilo Piccigallo (Venezia 1609), la Madonna col Bambino e santi in S. Chiara a Trani (1605 circa), la Vergine in gloria e santi nella cattedrale di Lucera, opere dal colore «fluido e succoso», spiccatamente venetizzante (Calò, 1969, p. 132), e la Visitazione della chiesa omonima di Aieta (Cosenza), richiesta nel 1603 e saldata nel 1605 (Archivio di Stato di Napoli, Notai del ’500, Giovan Leonardo Vingeriis, scheda 587, prot. 7, c. 58rv).

Furono anni in cui Santafede instaurò un rapporto privilegiato con i cappuccini. Dopo la citata tavola di Castellammare seguirono infatti altri incarichi per le chiese dell’Ordine, tra cui l’Immacolata e santi di Torre del Greco (pagata nel 1601-02: Naldi, 2009), la Pietà, la Madonna con Gesù Bambino in croce e altre tavole con Santi (1604 circa), forse in origine costituenti un polittico, ora ricoverate nel Museo diocesano di Gaeta (Leone de Castris, 1991, p. 262), e infine gli spettacolari S. Francesco stimmatizzato di Galatone e l’Immacolata con la Trinità, santi e profeti di Aversa (1598-1606 circa), commissionati da Cosimo II Pinelli (Pasculli Ferrara, 1991; Giannattasio, 2001 [2002]).

Molte altre opere napoletane del secondo lustro del Seicento dichiarano sempre meglio la sintesi santafediana fra l’eloquio dei ‘riformati’ toscani e la più intensa conoscenza della pittura veneta, grazie alla ripresa del luminismo e delle atmosfere notturne dei Bassano (Francesco e Leandro). Tra le molte pale d’altare napoletane vanno ricordate la Madonna col Bambino e i ss. Benedetto e Tommaso d’Aquino della cappella d’Avalos in S. Maria di Monteoliveto (1606-07), l’Annuncio ai pastori nel cappellone Ruffo ai Gerolamini (1606 circa), il Rosario in S. Maria Egiziaca all’Olmo (1606-07), la Madonna del Soccorso dello Spirito Santo (1606-07), la lampeggiante Pentecoste un tempo sull’altare maggiore di quest’ultima chiesa, e ora in sacrestia (1609-10), simile alla Resurrezione del Monte di Pietà, avviata da Imperato e compiuta da Fabrizio tra il 1607 e il 1608 (Leone de Castris, 1991, p. 265; Causa, 2000, pp. 14 s.).

Già in queste opere e in quelle successive la cultura di Santafede, pur saldamente radicata nel filone devozionale di stretta osservanza postridentina, non è priva di suggestioni derivanti dal Caravaggio, attivo a Napoli negli anni 1606-07 e 1609-10. Il pittore si accostò a Merisi timidamente, interpretando in chiave veneta, «bassanesca» (Previtali, 1991), il suo moderno uso della luce, come emerge nella citata Resurrezione del Monte di Pietà e nelle repliche dal Cristo flagellato del maestro lombardo oggi a Rouen (Leone de Castris, 1991, p. 265), una delle quali conservata presso l’Arcivescovado di Napoli. L’interpretazione edulcorata del naturalismo di Caravaggio e la personale versione della riforma tosco-veneta si precisano in opere databili agli anni Dieci, tutte comunque segnate dalla semplicità di linguaggio sua propria e dai modi delicati e accostanti, più vicini che mai all’esperienza quotidiana dei devoti.

Il pensiero corre alla Natività di Capodimonte, forse proveniente dalla cappella Orsini nella chiesa del Gesù e Maria (1612-14), alla Pietà dei Camaldoli, al Cristo accolto dalla Maddalena (1612) e alla Resurrezione della vedova Dorca (1614) del Pio Monte della Misericordia, alla gremita Madonna col Bambino e santi dell’altare maggiore di S. Patrizia (1617-19), alla Trinità con la Vergine e santi della cappella Salvo a Monteverginella (1618-19) e a molti altri dipinti, spesso ripetitivi e non sempre di qualità elevata (Leone de Castris, 1991, p. 265).

Santafede ebbe un’ampia produzione di quadri di destinazione privata, alcuni dei quali attualmente esposti presso raccolte museali. Basti rammentare il bel S. Stefano del Museo di belle arti di Budapest (Nyerges, 1983), il S. Luca del Museo Mimara di Zagabria (Causa, 2012), il Matrimonio mistico di s. Caterina in collezione privata a New York, la Vergine con s. Diego d’Alcalà presso il marchese Amurrio a Madrid, le Sacre conversazioni della Galleria Harrach a Rohrau e del Museo dell’Aquila, I figli di Zebedeo davanti a Cristo e la Lavanda del Bambino della quadreria dei Gerolamini, tutte opere collocabili nei primi due decenni del Seicento (Leone de Castris, 1991, pp. 265-276).

Santafede viene elogiato dalle fonti partenopee per le sue doti di ritrattista. Delle effigi di Giulio Cesare Capaccio e di Vincenzo Schiavetto si parla in una lettera a lui indirizzata, pubblicata nel Secretario del primo (1597). E con enfasi ricorre la menzione di Santafede ritrattista nel coevo manoscritto di Giovan Battista del Tufo (Morisani, 1958, p. 64). Tra i pochi lavori identificati, in cui è forte la vicinanza a Pulzone, si distingue il Ritratto di Juan de Zúñiga e della moglie Maria de Zúñiga nella collezione del duca d’Alba a Madrid, firmato e datato 1596 (Leone de Castris, 2005, p. 166), una tela forse derivante da una composizione a figure intere appartenuta a Matteo di Capua ricordata da Capaccio nel 1607 (probabilmente quella venduta a Madrid nel 1902: Pérez Sánchez, 1965, p. 448). Di altri esemplari sembrerebbero serbare un ricordo le incisioni di Giovanni Andrea Magliulo in alcuni testi stampati a Napoli, come il controfrontespizio del trattato giuridico di Carlo Tapia del 1586, indubbiamente prossimo al ritratto santafediano su tavola ora a Villa Rosebery (Leone de Castris, 2005, pp. 166-168). Al maestro sono stati inoltre riconosciuti i Gentiluomini in armi del Pio Monte della Misericordia e della sagrestia di S. Domenico Maggiore (Id., 1991, p. 276).

Fra i ritratti non ancora reperiti vanno ricordati quelli di Marcantonio Doria e di Tommaso Stigliani, quest’ultimo citato in una missiva del letterato materano a Giovan Battista Marino del 1615 (Id., 2005, pp. 165 s.).

Quasi del tutto sconosciuta è la grafica santafediana. Oltre al già menzionato foglio del Victoria and Albert Museum, sono a lui riferibili pochi esempi, tra i quali la Madonna col Bambino e due santi del Metropolitan Museum di New York (inv. n. 17.236.52: Leone de Castris, 1991, p. 280 nota 23) e il Bambino benedicente tra angeli e tre santi del Kupferstichkabinett di Berlino (inv. n. Kdz 20605: Farina, 2013, pp. 27, 29).

Santafede fu anche un importante collezionista di medaglie, monete, «bellissime statue greche e latine» e altri marmi antichi, cultore di musica e di libri, legato ai principali letterati e antiquari dei suoi anni; lo tramandano Capaccio (1634, pp. 67, 85) e De Dominici, che, non a caso, lo definisce «insigne antiquario», e proprietario, a suo dire, di «tre disegni originali del divino Rafaello da Urbino e quattro di Michelagnolo Buonarruoti. Il più raro de’ tre disegni di Raffaello fu un Mercurio tutto trattizato a penna» (1742-1745, 2003, pp. 872-874).

In definitiva, il profilo di Santafede è quello di un maestro dallo «spessore culturale inconsueto» nell’ambiente napoletano; la sua fisionomia si distacca «con vera chiarezza dal contesto corporativo e dal ruolo tradizionale di partenza per aderire invece a quella diffusa e “internazionale” ambizione verso l’“ut pictura poesis”, verso una promozione dell’immagine dipinta e del suo produttore ad un gradino culturale diverso, ad una funzione di altro profilo sociale e intellettuale» (Leone de Castris, 1991, p. 261).

Il protagonismo di _Santafede affiora da numerose testimonianze. Ad esempio il suo nome, come possibile consigliere per l’acquisto di opere della collezione di Matteo di Capua, compare in una lettera del 1607 di Ottavio Gentile al duca Vincenzo I Gonzaga, per il quale aveva fatto «alcune cosette» durante un suo soggiorno napoletano (Iasiello, 2002, p. 361 nota 41).

Che l’artista avesse riscosso successo al di fuori dei confini vicereali è inoltre documentato da opere giunte nell’Italia settentrionale, quali la copia su tela della tavola con l’Assunzione della cappella de Sangro in Monteoliveto (1595 circa: De Mieri, 2006, p. 491, nota 17) nella chiesa dell’Assunta a Castione Marchesi (Fidenza), o la più tarda pala nell’Annunziata di Levanto (La Spezia), raffigurante la Madonna col Bambino, s. Antonio di Padova e un fanciullo (Leone de Castris, 1991, pp. 280 nota 24, 282 nota 55). E, ancora, è noto che persino Cosimo II de’ Medici gli richiese una Galatea, ricordata in alcune lettere del 1618 indirizzate dall’agente fiorentino Cosimo del Sera al segretario granducale Andrea Cioli (Parronchi, 1980).

La centralità di Santafede nel contesto napoletano è infine confermata dal ruolo di consulente per i deputati della cappella del Tesoro di S. Gennaro. Nel 1622 fu mandato a Roma per convincere il Cavalier d’Arpino, o un altro maestro famoso, a realizzare la decorazione del prestigioso sacello, dopo che erano falliti i primi tentativi di affidarne l’esecuzione allo stesso Arpino e a Guido Reni (1616-22). Svanito questo ulteriore progetto, fu proprio a Santafede che i committenti affidarono l’impresa, affiancato da Battistello Caracciolo e, in seguito, da Giovan Francesco Gessi. I deputati, però, che avevano richiesto a Santafede le cone da sistemare sugli altari, tra cui una Natività, non gradirono i primi affreschi realizzati da tali pittori. Così, nell’aprile del 1626, poco dopo la morte di Santafede, la Deputazione impose agli eredi del maestro la restituzione di gran parte dell’acconto di 500 ducati riscosso per quell’incarico e di una cona non cominciata, mentre altre due, incomplete, rimasero nella disponibilità del figlio Pietro (Strazzullo, 1978, pp. 16 s., 111-113).

Santafede ebbe diversi discepoli, tra cui Marco Mele di Palma Campania, entrato a servizio del maestro nel 1585 (Archivio di Stato di Napoli, Notai del ’500, Marco Antonio de Vivo, scheda 265, prot. 11, c. 212rv), e il lucano Giovanni de Gregorio, detto il Pietrafesa (Leone de Castris, 1991, p. 335): pittori che, come altri, coadiuvarono il maestro soprattutto in dipinti destinati alla provincia. Tra i prodotti di maggior interesse riconducibili alla bottega santafediana, attorno al 1600, va segnalata la sconosciuta tela con l’Immacolata e i ss. Francesco d’Assisi e Chiara della chiesa di S. Chiara a Vibo Valentia.

È possibile, inoltre, che presso l’artista si formasse Massimo Stanzione (De Dominici, 1742-1745, 2008; Conte, 2012, p. 165).

Santafede dovette spegnersi poco dopo il febbraio del 1626, quando ricevette un pagamento per «la sopraintendenza nella statua et sepoltura» del cavalier Giovan Battista Marino (forse gli apparati funebri), impresa che però non fu da lui realizzata (Conte, 2012, pp. 214-217, 416).

Fonti e Bibl.: G.C. Capaccio, Il secretario..., Venezia 1597, pp. 228 s.; Id., Neapolitanae historiae..., Napoli 1607, p. 499; D.G. Piccigallo, Rime, Venezia 1609, p. 16; G.C. Capaccio, Il forastiero, Napoli 1634, pp. 67, 859; B. De Dominici, Vite de’ pittori, scultori ed architetti napoletani (1742-1745), a cura di F. Sricchia Santoro - A. Zezza, II, 1, Napoli 2003, pp. 862-885, III, 1, 2008, pp. 82 s.; G. Filangieri, Documenti per la storia, le arti e le industrie delle provincie napoletane, III, Napoli 1885, pp. 335 s., IV, 1888, pp. 178 s., VI, 1891, pp. 418-420; L. Salazar, Marco del Pino da Siena ed altri artisti dei secoli XVI e XVII, in Napoli nobilissima, XIII (1904), pp. 19 s.; G.B. D’Addosio, Documenti inediti di artisti napoletani..., in Archivio storico per le province napoletane, XXXVIII (1913), pp. 502-504; R. Longhi, Battistello, in L’Arte, XVIII (1915), ed. cons. Scritti giovanili. 1912-1922, Firenze 1961, pp. 178 s., 195; G.B. D’Addosio, Documenti inediti di artisti napoletani..., in Archivio storico per le province napoletane, n.s., VI (1920), pp. 185 s.; G. Ceci, S., F., in U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXIX, Leipzig 1935, p. 425; Opere d’arte del Banco di Napoli..., a cura di B. Molajoli, Napoli 1953, pp. 16-18, 39 s.; O. Morisani, Letteratura artistica a Napoli tra il ’400 ed il ’600, Napoli 1958, pp. 63 s., 84, 93-96, 110, 126; A. Pérez Sánchez, Pintura italiana del s. XVII en España, Madrid 1965, pp. 447 s.; Le dessin à Naples du XVIe siècle au XVIIIe siècle (catal.), Paris 1967, pp. 4 s.; M.S. Calò, La pittura del Cinquecento e del primo Seicento in Terra di Bari, Bari 1969, pp. 131 s.; F. Abbate - G. Previtali, La pittura napoletana del Cinquecento, in Storia di Napoli, V, 2, Napoli-Cava dei Tirreni 1972, pp. 882 s.; M.P. Di Dario Guida, Arte in Calabria... (catal., Cosenza, 1976), 1975, ed. cons. Cava dei Tirreni 1978, pp. 142-148; G. Previtali, La pittura del Cinquecento a Napoli e nel Vicereame, Torino 1978, pp. 110, 120-122; F. Strazzullo, La Real Cappella del Tesoro di S. Gennaro, Napoli 1978, pp. 12-17, 111-113; A. Parronchi, Sculture e progetti di Michelangelo Nacherino, in Prospettiva, 20 (1980), pp. 40 s.; G. Previtali, La ‘cona dell’altare grande’ della Cattedrale di Matera e la giovinezza di F. S., in Scritti in onore di O. Morisani, Catania 1982, pp. 293-301; É. Nyerges, Contribution à l’oeuvre de F. S., in Bulletin du Musée hongrois des beaux-arts, 1983, m. 60-61. pp. 83-92; N. Barbone Pugliese, La ‘Madonna del suffragio’ di Sant’Antonio a Manduria e gli inizi di F. S., in Prospettiva, 1987, n. 50, pp. 56-70; C. Restaino, La giovinezza di F. S., ibid., 1989-1990 [1990], n. 57-60, Scritti in onore di Giovanni Previtali, II, pp. 91-98; P. Leone de Castris, Pittura del Cinquecento a Napoli. 1573-1606. L’ultima maniera, Napoli 1991, pp. 12-14, 26-28, 260-283, 334-336; M. Pasculli Ferrara, Inediti del S. per la chiesa dei cappuccini a Galatone, in Studi di storia dell’arte, II (1991), pp. 339-354; G. Previtali, La pittura a Napoli tra Cinquecento e Seicento, Napoli 1991, pp. 42-54; P. Leone de Castris, Pittura del Cinquecento a Napoli. 1540-1573. Fasto e devozione, Napoli 1996, pp. 210, 227; Id., Museo e Gallerie Nazionali di Capodimonte. Dipinti dal XIII al XVI secolo..., Napoli 1999, pp. 220-222 schede nn. 209-212; S. Causa, Battistello Caracciolo. L’opera completa, Napoli 2000, passim; F. Abbate, Storia dell’arte nell’Italia meridionale. Il Cinquecento, Roma 2001, pp. 230-235; P. Giannattasio, La Santissima Trinità dei Cappuccini di Aversa e l’Immacolata Concezione di F. S., in Bollettino d’arte, s. 6, LXXXVI (2001 [2002]), 118, pp. 59-78; I. Iasiello, Vincenzo I e il Regno di Napoli, in Gonzaga: la Celeste Galeria. L’esercizio del collezionismo (catal., Mantova), a cura di R. Morselli, Milano 2002, pp. 359, 361 nota 41; P.K. Ioannou, Documenti inediti sulle arti tra Cinque e Seicento, in Ricerche sul ’600 napoletano. Saggi e documenti 2001, Napoli 2002, pp. 33-36; A. Zezza, Marco Pino. L’opera completa, Napoli 2003, pp. 196, 237-249; R. Naldi, La ‘Madonna di Loreto’ per i Cappuccini di Castellammare di Stabia e il segmento ‘raffaellesco’ di F. S., in Prospettiva, 2004, n. 113-114, pp. 167-174; P. Leone de Castris, S., il ritratto, l’incisione, in Napoli nobilissima, s. 5, VI (2005), pp. 161-178; S. De Mieri, Adorazione dei Magi di F. S. Chiesa di Santa Maria della Misericordia, Bellante, in Documenti dell’Abruzzo Teramano, VII, 1, Teramo 2006, pp. 488-491; Id., A proposito del retablo mayor della chiesa di Santa María de la Vid (Burgos), e di un ritratto romano di Wenzel Cobergher, in Confronto, 2007-2008, n. 10-11, pp. 169 s.; J. Bosch Ballbona, Retazos del sueño tardorenacentista de Don Pedro de Toledo Osorio y Colonna en el monasterio de la Anunciada de Villafranca del Bierzo, in Anuario del Departamento de Historia y Teoría del Arte, XXI (2009), p. 126; R. Naldi, La cona di F. S. per i Cappuccini di Torre del Greco, in Scritti in onore di Francesco Abbate, I, Kronos, 2009, n. 13, pp. 145-148; S. De Mieri, Dirck Hendricksz Centen: aggiunte e considerazioni..., in Confronto, 2009-2011, n. 14-17, pp. 148-167 (in partic. p. 152); S. Causa, Due episodi nella storia seicentesca di F. S., in Napoli nobilissima, s. 6, III (2012), pp. 139-141; F. Conte, Tra Napoli e Milano. Viaggi di artisti nell’Italia del Seicento, I, Da Tanzio da Varallo a Massimo Stanzione, Firenze 2012, pp. 165, 214-217, 396, 416, 426; V. Farina, Una inedita Trasfigurazione di Cristo e altri disegni: nuove proposte per la grafica di Giovan Bernardino Azzolino, 2013, pp. 12 nota 14, 13-17 nota 19, 19, 25-27, 29, www.ilseicentodivivianafarina.com (25 maggio 2017); S. De Mieri, Imperato e S.: due protagonisti a confronto, Napoli 2015 (con bibl. precedente); A. Pinto, Raccolta notizie..., I, Artisti e artigiani, 2016, pp. 4784-4810, www.fedoa.unina.it (25 maggio 2017).

TAG

Museo e gallerie nazionali di capodimonte

Victoria and albert museum

Chiesa dello spirito santo

Trasfigurazione di cristo

Castellammare di stabia