Famiglia. Diritto civile

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L’art. 29 della Costituzione definisce la famiglia come «società naturale fondata sul matrimonio» e afferma l'obbligo della Repubblica di riconoscere alla famiglia così intesa i diritti che le competono; stabilisce che il matrimonio è ordinato sull'eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti previsti dalla legge a garanzia dell'unità familiare. L'art. 30 Cost., dopo avere precisato che è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio, attribuisce al legislatore il compito di assicurare alla prole naturale ogni tutela giuridica e sociale compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima. La definizione della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio si collega all'art. 2 Cost., ove si afferma che la Repubblica riconosce i diritti inviolabili dell'uomo sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità. Un principio fondamentale contenuto nell'art. 29 Cost., come specificazione della norma di eguaglianza giuridica dei cittadini senza distinzione di sesso contemplata nel precedente art. 3, è quello dell'eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare: principio poi ribadito nell’art. 30, 1° comma, che attribuisce ad entrambi i genitori il dovere e il diritto di mantenere, istruire ed educare i figli. Fin dai primi anni dopo l'entrata in vigore della Costituzione si è posto il problema dell'attuazione dei precetti costituzionali in materia familiare; l'inerzia del legislatore ha più di una volta reso necessario l'intervento della Corte costituzionale, le cui sentenze hanno eliminato talune disposizioni (per esempio gli artt. 151 c.c. e 559 c.p.) in contrasto con la Costituzione. Nel 1975 il Parlamento, prendendo atto dell'evoluzione politico-sociale che ha caratterizzato lo sviluppo della società italiana negli ultimi decennî, ha approvato la legge di riforma del diritto di famiglia (l. 19 maggio 1975, n. 151). Con questa legge l'ordinamento giuridico italiano è stato uniformato ai precetti costituzionali in ciascuno dei settori nei quali l'attuazione della Costituzione era più necessaria e urgente: posizione della donna nella famiglia, rapporti personali fra i coniugi, rapporti patrimoniali tra i coniugi, diritti e obblighi verso i figli, posizione giuridica dei figli nati fuori del matrimonio. L'età minima per il matrimonio è fissata per l'uomo e la donna in diciotto anni (solo per «gravi motivi» il tribunale può autorizzare la celebrazione del matrimonio a sedici anni). Con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri; dal matrimonio deriva l'obbligo reciproco alla fedeltà, all'assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell'interesse della famiglia e alla coabitazione; entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia (art. 143 c.c.). Per quanto riguarda la posizione della donna nella famiglia, il principio costituzionale dell'eguaglianza giuridica e morale dei coniugi sostituisce il vecchio concetto della potestà maritale: il marito e la moglie devono concordare tra loro l'indirizzo della famiglia, fissandone la residenza secondo le esigenze di entrambi e quelle preminenti della famiglia stessa, e a ciascuno dei coniugi spetta il potere di attuare l'indirizzo concordato (art. 144 c.c.); la moglie aggiunge al proprio cognome quello del marito e lo conserva durante lo stato vedovile, fino a che passi a nuove nozze. In materia di rapporti patrimoniali tra coniugi la legge, innovando la disciplina precedente, prevede come regime legale del matrimonio quello della comunione degli acquisti compiuti dai coniugi insieme o separatamente durante il matrimonio; in caso di contrasto riguardante l'amministrazione dei beni comuni, quando si debbano compiere atti per i quali è richiesto il consenso di entrambi i coniugi, se uno di questi si oppone, l'altro può rivolgersi al giudice per ottenere l'autorizzazione a compierli (art. 181 c.c.). L'art. 540 c.c. stabilisce, con una norma che migliora la posizione della donna in relazione all'eredità, che a favore del coniuge rimasto vedovo è riservata la metà del patrimonio dell'altro coniuge, «salve le disposizioni previste per il caso di concorso con i figli» (prima della riforma del diritto familiare, al coniuge veniva soltanto riservato l'usufrutto di una parte del patrimonio dell'altro coniuge). In tema di rapporti personali tra coniugi, l'istituto della separazione personale è svincolato dalla sussistenza di una colpa, nel senso che la separazione può essere chiesta quando si verifichino, anche indipendentemente dalla volontà di uno o di entrambi i coniugi, fatti tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza o da recare grave pregiudizio alla educazione della prole (art. 151 c.c.). Nel pronunciare la separazione, il giudice dichiara, se ne ricorrono le circostanze e solo quando ne sia richiesto, a quale dei coniugi sia addebitabile la separazione stessa in considerazione del suo comportamento contrario ai doveri che derivano dal matrimonio. La separazione consensuale può essere chiesta, di comune accordo, da marito e moglie al giudice, senza alcuna formalità. Circa i diritti e gli obblighi verso i figli, la potestà sui figli e la rappresentanza dei figli minori non sono più prerogativa del padre, ma spettano a entrambi i genitori, che le esercitano in comune: la patria potestà del vecchio codice è ora la potestà dei genitori. Alla volontà del marito è attribuita la prevalenza solo nel caso in cui il protrarsi del contrasto tra i genitori può determinare un «grave pregiudizio per il figlio»; in tale ipotesi il padre può adottare i provvedimenti urgenti e indifferibili (art. 316 c.c.), ma al giudice, al quale ciascun genitore può ricorrere indicando i provvedimenti che ritiene più idonei per il figlio, spetta il compito di risolvere i conflitti. Importante, per valutare la nuova sensibilità del legislatore per le esigenze dei minori, è la norma che impone ai genitori di «tener conto delle capacità, dell'inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli» (art. 147 c.c.). Nella disciplina giuridica della famiglia attualmente vigente è contemplato il principio della parificazione giuridica e sociale dei figli legittimi e di quelli naturali, non più qualificati, questi ultimi, con espressioni come «illegittimi» o «adulterini». Il figlio naturale può essere inserito nella famiglia legittima di uno dei genitori, a condizione che l'inserimento nella nuova famiglia non sia in contrasto con l'interesse del minore, che vi sia il consenso del coniuge e dei figli legittimi che abbiano compiuto sedici anni, che l'altro genitore naturale che abbia effettuato il riconoscimento sia d'accordo: se sussistono questi requisiti il giudice stabilisce le condizioni che il genitore cui il figlio è affidato deve osservare e quelle a cui deve attenersi l'altro genitore (art. 252 c.c.). A differenza della famiglia appena descritta (chiamata legittima), la famiglia c.d. di fatto (in quanto non fondata sul matrimonio) dà luogo a una situazione giuridica lecita, che solo sotto specifici profili è oggetto di tutela giuridica. Ad esempio, in materia di locazione, la Corte Costituzionale, con la sentenza 7 aprile 1988, n. 307, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 6, comma 1°, della l. 27 luglio 1978, n. 392, nella parte in cui non prevedeva tra i successibili nella titolarità del contratto di locazione, in caso di morte del conduttore, il convivente more uxorio; in base alla l. 4 aprile 2001, n. 154, contro la violenza nelle relazioni familiari, il giudice civile può, su istanza di parte, adottare con decreto ordini di protezione contro gli abusi posti in essere verso altri familiari dal coniuge o dal convivente (ovvero da altro componente del nucleo familiare) e tali da causare grave pregiudizio all'integrità fisica o morale ovvero alla libertà della vittima, pur non costituendo reati perseguibili d'ufficio; ancora, la l. 9 gennaio 2004, n. 6, ha esteso alla «persona stabilmente convivente» la legittimazione a proporre l’istanza di interdizione, inabilitazione o amministrazione di sostegno. In base all'art. 317 bis c.c., se entrambi i genitori hanno riconosciuto il figlio naturale, l'esercizio della potestà spetta ad essi congiuntamente qualora siano conviventi.

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