HOHENSTAUFEN, FAMIGLIA

Federiciana (2005)

HOHENSTAUFEN, FAMIGLIA

HHansmartin Schwarzmaier

Lo 'Staufen', un monte di forma conica (685 m) di origine vulcanica, sovrasta una dorsale situata tra i fiumi Fils e Rems (odierno distretto di Göppingen, Land del Baden-Württemberg). Il nome, attribuito di frequente a monti di questa conformazione, deriva da Stauf, 'calice', e si riferisce quindi alla sagoma a calice o a coppa rovesciata. La denominazione 'Hohenstaufen' divenne corrente dal XIV sec. per distinguere il castello di Staufen dal villaggio omonimo che si estendeva ai suoi piedi, e in seguito nell'Ottocento anche per differenziarlo da altri castelli di uguale nome. Nella seconda metà dell'XI sec., sulla sommità arrotondata del monte, sorse l'impianto più antico del castello da cui prese nome la stirpe nobiliare dei 'signori di Staufen', gli 'Staufen'. Come castello avito della casa sveva mantenne la sua importanza anche quando questa era ormai diventata una stirpe ducale e regale, dandole in questo caso il nome. Sotto Hohenstaufen era situato il convento benedettino di Lorch, il più antico luogo di sepoltura documentabile degli Staufen, e non lontano da qui sorgevano la città di Schwäbisch Gmünd e quella, di poco più recente, di Göppingen, entrambe fondazioni degli Staufen risalenti al XIII sec. (Reichardt, 1989, pp. 89-92 e 112-116).

Il castello e il territorio circostante furono considerati da allora terra d'origine della casa reale sveva, anche se il castello, in coincidenza con l'apogeo del potere svevo, era ormai soltanto un impianto modesto e scarsamente rappresentativo che non fu mai al centro di eventi politici su scala internazionale. Ma ancora al tempo dell'imperatore Federico Barbarossa era consuetudine recarvisi quando gli Staufen dovevano discutere questioni di famiglia (Maurer, 1977). L'ubicazione del convento di Lorch sul limes romano, quindi nel sito di un insediamento militare d'importanza strategica dei primi secoli dell'era cristiana, accentuò ulteriormente il valore mitico del luogo, denso di significati per i primi Staufen. La costruzione del castello di Staufen per iniziativa dello svevo Federico, nominato nel 1079 duca di Svevia dall'imperatore Enrico IV, è documentata nella biografia che il vescovo Ottone di Frisinga dedicò a suo nipote, l'imperatore Federico I Barbarossa. Ottone, che aveva studiato a Parigi prima di cominciare la sua carriera ecclesiastica nell'abbazia cistercense di Morimond (1138; nello stesso anno divenne vescovo di Frisinga), è il più importante storico dell'Alto Medioevo. Nato dalle seconde nozze di Agnese, figlia dell'imperatore Enrico IV, Ottone era anche fratellastro degli Staufen, del duca Federico II e del re Corrado III, frutto del primo matrimonio di Agnese con il duca Federico I di Svevia. Ottone era quindi zio dell'imperatore Federico I, al quale dedicò la sua cronaca e di cui redasse la biografia. L'opera storica di Ottone rappresenta anche la fonte più importante per gli albori della casa sveva, sui cui destini l'autore aveva a disposizione una ricca tradizione scritta e orale. Ottone diede forma ed espressione alla coscienza familiare degli Staufen dei quali visse l'ascesa a dinastia reale. L'innalzamento di Federico a duca di Svevia e il suo matrimonio con Agnese (1079) furono ai suoi occhi eventi decisivi per l'ulteriore affermazione della famiglia. È significativo che Ottone abbia taciuto sull'origine degli Staufen in linea maschile: li considerava gli eredi legittimi della casa reale salica, la cui discendenza maschile si era estinta nel 1125 con l'imperatore Enrico V, fratello di Agnese. La dinastia dei Salii, degli 'Enrichi di Waiblingen', conobbe attraverso gli Staufen una perpetuazione con il nome dominante di Federico, e in questa prospettiva la 'preistoria' dei 'Federichi', antenati maschi degli Staufen, appariva irrilevante risultandone in certo qual modo oscurata (Schmid, 1976).

Una notizia casuale contenuta nel codice epistolare di Wibaldo getta luce su questa storia remota. Nel contesto della separazione di re Federico Barbarossa dalla sua prima moglie Adela di Vohburg (marzo 1153), l'abate Wibaldo di Stablo, consigliere del sovrano, concepì una genealogia per cui la stretta parentela dei due coniugi era addotta a motivo del loro divorzio (Schwarzmaier, 19772, p. 16). Secondo questo disegno anche il padre del primo duca Staufen, Federico di Svevia, si chiamava Federico unito all'appellativo 'di Büren' e così suo padre nella prima metà dell'XI secolo. Il toponimo 'Büren' ha generato numerose controversie in merito all'origine dei primi Staufen (Bühler, 1988). Il castello di Wäschenbeuren, nelle immediate vicinanze di quello di Hohenstaufen, è stato messo in relazione con il nome Büren, ma l'impianto castellare risale solo al principio del XIII secolo. Alle molte ipotesi, con cui si voleva dimostrare l'origine principesca degli Staufen anche in linea maschile (Decker-Hauff, 1977, p. 339), manca tuttavia un fondamento sicuro nelle fonti. Quindi si è potuto stabilire unicamente che i 'Federichi' più antichi esercitavano funzioni amministrative come conti nella Svevia orientale (Riesgau) e detenevano inoltre la carica di conti palatini di Svevia (Bühler, 1981). Tutti i tentativi messi in atto per risalire ancora più indietro nel tempo in cerca delle loro origini rimangono allo stadio di congetture, anche se dal X sec. nell'area alpina e nella Svevia orientale si incontrano in posizioni di spicco personaggi che portano il nome ricorrente, caratteristico dei primi Staufen, di Federico-Sigehardo.

Tuttavia Federico 'di Büren', del quale non sappiamo nient'altro, sposò una dama molto altolocata che gli portò in dote ricchi possedimenti in Alsazia. È nota col nome di Ildegarda 'di Egisheim', in quanto discendeva dalla famiglia alsaziana dei conti di Dagsburg-Egisheim (Hlawitschka, 1991); sulla base di ricerche recenti (Decker-Hauff, 1977) è denominata anche contessa di Bar-Mousson, i cui possedimenti rimandano all'area della Lotaringia. Dopo la morte del marito Ildegarda, nel 1094, sottomise la chiesa di S. Fides a Schlettstadt (fr. Sélestat, dipartimento del Basso Reno), da lei fondata poco prima, al convento di S. Fides a Conques (Francia meridionale) e la dotò di altri beni. Il documento rilasciato in questa circostanza nomina in particolare suo figlio, il vescovo Ottone di Strasburgo (1083/1084-1100). Nel 1090 egli aveva intrapreso un pellegrinaggio per penitenza a Conques e consacrò la chiesa di Schlettstadt in cui riposava sua madre. Il figlio primogenito di Ildegarda era il duca Federico I di Svevia (dal 1079), già menzionato; altri figli di nome Corrado, Gualtiero e Ludovico, e una figlia Adelaide, sono noti solo dal documento del 1094. Federico 'di Büren' allora era già morto. Questi eventi chiariscono la circostanza dei precoci possedimenti degli Staufen nell'Alta Alsazia e la fondazione del locale convento di famiglia, quasi coeva a quella del convento di Lorch per iniziativa di Federico di Svevia. Schlettstadt e Lorch, i luoghi di sepoltura più antichi documentabili della casa sveva, erano i suoi centri territoriali, e in questo contesto è opportuno sottolineare che anche il castello di 'Hohkönigsburg' presso Schlettstadt, costruito in questo periodo, portò il nome di 'Staufen'. A Schlettstadt è custodita una maschera mortuaria che riproduce il volto e il corpo di una dama aristocratica, forse la fondatrice Ildegarda (Decker-Hauff, 1977, p. 344; opinioni diverse sono espresse in Hlawitschka, 1991, pp. 95-100). È il più antico ritratto realistico che si sia conservato di una nobildonna, forse proprio quello della 'capostipite' della casa sveva, bisnonna dell'imperatore Federico I, che apparteneva anche alla più insigne nobiltà dell'Alsazia ed era imparentata con papa Leone IX attraverso i conti di Egisheim. L'idea che gli Staufen, in linea maschile, siano stati una famiglia aristocratica di nessun rilievo può essere smentita anche sulla base di queste notizie.

Tuttavia la data determinante per l'ulteriore ascesa della casa sveva rimane l'evento dell'anno 1079, messo in risalto da Ottone di Frisinga, allorché Enrico IV creò duca di Svevia il conte Federico ‒ figlio di Federico 'di Büren' e di Ildegarda 'di Egisheim' ‒ che aveva fatto erigere il suo castello eponimo sullo Staufen, e gli diede in moglie la propria figlia Agnese a quel tempo ancora bambina (Ottone di Frisinga, 19653, I, 8). Con ducatus Sueviae ‒ la Svevia ‒ si denomina uno dei cinque ducati tedeschi altomedievali (Svevia, Baviera, Franconia, Sassonia, Lotaringia). Si estendeva nell'area sudoccidentale del Regno tedesco, dall'Alto Reno a ovest fino al Lech, dal margine settentrionale delle Alpi fino alla linea di confine con il territorio della stirpe francone limitrofo a nord. Qui il confine della stirpe comprendeva gli antichi possedimenti degli Staufen intorno a Hohenstaufen, a Lorch, Schwäbisch Gmünd e Waiblingen, che facevano ancora parte della Svevia, mentre i beni svevi confinanti a nord intorno a Schwäbisch Hall, Heilbronn e Rothenburg ob der Tauber erano già franconi. Il ducato di Svevia, che fino al X sec. comparve sotto la denominazione di 'Alemannia' o ducatus Alemanniae (Zotz, Ottonen-, 2001, pp. 382 ss.), corrispondeva alle diocesi di Costanza, Augusta e Strasburgo, confinanti a nord con i vescovati franconi di Spira e Würzburg. È opportuno tener presenti queste definizioni territoriali, che hanno conosciuto un ampliamento solo in epoca più tarda e dalla prospettiva degli stati contigui. Gli Staufen nel 1079 assunsero la carica ducale in Svevia mantenendola fino alla morte di re Corradino, ma di norma come sovrani la assegnavano a uno dei figli più giovani che quindi si definiva 'duca di Svevia' (Maurer, 1978). 'Svevia' fu mantenuto di conseguenza come titolo, mentre la funzione amministrativa del duca di Svevia gradualmente si dissolse e ad essa subentrarono altre forme di sovranità d'impronta feudale. In Svevia il duca era in competizione soprattutto con i duchi di Zähringen, che associarono il titolo ducale, originario della Carinzia, al territorio soggetto al loro dominio a nord e a sud dell'Alto Reno (in particolare l'odierna Svizzera). E i Guelfi si resero indipendenti in modo analogo nel territorio a nord del lago di Costanza e sul Lech, connettendo la loro sovranità in questi luoghi al titolo ducale.

Il conferimento del ducato di Svevia allo Staufen Federico I coincise con l'acme delle lotte intestine in Svevia. In tal modo re Enrico IV ricompensò i suoi sostenitori più fedeli nel meridione del Regno. L'opposizione nobiliare contro Enrico, capeggiata dall'antiré Rodolfo di Rheinfelden, dal duca Bertoldo di Zähringen e dal duca Guelfo IV, possedeva una forza militare preponderante nei confronti del sovrano, al quale il papa aveva inflitto la scomunica. Federico di Svevia condusse le campagne militari e il suo fidanzamento, poi matrimonio, con la figlia dell'imperatore (nel 1084) rafforzò questa posizione di fiducia. Ma a quel tempo non era ancora possibile prevedere che Agnese sarebbe rimasta l'unica erede della casa reale salica. I suoi fratelli Corrado (m. 1101) ed Enrico V (m. senza figli nel 1125) furono incoronati re mentre ancora era in vita Enrico IV. Ottone di Frisinga, che descrive questi eventi settant'anni più tardi, quando già era a conoscenza dell'ascesa reale degli Staufen, diede quindi risalto all'innalzamento di rango del 1079, assunto come evento centrale non solo della casata sveva ma anche della storia dell'Impero.

Tra gli Staufen il nome di famiglia Federico rimase legato al figlio primogenito (duca Federico II di Svevia, nato nel 1090). Al secondo figlio del duca Federico I e di Agnese fu imposto il nome salico di Corrado (futuro re Corrado III, nato nel 1093). Dopo la morte del primo marito Agnese sposò nel 1106 in seconde nozze il margravio Leopoldo III d'Austria, con il quale ebbe altri undici figli, fra i quali il già menzionato Ottone vescovo di Frisinga (m. 1158), storiografo e biografo di suo nipote Federico Barbarossa. In sintonia con il mondo ideale di sua madre Agnese, che morì in tarda età nel 1143, Ottone plasmò la coscienza familiare degli Staufen come eredi della casa salica dando così fondamento alla loro rivendicazione della dignità reale, che agli occhi dello storico trovò il suo compimento ultimo nell'elezione di Federico Barbarossa.

L'evento politico più significativo sulla strada verso l'elezione fu l'accordo stipulato fra il duca svevo Federico I e le cerchie nobiliari dell'opposizione che si raccoglieva intorno al duca Bertoldo di Rheinfelden, agli Zähringen e ai Guelfi ‒ tutti quanti imparentati fra loro ed esponenti del ceto dominante dell'Impero. Questa intesa nel 1098 pose fine alla guerra civile in Germania dopo vent'anni di lotte per la supremazia nel meridione del Regno (Zotz, Ottonen-, 2001, p. 453), consolidò la posizione di Federico I (m. 1105) come duca di Svevia e aprì la strada alla candidatura dei suoi figli sia all'eredità della casa salica sia alla monarchia. Il duca Federico I fu sepolto nell'abbazia benedettina di Lorch da lui fondata, che entrò a far parte della serie di conventi riformati svevi alla fine della lotta per le investiture, così come Schlettstadt. Gli Staufen riuscirono quindi a imporre la loro posizione di predominio in Svevia e in Franconia. Frattanto la casa degli Zähringen, in competizione con loro, fu in grado di rendere sempre più indipendente il suo ambito di sovranità.

Finché l'imperatore Enrico V fu in vita (1125), entrambi i suoi nipoti Federico e Corrado ne furono i sostenitori più fedeli, il maggiore come duca Federico II di Svevia, il più giovane con un rilievo ancora poco spiccato. Durante l'assenza dell'imperatore, recatosi in Italia, Federico fu il suo rappresentante nell'Impero a nord delle Alpi, l'energico amministratore dei possedimenti reali che si sforzò di consolidare. Quando, al più tardi intorno al 1120, si prospettò la possibilità che l'imperatore Enrico V potesse rimanere senza figli, si ebbe la certezza che Federico sarebbe stato l'erede della casa salica e il futuro sovrano. Sposò allora Giuditta, figlia del duca Enrico il Nero di Baviera, all'epoca il primo della linea cadetta dei Guelfi originaria dell'Italia (Schneidmüller, 2000). In Svevia erano stati nelle fila dell'opposizione contro il re, prima che nell'accordo stipulato nel 1098 fossero delimitati gli interessi delle famiglie più potenti e si giungesse quindi alla pacificazione. Ottone di Frisinga (19653, II, 2), da una prospettiva più tarda, esaltò l'unione matrimoniale tra Guelfi e Staufen come un altro evento storico cruciale e vide in Federico Barbarossa, frutto di questo matrimonio, la 'pietra angolare', "lapis angularis", di un futuro ordinamento universale all'insegna della pace sotto le due famiglie dominanti dell'Impero. Gli eventi effettivi degli anni seguenti delinearono tuttavia un quadro diverso, anche se in un primo tempo sembrò che con queste nozze si fosse raggiunta un'intesa dinastica definitiva.

L'apparente unità invece si disgregò dopo la morte di Enrico V, quando all'elezione reale a Magonza, il 30 agosto 1125, il sovrano prescelto non fu il duca svevo Federico II, che nella certezza della vittoria si era mostrato eccessivamente superbo, bensì il duca sassone Lotario di Supplimburgo (Lotario III). Il duca guelfo Enrico il Superbo, fratello di Giuditta, fu guadagnato alla causa di Lotario, che in cambio ne fece il proprio genero, aprendogli così la candidatura all'eredità della monarchia. Federico non accettò questa decisione e insieme con il fratello minore Corrado mosse guerra contro re Lotario. Al tempo stesso gli premeva il mantenimento dei possedimenti della casa salica, che gli Staufen detenevano in quanto eredi di Enrico V e dai quali non potevano essere separati i beni regali. Federico e Corrado negli anni seguenti difesero gli interessi della loro casata combattendo insieme, ma il primo scivolò sempre più nello sfondo, sebbene si ignori quale motivo vi sia all'origine della nuova suddivisione di compiti fra gli Staufen. È plausibile che lo sfortunato aspirante alla dignità reale, che le fonti definiscono "Monoculus", dopo aver fallito abbia ceduto questo ruolo al fratello più giovane per dedicarsi interamente alla salvaguardia del patrimonio familiare in Alsazia, sul Medio Reno e in Svevia. In queste terre, grazie alla costruzione di castelli e fortificazioni, fra cui la futura residenza imperiale di Hagenau (v.), Federico riuscì a creare posizioni di dominio che sarebbero divenute il nucleo dei possedimenti territoriali degli Staufen.

Nel 1127 Corrado fu proclamato re dai sostenitori del partito svevo, in contrapposizione a Lotario, e negli anni successivi partì per l'Italia dove intendeva assicurarsi appoggio. A Milano ricevette la corona reale lombarda, ma dall'Italia non poté inserirsi efficacemente nelle lotte per il potere che Enrico il Superbo conduceva in nome di Lotario, al quale, infine, i fratelli svevi dovettero sottomettersi. Riuscirono comunque a garantirsi ampiamente le loro proprietà. Corrado, grazie alle nozze con Gertrude, erede dei conti di Komburg-Rothenburg, si costituì un suo possedimento personale nel territorio della stirpe francone intorno a Rothenburg, Würzburg e Norimberga, e cominciò così a profilarsi la suddivisione della sfera di dominio sveva. Come in precedenza, il nucleo centrale era rappresentato dall'antico territorio svevo intorno a Hohenstaufen e all'abbazia di Lorch, considerato patrimonio comune di tutti gli eredi svevi, teatro di riunioni e di accordi familiari.

Alla morte dell'imperatore Lotario (1139) si riaccese la disputa fra Svevi e Guelfi. Giuditta nel frattempo era morta (1126) e il duca Federico II si era sposato una seconda volta; dalla sua unione con la contessa Agnese di Saarbrücken nacque, fra gli altri, il conte palatino Corrado (m. 1195), che poté costituirsi un territorio sotto il suo personale dominio lungo l'Alto Reno (fondazione della città di Heidelberg).

L'elezione reale che si disputò fra il guelfo Enrico il Superbo e lo svevo Corrado si decise a favore di quest'ultimo (7 marzo 1138). Enrico, sottomesso, morì un anno dopo lasciando nel figlio omonimo ‒ Enrico il Leone ‒ un erede che avrebbe ripreso a sua volta, sotto altri auspici, la battaglia guelfo-sveva contro il cugino Federico Barbarossa. Si replicò quanto era accaduto dopo l'elezione del 1125, ma in una situazione rovesciata: re Corrado III doveva difendersi, in particolare in Svevia e in Franconia, dall'opposizione dei Guelfi che conducevano una guerra ostinata per singoli diritti e possedimenti al comando del duca Guelfo VI, fratello di Enrico il Superbo. In questa congiuntura emerge con evidenza come il fratello di Corrado, Federico, e ancor più suo figlio, che gli succedette in Svevia come duca Federico III ‒ il futuro re Federico I Barbarossa ‒, difendevano interessi personali, quindi non agivano più in nome di una politica unitaria della famiglia sveva. Il giovane Federico, figlio della guelfa Giuditta, si adoperava palesemente già allora per non inasprire i contrasti fra Svevi e Guelfi, preferendo trovare un'intesa fra parenti stretti in merito ai problemi che già esistevano o che andavano profilandosi (Hechberger, 1996). Suo padre, il duca Federico II, morì nel 1147 in disaccordo con il fratello re Corrado, quando questi incitato da Bernardo di Chiaravalle si unì alla crociata in Terrasanta e coinvolse il duca Federico III nella pericolosa impresa. Si deve supporre che i fratelli Corrado e Federico al più tardi in quel periodo abbiano stipulato accordi relativi all'eredità e regolato la successione per i rispettivi figli (Schwarzmaier, 2001).

Dopo il fallimento della crociata del 1148-1149, lo sfortunato re Corrado si adoperò senza successo per procurarsi la corona imperiale e ottenere un pieno riconoscimento nell'Impero. Il figlio maggiore Enrico fu incoronato re ancora bambino nel 1147, ma morì prima del padre. Quando anche Corrado scomparve il 15 febbraio 1152 e fu sepolto nel duomo di Bamberga, il figlio più giovane Federico aveva appena sette anni. Federico Barbarossa, duca di Svevia, a trent'anni era nel pieno del vigore e aveva attirato l'attenzione su di sé grazie alla sua energica e vittoriosa tempra di uomo d'armi. Dalle parole di Ottone di Frisinga si ricava l'impressione che re Corrado abbia designato già in anticipo il nipote alla propria successione, preferendolo al figlio ancora minorenne. Ma tutto sembra suggerire che la scelta di eleggere re Federico Barbarossa sia scaturita da trattative interne alla casata e al partito svevi, che al tempo stesso regolarono la situazione del giovane Federico di Rothenburg del quale Barbarossa assunse la tutela. L'appellativo 'duca di Rothenburg' consente di dedurre che egli non fu solo compensato con la dignità ducale, come Federico IV duca di Svevia, ma fu anche dotato di possedimenti franconi degli Svevi intorno a Rothenburg ob der Tauber, accentrati fino a costituire una sorta di ducato personale. Federico di Rothenburg trovò appoggio nella casa imperiale bizantina dove la zia Berta di Sulzbach, divenuta l'imperatrice Irene, si interessò della sorte di suo nipote. Negli anni seguenti Federico accompagnò Barbarossa nelle sue spedizioni in Italia, ma nel 1164 contro la volontà dell'imperatore provocò una faida (la 'faida di Tubinga'; cf. Althoff, 1992) che riaccese di nuovo i contrasti fra Svevi e Guelfi nella Germania meridionale coinvolgendo la generazione più giovane di entrambe le famiglie. Poco dopo, nel 1167, Federico di Rothenburg morì in Italia durante l'epidemia di colera che pose fine in modo drammatico alla quarta spedizione italiana del Barbarossa (Herde, 1991). Poiché non aveva discendenti, la sua morte impedì che si creasse all'interno della casa sveva un altro dominio che nel tempo avrebbe potuto dare origine a un contrasto interno alla famiglia. Uno dei figli del Barbarossa, Corrado, assunse l'eredità francone nel ducato di Rothenburg.

L'elezione reale di Federico I Barbarossa a Francoforte, il 5 marzo 1152, non solo era stata preparata e assicurata con cura, ma introduceva anche una serie di provvedimenti con cui il re svevo ristabiliva la pace e l'ordine nel Regno tedesco. Ancora una volta si deve citare Ottone di Frisinga, che esaltò l'accordo con i Guelfi come un'azione storica di grande portata. L'intesa si tradusse soprattutto nella riconciliazione del nuovo re con suo cugino Enrico il Leone, che da parte sua aveva avanzato pretese sulla monarchia (Goez, 1992). Il nuovo sovrano fece notevoli concessioni al duca sassone in Sassonia e poco dopo lo insediò anche in Baviera conferendogli la dignità ducale. E in modo analogo, ancora nel suo primo anno di regno, fu concluso il patto con il duca Bertoldo di Zähringen (Pactum cum duce Bertolfo). Nello stesso anno 1153 fu stipulato con papa Eugenio III l'accordo di Costanza con cui già mirava all'incoronazione imperiale. Federico ottenne anche l'annullamento del suo matrimonio con Adela di Vohburg, celebrato alcuni anni prima, dal quale non erano nati figli. Questa separazione gli permise di avviare trattative con la casa imperiale bizantina che tuttavia non andarono in porto. Nel 1156 Federico sposò Beatrice, figlia del conte Rainaldo di Borgogna, che dopo Agnese divenne la vera 'capostipite' dei successivi Staufen. I figli nati da quest'unione avrebbero dovuto consentire a Federico di costruire un ordine duraturo della sua casata che ne garantisse la presenza in ogni parte dell'Impero.

L'imperatore Federico, mentre era ancora in vita, si adoperò in ogni modo per assicurare i propri domini ai suoi discendenti diretti. I figli che gli sopravvissero dovevano garantire il successo di questo disegno. Se si deve dare credito a una fonte di Lorch, il convento di famiglia degli Staufen, Federico ebbe da Beatrice due figli, Rainaldo e Guglielmo, morti subito dopo la nascita e sepolti a Lorch, prima che nel 1164 venisse al mondo un altro figlio a cui fu attribuito il nome svevo di Federico, che fu subito fidanzato con una delle figlie di re Enrico II d'Inghilterra. Si può supporre che i figli maggiori di Beatrice, all'epoca ancora quasi una bambina, non fossero in grado di vivere e per questo motivo ‒ fatto di per sé atipico ‒ abbiano ricevuto i nomi degli antenati materni, prima che fosse dato alla luce l'erede al trono Federico. Tuttavia si riconosce, di fatto, una caratteristica politica onomastica che ha ingenerato confusioni nella storiografia più recente. Nel 1165 nacque l'altro figlio, Enrico, futuro imperatore Enrico VI, e a lungo si è cercato di intuire per quale motivo lui e non suo fratello Federico, presumibilmente maggiore, sia stato eletto re mentre ancora era in vita il padre. La scoperta (Baaken, 1968; Assmann, 1977) che il primogenito Federico fosse morto evidentemente ancora bambino, intorno al 1170, ha dato risposta a quest'interrogativo. Il suo nome, che si voleva assolutamente conservare nella casa sveva, passò al fratello Corrado, nato nel 1167, che ci è noto come Federico V duca di Svevia. Il nome salico Corrado, che si era reso di nuovo libero, fu imposto a un figlio più giovane del Barbarossa nato intorno al 1170. A lui seguirono due altri figli: Ottone, che avrebbe dovuto ereditare la contea di Borgogna, e Filippo, nato intorno al 1176, futuro re dopo la morte di Enrico VI. A loro si accompagnarono alcune figlie che ricevettero i nomi, consueti nella famiglia sveva, di Beatrice (morta bambina), Agnese, Sofia. Quindi Beatrice di Borgogna, descritta dal cronista Acerbus Morena, originario di Lodi, come una donna bella e fragile, diede al marito undici o dodici figli.

Se si considerano i matrimoni dei figli dell'imperatore, si deduce che il loro padre pensava a una futura stirpe regale. Il maggiore, Federico, come si è detto, fu fidanzato ancora bambino con una principessa inglese; suo fratello omonimo con una figlia del re d'Ungheria Béla; Corrado di Rothenburg (Schwarzmaier, 2002) si unì in matrimonio con Berengaria, figlia di re Alfonso di Castiglia, e Filippo, che in un primo tempo era stato avviato alla carriera ecclesiastica ed eletto vescovo di Würzburg, sposò dopo l'elezione al trono Irene (Maria), figlia dell'imperatore bizantino Isacco II Angelo. Anche le figlie del Barbarossa erano state destinate a unioni reali e, se pure questi progetti naufragarono quasi tutti prima di potersi realizzare, si riconosce la grandiosità delle ambizioni che ispirarono questi matrimoni e fidanzamenti. Non si trattava solo di circondarsi esclusivamente di parentele reali, ma, come nel caso della Castiglia, di assicurare una futura eredità reale a quei figli dell'imperatore che non gli sarebbero succeduti sul trono tedesco. Questa politica dinastica lungimirante è riconoscibile con la massima chiarezza nel caso del successore al trono Enrico, che in quanto consorte della normanna Costanza avrebbe dovuto ereditare per suo tramite il Regno di Sicilia.

Il Barbarossa imboccò la via dell'Italia con maggior consapevolezza e coerenza di tutti i sovrani tedeschi che l'avevano preceduto. Si può riconoscere quest'attitudine anche dai luoghi in cui nacquero i suoi figli: il maggiore Federico (nato a Pavia, 1164) e suo fratello omonimo (nato a Modigliano, 1167) videro la luce in Italia, dove la coppia imperiale si trattenne allora per lungo tempo. Questo tratto cosmopolita ebbe dei riflessi nei quasi quattordici anni che il Barbarossa trascorse nel suo Impero a sud delle Alpi. Hohenstaufen, come castello avito di una famiglia nobiliare sveva, perse la sua importanza e nel mondo imperiale del Barbarossa rappresentò ancora una reminiscenza storica, forse lo scenario delle riunioni familiari nelle vicinanze del convento di Lorch. Ma anche Lorch, come luogo di sepoltura reale, non fu preso in considerazione: Corrado III, che presumibilmente l'aveva inteso ancora in questo senso, fu sepolto nel duomo di Bamberga e l'imperatrice Beatrice nella cripta reale salica di Spira, che era senz'altro destinata anche al Barbarossa prima che partisse per la sua crociata a Gerusalemme. Non si sa di preciso dove si debbano cercare le sue spoglie mortali ‒ a Tarso ‒, ma si può comunque supporre che dopo una campagna vittoriosa avrebbe dovuto essere sepolto a Gerusalemme: era questo l'unico luogo che gli spettava di diritto. Invece la morte del Barbarossa lontano dal suo paese denota il suo fallimento sia politico che dinastico.

Questo evento, considerato dai suoi contemporanei come una tragedia, fu interpretato come un segno di Dio, che avrebbe abbandonato l'imperatore in precedenza tanto favorito dalla sorte. Non solo i suoi numerosi figli avevano promesso continuità alla sua casata, ma anche la precoce eliminazione dei suoi concorrenti nella stretta cerchia della parentela si era dimostrata per il Barbarossa una circostanza estremamente propizia. Quando il duca Federico di Rothenburg, unico figlio sopravvissuto di re Corrado III, rimase vittima del colera a Roma nel 1167, e con lui Guelfo VII, ultimo esponente dei Guelfi della Germania meridionale e duca di Tuscia, sembrò che la sorte assecondasse i progetti politico-familiari concepiti dall'imperatore per i suoi figli. Anche l'esautoramento del cugino Enrico il Leone, al quale si attribuivano pretese sulla dignità reale, lo liberò da un concorrente ostinato. Ma i figli di Barbarossa morirono dopo il padre in una successione così rapida che questa circostanza, dopo il fallimento della crociata, fu interpretata come un ulteriore segno di sventura. Il duca Federico di Svevia morì nel 1191 durante l'assedio di Acri, Corrado di Rothenburg nel 1196 nel corso di una spedizione militare nell'Alto Reno per conto di suo fratello Enrico VI. L'anno seguente a Messina quest'ultimo, a soli trentacinque anni, fu strappato dalla morte ai suoi progetti che miravano a rendere ereditaria la dignità imperiale per gli Svevi. La sua tomba a Palermo, per gli uomini dell'Impero al di là delle Alpi, simboleggiava ancora una volta la lontananza in cui si era compiuto il destino dell'imperatore. Ottone di Borgogna, il più difficile e forse anche il meno valente dei figli di Barbarossa, concluse i suoi giorni a Besançon nel 1200, senza che mai lo si considerasse un candidato al trono (Mariotte, 1987). Toccò a Filippo, diventato nel frattempo duca di Svevia, succedere al fratello maggiore e riprendere la lotta della sua casata per la monarchia, che fino a quel momento era parsa poggiare su solide fondamenta. Dalla doppia elezione del 1198, che vide contrapposti Filippo e il guelfo Ottone, figlio di Enrico il Leone da poco scomparso, prese avvio la seconda parte della storia della casa sveva. Otto anni dopo la morte del Barbarossa l'edificio della sua politica familiare, dalla concezione ingegnosa e lungimirante, era crollato su se stesso.

Quando si diffuse la notizia della morte dell'imperatore Enrico VI, il duca Filippo di Svevia era in viaggio per Foligno, dovendo accompagnare in Germania per l'incoronazione Federico II, di appena tre anni, che già l'anno precedente era stato eletto re di Germania a Francoforte. A Montefiascone Filippo ricevette probabilmente la notizia funesta, e i disordini che subito dopo scoppiarono in Italia lo costrinsero a prendere la via del ritorno, mentre il piccolo Federico veniva portato in Sicilia, dove sua madre Costanza riuscì ad assicurargli la sua eredità e a farlo eleggere re il giorno di Pentecoste del 1198. Anche in Germania Filippo si considerò in un primo tempo rappresentante del nipote, ma fu sollecitato dai principi tedeschi fedeli agli Svevi ad assumere egli stesso la dignità reale. Filippo fu quindi eletto re nel marzo 1198 da un'assem-blea di elettori riunita a Mühlhausen in Turingia. Il partito avverso, capeggiato dall'arcivescovo Adolfo di Colonia, cercò a sua volta un candidato idoneo al trono e lo trovò infine nel guelfo Ottone di Brunswick, che nel giugno 1189 fu eletto re a Colonia e un mese più tardi fu incoronato ad Aquisgrana. Nella sua celebre deliberazione in merito alla disputa per il trono tedesco papa Innocenzo III si era espresso dopo ponderate riflessioni a favore del Guelfo, in quanto imputava a Filippo la posizione ostile alla Chiesa della casa sveva e temeva inoltre che attraverso Federico potesse realizzarsi l'unione fra l'Impero e il Regno di Sicilia: la minaccia dell'accerchiamento del Patrimonium Petri stretto tra la Sicilia a sud e il Regno d'Italia a nord. Filippo, al quale l'imperatore Enrico VI aveva ceduto il ducato di Tuscia, era ritenuto un avversario particolarmente pericoloso. Nel documento papale compare per la prima volta l'espressione "genus persecutorum", dinastia di persecutori della Chiesa (Stürner, 1992-2000, I, p. 71), attribuita non soltanto a Filippo ma anche al bambino Federico, che come Filippo discendeva "de domo ducum Sueviae". Indipendentemente dalla valutazione puramente giuridica riguardo all'elezione reale tedesca, è palese in questa situazione l'atteggiamento sostanzialmente antisvevo del papa, insieme alla crescente opposizione delle città del Regno d'Italia contro il dominio tedesco che si sarebbe inasprita negli anni successivi.

Nei dieci anni seguenti del suo regno Filippo riuscì a ottenere gradualmente dalla Curia pontificia un atteggiamento più cedevole e l'annullamento della scomunica. Proprio quando aveva potuto indurre Ottone a rinunciare, fu assassinato ‒ anche lui a soli trentadue anni ‒ il 26 giugno 1208 a Bamberga dal conte palatino Ottone di Wittelsbach, suo coetaneo. Il conte aveva sperato di poter sposare una delle figlie di Filippo, Beatrice, che allora aveva dieci anni, e probabilmente la delusione per il fallimento di questo progetto l'aveva spinto a compiere la sua vendetta a Bamberga. Il re, rispettato e benvoluto in Germania, venne a mancare proprio nel momento in cui sembrava aver raggiunto il suo traguardo politico. Filippo, alla sua morte, non aveva discendenti maschi; le figlie, nate tra il 1196 e il 1208, furono sposate ancora bambine o destinate a matrimoni reali. Beatrice, che in un primo tempo era stata promessa a Ottone di Wittels-bach, dopo la morte del padre sposò l'imperatore Ottone IV la cui sovranità attraverso di lei avrebbe ottenuto un'ulteriore legittimazione, ma la giovane moglie morì a soli quattordici anni prima di aver partorito (1210). Due mesi dopo la scomparsa di Filippo morì di parto anche sua moglie Maria, il cui bambino doveva venire al mondo nel castello di Hohenstaufen: madre e figlio furono sepolti nel convento di Lorch. Un'altra figlia di Filippo, anche lei chiamata nelle fonti Beatrice, sposò re Ferdinando III di Castiglia: suo figlio fu Alfonso di Castiglia che nel 1257 fu eletto re di Germania senza aver mai messo piede in territorio tedesco, al cui dominio, tuttavia, riteneva di poter aspirare come erede degli Staufen.

L'assassinio di Filippo contribuì al successo del suo rivale Ottone. Dopo il 1208 gli si aprì la strada per occupare le posizioni dello Svevo: quindi nell'Impero la situazione si mantenne inalterata anche sotto il Guelfo secondo i progetti di Filippo. Mostrando una sorprendente unanimità, i principi tedeschi, compresi coloro che in precedenza avevano appoggiato lo Svevo, si schierarono con Ottone. L'elezione reale, che questa volta fu compiuta nelle forme giuridiche legittime, e l'incoronazione di Ottone (11 novembre 1208) sembrarono nuovamente porre fine al contrasto guelfo-svevo e il consenso del pontefice Innocenzo III si manifestò nell'incoronazione imperiale del sovrano tedesco a Roma l'anno seguente. La situazione italiana però determinò nuovamente una svolta. La decisione di Ottone di rivendicare ancora gli antichi diritti imperiali in Toscana, che aveva concesso al papa, ma soprattutto di attaccare il Regno di Sicilia con una spedizione militare, indusse Innocenzo III a un voltafaccia nei confronti dell'imperatore da lui stesso incoronato e al quale nel 1210 inflisse la scomunica. Mentre Ottone fu costretto a ritirarsi verso la Germania, il papa riuscì a imporre la candidatura al trono del giovane Federico del quale esercitava la tutela. La sua elezione a Francoforte da parte di alcuni dei principi tedeschi più importanti, fra cui il re di Boemia Ottocaro e il langravio di Turingia, mutò lo scenario politico in Italia e poi anche in Germania: Federico, in qualità di erede della dinastia degli Staufen ma anche come rappresentante del partito papale, si accinse a fare ritorno nella terra d'origine dei suoi avi, mentre il guelfo Ottone proseguiva la politica imperiale e antipapale degli Svevi, in un primo tempo ancora sostenuto dai cavalieri tedeschi che svolgevano funzioni amministrative in Italia e dai ministeriali dell'Impero. Ottone perse con drammatica rapidità i suoi fautori nell'Impero a nord delle Alpi, quando nell'estate del 1212 il giovane Federico, il puer Apuliae, con un percorso avventuroso riuscì a raggiungere la Svevia, trovandovi un'entusiastica accoglienza che gli consentì di proseguire nel suo itinerario vittorioso, approdato alla rinnovata elezione a Francoforte e alla successiva incoronazione a Magonza.

Questi eventi noti non dovrebbero essere ripetuti nel quadro di una storia della casa sveva, se non fosse per due importanti valutazioni connesse a Federico II. La prima riguarda la sua posizione nei confronti della terra d'origine degli antenati paterni, nella cui tradizione e nel cui stile di vita egli si addentrò ‒ benché provenisse da un ambiente completamente diverso ‒ risiedendo e governando per otto anni in Germania. Nato e cresciuto nel Meridione, privo dei genitori, poiché anche la madre era morta nel 1198, Federico era stato esposto all'influenza dei consiglieri e precettori più disparati che lo avevano introdotto in una dimensione in cui si intrecciavano tradizioni normanne, arabe, greco-bizantine, ecclesiastico-curiali, un mondo erudito in cui non mancava neppure l'elemento ebraico (Houben, 2001). I ministeriali svevi che l'avevano accompagnato ‒ sebbene i loro rappresentanti di maggior spicco fossero stati banditi dal Regno di Sicilia dalla madre Costanza ‒ dovevano avergli trasmesso in ogni caso la lingua dei suoi avi come 'terza lingua straniera'. Quando Federico a diciotto anni fece per la prima volta il suo ingresso in Germania, le consuetudini di vita di questo paese, le sue strutture politiche e senz'altro anche la sua storia, e perfino le notizie sulle origini del padre e del nonno in un primo tempo dovettero essergli del tutto estranee e non sappiamo con quanta rapidità il giovane, dotato di notevoli capacità di apprendimento, abbia potuto impadronirsi delle conoscenze necessarie. Nonostante ciò in Germania fu accolto con entusiasmo e in lui furono riposte grandi speranze. Questa circostanza fu dovuta non soltanto alla sua indole seducente e brillante, in contrasto con l'atteggiamento brutale e dispotico di Ottone, ma anche al suo nome che evocava il Barbarossa, suscitando la speranza che egli si sarebbe richiamato al grande imperatore. E senz'altro anche i numerosi nobili tedeschi che si erano guadagnati i loro galloni in Italia e si sentivano di casa in questo paese contribuirono a far sì che Federico non fosse accolto come uno straniero. Marcovaldo di Annweiler (m. 1202), che sotto Enrico VI e Filippo di Svevia aveva concentrato nelle sue mani i massimi poteri in Italia, incarnò questa duplice esistenza politico-culturale.

Queste osservazioni non rispondono agli interrogativi sull'identità culturale personale di Federico II. I provvedimenti che adottò negli otto anni di permanenza in Germania rivelano in ogni caso una rapida comprensione delle strutture politiche locali, a prescindere da quanto fosse adeguatamente preparato a svolgere il suo compito. Non è noto se si sia mai recato al castello di Hohenstaufen, se abbia soggiornato a Lorch o a Waiblingen, sebbene negli anni compresi fra il 1212 e il 1220 si sia trattenuto soprattutto nella Germania meridionale, nell'area del Medio Reno, a Spira, Worms e in particolare ad Hagenau (fr. Haguenau, in Alsazia), che acquistò quasi il carattere di residenza. In Svevia solo Ulma e Augusta sono documentabili come occasionali luoghi di soggiorno e di transito (v. Itinerario di Federico II). Al più tardi nel 1216 Federico si fece raggiungere in Germania da suo figlio Enrico, nato in Sicilia, e nominò il bambino di cinque anni duca di Svevia. In un documento del 1217 Enrico compare per la prima volta come rex Siciliae et dux Sueviae, in seguito fino all'elezione reale nel 1220 sempre come dux Sueviae o dux Suevorum (Thorau, 1998, pp. 36 ss.). Federico decise evidentemente di ripristinare la carica ducale di Svevia che fino a Filippo era stata associata alla dignità reale, e quindi l'attribuì al figlio ‒ ancora l'unico ‒ come territorio particolare. La nuova interpretazione del concetto di 'Svevia' come sfera di dominio strettamente connessa alla casa reale sveva nell'area sudoccidentale della Germania (Maurer, 1978) si mantenne anche dopo che Enrico fu esautorato a favore del fratello Corrado e di suo figlio Corradino. Su questa base territoriale Enrico poté costruire nella zona sudoccidentale della Germania un dominio il cui nucleo era situato sull'Alto Reno e sul basso Neckar ‒ con i centri di Wimpfen, Heilbronn e Hagenau.

In questi anni nelle città italiane si formarono quei raggruppamenti di nobili che si associarono sotto il nome di partito dei 'ghibellini' e dei 'guelfi'. A Firenze si possono individuare per la prima volta nel 1215 nel quadro di una sanguinosa faida nobiliare. Ma il grido di battaglia dei ghibellini che si richiamava alla 'Waiblingen' sveva (dalla città del Baden-Württemberg) e il nome della famiglia dei Guelfi, nel loro significato successivo ormai consolidato di partito imperiale e partito papale, non si addicono affatto ai primi anni di Federico II, quando il guelfo Ottone IV incarnava la dignità imperiale. Si suppone che anche in Italia questi nomi fossero più antichi; infatti furono associati alla contrapposizione tra filoimperiali e filopapali solo nel corso dell'aspro confronto tra Federico II e i pontefici, e in seguito si emanciparono gradualmente da queste posizioni politiche di fondo. Nel mondo svevo 'Waiblingen' ebbe il valore di un programma: la residenza, già assai rinomata in epoca salica, incarnò fra gli Svevi un significato addirittura carismatico. Un monumento funerario di epoca antico-romana fece supporre l'esistenza di una tradizione merovingica e risvegliò l'idea di un'origine remota della casa reale salico-sveva associata a questo luogo (Lorenz, 2000, p. 82; Schmid, 1983, p. 457). In Germania 'Waiblingen' fu usato come variante del nome 'Staufen'. Nella prospettiva italiana e tra gli avversari degli Svevi poteva corrispondere, al contrario, a una nomenclatura dispregiativa di un luogo molto remoto e quasi sconosciuto al di là delle Alpi. Con Waiblingen scomparve quasi completamente dalla lingua e dall'immaginario italiani anche il nome di 'Staufen' e di conseguenza il riferimento alle terre di Hohenstaufen come castello avito della dinastia di epoca preregia, sebbene un documento di Federico II lo ricordi ancora una volta. Si tratta di una lettera giustificatoria dell'imperatore datata 1247, indirizzata al re di Francia, nella quale si parla dell'Impero e della monarchia che il papa dopo il concilio di Lione avrebbe offerto a re e principi, sebbene entrambi da lungo tempo spettassero alla casa sveva, la domus Stoffensis (Regesta Imperii, 1881-1901, nr. 36177; Historia diplomatica, VI, p. 515).

Sotto Federico II, il grande imperatore che fece dimenticare il ricordo di suo nonno, senz'altro poco amato in Italia, la casa sveva divenne imperialisprosapia, caesarea progenies, che ‒ nel solco della tradizione antico-romana ‒ si innalzò fino a concepire l'idea di divinizzare il sovrano, divus Augustus, come i figli di Federico II chiamarono il padre. La sua casata, nella misura in cui si riferiva all'origine tedesca, si ampliò fino a diventare domus Sueviae e questo concetto fu contrapposto a 'Italia', estendendo quindi il nome di Svevia all'intera Germania staufica. Invece Hohenstaufen scomparve largamente dall'uso anche nella lingua tedesca, per poi assumere un nuovo rilievo solo nella storiografia dell'Ottocento (cf. Raumer, 1823-1825). Il castello di Hohenstaufen cadde nelle mani dei conti, in seguito duchi, di Württemberg e andò distrutto durante la guerra dei contadini. Un cronista del Cinquecento, Martino Crusio, racconta che un viaggiatore italiano ‒ di cui purtroppo non fa il nome ‒, giunto allora presso il castello già in rovina, quando lo informarono del nome disse: "Aureo muro circumdandum esse propter Fridericos imperatores" ('in virtù degli imperatori Federico I e II si dovrebbe circondare questo castello di mura auree'; Martino Crusio, 1596, II, p. 816).

Ripercorrendo la storia familiare degli Staufen sotto e dopo Federico II, emerge con forza quanto si siano ampliate le relazioni familiari, grazie ai matrimoni contratti nell'ambito delle famiglie reali e principesche europee. Se già Federico Barbarossa aveva predisposto per i suoi figli e le sue figlie matrimoni reali, e se re Filippo aveva concepito per le sue figlie nozze analoghe, questo tipo di politica matrimoniale proseguì anche sotto Federico II. Le sue quattro mogli legittime incarnano questa politica regale. Com'era consuetudine all'epoca, Federico le sposò quand'erano ancora donne molto giovani, quasi bambine, eccetto Costanza d'Aragona, maggiore del marito, il quale al momento delle nozze aveva solo quindici anni. Costanza è madre di re Enrico, l'unico figlio nato da questo matrimonio. Solo nel 1216 la regina seguì il consorte in Germania; suo figlio, nato nel 1211, visse con i genitori pochi anni fino al 1220 e incontrò nuovamente il padre per la prima volta quindici anni dopo in circostanze poco propizie.

Dopo la morte di Costanza (1222) l'imperatore sposò la giovane Isabella di Brienne, regina di Gerusalemme, che a sedici anni diede alla luce ad Andria il futuro re Corrado IV e morì in seguito al parto. In terze nozze Federico si unì a Isabella d'Inghilterra, figlia di re Giovanni Senzaterra, che incontrò l'imperatore a Worms il 15 luglio 1235, durante il secondo soggiorno di Federico in Germania. Alla punizione inflitta in quei giorni al figlio ribelle fecero da contrappunto le sontuose feste che Federico offrì allo sguardo meravigliato e ammirato dei tedeschi, ostentando il suo potere sovrano con sfarzo meridionale o, addirittura, orientale. Da allora Federico non mise più piede nella terra dei suoi antenati svevi. Anche Isabella morì dando alla luce un maschio, che nacque e fu sepolto a Foggia nel 1241. Dovrebbe essere menzionata solo la sua prima figlia, Margherita, che nel 1254 sposò il margravio Alberto di Meissen: i suoi discendenti fino ai principi elettori di Sassonia della linea ernestina sono quindi di stirpe sveva.

Tra le molte unioni illegittime di Federico dev'essere menzionata in particolare quella con la nobile Bianca Lancia, una relazione amorosa durata a lungo che Federico sanzionò sul letto di morte legittimando i figli nati da questo legame. La figlia maggiore, Costanza, sposò l'imperatore bizantino Giovanni III Vatatze; un'altra figlia, Violante, si unì in matrimonio con il conte Riccardo di Caserta. Ma va ricordato soprattutto Manfredi, nato nel 1232, che proseguì in Italia la politica del padre, che l'aveva nominato reggente imperiale in questo paese mentre suo fratello Corrado IV risiedeva in Germania.

Fra i discendenti di Federico nati da legami non matrimoniali, in particolare Enzo, il figlio prediletto, nominato nel 1239 re di Sardegna e legato generale dell'Italia centrale e meridionale, fu vivo nella coscienza dei suoi contemporanei: morì a Bologna dopo lunghi anni di prigionia sopravvivendo di ventidue anni al padre. Lo stesso vale per Federico di Antiochia (m. 1256), che come vicario generale in Toscana e nella Marca anconetana e come podestà di Firenze rappresentò la causa ghibellina. Un altro figlio di Federico, Riccardo di Theate, amministrò in qualità di vicario generale la Romagna e il ducato di Spoleto.

Come Enzo a Bologna, anche i tre figli minorenni di Manfredi furono incarcerati a vita da Carlo d'Angiò: Enrico morì per ultimo, dopo cinquantadue anni di prigionia (1318). Una figlia, Costanza, fu data in sposa a Pietro III d'Aragona e i suoi diritti sul Regno di Sicilia furono rivendicati dal marito dopo la morte di Corradino. In questa casata, ancora una volta nacque un discendente degli Svevi di nome Federico, che in memoria dei suoi antenati assunse come re di Sicilia (incoronato a Palermo nel 1296) il numero ordinale III. La rivendicazione del dominio e le sorti di questi ultimi eredi degli Staufen appartenenti alla casa d'Aragona si possono seguire in Sicilia (Wolf, 1995).

Ma la tragedia della casa sveva in Italia si era già compiuta. La persecuzione sistematica dei discendenti del grande imperatore si configurò nei termini di una damnatio memoriae, dell'annientamento della sua memoria da parte degli avversari. In Germania invece il suo ricordo rimase vivo, anche se o proprio perché negli ultimi quindici anni della sua vita non vi fece più ritorno. Anche quando giunse la notizia della sua morte, si credette ancora in un suo ritorno nella grandezza e nell'antico splendore di un tempo. Ed egli sopravvisse ancora a lungo come una figura mitica nella memoria dei tedeschi.

In Germania gli ultimi decenni degli Svevi furono accompagnati da dure lotte tra le famiglie principesche. Federico II, dopo la punizione inflitta al figlio nel 1235, l'aveva escluso dalla monarchia, decidendo di condurlo in Italia, dove nel 1242 il prigioniero pose fine ai suoi giorni o forse ‒ secondo la versione ufficiale ‒ rimase vittima di un incidente. Anche Enrico si era sposato giovanissimo con Margherita, figlia del duca Leopoldo IV d'Austria, un'unione che nella politica matrimoniale dell'imperatore rappresentò un ritorno alle famiglie principesche tedesche, così come le nozze di Corrado IV con la figlia del duca di Baviera Elisabetta misero in risalto il suo legame con l'Impero a nord delle Alpi. Anche per l'ultimo degli Svevi, il piccolo Corrado, che allora fu chiamato Corradino e tale rimase anche per i posteri, furono concluse le nozze, ancora giovanissimo, con Sofia, figlia del margravio Teodorico di Landsberg, un matrimonio piuttosto modesto che non comportava nessun tipo di diritti di successione. Malgrado il titolo di re di Sicilia, che tuttavia in Germania era legato a quello di duca di Svevia, gli ultimi Svevi che portarono il nome salico di Corrado furono costretti ad assicurarsi la loro posizione di potere nell'antico territorio svevo, prima di accingersi anche loro a battersi per l'eredità siciliana. Corrado IV sopravvisse a suo padre solo quattro anni e fu sepolto anche lui in un luogo imprecisato d'Italia. Corradino fu educato alla corte ducale bavarese, trascorse la giovinezza sul lago di Costanza, prima di imboccare anche lui la strada del Meridione. A seguito della sconfitta di Tagliacozzo cadde nelle mani del suo nemico Carlo d'Angiò e dopo aver subito un processo fu decapitato a Napoli il 29 ottobre 1268 e in seguito sepolto nella chiesa di S. Maria del Carmine in quella città.

Così gli Svevi si 'estinsero'. Malgrado l'esistenza di una discendenza in linea femminile di Filippo di Svevia e di Federico II ‒ nella casa d'Aragona, in Germania fra i margravi di Meissen ‒, non ne scaturì alcuna coscienza familiare suscettibile di esercitare un'ulteriore influenza, dalla quale avrebbe potuto svilupparsi una storiografia dinastica, come accadde nelle corti dei Guelfi a Brunswick e Hannover. Nel caso degli Svevi invece mancò il legame genealogico con una famiglia principesca dell'età moderna che si richiamasse all'antica casata. Tutt'al più, fra i discendenti di Federico II, si può individuare un riferimento di questo tipo nel caso della figlia Margherita che aveva sposato il margravio Alberto di Meissen: a suo figlio Federico il Superbo, margravio di Meissen, i ghibellini italiani, dopo la morte di Corradino, offrirono la candidatura al trono e sotto i suoi discendenti della casa Wettin il nome Federico fu ricorrente per sette generazioni, da ultimo tra i principi elettori di Sassonia fino a Federico il Saggio (1436-1525), amico e protettore di Lutero. Tuttavia questi rifiutò la candidatura reale che gli fu proposta nel 1519, e lo stesso Martin Lutero va citato in questo contesto: egli infatti biasimò la "superbia degli Svevi" temuti dal mondo intero (Borst, 1978, p. 62). Non si può parlare in questo senso di un effetto duraturo della tradizione sveva.

Nel XIII sec. questa tradizione si può percepire altrove. Il castello di Hohenstaufen, un impianto di scarso rilievo, in un primo tempo castello imperiale, nel XIV sec. passò ai conti di Württemberg (castello avito di Württemberg presso Stoccarda), che in Svevia erano annoverati fra i successori degli Staufen, sul piano dei diritti e dei possedimenti, pur non essendo imparentati con loro (Maurer, 1977). Nella loro sfera di sovranità anche il concetto di Svevia ricevette un'interpretazione diversa e rinnovata e fu associato alle aspirazioni dei Württemberg ad altre cariche e dignità fino al conseguimento del titolo ducale che fu conferito al conte Eberardo di Württemberg nel 1495. Con Rodolfo d'Asburgo la monarchia tedesca giunse ad avere una dinastia anch'essa originaria della Svevia. Rodolfo era stato un fedele sostenitore degli ultimi Svevi, senza potersi comunque richiamare direttamente a quella invisa stirpe.

La memoria di una stirpe reale si manifesta con la massima intensità nel luogo di sepoltura, dove viene coltivata la memoria dei defunti che vi riposano. Ma le tombe degli Svevi devono essere ricercate in molti luoghi, in Germania, in Oriente, in Italia; infatti solo Filippo di Svevia e l'imperatrice Beatrice sono sepolti nella tomba reale del duomo di Spira. Ad esso si affianca la cattedrale di Palermo, con i sarcofagi di Enrico VI e di Federico II. Fra questi due poli si tende l'arco che racchiude la storia della casa sveva.

Fonti e Bibl.: Martino Crusio, Annales Suevici sive Chronica pars II, Francoforti 1596; Historia diplomatica Friderici secundi; Regesta Imperii, V, 1-3, Die Regesten des Kaiserreiches […], a cura di J.F. Böhmer-J. Ficker-E. Winkelmann, Innsbruck 1881-1901 (Hildesheim 1971); Ottone di Frisinga, Gesta Friderici seu rectius Cronica. Die Taten Friedrichs oder richtiger Cronica, a cura di F.-J. Schmale, Darmstadt 19653. F. von Raumer, Geschichte der Hohenstaufen und ihrer Zeit, I-VI, Leipzig 1823-1825; R. Morghen, Il tramonto della potenza sveva in Italia, 1250-1266, Roma 1936; K. Hampe, Geschichte Konradins von Hohenstaufen, Innsbruck 1894 (Leipzig 1940-1942); E. Momigliano, Manfredi, Milano 1963; H.M. Schaller, Das Relief an der Kanzel der Kathedrale von Bitonto. Ein Denkmal der Kaiseridee Friedrichs II., "Archiv für Kulturgeschichte", 45, 1963, pp. 295-312; G. Baaken, Die Altersfolge der Söhne Friedrich Barbarossas und die Königserhebung Heinrichs VI., "Deutsches Archiv", 24, 1968, pp. 46-78; K. Schmid, De regia stirpe Waiblingensium. Bemerkungen zum Selbstverständnis der Staufer, "Zeitschrift für die Geschichte des Oberrheins", 124, 1976, pp. 63-73 (ora in Id., Gebetsgedenken und adliges Selbstverständnis im Mittelalter. Aus-gewählte Beiträge, Sigmaringen 1983, pp. 454-468); E. Assmann, Friedrich Barbarossas Kinder, "Deutsches Archiv", 33, 1977, pp. 434-472; H. Decker-Hauff, Das staufische Haus, in Die Zeit der Staufer. Geschichte, Kunst, Kultur, catalogo della mostra, III, Stuttgart 1977, pp. 339-374; H.-M. Maurer, Die Hohenstaufen. Geschichte der Stammburg eines Kaiserhauses, Stuttgart-Aalen 1977; H. Schwarzmaier, Die Heimat der Staufer, Sigmaringen 19772; A. Borst, Reden über die Staufer, Frankfurt-Berlin-Wien 1978; H. Maurer, Der Herzog von Schwaben, Sigmaringen 1978; H. Schwarzmaier, Staufisches Land und staufische Welt im Übergang, ivi 1978; H. Bühler, Wie gelangten die Grafen von Tübingen zum schwäbischen Pfalzgrafenamt?, "Zeitschrift für Württembergische Landesgeschichte", 40, 1981, pp. 188-220; P. Herde, Guelfen und Neoguelfen. Zur Geschichte einer nationalen Ideologie vom Mittelalter zum Risorgimento, Stuttgart 1986; J.-Y. Mariotte, Othon 'sans-terre', comte palatin de Bourgogne et la fin des Staufen en Franche-Comté, "Francia", 14, 1987, pp. 83-102; H. Bühler, Die frühen Staufer im Ries, in Früh- und hochmittelalterlicher Adel in Schwaben und Bayern, a cura di I. Eberl-W. Hartung-J. Jahn, Sigmaringendorf 1988, pp. 270-294; L. Reichardt, Ortsnamenbuch des Kreises Göppingen, Stuttgart 1989; B.-U. Hucker, Kaiser Otto IV., Hannover 1990; Mittelalterliche Herrscher in Lebensbildern, a cura di K.R. Schnith, Graz-Wien-Köln 1990 (per l'epoca degli Hohenstaufen l'autore è W. Koch); P. Herde, Die Katastrophe vor Rom im August 1167, Stuttgart 1991; E. Hlawitschka, Zu den Grundlagen der staufischen Stellung im Elsaß: Die Herkunft Hildegards von Schlettstadt, München 1991; G. Althoff, Konfliktverhalten und Rechtsbewußtsein. Die Welfen in der Mitte des 12. Jahrhunderts, "Frühmittelalterliche Studien", 26, 1992, pp. 331-352; W. Goez, Von Bamberg nach Frankfurt und Aachen. Barbarossas Weg zur Königskrone, "Jahrbuch für Fränkische Landesforschung", 52, 1992, pp. 611-671; W. Stürner, Friedrich II., I-II, Darmstadt 1992-2000; G. Althoff, Friedrich von Rothenburg. Überlegungen zu einem übergangenen Königssohn, in Festschrift für Eduard Hlawitschka zum 65. Geburtstag, a cura di H.R. Schnith-R. Pauler, Kallmünz Opf. 1993, pp. 307-316; A. Wolf, Staufisch-sizilische Tochterstämme in Europa und die Herrschaft über Italien, in Von Schwaben bis Jerusalem. Facetten staufischer Geschichte, a cura di S. Lorenz-U. Schmidt, Sigmaringen 1995, pp. 117-149; W. Hechberger, Staufer und Welfen 1125-1190, Köln-Weimar-Wien 1996; O. Engels, Die Staufer, Stuttgart-Berlin-Köln 19987; P. Thorau, König Heinrich (VII.), das Reich und die Territorien, Berlin 1998; S. Lorenz, Waiblingen - Ort der Könige und Kaiser, Waiblingen 2000; B. Schneidmüller, Die Welfen. Herrschaft und Erinnerung, Stuttgart-Berlin-Köln 2000; H. Houben, Federico II e gli ebrei, "Nuova Rivista Storica", 85, 2001, pp. 325-346; H. Schwarzmaier, Pater Imperatoris. Herzog Friedrich II. von Schwaben, der gescheiterte König, in Mediaevalia Augiensia. Forschungen zur Geschichte des Mittelalters, a cura di J. Petersohn, Stuttgart 2001, pp. 247-284; Th. Zotz, Friedrich Barbarossa und Herzog Friedrich (IV.) von Schwaben. Staufisches Königtum und schwäbisches Herzogtum um die Mitte des 12. Jahrhunderts, ibid., pp. 285-306; Id., Ottonen-, Salier- und frühe Stauferzeit (911-1167), in Handbuch der baden-württemberg. Geschichte, I, 1, ivi 2001, pp. 381-528; H. Schwarzmaier, Konrad von Rothenburg, Herzog von Schwaben. Ein biographischer Versuch, "Württembergisch Franken", 86, 2002, pp. 13-36. Per i personaggi qui citati cf. Lexikon des Mittelalters, I-IX, München-Zürich 1980-1998, s.v.

Traduzione di Maria Paola Arena