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FAMIGLIA

di Giovanni Busino, Pietro Rescigno - Enciclopedia Italiana - IV Appendice (1978)
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FAMIGLIA (XIV, p. 764; App. II, 1, p. 900)

Giovanni Busino
Pietro Rescigno

Il progresso delle società industriali e urbane ha radicalmente trasformato struttura e funzioni della f.; il tipo di f. ristretta, composto dal padre, dalla madre e dai figli minori, è praticamente diventato il modello standard delle società industriali. La f. biologica, nucleare, primaria, monogamica, sta soppiantando dappertutto la f. patriarcale, poligamica, la joint family, come per es. le comunità familiari del Pendjab, dell'Irlanda, o la zadruga slava. La tendenza verso la f. coniugale monogamica sembra divenuta irreversibile. Fondata dal matrimonio, la f. di procreazione è diventata la regola generale: le statistiche lo confermano, sottolineando a un tempo la precocità sempre più forte nell'età del matrimonio e la riduzione del celibato in ogni classe d'età e in ogni categoria socio-professionale.

In tutti i paesi industrializzati l'età media degli sposi, nel decennio 1960-1970, si è abbassata da 26 a 23 anni per le donne e da 29 a 26 anni per gli uomini. Studi recentissimi hanno mostrato che a 25 anni il 75% d'una intera generazione è già sposato. Se la percentuale media del numero dei figli concepiti prima del matrimonio non sembra eccedere in Italia il 20% delle nascite, la tendenza è assai diversa negli altri paesi occidentali: nei paesi nordici, per esempio, un po' più del 36% delle donne arriva al matrimonio essendo già incinte. Dappertutto lo scarto medio d'età fra i congiunti tende a stabilizzarsi intorno ai tre anni.

La durata media della vita essendo attualmente di 70 anni circa, l'inizio della vita matrimoniale situandosi normalmente intorno ai 26-23 anni della coppia, le speranze circa la durata del matrimonio sono di circa 44 anni. Anche prendendo in conto la percentuale media dei divorzi, che in Europa sino al 1965 non ha mai ecceduto il 15% dei matrimoni annui, non c'è dubbio che le possibilità per una coppia di vivere insieme si sono oggi considerevolmente allungate. Si pensi che la media per il 18° secolo si situava intorno ai 15 anni, mentre nel 19° secolo si avvicinava appena ai 20 anni. È vero tuttavia che la frequenza dei divorzi sta moltiplicandosi per due o per tre in Europa occidentale, e ciò dal 1965 in poi. L'aumento è brutale e spettacolare, ma non bisogna dimenticare che esso fa seguito a un periodo di relativa stabilità, ed è rapido sia nei paesi dove il divorzio era raro, sia in quelli ove invece era assai frequente. Le riforme legislative intervenute in tutti i paesi, conseguenza di una evoluzione dei costumi e delle mentalità, non pare abbiano modificato sostanzialmente il ritmo d'evoluzione nella frequenza dei divorzi.

In Italia il divorzio è stato introdotto con la legge del 1° dicembre 1970, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 3 dicembre 1970. Nel 1961, su una popolazione totale di 49.642.000 abitanti, con 11.402.514 di donne sposate, si sono avuti 397.461 matrimoni. Nel 1971, su 54.136.547 abitanti, di cui 12.284.645 donne sposate, i matrimoni sono stati 403.406 e i divorzi 17.134. Nel 1972 i divorzi sono stati, per una popolazione globale di 54.412.286 e 416.125 matrimoni, 32.627. L'anno seguente i matrimoni sono stati 418.979 (54.900.783 ab.) e i divorzi appena 16.880. La distribuzione dei divorziati secondo il gruppo d'età al divorzio, è forte soprattutto fra i 44-59 anni per gli uomini e 45-49 anni per le donne. Il che fa supporre che si tratta di regolarizzazioni di situazioni antecedenti al 1970.

La stabilità del matrimonio, nonostante i bruschi aumenti recenti in Europa dei tassi relativi ai divorzi, resta un fenomeno certamente verificato. Tuttavia a questa stabilità fondamentale fa riscontro un movimento culturale che mette in questione le strutture parentali tradizionali, accusate di autoritarismo, conformismo, distruttrici delle potenziali creatività individuali. Taluni sociologi, teologi e psichiatri parlano persino dell'imminente necessità della morte della famiglia. Un fatto comunque sembra indubbio: le relazioni familiari stanno trasformandosi assai profondamente. Quali che siano le ragioni di ciò, è certo che anche i ruoli materni e paterni stanno cambiando, e con essi anche le funzioni della famiglia.

L'antropologia culturale, indagando sulle condizioni d'esistenza e di sopravvivenza di tante culture dette primitive, ha messo in crisi i concetti di universalità e di eternità della struttura familiare. La psicanalisi poi, gettando una luce nuova sulla comprensione della sessualità, ha contribuito ancora più largamente alla trasformazione delle nostre relazioni familiari tradizionali. Ma i mutamenti hanno ancora altre cause, e più lontane. L'industrializzazione, le condizioni della vita materiale, la tecnica, la mobilità sociale hanno distrutto la grande f., come fonte di valori e di norme morali, e ne hanno praticamente liquidato il ruolo economico. Il simbolismo della casa degli avi, in cui si è trascorsa l'infanzia, la casa ricettacolo di tradizioni e di ricordi, luogo sacro ove ci si rifugia per trovare la pace, è stato spazzato via dall'enorme diffusione urbana, dalle comunicazioni di massa, dalla tecnologizzazione della vita quotidiana. Non ci sentiamo radicati più in un posto determinato, dove siamo nati o cresciuti. La mobilità (geografica e professionale) ci porta a cambiare residenza almeno due o tre volte in una vita; nessuno sta più nello stesso appartamento dalla nascita alla morte. Assicurazioni, ospedali, pensionati vari hanno esautorato la f. dei compiti usuali d'assistenza e d'aiuto. E così la nostra f. si è ridotta all'essenziale: la coppia e i figli; è la f. nucleare, fondata generalmente sull'amore e sull'affezione, sentimenti che, si sa, subiscono condizionamenti molteplici, tra cui, ma non soltanto, i sessuali. Ora questi condizionamenti sono cangianti, mutevoli, talvolta molto instabili, e da ciò deriva la credenza attuale che la vita familiare non è un atto irreversibile, irrevocabile, definito, insomma che la durata di una famiglia può non essere eguale alla durata di una vita. Anche il mestiere di madre e di padre si è modificato: la diminuzione delle pressioni materiali, le condizioni stesse della vita familiare, il fatto che la coppia lavora in fabbrica o in un ufficio, l'esistenza di asili d'infanzia, di scuole, di associazioni di giovani, fanno sì che la socializzazione del fanciullo e dell'adolescente divenga sempre meno di spettanza esclusiva della f., in modo tale che il ragazzo oggi è regolarmente esposto a tutte le incertezze nelle scelte professionali, a esitazioni e a disorientamenti. Che da tutto ciò si possa dedurre la morte della f., il deperimento del ruolo parentale, sembra azzardato: ciò ha tutt'al più il valore di una polemica salutare contro talune concezioni della coppia, della sessualità e della f. ormai destinate a scomparire.

Nonostante tutto, i matrimoni aumentano in cifre assolute e le esperienze di collettività familiari sono sempre meno correnti, poco numerose, incerte, se non addirittura ambigue. A questo proposito bisogna fare un certo numero di distinzioni. In questo campo più che altrove, le confusioni sono pericolose. Esistono, specie nell'Europa del nord, collettività in cui un certo numero di coppie si mettono sotto lo stesso tetto per vivere in comunità familiari. Le coppie sono ben definite, l'identità dei figli è dunque stabilita, ma l'educazione dei più giovani è fatta dalla comunità in quanto tale. Questa è un'esperienza né nuova né recente: la storia della f. mostra che esperienze di questo genere esistono sin dall'epoca pre-cristiana. Questo tipo di organizzazione familiare ha dato, in certi contesti (non in tutti né sempre) buoni risultati, nel senso che l'isolamento della coppia, le difficoltà relazionali genitori-figli, i pericoli del padre autoritario e della madre troppo materna, sono più o meno scongiurati. È vero altresì che questo tipo di comunità funziona quando la società globale scontenta gl'individui, non soddisfa tutte le loro attese, non riesce ad alimentare tutti i loro progetti d'avvenire ed esistenziali. L'altro tipo di collettività è quello in cui le coppie non sono identificabili con assoluta precisione: sono quelle in cui si sa il nome della madre del bambino ma non quello del padre, e in cui tutti gli uomini adulti della comunità assumono reciprocamente il ruolo paterno. Nessuna collettività di questo tipo è durata più di una diecina d'anni, almeno le comunità conosciute e studiate. È vero altresì che, nella situazione attuale, le difficoltà giuridiche, economiche e culturali sono tali e tante che una durata più lunga è inconcepibile. Ragion per cui è difficile dare un giudizio ponderato, oggi, su simili esperienze. I cambiamenti sono profondi, gli adattamenti alle nuove realtà sociali e umane radicali, ma gli slogan sulla morte della f. restano poco realistici. La f. resta oggi ancora una cornice straordinariamente importante ed efficace per la crescita e lo sviluppo di tutti i tipi di relazioni sociali. La f. d'oggi, più diversa e più varia di quella di ieri, è più disponibile per le mutazioni, più mobile, e ovviamente anche più fragile. Tale varietà e tale diversità nell'assunzione dei ruoli affettivi e sociali sembrano, a giudizio degli psicologi, le condizioni essenziali per una buona qualità della vita nelle società post-industriali.

Bibl.: A. Michel, La sociologie de la famille, L'Aia 1970; id., Sociologie de la famille et du mariage, Parigi 1972; Autori vari, Couples et familles dans la société d'aujourd'hui, Lione 1973; Autori vari, La famille dans l'espace et dans le temps, Parigi 1974; P. Ungari, Storia del diritto di famiglia in Italia, Bologna 1974; A. Manoukian, Famiglia e matrimonio nel capitalismo europeo, ivi 1974; M. Ancel, Le divorce à l'étranger, Parigi 1975; P. Festy, J.-F. Perrin, Le divorce en Europe occidentale, ivi 1975; G. Busino, La famille, in 24 heures, n. 222 (1975); C. Saraceno, Anatomia della famiglia, Bari 1976.

Diritto. - La nozione di f., accolta dall'ordinamento giuridico, non è nozione costante; e del resto tutti i concetti giuridici presentano carattere di relatività. Può indicarsi tuttavia, come linea di generale tendenza, il passaggio da una considerazione dei gruppi in termini di f. "estesa" a una valutazione nei termini della f. "nucleare" o "ristretta", come si esprime, nel suo linguaggio abituale, il sociologo. In relazione all'indicata tendenza può dirsi che l'interesse o la funzione o l'unità familiare debbono intendersi, quando la specifica norma non sia formulata in senso palesemente difforme, come riferiti alla f. ristretta, vale a dire al rapporto tra i coniugi e al rapporto tra genitori e figli: che è, d'altra parte, il modo in cui l'ambiente sociale e l'attuale configurazione delle relazioni produttive e di consumo vedono la comunità familiare. Essa, un tempo, era contrassegnata da strutture di stampo patriarcale, proprie dell'economia contadina e artigianale, e dalla coesione e continuità del gruppo intorno a un capo; oggi sono fatti normali la ricerca di occupazioni extradomestiche dei componenti, l'emancipazione dall'autorità, la rapida dissoluzione della comunità allargata.

Il termine "famiglia" dovrebbe essere riservato, alla stregua della norma costituzionale e delle previsioni legislative, al nucleo fondato sul matrimonio. Ma alla f. legittima (con questo nome indicandosi dai giuristi la presenza del vincolo matrimoniale a base della convivenza e della procreazione) costume e linguaggio accostano, senza rifiutare il termine, la f. che vien detta "naturale" o "di fatto", dove la sostanza dei rapporti corrisponde ai contenuti della situazione legale, ma viene a mancare l'aspetto formale dell'unione e della procreazione. Il fenomeno socialmente non può trascurarsi, ed ha anche una notevole rilevanza quantitativa, soprattutto se si pensa che comprende le unioni contratte nell'ambito della Chiesa cattolica e per qualsiasi ragione inefficaci per lo Stato; e non lo ignora l'esperienza giuridica, in particolare l'attività dei giudici. Una completa parità di trattamento e di garanzie delle situazioni descritte, indicate anche come "convivenza more uxorio" o ménage "di fatto", è impedita dalla considerazione della precarietà che le contraddistingue, contro la stabilità dei rapporti fondati sul matrimonio.

Del matrimonio, conviene ricordare che il sistema italiano conosce più di una forma giuridica per ciò che attiene al fatto della celebrazione, e quindi della costituzione del vincolo. Accanto al matrimonio civile può produrre effetti per l'ordinamento statale anche il matrimonio religioso cattolico, che venga trascritto nei registri dello stato civile. La duplicità di forme matrimoniali, per ciò che attiene al modo della celebrazione, si accompagna tuttavia all'unicità di regime per quanto riguarda i rapporti che traggono origine dal matrimonio (i diritti e gli obblighi dei coniugi, d'indole personale e patrimoniale, i poteri e i doveri in confronto dei figli), e altresì per le cause e il regime dell'allentarsi e dello sciogliersi del rapporto. Un allentamento del vincolo si verifica con la separazione dei coniugi; la risoluzione si verifica (oltre che con la morte) a seguito della pronuncia di divorzio. L'ammissione del divorzio nel nostro ordinamento giuridico, a lungo contrastata, è un fatto recente, poiché risale a una legge del 1970; un referendum abrogativo, svolto nel 1974, ha confermato l'istituto, dopo che la Corte costituzionale ne aveva già dichiarato la piena legittimità, così pei matrimoni civili come pei matrimoni canonici a effetti civili.

Il regime giuridico della f., dettato nel codice civile, è stato profondamente mutato, dopo parziali interventi legislativi e significative pronunzie della Corte costituzionale, con un'organica riforma, entrata in vigore il 20 settembre 1975 (l. 19 maggio 1975, n. 151); di poco precedente, un'altra legge riveste decisiva influenza sulla struttura familiare, col portare a 18 anni (contro i 21 della previsione del codice) il limite della maggiore età (l. 8 marzo 1975, n. 39). A completare il nuovo sistema di diritto familiare si è suggerita da più parti l'istituzione di "tribunali della famiglia", formati da giudici e da esperti di varie discipline sociali; ma il programma non è stato ancora realizzato.

Rispetto all'impostazione e alle scelte del legislatore del 1942, la riforma s'ispira a princìpi radicalmente diversi, iscritti nel testo costituzionale (artt. 29 e 30 Cost.). La Carta enuncia due regole fondamentali: "eguaglianza morale e giuridica dei coniugi", coi limiti da stabilire "a garanzia dell'unità familiare"; "ogni tutela giuridica e sociale" dei figli nati fuori del matrimonio, "compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima". La riforma, soprattutto nel dare attuazione ai princìpi e nel rispettare allo stesso tempo i limiti, ha cercato di fornire equilibrate risposte ai problemi dell'ordine interno della f., dei provvedimenti che possono adottarsi dal giudice, della compatibilità con l'organizzazione familiare dell'inserimento di soggetti estranei alla comunità fondata sul matrimonio.

La parità dei coniugi si traduce in ciò, che col matrimonio essi "acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri", nei rapporti reciproci e nei confronti dei figli, su cui spetta loro una comune potestà, in via di principio esercitata congiuntamente. Nel caso di dissidio il giudice, sollecitato a intervenire, cerca di raggiungere una soluzione concordata; assume una decisione quando il tentativo non riesca, soltanto ove si tratti di affari essenziali, e in primo luogo della scelta della residenza familiare, e ne sia espressamente richiesto dai coniugi.

Il rispetto della comunità familiare e del suo ordine interno traspare anche dall'importanza che la legge attribuisce ai figli minori, alla loro opinione, alla volontà manifestata nel contrasto dei genitori. Se il disaccordo riguarda l'esercizio della comune potestà, dev'essere ascoltato il figlio che ha compiuto 14 anni; i figli dal sedicesimo anno di età possono essere sentiti dal giudice che si pronuncia su essenziali questioni della famiglia.

La considerazione della personalità dei figli minori costituisce un altro elemento di novità: ribadendo che è diritto e dovere dei genitori mantenere, istruire, educare i figli, la legge impone che si tenga conto delle loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni. Il dovere di mantenimento, istruzione, educazione incombe anche verso i figli procreati fuori del matrimonio, in particolare quando la filiazione sia stata riconosciuta (attraverso la dichiarazione del genitore o l'accertamento del giudice). È ora consentito anche il riconoscimento dei figli detti "adulterini", procreati, durante il matrimonio, con persona diversa dal coniuge; e ne è prevista la possibilità d'inserimento nella f. legittima del genitore, sia pure con opportune cautele, nel necessario rispetto dell'altro genitore, del coniuge, dei figli legittimi, dell'interesse dello stesso figlio riconosciuto.

Nella materia dei rapporti patrimoniali le scelte hanno assunto carattere di spiccata originalità. In mancanza di convenzioni tra i coniugi, il regime applicato dalla legge è la comunione dei beni acquistati da ciascuno durante il matrimonio (con eccezione di alcuni beni personali). La ragione della nuova disciplina, rispetto al precedente sistema della separazione dei beni, deve ravvisarsi nella necessità di valutare economicamente il lavoro casalingo della moglie, che è un dato dell'esperienza comune, anche se progressivamente crescono possibilità e casi di attività extradomestica della donna. Le stesse considerazioni hanno portato a un sensibile miglioramento della posizione del coniuge (nella maggior parte dei casi, secondo le statistiche, della moglie) rispetto all'eredità dell'altro coniuge, in confronto dei figli che nel passato erano invece favoriti.

Concezioni nuove si sono affermate, infine, per la separazione personale dei coniugi. Alla base dell'istituto, nelle norme del codice civile, era posta la colpa e perciò la separazione si presentava rivestita di un carattere sanzionatorio; ora la pronuncia del giudice viene invece legata all'accertamento oggettivo di fatti che rendono intollerabile l'ulteriore convivenza o possono pregiudicare l'educazione dei figli. Aver legato la separazione a cause obiettive insorte nella vita coniugale, è una scelta coerente con il regime del divorzio, destinato a sciogliere in maniera definitiva il vincolo: il divorzio può ottenersi quando, nei casi enumerati dalla legge, è irrimediabilmente venuta meno la comunione materiale e spirituale dei coniugi.

L'idea comunitaria della f. ha portato ad attenuare l'importanza che assumevano i vincoli di sangue: di qui l'introduzione (accanto all'adozione ordinaria, destinata ad assicurare la conservazione del nome, del casato e del patrimonio) dell'adozione speciale, consentita a coppie di coniugi non separati e idonei a educare e istruire soggetti minori di 8 anni. Si viene a creare, con l'adozione speciale, un centro di affetti e d'interessi spirituali, che rende la condizione del figlio adottivo in tutto eguale a quella del figlio legittimo e rompe i legami con la famiglia di origine.

Il discorso del giurista sulla f. non può trascurare i doveri di solidarietà che sono imposti nell'ambito del gruppo anche oltre i limiti della comunità ristretta: si pensi all'obbligo degli alimenti. Deve ricordarsi, infine, il generale regime dell'incapacità, poiché alla sostituzione dei soggetti incapaci nell'attività giuridica, e all'assistenza dei soggetti limitati nella capacità di agire, in linea di principio si provvede - mediante la potestà dei genitori, o attraverso la nomina di un tutore o di un curatore - col ricorrere all'organizzazione e alle strutture della f. (anche se sono scomparsi organismi istituzionali come il consiglio di f., che aveva dimostrato scarsa efficienza e utilità).

Bibl.: P. Ungari, Storia del diritto di famiglia in Italia, Bologna 1975; C. Cardia, Il diritto di famiglia in Italia, Roma 1975; Eguaglianza morale e giuridica dei coniugi (Atti di un convegno, con relazioni di U. Majello, P. Barile, P. Rescigno e altri), Napoli 1975; P. Rescigno, Manuale del diritto privato italiano, ivi 19752, p. 347 segg.

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