FANS

Dizionario di Medicina (2010)

FANS

Paolo Tucci

Effetti cardiovascolari dei coxib

I FANS svolgono gran parte delle loro azioni terapeutiche bloccando la ciclossigenasi (COX); questo causa anche gli effetti indesiderati tipici della classe, tra cui la formazione di ulcere gastroduodenali, specie negli anziani, evento che diviene responsabile annualmente di un certo numero di decessi tra i pazienti che utilizzano questa classe di farmaci. Bloccando la COX presente nello stomaco, i FANS riducono la produzione di prostanoidi, da cui dipende, in parte, l’integrità della mucosa gastrica. Altri effetti sfavorevoli sono: nefropatie oppure eventuali sanguinamenti dovuti ad inibizione dell’aggregazione piastrinica. Alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso, si scoprì che esistevano due COX e che quella presente nello stomaco (COX1) era diversa da quella presente nei tessuti infiammati (COX2). Si ipotizzò, quindi, che farmaci in grado di bloccare solo la COX2 potessero essere antinfiammatori capaci di non indurre ulcere gastriche. Dati di esperimenti in vitro sull’affinità dei FANS per le due isoforme vennero confrontati con il numero di casi di ulcere gastriche relativi a ciascuna molecola della classe, e si osservò che il numero di pazienti che avevano sviluppato un’ulcera era minore nei gruppi che avevano utilizzato molecole più selettive per la COX2. Sulla base di tali dati, pur viziati da limiti sperimentali, fu sintetizzata una serie di farmaci, denominati coxib, approvati nel 1999 dalla FDA (Food and Drug Administration) per la commercializzazione negli USA.

Le sperimentazioni cliniche con i coxib

Le prime grandi sperimentazioni cliniche, che coinvolsero pazienti affetti da patologie osteoarticolari, sembrarono confermare l’ipotesi iniziale: i farmaci erano efficaci e causavano ulcere gastroduodenali in percentuale minore rispetto ai FANS tradizionali. Tuttavia, uno degli studi evidenziò un incremento (fino a cinque volte) di casi di infarto del miocardio nel gruppo di pazienti che assumevano il rofecoxib, rispetto al gruppo di confronto che assumeva un FANS tradizionale, il naprossene. Questo dato fu spiegato con la possibilità che il naprossene avesse la capacità di ridurre gli incidenti cardiovascolari, ipotizzando quindi che l’aumento dei casi di infarto osservati con il rofecoxib fosse solo apparente. Invece, diversi anni dopo venne dimostrato che questa ipotesi non era giustificata dai dati dello studio. Uno studio clinico con rofecoxib, su 2600 pazienti, condotto per verificare la sua capacità di prevenzione della formazione di nuovi polipi neoplastici in pazienti con pregresso adenoma colon-rettale, venne interrotto anticipatamente nel 2004, dopo diciotto mesi, in quanto gli sperimentatori si accorsero che i pazienti trattati con il rofecoxib avevano una probabilità doppia di subire un infarto rispetto a quelli che assumevano un placebo. Nello stesso anno, la società farmaceutica Merck avvertì le autorità regolatorie che il coxib di sua produzione incrementava il rischio di infarto miocardico dopo 18 mesi di utilizzo. È stato poi evidenziato che tale evento può insorgere anche dopo pochi mesi di assunzione del farmaco. Il rofecoxib, che intanto era stato assunto da circa 80 milioni di persone, fu ritirato dal commercio spontaneamente dalla casa produttrice, ma la multinazionale fu citata in giudizio con l’accusa di aver celato i suoi effetti cardiovascolari. I risultati finali della sperimentazione interrotta sono stati pubblicati solo nel novembre 2008. Dopo il rofecoxib anche il valdecoxib, un altro esponente della famiglia dei coxib, è stato ritirato dal commercio nel 2005, a causa di eventi cardiovascolari collegati al suo uso.

Meccanismi causa degli effetti cardiovascolari

La COX2 è costitutivamente presente in rene, cervello, testicoli e prostata, e durante un processo infiammatorio essa viene espressa anche nell’endotelio dei vasi sanguigni. L’endotelio produce diverse sostanze, tra cui le prostacicline, che svolgono la funzione di inibire l’aggregazione delle piastrine (evitando la formazione di trombi). Le prostacicline contrastano l’azione del trombossano, un prostanoide (prodotto dalla COX1 presente sulle stesse piastrine) che favorisce l’aggregazione piastrinica. Il rofecoxib, bloccando solo la COX2 presente sull’endotelio, impedirebbe la formazione di prostacicline, favorendo l’azione del trombossano e, quindi, l’aggregazione piastrinica. Questo spiegherebbe i problemi cardiaci osservati in clinica. In seguito, sono state formulate altre ipotesi in grado di spiegare gli eventi cardiovascolari innescati dall’inibizione della COX2: l’aumento della pressione arteriosa provocata da ritenzione di fluidi, oppure la destabilizzazione e conseguente rottura di placche ateromatose. I dati finora disponibili dimostrano un aumento del rischio cardiovascolare nei pazienti trattati con i coxib, tuttavia non ci sono ancora studi che permettano di trarre conclusioni definitive sulla sicurezza cardiovascolare dei coxib che rimangono presenti sul mercato. Il principale limite degli studi è una possibile maggiore frequenza di rischi per eventi cardiovascolari nei pazienti trattati con i coxib, nel senso che verrebbe trattata con tali farmaci una popolazione di pazienti che non ha risposto alle altre terapie e che è a rischio di effetti avversi con i FANS non selettivi. Comunque, alcuni gruppi di pazienti sembrerebbero essere più a rischio per gli effetti cardiovascolari dei coxib, per cui l’uso di questa classe di farmaci andrebbe evitato nei soggetti che presentano fattori di rischio per eventi cardiovascolari (ipertensione, iperlipidemia, diabete, ecc.). Alcuni dati pubblicati nel 2000 indicavano chiaramente l’incremento del rischio cardiovascolare, come ripreso dalla rivista Lancet nel 2008; tuttavia tali segnali sembra non siano stati interpretati correttamente delle autorità regolatrici. Tra l’altro, gli effetti cardiovascolari dei coxib erano stati previsti anche da alcuni ricercatori durante studi sugli animali.

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