Farmacologia molecolare

Enciclopedia del Novecento II Supplemento (1998)

Farmacologia molecolare

Pietro Melchiorri

sommario: 1. La farmacologia molecolare alla fine del Novecento. 2. La comunicazione peptidergica: un nuovo bersaglio farmacologico. a) Il sistema delle tachichinine: un modello per farmaci analgesici, broncodilatatori, antinfiammatori. b) La modulazione farmacologica dei sistemi oppioidi endogeni. c) Il sistema della colecistochinina: una nuova strategia per farmaci ansiolitici. d) Gli antagonisti delle endoteline e gli inibitori degli ECE come farmaci ipotensivi e vasodilatatori. 3. Organizzazione e topologia molecolare dei recettori dei farmaci: la diversità molecolare. a) I recettori dei farmaci nella membrana citoplasmatica. b) I recettori endocellulari dei farmaci. 4. Un nuovo protagonista della farmacologia: l'agonista inverso. 5. La modulazione farmacologica della risposta recettoriale. 6. La modulazione farmacologica della trascrizione genica. 7. La farmacologia molecolare e il futuro del farmaco. □ Bibliografia.

1. La farmacologia molecolare alla fine del Novecento

Dalla fine degli anni cinquanta il progressivo ampliamento della ricerca farmacologica a campi quali la biochimica enzimatica, le comunicazioni molecolari inter- e intra-cellulari, l'organizzazione e la dinamica molecolare dei recettori e il controllo molecolare della trascrizione genica ha determinato la nascita di una nuova disciplina, la farmacologia molecolare. Nondimeno le sue origini sono lontane e c'è chi vuol farle risalire agli inizi del Novecento, quando Paul Ehrlich, nelle sue ricerche sugli arsenobenzoli, ipotizzò l'esistenza di una entità teorica su cui doveva fissarsi il farmaco per agire (‟corpora non agunt nisi fixata"): è questo il primo abbozzo concettuale di quella molecola proteica che più tardi avrebbe ricevuto il nome di recettore. Nell'era degli enzimi - gli anni quaranta e cinquanta - emerse l'ipotesi che questi catalizzatori delle reazioni biologiche fossero i siti molecolari d'azione dei farmaci, ipotesi che si affermò definitivamente con la scoperta dei farmaci antimetaboliti (v. farmacologia, voll. II e VIII). Nel 1948 E. Farber e i suoi collaboratori dimostrarono che la somministrazione a bambini leucemici di un inibitore dell'enzima diidrofolato-reduttasi, l'amminopterina, era capace di produrre lunghe remissioni della malattia, mentre quella di acido folico, il substrato metabolico naturale dell'enzima, accelerava il processo leucemico. All'amminopterina subentrò poco dopo il metotressato, meno tossico ma egualmente attivo: questi farmaci, legandosi all'enzima, bloccano la trasformazione dell'acido folico in acido tetraidrofolico, metabolita essenziale per la sintesi degli acidi nucleici e, di conseguenza, per la proliferazione neoplastica delle cellule leucemiche. Nell'atmosfera euforica generata dai successi riportati dal metotressato nella cura delle leucemie acute e del coriocarcinoma, l'industria chimica sintetizzò molti altri farmaci antimetaboliti. Anche se la strategia dell'antimetabolita non ha confermato negli anni successivi le speranze iniziali di una terapia delle neoplasie, la sua validità è stata di recente riaffermata dalla scoperta che il metotressato a basse dosi può essere un utile farmaco per bloccare l'evoluzione di malattie autoimmunitarie, come l'artrite reumatoide, prevenendo la proliferazione dei linfociti T e la produzione di immunoglobuline da parte dei linfociti B. A tal fine è stata sintetizzata una nuova classe di farmaci antimetaboliti che inibiscono la diidroorotato-deidrogenasi, un enzima che occupa un posto centrale nel ciclo sintetico delle pirimidine dei linfociti: nelle malattie autoimmuni questi nuovi antimetaboliti (leflunomide) riducono la proliferazione espansiva di queste cellule immunocompetenti in maniera molto più specifica del metotressato. Alla fine degli anni cinquanta, con la scoperta degli antimetaboliti, si affermò quindi il principio che un meccanismo di interazione molecolare poteva costituire la base razionale per la progettazione di un farmaco: era la nascita della farmacologia molecolare. Bisognava però arrivare agli anni settanta per poter riprodurre in vitro, come già si faceva per le reazioni enzimatiche, la reazione farmaco-recettore e dimostrarne il ruolo essenziale nelle risposte biologiche ai farmaci. L'impiego di farmaci radioattivi a elevata attività specifica permise di misurare il prodotto di questa reazione molecolare, il complesso farmaco-recettore, di confermarne alcune analogie cinetiche con le reazioni enzimatiche e di localizzare i recettori a livello cellulare e subcellulare nei tessuti e negli organi sede dell'azione del farmaco. Agli inizi degli anni settanta P. Edman introdusse una potente tecnica per l'analisi chimica delle sequenze di amminoacidi nelle catene peptidiche, che rappresentò per la farmacologia molecolare la possibilità di decifrare la struttura chimica di un gran numero di messaggi utilizzati dalle cellule per comunicare tra loro e dentro di loro. Vennero scoperti i trasmettitori peptidici. Nell'ultimo ventennio del secolo la genetica molecolare è riuscita a clonare i geni che codificano per le proteine e a leggerne il codice, permettendo così di risalire dal codice genetico alla sequenza degli amminoacidi che costituiscono la struttura primaria dei recettori. Nel 1982 è stato clonato dall'organo elettrico della torpedine il gene del recettore colinergico nicotinico, e da quel momento si apre per la farmacologia molecolare la nuova era dell'organizzazione e della meccanica molecolare dei recettori dei farmaci. I progressi della strutturistica molecolare e l'ausilio degli elaboratori elettronici nella costruzione di modelli molecolari consentono di definire le strutture secondarie e terziarie di alcune proteine, offrendo così ai farmacologi modelli tridimensionali di recettori e di complessi farmaco-recettore. I testi di farmacologia di questa fine secolo (v., ad esempio, Clementi e Fumagalli, 1996) sono pieni di figure che illustrano la topologia cellulare dei recettori e di animazioni grafiche che mimano la dinamica molecolare della reazione tra farmaco e recettore. Questi rapidi ed entusiasmanti successi e la scoperta, sia pur eccezionale, delle basi molecolari di alcune malattie, hanno indotto un crescente numero di farmacologi a ricercare e a pensare in termini molecolari. Sotto questo punto di vista la farmacologia molecolare è figlia di quella filosofia emergente nella biologia della seconda metà del Novecento che è stata denominata ‛riduzionismo molecolare': con questa denominazione critica alcuni illustri biologi definiscono una corrente di pensiero interpretata come una rappresentazione estremamente riduttiva della complessa organizzazione strutturale degli organismi viventi. Non si può tuttavia negare che nella ricerca farmacologica il riduzionismo molecolare abbia contribuito a delineare importanti meccanismi molecolari su cui sono state progettate nuove classi di farmaci. Ciò è accaduto molto prima dell'avvento delle moderne tecniche di biologia molecolare: agli inizi degli anni settanta un gruppo di ricercatori inglesi, diretto da J. W. Black, dimostrò l'esistenza nello stomaco di una nuova classe di recettori, denominati H2, che mediano la secrezione gastrica stimolata dall'istamina: lo stesso gruppo progettò e sintetizzò degli analoghi dell'istamina che agivano da antagonisti sui recettori H2 e che erano capaci di inibire la secrezione gastrica negli animali da esperimento (v. anche farmacologia, vol. VIII). L'impiego nell'uomo dei farmaci antagonisti dei recettori istaminici H2 (cimetidina, famotidina, ranitidina, nizatidina) ha confermato la corretta impostazione della ricerca e ha avuto un impatto terapeutico straordinario: l'ulcera peptica, una malattia ad alta diffusione nella popolazione, è stata sottratta dalle mani del chirurgo per divenire una malattia medica, curabile con i nuovi H2-antagonisti. A seguito di questi successi la ricerca sui meccanismi molecolari della secrezione gastrica si estese rapidamente. Alla fine degli anni ottanta venne così scoperta un'altra classe di farmaci inibitori della secrezione gastrica: gli inibitori della pompa protonica (H+/K+-ATP-asi ), un enzima della membrana luminale delle cellule parietali dello stomaco che agisce come ultimo mediatore della secrezione acida. In molti casi questi nuovi farmaci (omeprazolo e alcuni analoghi) hanno oggi sostituito i farmaci H2-antagonisti nella terapia dell'ulcera peptica, delle sindromi da ipersecrezione acida e dei reflussi gastro-esofagei (esofagiti peptiche). La progettazione di nuovi farmaci in base al meccanismo d'azione molecolare ha riportato successi anche in altri settori terapeutici. Gli studi delle relazioni struttura-funzione nel campo degli inibitori dell'enzima di conversione dell'angiotensina I (ACE) hanno permesso di realizzare una serie di farmaci che rappresentano le principali armi nel trattamento dell'ipertensione arteriosa e dell'insufficienza cardiaca (captopril, enalapril, lisinopril). Le ricerche sui farmaci antagonisti dei recettori β-adrenergici e sui bloccanti dei canali ionici di tipo L del calcio hanno creato nuove molecole di largo impiego terapeutico nell'ipertensione, nell'angina pectoris e nelle aritmie cardiache.

Non c'è dubbio che l'ingente impegno economico profuso dall'industria del farmaco nelle nuove tecnologie molecolari e i brillanti risultati ottenuti abbiano notevolmente stimolato le ricerche in questo campo. Ma l'interesse alla commercializzazione del farmaco e l'autorevole voce di alcuni scienziati simbolo hanno fatto sì che il riduzionismo molecolare condizionasse profondamente il pensiero scientifico e gli orientamenti della ricerca biomedica di base anche al di fuori dei laboratori industriali. Si è spesso finito col dimenticare che una funzione non si riassume in una reazione molecolare, ma è il risultato di interazioni tra i differenti livelli di organizzazione del sistema biologico. Per questa ragione il diffondersi del riduzionismo molecolare nella ricerca biofarmacologica ha prodotto anche false ipotesi, errate interpretazioni e semplicistiche conclusioni. Come prevedibile, errori e insuccessi sono stati più frequenti in quei settori di ricerca in cui la complessità dei livelli di organizzazione della funzione rendeva difficile individuare il meccanismo d'azione del farmaco. Ne è un esempio la psicofarmacologia. Tra il gene e il suo prodotto di espressione da un lato, e l'affettività, il comportamento o la funzione cognitiva dall'altro, ci sono numerosissimi livelli di organizzazione del sistema nervoso: ritenere che l'interazione molecolare di un farmaco con l'espressione di un gene o con il rilascio di un neurotrasmettitore o con l'attivazione di un recettore sia sufficiente a spiegarne gli effetti sulla affettività o sulla funzione cognitiva del paziente è sicuramente una interpretazione estremamente riduttiva che può portare a errate conclusioni e a pericolose scelte. L'insuccesso terapeutico di molte molecole, progettate come psicofarmaci sulla base di un meccanismo molecolare ritenuto responsabile dell'attività farmacologica, è la conseguenza di questo modo semplicistico di interpretare l'azione del farmaco su funzioni biologiche complesse. Il riduzionismo molecolare in psicofarmacologia ha creato problemi ancor più gravi quando si è cercato di interpretare il meccanismo molecolare di alcune psicosi secondo il modello delle interazioni molecolari dei farmaci in grado di riprodurre o di sopprimere i sintomi della malattia psichica, come è avvenuto, ad esempio, nel caso della teoria dopamminergica della schizofrenia.

Per molti farmaci il legame di causalità tra l'effetto molecolare e la modifica di una funzione biologica è sostenuto soltanto in base a una semplice coincidenza temporale e di dose. Se l'effetto del farmaco a livello molecolare si svolge contemporaneamente alla modifica funzionale e i due fenomeni hanno la stessa dose-dipendenza, si ammette che esista tra essi un nesso di causalità. Se poi diversi farmaci capaci di interagire allo stesso livello molecolare producono modifiche funzionali simili, il nesso di causalità viene ritenuto ulteriormente convalidato, tanto da divenire, spesso, un ‛dogma' farmacologico. Un nesso di causalità di tale tipo dovrebbe invece essere considerato solo in termini probabilistici per almeno due motivi. Nella maggioranza dei casi non si dispone infatti di sufficienti informazioni sui diversi livelli di organizzazione della funzione: questi livelli possono presentare sedi alternative di interazione del farmaco o modulare, positivamente o negativamente, l'interazione del farmaco a livello molecolare. Inoltre le tecnologie molecolari hanno permesso di dimostrare che gli organismi viventi utilizzano spesso la stessa reazione molecolare per differenti scopi funzionali e che questo dipende dall'organizzazione strutturale del sistema in cui la reazione si svolge. Per questa ragione l'alta selettività di un ligando per il suo recettore, dimostrabile in sistemi isolati in vitro - che a prima vista potrebbe rappresentare la base razionale per progettare farmaci assolutamente specifici per una funzione - nell'economia dell'organismo perde molto del suo valore poiché quella stessa reazione ligando-recettore è utilizzata in organi differenti per differenti funzioni. Non c'è quindi da stupirsi del fatto che i ricercatori abbiano più volte cambiato idea sui meccanismi molecolari delle risposte farmacologiche o che per uno stesso farmaco siano stati proposti numerosi e differenti meccanismi di azione. Anche per azioni farmacologiche relativamente semplici l'identificazione del meccanismo molecolare ha suscitato controversie e incertezze! Fino alla fine degli anni settanta tutti i trattati di farmacologia davano per certo che l'effetto broncodilatatore della teofillina fosse dovuto all'inibizione della fosfodiesterasi, un enzima responsabile della degradazione di AMP ciclico e di GMP ciclico intracellulari: questa ipotesi era nata nell'era per così dire ‛enzimatica' della farmacologia molecolare. Agli inizi degli anni ottanta ci si è accorti che questa interazione molecolare della teofillina richiede concentrazioni del farmaco nella muscolatura liscia bronchiale difficilmente raggiungibili con le dosi comunemente impiegate nei pazienti asmatici e che l'affermazione che essa rappresenta il meccanismo molecolare dell'azione broncodilatatrice è probabilmente un ‛falso ideologico'. Le tecnologie di studio dei recettori sono però venute in aiuto dei farmacologi molecolari dimostrando che, a concentrazioni prossime a quelle ottenute nei pazienti asmatici, la teofillina si comporta come un antagonista dei recettori dell'adenosina. Questi recettori sono presumibilmente coinvolti nella reattività motoria dei bronchi, poiché l'inalazione di adenosina nei pazienti affetti da asma scatena un tipico attacco di broncocostrizione. Non è stato però dimostrato se, durante l'attacco di asma, l'adenosina si liberi in concentrazioni sufficienti per attivare i suoi recettori e, d'altra parte, le biotecnologie hanno recentemente dimostrato che esistono almeno quattro sottotipi di recettori adenosinici che presentano vistose differenze di affinità per la teofillina. Nonostante queste e altre ricerche sulle interazioni molecolari della teofillina e dei suoi derivati, il meccanismo d'azione responsabile del suo effetto broncodilatatore rimane tuttora incerto.

Il controllo fisiologico della pressione arteriosa è una funzione ben più complessa della reattività bronchiale. I farmaci antagonisti dei recettori β-adrenergici sono largamente utilizzati nel trattamento dell'ipertensione arteriosa. Quando un farmaco β-antagonista puro è somministrato per la prima volta a un paziente, la diminuzione della portata cardiaca prodotta dall'inibizione dell'azione delle catecolammine sui recettori cardiaci β-adrenergici è accompagnata da un aumento delle resistenze vascolari periferiche senza nessuna modifica della pressione sanguigna: i normali riflessi cardiovascolari vasocostrittori, potenziati dal blocco dei recettori β-adrenergici delle arteriole periferiche, compensano l'effetto inibitorio del farmaco sulla portata cardiaca. La risposta cardiocircolatoria è invece diversa durante la somministrazione cronica di un farmaco antagonista dei recettori β-adrenergici: la pressione arteriosa diminuisce progressivamente in accordo con una parallela caduta delle resistenze vascolari periferiche, mentre la portata cardiaca rimane depressa. I farmacologi si sono allora chiesti quale meccanismo molecolare potesse spiegare la vasodilatazione periferica che si osserva durante la somministrazione cronica di questa classe di farmaci. Sono state proposte non meno di altre cinque possibili azioni: un'azione sui recettori β-adrenergici del sistema nervoso centrale; un'azione su recettori β-adrenergici presinaptici che inibiscono la liberazione del trasmettitore noradrenalina; una stimolazione della sintesi nella parete vascolare di fattori vasodilatatori, come la prostaciclina, o una inibizione di fattori vasocostrittori, come il trombossano A2; una inibizione della secrezione della renina. Ma, a dire il vero, nessuno di questi meccanismi sembra essere in grado di spiegare da solo la risposta farmacologica nei pazienti ipertesi. È probabile invece che la diminuzione delle resistenze periferiche responsabile dell'effetto terapeutico ipotensivo sia la risposta al farmaco di un complesso meccanismo di regolazione omeostatica risultante da interazioni multiple tra i livelli di organizzazione funzionale dell'apparato cardiovascolare.

Da questi esempi si può trarre una elementare conclusione: la probabilità che una certa interazione molecolare scoperta in un farmaco rappresenti il meccanismo principale della risposta farmacologica è tanto più elevata quanto minore è il numero di livelli di organizzazione del sistema biologico su cui il farmaco è sperimentato. È di certo infinitamente più semplice e probabilisticamente più sicuro descrivere in termini molecolari una risposta farmacologica ottenuta in colture cellulari piuttosto che in un animale da esperimento o in un paziente umano. Non per nulla la farmacologia molecolare ha mosso i suoi primi passi e conseguito i più brillanti successi in sistemi semplici - come parti di cellule, cellule intere o frammenti di tessuto e d'organo isolati - in vitro. Se il dissezionare da un organo una struttura biologica di un limitato numero di livelli di organizzazione permette di studiare una funzione a un livello più vicino a quello dell'interazione molecolare del farmaco e di ipotizzare con maggior sicurezza l'esistenza del nesso di causalità, questo modo di procedere non garantisce tuttavia che quella funzione operi allo stesso modo quando la struttura in studio è inserita nell'organismo e controllata da livelli di organizzazione superiore. Ne consegue che la farmacologia molecolare si propone, al momento, più come disciplina che descrive le interazioni molecolari dei farmaci che come scienza dei meccanismi molecolari degli effetti terapeutici: come tale essa ha contribuito in maniera decisiva allo sviluppo delle conoscenze in numerosi settori della biomedicina, quali la biochimica delle comunicazioni molecolari intercellulari, l'organizzazione e la dinamica molecolare dei recettori e dei sistemi di trasduzione post-recettoriale del segnale, la modulazione delle risposte recettoriali, il controllo e la regolazione dell'espressione genica.

2. La comunicazione peptidergica: un nuovo bersaglio farmacologico

La scoperta che piccoli peptidi vengono utilizzati come messaggeri cellulari, opera esclusiva di farmacologi e fisiologi, rappresenta uno dei più rilevanti contributi alla conoscenza delle comunicazioni intercellulari, e gli studi in questo campo costituiscono uno dei settori di maggiore sviluppo della farmacologia molecolare nella seconda metà del Novecento.

Caratteristica dei messaggeri peptidici è l'elevato grado di diversità molecolare: si conoscono attualmente più di quaranta diverse famiglie peptidiche, tutte riconosciute da selettivi recettori cellulari. Inoltre, lo stesso sistema peptidico (peptide-recettore) è utilizzato nell'organismo per modulare differenti funzioni in differenti organi e apparati.

La scoperta del primo neurotrasmettitore peptidico ha dell'eccezionale per i tempi (1930) in cui avvenne. Nel laboratorio di H. H. Dale, in Hampstead, il giovane studente U. S. von Euler studiava la liberazione di acetilcolina dai plessi nervosi enterici a seguito di stimolazione elettrica del nervo vago: il trasmettitore liberato veniva dosato su preparazioni di duodeno di coniglio, che sono molto sensibili all'azione contratturante dell'acetilcolina. Ma l'effetto stimolante del trasmettitore liberato sul duodeno era solo in parte antagonizzato dall'atropina, l'unico farmaco anticolinergico a quel tempo disponibile. Von Euler concluse che la stimolazione vagale liberava dai plessi enterici, insieme all'acetilcolina, un diverso e sconosciuto trasmettitore capace di provocare la contrazione della muscolatura liscia del duodeno di coniglio. In collaborazione con J. H. Gaddum, von Euler dimostrò che una molecola con analoghe proprietà biologiche era presente, in apprezzabili quantità, anche nel cervello. Alcuni enzimi proteolitici, come pepsina, tripsina e chimotripsina, distruggevano questo nuovo trasmettitore, mentre non modificavano gli altri trasmettitori già noti, come l'acetilcolina, l'istamina e l'adrenalina. Il trasmettitore doveva quindi essere una molecola di natura proteica; inoltre, poiché dializzava facilmente, doveva avere un basso peso molecolare. Ciò fece supporre a von Euler e Gaddum che si trattasse di un peptide. A quel tempo la determinazione della struttura chimica di un peptide era un'impresa impossibile: il primo trasmettitore peptidico venne perciò identificato semplicemente con il nome di ‛sostanza P' (v. ormoni locali, vol. IV). La sequenza amminoacidica della sostanza P fu chiarita solo 41 anni dopo, nel 1971, a opera di due ricercatori nordamericani, N. N. Chang e S. E. Leeman (v. Erspamer e Melchiorri, 1980). Nel frattempo V. Erspamer, in Italia, aveva già isolato da invertebrati marini e da Anfibi altri peptidi con proprietà biologiche molto simili alla sostanza P, come l'eledoisina, la fisalemina e la kassinina; ne aveva inoltre identificato la sequenza amminoacidica e li aveva classificati in un'unica famiglia a cui aveva dato il nome di ‛tachichinine'. Quando fu scoperta la struttura della sostanza P, essa risultò molto simile a quelle già conosciute delle tachichinine, come d'altra parte era da aspettarsi in base alle analogie individuate nelle proprietà biologiche: pertanto all'intera famiglia di questi peptidi fu conservato il nome di tachichinine.

Nel 1975 J. Hughes e H. W. Kosterlitz isolarono dal cervello due pentapeptidi capaci di riprodurre molti degli effetti farmacologici della morfina, la Leu-encefalina e la Met-encefalina. Con la scoperta dei primi due peptidi oppioidi veniva così inaugurata una seconda famiglia di neurotrasmettitori peptidici (v. neuroendocrinologia).

Negli anni successivi, il perfezionamento delle tecniche di isolamento, purificazione e sequenziamento strutturale delle proteine ha portato alla scoperta di un numero crescente di trasmettitori peptidici. In particolare, nell'ultimo decennio le tecniche di genetica molecolare hanno permesso di clonare i geni che codificano per le sequenze di amminoacidi di molti messaggeri peptidici. Si è così scoperto che un gene può talora codificare per più di un trasmettitore peptidico e che i codici dei peptidi che saranno secreti dalla cellula iniziano e terminano nella sequenza del gene con i codici di particolari amminoacidi basici. Dalla sequenza del cDNA è stato così possibile prevedere la struttura primaria di segnali peptidici che la cellula elabora e secerne in quantità così piccole da non permetterne l'isolamento e il riconoscimento chimico. Ciò ha contribuito a estendere enormemente le conoscenze sulle comunicazioni peptidergiche: tuttavia, l'esatto ruolo fisiologico di questi messaggi è ancora largamente sconosciuto e poco o nulla si sa delle loro implicazioni nella patologia umana.

Un aspetto singolare della comunicazione peptidergica nel sistema nervoso centrale ha rivoluzionato il concetto tradizionale di trasmissione sinaptica: si tratta della constatazione che i recettori peptidici spesso non sono presenti a livello delle sinapsi a cui partecipano le terminazioni nervose contenenti i relativi trasmettitori peptidici. D'altra parte, granuli secretori contenenti trasmettitori peptidici si addensano spesso in prossimità di varicosità nervose site al di fuori delle sinapsi e da qui, quando la membrana plasmatica è depolarizzata, versano all'esterno i neuropeptidi. Esistono pertanto numerosi casi di disaccordo spaziale tra sito di rilascio del peptide e sito di azione. In tali circostanze il peptide secreto nel liquor  interstiziale deve raggiungere i suoi recettori, che possono trovarsi a distanze anche notevoli dal sito di secrezione. Si tratta di una speciale forma di trasmissione endocrina a cui è stato dato il nome di neurotrasmissione volume-dipendente (VNT, Volume NeuroTransmission), o neurotrasmissione extrasinaptica. Perché si possa stabilire il necessario accoppiamento di trasmissione, occorre in tal caso che il messaggio peptidico, non essendo ristretto allo spazio sinaptico, sia altamente selettivo e possegga elevata affinità per il recettore situato su neuroni distanti. Per tale trasmissione sono necessari numerosi e differenti messaggeri peptidici per informare selettivamente le numerose e diverse popolazioni neuronali. Questo spiega perché i neurotrasmettitori peptidici e i relativi recettori siano così numerosi in confronto con i pochi trasmettitori e recettori utilizzati dalle trasmissioni sinaptiche non peptidiche. Questo tipo di neurotrasmissione peptidergica è in grado di far comunicare tra loro popolazioni neuronali site in aree distanti del sistema nervoso centrale, le cui attività bioelettriche devono essere correlate.

L'interazione dei peptidi con i loro recettori presenta anche un'altra caratteristica (v. Moore, 1994). La molecola peptidica, a differenza di molecole rigide come le ammine biogene o l'acetilcolina, è flessibile e, in relazione al solvente in cui il peptide si trova, può assumere numerose conformazioni. In soluzione acquosa sono spesso presenti molti conformeri dello stesso peptide, in rapido equilibrio tra loro. Queste conformazioni non necessariamente sono le stesse che il peptide assume nella membrana plasmatica o quando è legato al recettore. La plasticità conformazionale del peptide rende assai difficile ricavare informazioni sulle conformazioni molecolari attive e costruire sul modello peptidico farmaci non peptidici. Nondimeno, per alcuni sistemi di comunicazione peptidergica sono stati progettati agonisti e antagonisti che rappresentano nuovi potenziali farmaci, il cui meccanismo d'azione molecolare risiede nell'interazione recettoriale con i relativi sistemi peptidici endogeni.

a) Il sistema delle tachichinine: un modello per farmaci analgesici, broncodilatatori, antinfiammatori

Come si è detto, la prima famiglia di neuropeptidi scoperta dai farmacologi è stata quella delle tachichinine. Le tachichinine (sostanza P, neurochinina A e neurochinina B) e i loro tre principali tipi di recettori (NK1, NK2, NK3) sono ampiamente distribuiti sia nel sistema nervoso centrale che in periferia e sono capaci di modulare una grande varietà di risposte biologiche nei diversi organi e tessuti. I peptidi di questa famiglia eccitano neuroni, evocano risposte comportamentali, sono potenti vasodilatori e secretagoghi e fanno contrarre (direttamente o indirettamente, attraverso la liberazione di trasmettitori classici) la muscolatura liscia di molti organi. Un particolare interesse riveste il ruolo delle tachichinine nel sistema nigro-striatale e nella trasmissione delle afferenze primarie sensoriali e nocicettive. L'iniezione di tachichinine nel liquor, a livello sia spinale sia cerebrale, produce iperalgesia. Questi effetti dolorifici e la localizzazione delle tachichinine e dei relativi recettori nelle vie afferenti primarie, nel corno grigio posteriore del midollo spinale e nel talamo, inducono a pensare che i neuropeptidi in questione svolgano un importante ruolo nella trasmissione del dolore. Di interesse farmacologico è anche il ruolo delle tachichinine nei fenomeni di broncocostrizione patologica (asma) e di infiammazione: questi peptidi, infatti, provocano liberazione di istamina dai mastociti, aumentano la permeabilità vasale e facilitano la formazione di edemi infiammatori (‛infiammazione neurogenica'). Di recente è stata inoltre evidenziata la possibilità che tachichinine agiscano come fattori di crescita o come messaggeri tra sistema nervoso e sistema immunitario.

Il tipo di trasmissione tachichininica e gli effetti che ne sono mediati hanno stimolato la ricerca mirata a sintetizzare antagonisti recettoriali non peptidici al fine di realizzare farmaci potenzialmente utilizzabili come analgesici, antinfiammatori, broncodilatatori. I due più potenti antagonisti dei recettori NK1 (CP9994 e SR140333) finora sintetizzati posseggono attività antinfiammatorie e analgesiche. Gli antagonisti selettivi non peptidici ad alta affinità dei recettori NK2 - GR159897 e SR48968 - bloccano la broncocostrizione da tachichinine e mostrano un'azione ansiolitica in alcuni modelli sperimentali di ansia. L'interesse farmacologico per questa classe di molecole è in continua espansione, ma è ancora difficile prevedere se gli attuali antagonisti dei recettori tachichininici troveranno un impiego terapeutico nella patologia umana in accordo con i loro effetti farmacologici.

b) La modulazione farmacologica dei sistemi oppioidi endogeni

La scoperta nel cervello, da parte di J. Hughes e H. W. Kosterlitz, dei primi due pentapeptidi (encefaline) che posseggono proprietà farmacologiche di tipo morfinico, la successiva identificazione delle altre due famiglie di peptidi oppioidi naturali (endorfine e dinorfine) e la definitiva caratterizzazione dei tre tipi di recettori oppioidi (μ, δ, κ) su cui questi agonisti endogeni agiscono hanno delineato i componenti fondamentali del sistema oppioide endogeno. Tutti e tre i tipi di recettori oppioidi sono stati recentemente clonati: essi appartengono alla famiglia dei recettori accoppiati alle proteine G (v. cap. 3, § a, III) e, attraverso questo meccanismo di trasduzione del segnale oppioide, comunicano l'informazione a effettori molecolari come l'adenilatociclasi e i canali del K+. La morfina e i principali farmaci analgesici oppioidi sintetizzati nella prima metà del secolo agiscono tutti attraverso l'attivazione dei recettori oppioidi. La scoperta delle altre due classi recettoriali ha indotto a sintetizzare e sperimentare agonisti e antagonisti dei recettori oppioidi δ e κ. Alcuni di questi nuovi composti sono potenti analgesici che sembrano offrire evidenti vantaggi sugli agonisti di prima generazione.

Lo studio dei sistemi enzimatici che inattivano i peptidi oppioidi naturali ha permesso di sintetizzare nuovi farmaci capaci di inibire questi enzimi e di produrre effetti analgesici attraverso il potenziamento dei sistemi oppioidi endogeni.

c) Il sistema della colecistochinina: una nuova strategia per farmaci ansiolitici

Un'altra famiglia di nuovi farmaci costruiti sul modello peptidico è quella degli agonisti e antagonisti dei recettori della colecistochinina. Circa 20 anni or sono si scoprì che la colecistochinina (CCK) - una sostanza definita genericamente come un peptide simile all'ormone gastrina dello stomaco e individuata per la prima volta nell'intestino - era presente anche nel cervello. Oggi si sa che la forma molecolare di CCK presente nel cervello è un octapeptide (CCK8) che funziona da vero neurotrasmettitore capace di modulare le azioni di altri neurotrasmettitori, come la dopammina, la 5-HT (5-idrossitriptammina), gli oppioidi endogeni, il GABA (acido γ-amminobutirrico) e gli amminoacidi eccitatori. Esistono due tipi di recettori per CCK, denominati CCKA e CCKB: i recettori CCKA si trovano nei visceri, mentre nel sistema nervoso centrale essi sono presenti solo nel nucleo dorsomediale dell'ipotalamo e nel nucleo abenulare; i recettori CCKB sono invece ampiamente distribuiti nel cervello. I recettori CCKA hanno alta affinità per la forma solfatata di CCK (la solfatazione avviene sulla tirosina) e bassa affinità per la forma desolfatata: l'inverso accade per i recettori cerebrali CCKB, che preferiscono nettamente la forma desolfatata. L'interesse farmacologico per il sistema di neurotrasmissione a CCK è esploso quando si scoprì che CCK iniettata nel cervello di diverse specie animali, compresi i Primati, induce attacchi di panico e di ansia che si associano a comportamenti di difesa (v. Harro e altri, 1993). Il passo successivo è stato ovviamente quello di sintetizzare agonisti e antagonisti selettivi dei recettori colecistochininici: si scoprì così che tutte le forme desolfatate di CCK, compreso il tetrapeptide carbossi-terminale (CCK4), erano ansiogene. Poiché CCK4 supera facilmente la barriera ematoencefalica, si è potuto dimostrare che questo peptide induce stati fobici anche nell'uomo quando viene iniettato endovena. Inoltre, nel liquor di diversi pazienti affetti da psicosi fobiche si sono riscontrate anomalie nei rapporti di concentrazione di CCK desolfatata/CCK solfatata, con un netto calo delle forme solfatate a vantaggio delle forme desolfatate. Sono stati sintetizzati diversi antagonisti selettivi dei recettori colecistochininici: tutti gli antagonisti dei recettori CCKB posseggono proprietà ansiolitiche e rappresentano una nuova classe di farmaci antiansia che nel futuro, dopo la necessaria sperimentazione clinica, andrà probabilmente ad aggiungersi a quella delle benzodiazepine.

d) Gli antagonisti delle endoteline e gli inibitori degli ECE come farmaci ipotensivi e vasodilatatori

Nel 1988 M. Yanagisawa e collaboratori isolarono da cellule di endotelio aortico una nuova famiglia di peptidi potentemente vasocostrittori che denominarono endoteline (v. tono vasale, vol. XI). Le endoteline sembrano implicate, come mediatori locali della vasocostrizione anossica, nell'angina pectoris, nell'infarto miocardico e in sindromi ischemiche cerebrali. Recentemente si è anche prospettato per questi peptidi un ruolo fisiopatologico nell'ipertensione arteriosa. Le endoteline vengono prodotte, a partire da precursori di più grande massa molecolare, a opera di enzimi di conversione (ECE) che attaccano il legame peptidico tra triptofano e valina nella molecola del precursore. Sono state isolate tre diverse endoteline e clonati due tipi di recettori endotelinici. Recentemente diverse industrie farmaceutiche hanno sintetizzato potenti antagonisti dei recettori endotelinici. In diversi modelli di ipertensione sperimentale nel ratto, il bosentano (un derivato pirimidil-sulfonammidico antagonista competitivo dei recettori endotelinici) fa diminuire la pressione sanguigna mediante una riduzione delle resistenze periferiche senza indurre tachicardia riflessa. L'ipertrofia dell'intima vasale, le lesioni aterosclerotiche e l'ipertrofia cardiaca conseguenti allo stato ipertensivo vengono egualmente ridotte dagli antagonisti recettoriali delle endoteline, che - così come i possibili inibitori degli ECE in corso di sperimentazione - probabilmente rappresenteranno nel futuro una nuova classe di farmaci antipertensivi.

3. Organizzazione e topologia molecolare dei recettori dei farmaci: la diversità molecolare

Si è detto che la vita è fondamentalmente caratterizzata da due eventi molecolari: il riconoscimento molecolare e l'autoreplicazione molecolare. Il primo evento, che è alla base del meccanismo d'azione di molti farmaci, è quel processo biologico al cui chiarimento hanno maggiormente partecipato i farmacologi molecolari. Il farmaco riconosce una macromolecola proteica presente nelle cellule (il recettore), ma essendo una molecola estranea all'organismo, prodotta dalla sintesi chimica industriale, per essere riconosciuta dal recettore deve in qualche modo assomigliare a molecole biologiche a cui il recettore è, per così dire, avvezzo (ligandi endogeni). Fin dall'inizio del Novecento la ricerca farmacologica dei recettori ha costituito un potente metodo di indagine dell'intricata rete delle comunicazioni intra- e intercellulari. Considerati fin dall'inizio come il sito di azione dei farmaci, i recettori sono stati per anni classificati sulla base delle loro affinità e selettività farmacologiche. Ma, come si è detto, agli inizi degli anni ottanta le biotecnologie hanno permesso di identificare il codice genetico delle proteine recettoriali e, data l'universalità del codice, di scrivere facilmente quella lunga sequenza di amminoacidi di cui è costituito il recettore e che nessun chimico sino ad allora era riuscito ad analizzare e sintetizzare. Dalla sequenza di amminoacidi delle proteine recettoriali si sono ottenute importanti informazioni su come queste macromolecole sono inserite nelle membrane cellulari e sulle conformazioni funzionali che vi possono assumere. Con queste informazioni e con l'aiuto di programmi di dinamica molecolare computerizzata sono stati creati modelli tridimensionali di molti recettori. In alcuni casi le proteine recettoriali sono state isolate, purificate e perfino cristallizzate. Le tecniche fisiche di analisi (raggi X, risonanza magnetica nucleare) e, per recettori giganti, la microscopia elettronica, hanno permesso di verificare direttamente la conformazione tridimensionale dei recettori isolati. Questo nuovo approccio di studio molecolare, risultante dall'associazione delle tecnologie fisico-chimiche di analisi delle proteine con le biotecnologie di clonaggio e sequenziamento del DNA genico, ha dimostrato che i recettori possono essere classificati in famiglie di proteine sufficientemente omogenee per organizzazione, topologia e dinamica molecolare, ma che presentano tra i loro membri un'ampia diversità molecolare (v. neuroscienze: Basi molecolari della comunicazione neuronale). Sono stati così identificati molti nuovi tipi e sottotipi recettoriali per i quali i farmacologi non conoscevano, né, in molti casi, ancora conoscono, farmaci selettivi. La situazione della ricerca sui recettori alla fine del Novecento presenta aspetti paradossali e per certi versi simili a quelli di cui si è parlato a proposito delle comunicazioni peptidergiche. Come per i messaggi peptidici, le tecnologie molecolari hanno permesso di identificare la struttura chimica primaria di un gran numero di recettori dei quali non si conosce la funzione. Questi recettori potranno forse costituire potenziali bersagli per nuovi farmaci solo se si riuscirà a definirne il ruolo funzionale e, in maniera certa, i requisiti strutturali che i farmaci debbono possedere per legarvisi e attivarne la funzione. Purtroppo, per l'identificazione dei requisiti strutturali determinanti della affinità, selettività ed efficacia recettoriale di un farmaco, che da sempre rappresenta il problema centrale della farmacologia molecolare, non ci si è ancora potuti avvalere in maniera determinante delle nuove tecnologie molecolari. La ricerca in questo settore è stata condotta prevalentemente dai chimici farmaceutici, che hanno affrontato il problema unicamente dal lato del farmaco, perché negli studi sulle interazioni farmaco-recettore la sintesi chimica ha permesso finora di modificare uno solo dei due componenti della reazione molecolare, il farmaco. Tuttavia, nell'ultimo decennio del Novecento, l'ingegneria genetica ha aperto nuove prospettive per affrontare il problema della interazione recettore-farmaco dal lato recettore. Le biotecnologie hanno permesso di modificare in vivo la struttura chimica dei recettori attraverso la produzione di mutazioni puntiformi nel codice genetico o la creazione di codici artificiali esprimenti recettori chimerici. Gli studi sulle relazioni struttura-funzione in questi mutanti recettoriali, sia in cellule in coltura che in organismi transgenici, hanno in alcuni casi fornito importanti, anche se incomplete, informazioni sulle modalità con le quali gli agonisti e gli antagonisti si legano a un piccolo numero di amminoacidi nei siti recettoriali. Con un'altra metodica, utilizzante anticorpi diretti verso discrete sequenze amminoacidiche del recettore, si è riusciti in alcuni casi a identificare i dominî di legame e di attivazione del recettore. Si prevede che nel futuro, con questi nuovi approcci molecolari, saranno approfondite le conoscenze sulla conformazione degli amminoacidi nella struttura del recettore essenziali per l'interazione con il ligando e sulle caratteristiche termodinamiche di questa interazione, permettendo così di definire i parametri determinanti per il ruolo di agonista o di antagonista del farmaco.

In linea generale i recettori dei farmaci possono trovarsi inseriti nella membrana cellulare o risiedere all'interno della cellula, nel citoplasma o nel nucleo.

a) I recettori dei farmaci nella membrana citoplasmatica

I principali recettori dei farmaci presenti sulla membrana citoplasmatica appartengono a cinque distinte topologie molecolari. Questa classificazione molecolare dei recettori è qui riportata solo in funzione delle interazioni con i farmaci. Per una descrizione approfondita delle principali famiglie recettoriali, della loro struttura molecolare e della biochimica del processo di trasduzione del segnale, si veda neuroscienze: Basi molecolari della comunicazione neuronale, vol. XI.

I. I canali ionici della membrana citoplasmatica. - Il recettore del farmaco è in questo caso un canale ionico, una proteina polimerica costituita da più subunità proteiche che circoscrivono un poro della membrana attraversato dal flusso ionico (v. Barnard, 1992). L'apertura e la chiusura del canale possono essere regolate dal potenziale della membrana citoplasmatica (canali voltaggio-dipendenti) o direttamente dall'azione di un ligando endogeno su un sito recettoriale (recettori-canale o canali attivati da ligandi).

I tre principali canali voltaggio-dipendenti, che rappresentano siti molecolari di azione di farmaci, sono quelli dell'Na+, del K+ e del Ca2+. Anche se di questi canali ionici esistono diversi sottotipi formati da almeno 3 subunità proteiche, è la subunità α quella che riassume in sé tutte le principali proprietà funzionali e farmacologiche del canale: essa circoscrive il poro-canale, possiede un dominio voltaggio-sensibile e un sito su cui si legano i farmaci. Il canale voltaggio-dipendente dell'Na+ è la sede di azione molecolare di farmaci antiepilettici (difenilidantoina, carbamazepina), di farmaci anestetici locali e antiaritmici (lidocaina, procainammide, chinidina, encainide). Si ammette che per ogni valore del potenziale di membrana questo canale sia costituito da una miscela di conformeri in equilibrio tra loro: i conformeri R, o forme attivabili di riposo, i conformeri I, o forme inattivate (distinte in forme di inattivazione rapida e di inattivazione lenta), i conformeri O, o forme aperte. Nelle forme R e I il canale è chiuso, nella forma O il canale, invece, è aperto e conduce. Per potenziali di membrana inferiori alla soglia di apertura il canale è costituito da forme R e I in equilibrio. Quando il potenziale di membrana raggiunge la soglia di apertura i canali operano la transizione R → O che è molto veloce (1 ms) e che comporta l'apertura di un apposito cancello molecolare (cancello di attivazione). Le forme O vanno poi incontro a inattivazione O → I per chiusura di un altro cancello molecolare (cancello di inattivazione) che interrompe la corrente di ioni sodio attraverso il canale. La velocità della transizione O → I è bicomponente, con una componente iniziale rapida e una successiva lenta (parecchi ms). Nei confronti dei diversi conformeri del canale i farmaci hanno differente affinità e differenti velocità di aggancio e di distacco. Alcuni farmaci (difenilidantoina, carbamazepina, lidocaina) funzionano come cancello di inattivazione: essi mostrano la massima affinità per i conformeri di inattivazione rapida, legandosi all'interno del canale vicino al cancello di inattivazione e al filtro di selettività. Questi farmaci inattivano il canale in maniera voltaggio-dipendente preferendo i conformeri che si generano per potenziali di membrana intorno a -60 mV. Inoltre le depolarizzazioni frequenti e durature (convulsioni, ischemia e aritmie ad alta frequenza) aumentano il blocco del canale prodotto da questi farmaci, poiché il distacco del farmaco dai conformeri preferiti è lento e quindi le forme legate al farmaco si cumulano se le depolarizzazioni che le generano sono abbastanza ravvicinate e persistenti nel tempo (blocco uso-dipendente). Poiché le depolarizzazioni prolungate sono spesso la conseguenza di episodi ischemici, si pensa che la prolungata apertura dei canali del sodio voltaggio-dipendenti possa essere coinvolta nel danno cellulare da anossia. L'aumento degli ioni sodio intracellulari per ripetuta e frequente apertura dei relativi canali ionici produce una diminuzione del gradiente transmembrana di ioni sodio e una diminuzione dell'estrusione di ioni calcio dalla cellula per inversione della direzione prevalente di scambio Na+-Ca2+. Inoltre l'aumento delle concentrazioni di Na+ intracellulare produce un aumentato rilascio di Ca2+ dalle riserve intracellulari. Secondo questa teoria l'aumento finale del calcio intracellulare sarebbe determinante per la morte della cellula. Un altro meccanismo proposto per la morte cellulare anossica sarebbe legato a un aumento del trasporto inverso Na+-dipendente del glutammato: l'aumento del rilascio del glutammato attiverebbe i recettori NMDA (N-metil D-aspartato) e AMPA (acido α-ammino-3-idrossi-5-metil-4-isossazol-propionico) e produrrebbe così effetti eccitotossici. Qualunque sia il meccanismo molecolare della morte cellulare da anossia, i farmaci bloccanti i canali voltaggio-dipendenti del sodio si sono dimostrati capaci di proteggere dal danno ischemico.

I canali ionici voltaggio-dipendenti per il Ca2+ sono componenti ubiquitari dei tessuti eccitabili di tutti gli organismi viventi della scala filogenetica. Esiste una grande eterogeneità molecolare nei canali voltaggio-dipendenti per il Ca2+: in relazione ai requisiti energetici necessari per la loro apertura, è possibile classificarli in canali a bassa soglia di apertura (si aprono per deboli depolarizzazioni di membrana) e canali a elevata soglia di apertura (si aprono per forti depolarizzazioni di membrana): i primi si inattivano rapidamente, i secondi rimangono aperti più a lungo. Le tre principali classi di farmaci antagonisti dei canali del Ca2+, le diidropiridine (nifedipina, nitrendipina, nicardipina, nimodipina), le benzotiazepine (diltiazem) e le fenilalchilammine (verapamil) si legano ai canali del calcio a elevata soglia di apertura del sottotipo L, così denominati per la lunga durata della loro corrente di Ca2+. I farmaci calcio-antagonisti, riducendo la corrente di ioni calcio necessaria per il funzionamento del pacemaker cardiaco, per la conduzione dei segnali bioelettrici attraverso il nodo atrio-ventricolare e per la contrazione delle miofibrille delle fibre cardiache e delle fibre muscolari lisce dei vasi, funzionano come farmaci antiaritmici, anti-anginosi e ipotensivi. Il sito molecolare di legame delle diidropiridine su questi canali del Ca2+ si trova sulla subunità proteica α in prossimità del dominio del sensore di voltaggio. Le diidropiridine posseggono una elevata affinità per quelle forme inattivate del canale del Ca2+ che nelle fibre muscolari lisce dei vasi periferici predominano per potenziali di membrana intorno a -50, -60 mV. Per questa ragione le diidropiridine sono prevalentemente dei farmaci vasodilatatori e come tali sono capaci di far diminuire la pressione arteriosa dei pazienti ipertesi attraverso una riduzione delle resistenze vascolari periferiche.

I canali del K+ rappresentano una classe molto eterogenea di canali ionici regolatori dell'eccitabilità cellulare. Se ne conoscono 30 tipi diversi, ma il loro numero è probabilmente destinato ad aumentare. La modulazione farmacologica di questi canali rappresenterà nel futuro il meccanismo molecolare più razionale per controllare l'eccitabilità cellulare. I farmaci attivi su questi canali vengono convenzionalmente suddivi in due classi in base all'effetto che svolgono sulle correnti di K+: farmaci che riducono il flusso di ioni attraverso il canale o farmaci bloccanti il canale, e farmaci che invece attivano il canale aprendolo. Mentre la prima classe di farmaci agisce prevalentemente su canali del K+ voltaggio-dipendenti, la seconda apre i canali del K+ dipendenti dalla concentrazione intracellulare dell'ATP (recettori-canale; v. sotto).

Alcuni farmaci antiaritmici, soprattuto quelli della classe III (come l'amiodarone, il bretilio e il sotalolo), si legano ai canali del K+ voltaggio-dipendenti che si aprono durante la depolarizzazione della membrana citoplasmatica (outward rectifier, canale rettificatore con flusso ionico verso l'esterno): questi canali, favorendo l'estrazione di cariche positive dall'interno verso l'esterno della cellula, assicurano la fase di ripolarizzazione della membrana e ne determinano la durata. I farmaci che ne bloccano l'apertura rallentano la fase di ripolarizzazione della membrana con un conseguente aumento della durata del periodo refrattario, rendendo in tal modo non responsiva la fibra cardiaca all'arrivo di impulsi aritmici ad alta frequenza.

Sulla membrana citoplasmatica sono localizzati alcuni canali ionici, la cui apertura è controllata da ligandi endogeni (recettori-canale). Di questi, le quattro famiglie più note, sito d'azione molecolare di farmaci attivi sul sistema nervoso, sono i recettori-canale nicotinici dell'acetilcolina che conducono Na+ e K+, i recettori-canale del glutammato che conducono prevalentemente Na+ (recettori per l'AMPA e per l'acido kainico) e Ca2+ (recettori per l'NMDA), i recettori-canale di tipo A del GABA che conducono Cl- (v. Biggio e altri, 1992), i recettori-canale di tipo 5-HT3 della 5-idrossitriptammina che conducono cationi (Na+, K+ e Ca2+ ). La selettività ionica di tutti questi recettori-canale non è molto spiccata per ioni con carica dello stesso segno, ma è assoluta per ioni di segno opposto. A queste famiglie di recettori-canale modulati da ligandi endogeni se ne è recentemente aggiunta un'altra di rilevante interesse farmacologico, costituita da canali ionici che conducono K+ e che sono modulati dalle concentrazioni intracellulari di ATP.

La topologia intramembrana dei recettori-canale è costituita da 5 (più raramente 4) subunità proteiche che circoscrivono il canale ionico (v. anche neuroscienze: Basi molecolari della comunicazione neuronale). Nel caso del recettore nicotinico muscolare dell'acetilcolina, che è l'unità di comando funzionale dei muscoli volontari, ogni pentamero proteico è formato dalle subunità α, β, δ ed ε in rapporto stechiometrico 2 : 1 : 1 : 1; ogni subunità è costituita a sua volta da una catena amminoacidica che attraversa 4 volte la membrana plasmatica con 4 segmenti idrofobici, formando due anse intracellulari, la prima corta e la seconda lunga, e una sola ansa extracellulare breve, mentre i suoi terminali idrofilici amminico e carbossilico sono entrambi in posizione extracellulare. Il secondo segmento intramembrana di ogni unità delimita il poro ionico; la faccia luminale di tale segmento è ricca di residui amminoacidici le cui catene laterali, cariche negativamente, sono orientate verso il lume del poro per attrarre i cationi e respingere gli anioni. L'acetilcolina e i farmaci agonisti e antagonisti che competono con il trasmettitore si legano alla porzione extracellulare della subunità α del canale. I curari, usati come coadiuvanti dell'anestesia per ottenere un buon rilasciamento muscolare in corso di interventi chirurgici, competono con l'acetilcolina sul sito di legame specifico e ne bloccano l'azione di apertura del canale. I recettori nicotinici neuronali del sistema nervoso centrale sono simili a quelli muscolari, ma sono costituiti da un rapporto stechiometrico fra le cinque subunità di 2α e 3β. I recettori nicotinici del sistema nervoso centrale svolgono un ruolo nei processi mnemonici e i farmaci agonisti di questi recettori sono stati adoperati per il trattamento di disturbi cognitivi, ma con risultati alquanto discutibili.

La conformazione e la topologia intramembrana dei recettori-canale del glutammato non sono ancora chiaramente definite. Le subunità proteiche posseggono un terminale amminico extracellulare e un terminale carbossilico intracellulare. L'acido glutammico è il più abbondante trasmettitore eccitatorio del sistema nervoso centrale. I recettori AMPA e kainato sono responsabili della trasmissione rapida nelle sinapsi eccitatorie, mentre i recettori NMDA sono coinvolti nella plasticità sinaptica, che è probabilmente fondamentale nei processi mnemonici. Negli ictus cerebrali ischemici, nella ipoglicemia grave, durante prolungati attacchi convulsivi, le concentrazioni di glutammato negli spazi extracellulari del sistema nervoso si elevano a tal punto da aprire un gran numero di canali e l'eccesso di ioni penetrati nelle cellule attraverso questi recettori di canale produce morte neuronale eccitotossica. Sebbene attualmente non siano stati introdotti in terapia farmaci capaci di antagonizzare tali recettori, si conoscono molte molecole che sperimentalmente bloccano i canali ionofori del glutammato e che sono efficaci nel trattamento dell'epilessia e nel ridurre la morte neuronale causata da ischemia focale.

Il GABA e i suoi recettori sono considerati il principale sistema di neurotrasmissione inibitoria. Il recettore del GABA di tipo A è un canale ionico permeabile ai Cl-. L'apertura di questi canali aumenta la polarizzazione di membrana e rende meno eccitabili i neuroni. Si tratta probabilmente di un recettore pentamerico, costituito nella forma più diffusa da tre subunità proteiche nel rapporto stechiometrico di 2α, 2β, 1γ, che possiede sulla faccia extracellulare della subunità α il sito di legame per le benzodiazepine, farmaci sedativi e ansiolitici. Il GABA si lega alla faccia extracellulare della subunità β, mentre l'etanolo e i barbiturici si legano alla porzione più interna del canale, immersa nello spessore della membrana cellulare. Esistono molti sottotipi del recettore per il GABA, caratterizzati da differenti isoforme delle sue subunità proteiche: è probabile che le differenti sottopopolazioni di recettori GABA-ergici controllino funzioni diverse e abbiano differente sensibilità per i farmaci. Le benzodiazepine legandosi a questo recettore aumentano l'affinità del recettore per il GABA (modulazione allosterica) con la mediazione della subunità proteica γ, potenziando così la trasmissione sinaptica inibitoria. Molti ritengono che questo meccanismo d'azione molecolare sia alla base dell'effetto ansiolitico e antiepilettico delle benzodiazepine. Meno convincenti sono invece le prove che attacchi di panico e di ansia o manifestazioni epilettiche della patologia umana siano il risultato di una inibizione funzionale dei recettori-canale del GABA.

Il recettore-canale del tipo 5-HT3 della 5-idrossitriptammina è un omopentamero con 5 subunità circoscriventi il canale ionico costituite da proteine di eguale struttura primaria, con 4 segmenti idrofobici intramembrana. Questi recettori sono presenti in aree del sistema nervoso centrale implicate nel riflesso del vomito (nucleo del tratto solitario, area postrema). Alcuni antagonisti selettivi di questa classe di recettori sono potenti farmaci antiemetici (ondansetron, granisetron, tropisetron), utilizzati nel trattamento dei vomiti tossici incoercibili prodotti da alcuni farmaci antineoplastici.

I canali del potassio modulati dall'ATP (KATP)hanno assunto recentemente un notevole interesse in quanto siti molecolari di interessanti azioni farmacologiche (v. Sachs e altri, 1988). Le concentrazioni intracellulari di ATP regolano la funzione del canale: il legame con l'ATP ne determina infatti la chiusura. Anche questa famiglia è assai eterogenea e comprende canali presenti nei miociti cardiaci, nella muscolatura liscia e scheletrica, in cellule nervose e nelle cellule β pancreatiche. Alcuni farmaci ipotensivi in uso da tempo nella terapia dell'ipertensione arteriosa, come il pinacidile, il minossidile e il diazossido, producono vasodilatazione periferica e caduta delle resistenze vascolari aprendo i canali del KATP delle fibre muscolari lisce vasali. L'apertura di questi canali produce un aumento del potenziale di membrana (iperpolarizzazione) che riduce l'eccitabilità della fibra contrattile con conseguente diminuzione delle risposte vasocostrittorie. I canali ionici di questo tipo sono normalmente chiusi o conducono poco perché le concentrazioni di ATP intracellulari sono ben al di sopra di quelle necessarie per determinarne la chiusura. Ma in casi di anossia (ad esempio ischemia) le concentrazioni di ATP cadono sotto la soglia di chiusura e i canali del KATP si aprono iperpolarizzando le membrane cellulari e producendo un arresto della contrazione e dell'attività bioelettrica: la cellula entra così in uno stato di risparmio energetico che, entro certi limiti, la protegge dal danno anossico. I farmaci capaci di aprire questi canali potenziano tale meccanismo fisiologico di protezione anossica e possono rappresentare una strategia terapeutica nell'infarto e nell'ictus cerebrale. Una analoga azione a livello della muscolatura liscia bronchiale può essere utilizzata per prevenire attacchi di broncocostrizione in soggetti iperreattivi: il cromakalim, un farmaco capace di aprire i canali KATP, è utilizzato in clinica per il trattamento dell'asma notturno. Sono in corso di sperimentazione clinica come antiepilettici e analgesici altri farmaci attivanti, con meccanismi molecolari analoghi, i canali KATP a livello dei neuroni del sistema nervoso centrale.

Nelle cellule β pancreatiche i canali KATP regolano la secrezione di insulina. Quando i livelli di glucosio nel sangue si innalzano, aumenta anche il trasporto intracellulare del glucosio nelle cellule β pancreatiche e, di conseguenza, la produzione di ATP, il quale chiude i canali KATP, normalmente aperti in queste cellule in condizioni di riposo: la cellula si depolarizza e secerne insulina. I farmaci ipoglicemizzanti orali della classe delle sulfoniluree sono inibitori specifici dei canali KATP: attraverso tale meccanismo molecolare questi farmaci aumentano la secrezione di insulina in risposta al glucosio nei pazienti diabetici.

II. I recettori dell'insulina e dei fattori di crescita. - Questo tipo di recettore è una proteina enzimatica di membrana che ha un dominio catalitico intracellulare (proteinchinasi, guanilatociclasi) e un sito extracellulare di riconoscimento del ligando, connessi tra loro da un solo segmento intramembrana. A questa categoria appartengono i recettori dell'insulina e dei fattori di crescita e il recettore del peptide natriuretico atriale. Il ligando endogeno, o il farmaco, combinandosi con il sito extracellulare produce un cambiamento conformazionale che attiva il sito catalitico intracellulare o rende accessibile un sito del recettore che lega un enzima diffusibile, dando così inizio a una catena di reazioni enzimatiche.

III. I recettori dei farmaci accoppiati alle proteine G. - Il recettore di questo tipo è una macroproteina che attraversa sette volte la membrana plasmatica, i cui componenti principali sono: sette segmenti idrofobici sotto forma di α-eliche; sei anse idrofiliche, tre intracellulari e tre extracellulari, che collegano i segmenti idrofobici intramembrana; e due terminali idrofilici, uno amminico extracellulare e uno carbossilico intracellulare. La porzione intracellulare del recettore è accoppiata a una proteina G. Le proteine G rappresentano una numerosa famiglia di proteine eterotrimeriche costituite da tre subunità, chiamate α, β, γ, di cui la subunità α costituisce l'unità catalitica capace di legare e idrolizzare il GTP (v. Kaziro e altri, 1991). Attraverso la subunità α questi recettori trasducono il messaggio chimico del ligando a molecole enzimatiche di membrana, quali la adenilatociclasi, la guanilatociclasi, la fosfolipasi, o a canali ionici. Un gran numero di farmaci e di trasmettitori endogeni si lega a recettori di questo tipo: appartengono a questa famiglia i recettori adrenergici di tipo α e β, i recettori dopamminergici, alcuni recettori della 5-idrossitriptammina, i recettori oppioidi e di molti altri messaggeri peptidici, i recettori di eicosanoidi e dell'istamina, il recettore metabotropico del glutammato, i recettori dei cannabinoidi.

IV. Le pompe ioniche come siti molecolari di azione dei farmaci. - Il recettore pompa ionica è una unità catalitica di membrana che utilizza l'energia dei legami fosforici dell'ATP per pompare ioni fuori e dentro la cellula contro gradienti elettrochimici. Appartengono a questo tipo il recettore farmacologico dei glicosidi digitalici, la Na+/K+-ATP-asi o pompa del sodio, e il recettore farmacologico dell'omeprazolo, la H+/K+-ATP-asi o pompa protonica di cui si è già parlato. Queste pompe sono costituite da due subunità proteiche: la subunità α funziona da pompa ionica, mentre la subunità β rappresenta l'unità di allocazione e di trasferimento in membrana della pompa. La subunità α è una proteina di membrana con 8-12 segmenti idrofobici intramembrana e con gli ammino- e carbossi-terminali idrofilici in posizione intracellulare. L'Na+ e l'ATP nella pompa del sodio e l'H+ e l'ATP nella pompa protonica si legano sulla faccia intracellulare delle pompe, dove esiste un sito di legame con alta affinità per questi ioni quando la pompa si trova in questa conformazione iniziale. L'attivazione, determinata dal legame di questi ioni, consiste in un cambiamento conformazionale che scopre il sito catalitico, innesca l'idrolisi dell'ATP e la conseguente fosforilazione di un residuo aspartico situato sulla seconda ansa intracellulare della pompa. La reazione catalitica di fosforilazione produce un cambiamento conformazionale nella proteina, che ruota nella membrana citoplasmatica esponendo i siti di legame dell'Na+ (nella pompa del sodio) e dell'H+ (nella pompa protonica) all'ambiente extracellulare, rilasciando in questo ambiente gli ioni: la pompa fosforilata ha infatti un'affinità molto bassa per questi ioni, ma un'affinità elevata per lo ione K+. Ioni K+ si legano quindi alla superficie extracellulare della pompa fosforilata, ne inducono un cambiamento conformazionale che produce rotazione del sito ionico di legame in posizione intracellulare, conseguente defosforilazione del residuo aspartico e rilascio di fosfato e dello ione K+ nell'ambiente intracellulare. La pompa ritorna così nella conformazione iniziale e il ciclo può ricominciare. I glicosidi digitalici e la forma attivata dell'omeprazolo, legandosi alle relative pompe, ne bloccano i cambiamenti conformazionali necessari per il funzionamento.

V. I trasportatori di membrana come siti di azione molecolare dei farmaci. - Il recettore in questo caso è un trasportatore di soluto che opera contro un gradiente e l'energia elettrochimica necessaria per il trasporto è fornita da un contro-ione. L'attenzione dei farmacologi è stata prevalentemente rivolta ad alcuni membri della famiglia dei trasportatori Na+/Cl--dipendenti che sono di importanza fondamentale per il processo di ricattura di neurotrasmettitori dopo la loro liberazione dai terminali presinaptici. Questa famiglia di trasportatori può essere suddivisa ulteriormente in due gruppi: i trasportatori delle monoammine (dopammina, 5-idrossitriptammina, noradrenalina), e i trasportatori degli amminoacidi (acido γ-amminobutirrico, glicina, betaina, taurina, prolina). Tutti questi trasportatori sono macromolecole proteiche inserite nella membrana con dodici segmenti idrofobici, che posseggono sei anse idrofiliche extracellulari di cui la seconda di grosse dimensioni, cinque anse idrofiliche citoplasmatiche e, come tutti i trasportatori e le pompe ioniche, i terminali idrofilici amminico e carbossilico in posizione intracellulare. I trasportatori monoamminici sono il sito di azione molecolare di alcuni psicofarmaci, come la cocaina, che bloccano la ricattura dei neurotrasmettitori. Un'altra famiglia di trasportatori H+-dipendenti di interesse farmacologico è quella che concentra entro le vescicole sinaptiche i neurotrasmettitori monoamminici. Lo psicofarmaco reserpina si lega a questo sistema di trasporto impedendo l'accumulo intravescicolare delle monoammine e depauperando i terminali sinaptici di questi neurotrasmettitori. In tal modo questi farmaci inibiscono la trasmissione sinaptica privando la sinapsi del neurotrasmettitore.

VI. La meccanica molecolare di attivazione dei recettori di membrana. - Da questa breve rassegna sull'organizzazione molecolare dei recettori risulta evidente che i canali ionici, le pompe ioniche e i trasportatori sono unità funzionali in cui la funzione di accettore del segnale è combinata con la funzione di trasduttore e di effettore finale del messaggio. Gli eventi bioelettrici e i movimenti ionici che controllano il funzionamento di queste unità sono sufficientemente potenti da vincere le barriere energetiche contro cui operano i cambiamenti conformazionali nei canali e nelle pompe ioniche. La complessità molecolare di questi recettori rende difficile mettere a punto modelli dinamici in grado di spiegarne la meccanica molecolare di attivazione. I recettori accoppiati alle proteine G sono invece delle unità con funzione di accettore e di trasduttore. In questi sistemi il segnale proveniente dall'interazione agonista-recettore è molto debole; di conseguenza, se il legame con l'agonista deve generare una transizione conformazionale del recettore (R → R*), in grado di attivare la proteina G, questa modifica conformazionale deve avvenire contro barriere energetiche debolissime (≅3 kcal). L'analisi al calcolatore della dinamica molecolare della reazione di attivazione del recettore permette di prospettare come modifica conformazionale probabile per energie così basse solo un piccolo riarrangiamento delle α-eliche nei segmenti intramembrana della proteina recettoriale, che passerebbero da eliche a 3,6 residui amminoacidici per giro a eliche a 3 residui per giro. Tuttavia, è dubbio che tale debole modifica conformazionale possa avvenire in tutti i recettori di questa superfamiglia senza incontrare impedimenti sterici nelle catene laterali dei loro amminoacidi. Inoltre, vi sono esempi che dimostrano come una stessa molecola recettoriale può possedere più di un sito di attivazione su cui differenti agonisti possono legarsi e produrre differenti modifiche conformazionali: in questi casi risulta molto dubbia la teoria che vuole che un unico specifico cambiamento conformazionale del recettore sia responsabile dell'attivazione della proteina G. Recenti dati sperimentali e simulazioni al calcolatore mostrano invece che in molti recettori di questa famiglia è dimostrabile un trasferimento di protoni (H+) dall'esterno all'interno della cellula a seguito del legame di un agonista. Secondo questa teoria i recettori accoppiati alle proteine G funzionerebbero come semiconduttori di protoni durante l'attivazione. Tutti i semiconduttori di protoni conosciuti contengono una estesa rete di legami idrogeno. Le proteine che posseggono un sufficiente numero di gruppi capaci di formare legami idrogeno (come le catene laterali degli amminoacidi serina, cisteina, tirosina, acido aspartico, asparagina, lisina, arginina e istidina) possono ripiegarsi nell'ambiente lipofilico della membrana citoplasmatica in modo tale da formare catene ordinate di legami idrogeno che attraversano la membrana e conducono i protoni. È stato calcolato che per attraversare una membrana occorre una catena ininterrotta di 20-25 legami idrogeno. Un punto di interruzione della catena arresta totalmente la conduzione dei protoni. L'agonista legandosi al recettore attiva la catena ordinata di legami idrogeno attraverso la quale un protone può essere trasportato con un meccanismo di ‛salto/giro' (hop/turn) sino all'unità catalitica della proteina G, attivandola. In questo modello gli agonisti possono attivare il flusso di protoni in due maniere: o partecipando direttamente con loro gruppi alla formazione della catena ordinata di legami idrogeno, o aprendo porte idrofobiche. La catena di legami idrogeno ordinati conduce i protoni da un alto (extracellulare) a un basso (intracellulare) potenziale elettrochimico protonico e consente ai protoni di interagire con la proteina G. È stato possibile verificare sperimentalmente con un microfisiometro il pompaggio di protoni a seguito dell'attivazione di recettori accoppiati alle proteine G. Il lato più affascinante di questa teoria è che essa andrebbe d'accordo con il meccanismo di attivazione delle proteine G oggi ritenuto più probabile. Al precedente modello che prevedeva uno scambio tra GDP e GTP sull'unità catalitica, seguito dal distacco della subunità α e conseguente idrolisi del GTP, si è andato progressivamente sostituendo un modello che rendesse ragione di alcune risultanze sperimentali non compatibili con la precedente teoria. Si è constatato che nei primi 4 s di attivazione, invece di un semplice scambio tra GDP e GTP si verifica una vera sintesi di GTP dal GDP + Pi: in altre parole, nei primi 4 s di attivazione la proteina G funziona come una GTP-sintasi. Il trasferimento di protoni attiverebbe questa sintesi e conseguentemente la subunità Gα*-GTP si dissocierebbe dal complesso ternario per accoppiarsi all'effettore. Nel complesso il segnale dell'agonista verrebbe amplificato a livello di questi recettori in almeno tre stadi. Il primo livello di amplificazione consiste nel fatto che il recettore attivato (R*) può accoppiarsi ripetutamente a più di un trimero G proteico legante GDP e fosfato inorganico (Gαβγ-GDP-Pi). L'attivazione, infatti, inizia con la sintesi di GTP che produce R*-Gαβγ-GTP; immediatamente la subunità Gα*-GTP si distacca dal complesso ternario e un'altra molecola di Gαβγ-GDP-Pi va a legarsi a R*. Così il ciclo ricomincia e la stessa molecola di R* può catalizzare la sintesi di molte molecole di GTP (a seconda della emivita di R*). Questo spiega l'elevato consumo di GDP osservato nei primi secondi di attivazione del recettore. Il secondo livello di amplificazione è dovuto al fatto che una molecola di Gα*-GTP può accoppiarsi a più molecole di effettore (ad esempio adenilatociclasi). Il terzo livello di amplificazione risiede nella capacità di Gα*, una volta idrolizzata la molecola di GTP e attivata una molecola di effettore, di ricombinarsi immediatamente con altre molecole di GTP e attivare nuove unità effettrici. Tutto ciò dipende dai rapporti spaziali citosolici delle varie unità catalitiche e dei loro substrati. GTP, GDP e fosfati hanno basse velocità di diffusione citosolica e questo fatto rappresenta il fattore limitante spaziale delle reazioni catalitiche di idrolisi. Questo meccanismo ha alcune importanti implicazioni. L'amplificazione del segnale può essere ottenuta con una sola subunità Gα*, perché le alte concentrazioni di GTP sintetizzato stabilizzano la forma attivata di questa subunità, impedendo il suo riaccoppiamento con Gαβ e favorendone il legame all'effettore. Lo spegnimento del segnale a questo livello avviene quando l'idrolisi del GTP ne abbassa i livelli mentre innalza quelli di GDP: l'equilibrio allora si sposta verso il trimero Gαβγ che lega il GDP. Questo è lo stadio di inattivazione. Una serie di stadi di amplificazione è inoltre interposta tra l'effettore biochimico e l'operatore della risposta biologica. Una unità enzimatica, separata dal recettore, ricevuto il messaggio dalla unità α della proteina G, produce la sintesi di secondi messageri (cAMP, cGMP, IP3, diacilglicerolo), che innescano una serie di catene enzimatiche a cascata fino ad attivare la risposta biologica. Una conseguenza di questa cascata amplificatrice di eventi biochimici è che la durata degli effetti prodotti dal farmaco o dal ligando endogeno può essere anche dell'ordine di minuti, poiché dipende criticamente dallo spegnimento di un numero rilevante di messaggi chimici intracellulari.

b) I recettori endocellulari dei farmaci

I recettori per i farmaci e per gli ormoni steroidei (testosterone, estrogeni, progesterone, cortisonici) hanno invece sede intracellulare. Questi recettori, anche se hanno localizzazioni prevalenti diverse all'interno della cellula, posseggono tutti un elevato grado di omologia strutturale e di dinamica molecolare. I farmaci cortisonici liposolubili penetrano facilmente nella cellula e si legano al loro recettore disciolto nella parte fluida del citoplasma. In assenza dell'ormone, il recettore citoplasmatico forma un complesso molecolare inattivo con ‛proteine da shock termico', come hsp90. In seguito all'interazione con l'ormone il recettore cambia conformazione, subisce fosforilazioni, si distacca dalle proteine inibitorie, dimerizza e si trasferisce nel nucleo, dove, legandosi a specifiche sequenze di DNA presenti nei promotori di alcuni geni, ne modula la trascrizione. Le sequenze specifiche di DNA con cui interagiscono i recettori intracellulari sono generalmente delle sequenze palindromiche, ossia dei segmenti di DNA di 11-15 nucleotidi composti da una ripetizione intorno a un centro di simmetria di una stessa sequenza invertita e capovolta, oppure semplici ripetizioni di una stessa sequenza. I meccanismi molecolari responsabili della modulazione della trascrizione da parte dei recettori intracellulari prevedono una interazione con i componenti del complesso di inizio in presenza di altri elementi regolatori che modulano l'effetto finale sulla trascrizione genica. La porzione carbossi-terminale del recettore steroideo è quella che riconosce lo steroide; la porzione intermedia contiene il codice di riconoscimento della sequenza del DNA nucleare e assume, per la presenza di residui di cisteina, una conformazione stabilizzata ‛a dita' che può coordinare atomi di Zn (zinc-finger); la porzione ammino-terminale contiene il messaggio di attivazione genica specifica. I farmaci antagonisti degli ormoni steroidei (antiandrogeni, antiestrogeni, spironolattoni) interagiscono con il recettore competendo con l'ormone naturale e attivano il recettore operando il suo distacco dalle proteine inibitorie. Ma il complesso recettore-antagonista o non è in grado di legarsi alla sequenza del DNA (antagonismo di tipo I), o si lega ma non è in grado di modificare la velocità di trascrizione del gene (antagonismo di tipo II).

4. Un nuovo protagonista della farmacologia: l'agonista inverso

Da più di cinquant'anni la farmacologia usa i termini di agonista e antagonista per descrivere le azioni recettoriali dei farmaci. Le tecnologie molecolari hanno dimostrato un'altra modalità d'azione: l'agonismo inverso. L'agonismo inverso può essere messo in evidenza solo se il recettore è capace di ‛attività costitutiva', un'espressione che si riferisce alla capacità di alcuni recettori di conservare un certo grado di attività anche in assenza di agonisti: in condizioni di riposo esisterebbe sempre un equilibrio tra due stati, R (inattivo) e R* (attivo). Definiamo agonista un farmaco che promuove la transizione R → R*, antagonista un agente che non modifica l'equilibrio delle forme di riposo ma compete con tutti i tipi di agonisti impedendo loro di modificare l'equilibrio, mentre un agonista inverso promuove la transizione R* → R e pertanto inattiva il recettore anche in assenza di agonista. Poiché tutti gli agonisti inversi sono, per quanto riguarda la risposta biologica, degli antagonisti, spesso vengono anche denominati ‛antagonisti con attività intrinseca negativa' per distinguerli dagli antagonisti puri. L'agonismo inverso è stato descritto per la prima volta per spiegare l'azione delle β-carboline sul complesso recettore-canale GABAA/benzodiazepine; le β-carboline competono con le benzodiazepine sul sito di legame della subunità β del canale ionico, ma anche in assenza di benzodiazepine promuovono l'inibizione dell'apertura del canale da parte del GABA e l'induzione di attacchi epilettici. La scoperta dell'agonismo inverso β-carboline/recettore-canale GABAA è stato un caso fortunato, perché per il sito allosterico di legame delle benzodiazepine si conoscono anche antagonisti puri, come il flumazenil, che bloccano anche gli effetti inversi delle β-carboline, e perché normalmente, sia in sistemi in vitro che in vivo, questo sito allosterico non è occupato da agonisti. In altri casi, recettori costitutivamente attivi e agonisti inversi sono stati descritti in colture cellulari e in tessuti isolati, ma non in vivo. Ciò non significa che si tratti di uno stato artificiale che il recettore assume solo in sistemi isolati in vitro né che gli agonisti inversi non funzionino in vivo, ma solo che in vivo non si possono realizzare facilmente le condizioni per misurare l'attività costitutiva e, di conseguenza, l'agonismo inverso. Occorre infatti essere sicuri che il recettore sia in condizioni assolute di riposo, cioè in assenza totale di agonisti; inoltre le forme R* del recettore in assenza di agonista sono di solito poche ed è perciò difficile misurare l'effetto inibitore di un agonista inverso su di un'attività recettoriale molto debole. Le biotecnologie genetiche sono riuscite a risolvere in parte il problema transfettando con il codice del recettore cellule che non posseggono il recettore. Alcune linee cellulari transfettate esprimono il recettore in alta densità, tale che la concentrazione delle forme R* sia sufficiente per assicurare una certa attività recettoriale in assenza di agonisti. Su queste colture di cellule transfettate è possibile dimostrare una inibizione dell'attività costitutiva proporzionale alla concentrazione dell'agonista inverso. È anche possibile produrre animali transgenici che sovresprimono il recettore: da topi transgenici con sovrespressione di recettori β2-adrenergici nei miociti cardiaci (100 volte più concentrati che nei topi normali) sono stati prelevati frammenti di atrio sinistro che, portati in vitro e stimolati elettricamente, hanno permesso di dimostrare che alcuni farmaci ritenuti β2-antagonisti svolgevano un effetto inotropo negativo concentrazione-dipendente tipico di un agonista inverso. Questi farmaci sono del tutto inattivi sui frammenti di atrio di topi normali. Dati analoghi sono stati ottenuti in vivo su topi transgenici sovraespressori di altri recettori (recettori muscarinici dell'acetilcolina). L'agonismo inverso può avere un significato farmacologico se ha un significato fisiologico o patologico l'attività costitutiva di un recettore. Da un punto di vista fisiologico sembrerebbe logico pensare che tale tipo di attività recettoriale, che si verifica in assenza di qualsiasi messaggio, debba essere considerata più come un ‛rumore di fondo' del sistema di trasmissione da eliminare che come un processo funzionalmente utile. Inoltre si ammette che uno dei ruoli fisiologici della subunità βγ delle proteine G sia proprio quello di attenuare tale rumore, poiché questa subunità impedirebbe l'accoppiamento dei recettori non occupati dall'agonista con la proteina G trimerica, bloccando così ogni possibilità di trasdurre segnali. Tuttavia, esistono condizioni farmacologiche e patologiche in cui l'agonismo inverso può svolgere un ruolo importante. Come sarà detto nel cap. 5, l'esposizione cronica del recettore a un farmaco antagonista determina spesso una esaltazione della risposta recettoriale agli agonisti (‛sensitizzazione'): tale fenomeno è stato imputato all'attività agonista inversa di alcuni antagonisti. Attività costitutiva di recettori è stata segnalata inoltre in alcuni processi patologici, come la pubertà maschile precoce familiare, gli adenomi tiroidei e la schizofrenia. Per il momento non sono stati descritti agonisti inversi naturali.

5. La modulazione farmacologica della risposta recettoriale

L'invecchiamento della popolazione, con il conseguente diffondersi di processi patologici cronici, rende sempre più frequente la somministrazione di farmaci in cicli terapeutici di lunga durata. Il farmaco è uno xenobionte che si presenta al recettore con modalità quantitative e qualitative differenti dal ligando endogeno. Già da molti anni è noto che la prolungata esposizione dei recettori per i mediatori endogeni a ligandi esogeni in concentrazioni spesso più elevate di quelle dei ligandi naturali e sicuramente non controllate dai sistemi di autoregolazione endogena può portare a una diminuzione o a una esaltazione della funzione bersaglio del farmaco. I farmacologi molecolari hanno contribuito a delucidare alcuni meccanismi con cui la risposta recettoriale può essere modificata da una esposizione prolungata o ripetuta al farmaco.

La modifica più frequente è una diminuzione della risposta recettoriale per esposizione ripetuta del sistema biologico a un farmaco agonista. Essa viene denominata ‛desensitizzazione', un brutto termine preso in prestito dalla lingua inglese (v. Dohlman e altri, 1991). In certi casi, ma non sempre, questo fenomeno può rappresentare uno dei meccanismi molecolari con cui si sviluppa quel complesso fenomeno biologico denominato tolleranza, che è tipico, ma non esclusivo, dell'uso prolungato di alcuni farmaci di abuso (oppiacei, barbiturici, alcool). La desensitizzazione a livello molecolare può riguardare la sola famiglia recettoriale a cui si lega il farmaco (‛desensitizzazione omologa'), oppure estendersi a recettori differenti che non legano il farmaco ma che utilizzano in parte o in tutto lo stesso sistema di trasduzione del segnale o gli stessi effettori a cui sono accoppiati i recettori del farmaco (‛desensitizzazione eterologa').

Altre volte l'esposizione ripetuta o prolungata al farmaco esalta la risposta recettoriale (sensitizzazione ). Di solito l'aumento della risposta recettoriale può essere la conseguenza di una prolungata esposizione del recettore a farmaci antagonisti. Ma anche alcuni agonisti (farmaci psicostimolanti) possono creare delle tracce mnemoniche molecolari che modificano il fenotipo cellulare, rendendolo più sensibile al farmaco o a stimoli che utilizzano direttamente o indirettamente la stessa funzione biologica bersaglio del farmaco.

Anche i processi di desensitizzazione e di sensitizzazione non sono fenomeni esclusivamente farmacologici, ma, nell'economia generale del sistema biologico, svolgono importanti ruoli fisiologici. Due famiglie di recettori sono particolarmente sensibili a queste modificazioni funzionali: i recettori-canale e i recettori accoppiati alle proteine G.

La desensitizzazione dei recettori-canale è una proprietà intrinseca di questi trasduttori legata alla dinamica molecolare del recettore. Ne è un esempio tipico il recettore nicotinico muscolare per l'acetilcolina. Come altri recettori di questa superfamiglia, il recettore nicotinico è in realtà una miscela di più conformeri il cui rapporto dipende dalla concentrazione dell'agonista endogeno (acetilcolina), dal potenziale transmembrana e dalla fosforilazione di alcuni siti intracellulari del recettore. Quando l'acetilcolina si lega al recettore l'equilibrio si sposta dalla forma di riposo del canale (conformero R) verso la forma aperta del canale (conformero A) e il flusso di cationi attraversa il poro canale depolarizzando la membrana plasmatica. La velocità di transizione da R ad A è molto elevata, poiché il processo avviene in circa 1 ms. Sono stati identificati altri due stati conformazionali del recettore-canale che posseggono un'affinità per l'acetilcolina 20 e 100 volte superiore a quella del conformero R: i conformeri I e D, forme molecolari desensitizzate nelle quali il poro ionoforo è in conformazione chiusa (il flusso ionico è bloccato e la membrana è polarizzata o iperpolarizzata) e sono accessibili siti allosterici di legame ad alta affinità per l'acetilcolina e per farmaci analoghi, diversi dal sito operativo che apre il canale ionico. La transizione del recettore-canale verso le forme desensitizzate, cioè incapaci di aprire il poro per condurre ioni, è dovuta al persistere del ligando endogeno (acetilcolina) o di farmaci (curari depolarizzanti) sui siti allosterici stabilizzanti di queste conformazioni quando la membrana postsinaptica è stata ripolarizzata dopo una iniziale depolarizzazione. Questi farmaci, infatti, a differenza dell'acetilcolina, non vengono idrolizzati dall'acetilcolinesterasi della placca motrice, e quindi sono allontanati molto lentamente dallo spazio sinaptico. Con tale meccanismo molecolare i curari depolarizzanti prima eccitano la placca, poi la paralizzano, desensitizzando i recettori e permettendo il rilasciamento muscolare necessario per l'intervento chirurgico. Nel caso dei recettori-canale, quindi, il meccanismo molecolare della desensitizzazione non prevede il coinvolgimento del sistema di trasduzione postrecettoriale, né una variazione del numero dei recettori. Differente è il meccanismo molecolare di alcuni processi di desensitizzazione che riguardano la superfamiglia dei recettori accoppiati alle proteine G. Un esempio tipico è il recettore β-adrenergico. Da tempo è noto che l'uso ripetuto di farmaci agonisti di questi recettori nella terapia dell'asma bronchiale porta a un'evidente riduzione dell'effetto broncodilatatorio. La causa prima della perdita di efficacia osservata risiede in un complesso processo di desensitizzazione del recettore β-adrenergico prodotto da fosforilazioni del recettore. Queste fosforilazioni avvengono soltanto sul recettore attivato dall'agonista e quindi il processo di desensitizzazione è tanto più intenso quanto più frequente e duratura è l'occupazione del sito recettoriale da parte del farmaco. Un primo processo di fosforilazione del recettore è dovuto a una chinasi specifica denominata appunto β-Adrenergic Receptor Kinase, o β-ARK. Quando il recettore viene attivato dall'agonista, questa chinasi viene traslocata dal citoplasma alla membrana plasmatica dove, interagendo con le subunità βγ della proteina G recettoriale, si attiva e fosforila un sito specifico del recettore coinvolto nell'interazione con la proteina G. Il recettore fosforilato lega una proteina chiamata β-arrestina che ne stabilizza questa conformazione e ne blocca l'accoppiamento alle proteine G. Il disaccoppiamento del recettore fosforilato dal sistema di trasduzione delle proteine G produce desensitizzazione per due motivi: in primo luogo, l'occupazione del recettore fosforilato da parte del farmaco risulta operativamente inefficace perché il messaggio chimico non è trasdotto all'effettore dalle proteine G; in secondo luogo, l'affinità del sito recettoriale per il farmaco e i ligandi endogeni è notevolmente diminuita a causa del disaccoppiamento con la proteina G. Un processo più lento di desensitizzazione del recettore β-adrenergico è prodotto da un diverso tipo di fosforilazione del recettore, che determina una riduzione del numero dei recettori esposti sulla superficie cellulare (down regulation). L'occupazione del recettore da parte dell'agonista, specie se prolungata come quella da farmaci, determina un altro processo di fosforilazione recettoriale a opera di una proteinchinasi A (PKA) diversa dal β-ARK, che interessa un sito diverso da quello che interagisce con le proteine G. Questa fosforilazione è un segnale per il distacco del recettore dalla membrana plasmatica e la sua internalizzazione nell'endosoma cellulare. Nel compartimento endosomiale, il recettore può essere defosforilato da fosfatasi e quindi ritornare sulla membrana plasmatica. Questo tipo di down regulation recettoriale è quindi un fenomeno reversibile e piuttosto rapido (dell'ordine di minuti). In un intervallo di tempo più lungo (ore), l'occupazione del recettore da parte dell'agonista produce dei messaggi diretti al nucleo che hanno il compito di reprimere l'espressione dell'mRNA codificante per la proteina recettoriale. In questa down regulation tardiva il numero dei recettori della membrana plasmatica diminuisce essenzialmente per ridotta sintesi di nuove molecole proteiche. In altre forme di down regulation tardiva è l'accelerata distruzione del recettore fosforilato nei lisosomi intracellulari il principale processo molecolare che riduce la densità dei recettori nella membrana citoplasmatica.

Un terzo tipo di desensitizzazione farmacologica dei recettori accoppiati alle proteine G è dovuto a una riduzione dei livelli cellulari o a una traslocazione dalla membrana al citoplasma delle proteine G che trasducono il messaggio di questi recettori: è questo il caso dei recettori adenosinici e dei recettori per i prostanoidi (v. Schütz e Freissmuth, 1992).

La sensitizzazione recettoriale da farmaci è un fenomeno più raro, meno noto e, in taluni casi, molto complesso, che può verificarsi per occupazione ripetuta e prolungata del recettore da parte di un farmaco antagonista: in questo caso è di solito il numero dei recettori di membrana ad aumentare per accelerata trascrizione dei relativi geni. Ma anche alcuni agonisti come oppioidi, cocaina, anfetammina, nicotina possono supersensitizzare a effetti eccitatori alcuni circuiti neuronali catecolamminergici. Il messaggio del farmaco o del ligando endogeno a livello del recettore di membrana non si esaurisce nella risposta recettoriale immediata, ma viene trasmesso al nucleo della cellula attraverso una complessa catena di eventi biochimici. Il messaggio nucleare induce la trascrizione di alcune famiglie di geni che codificano per fattori di trascrizione della famiglia AP-1; questi ultimi si legano al DNA e attivano la trascrizione di altri geni con il risultato finale di un cambiamento, nell'arco di alcune ore o giorni, del fenotipo cellulare a livello di alcuni componenti funzionali e strutturali della membrana plasmatica. Nuovi contatti sinaptici vengono creati e le sinapsi responsabili della risposta farmacologica aumentano e si rafforzano (memoria molecolare). L'esposizione ripetuta al farmaco ha così creato circuiti neuronali preferenziali e stabilizzati attraverso un processo biologico che rappresenta il meccanismo molecolare dell'apprendimento e della memoria. Tutti gli stimoli endogeni o esogeni che attivano questi circuiti neuronali evocano risposte esaltate che ricordano da vicino la risposta prodotta dalla somministrazione del farmaco. Questi processi di supersensitizzazione sembrano svolgere un ruolo di rilevante importanza nella genesi di alcune psicosi da anfetammina e cocaina e nella vulnerabilità alla droga del tossicodipendente. In altri casi i fattori di trascrizione indotti dall'esposizione al farmaco attivano la trascrizione genica di programmi che portano alla morte cellulare (‛apoptosi').

6. La modulazione farmacologica della trascrizione genica

Da quanto si è detto appare probabile che l'azione di molti farmaci non si esaurisca nella immediata risposta recettoriale che determina l'effetto farmacologico, ma si estenda nel tempo attraverso una modulazione della trascrizione genica. Dei meccanismi molecolari che determinano questo tipo di risposte ritardate ai farmaci sappiamo ancora poco: li temiamo più di quanto li controlliamo o li utilizziamo. In termini molto generali si può affermare che i meccanismi molecolari che controllano l'espressione di una proteina operano regolando la trascrizione del relativo gene da parte dell'RNA-polimerasi II, l'enzima responsabile della sintesi degli RNA messaggeri. La corretta posizione di inizio della trascrizione di un gene dipende dall'interazione dell'enzima con proteine genericamente denominate ‛fattori di trascrizione'. Come abbiamo già visto, la farmacologia molecolare dei fattori di trascrizione ha fatto progredire le nostre conoscenze soprattuto nell'ambito della superfamiglia dei recettori per gli ormoni steroidei, che sono essi stessi dei fattori di trascrizione, e dei fattori di trascrizione della famiglia AP-1 (proteine Fos e Jun), la cui trascrizione viene indirettamente attivata da segnali provenienti dalla membrana citoplasmatica a seguito della reazione farmaco-recettore (v. Pennypacker e altri, 1995). Ma gli stessi fattori di trascrizione possono essere bersaglio di farmaci. Un farmaco in uso da molto tempo ha recentemente dimostrato una insospettata azione molecolare a questo livello: l'aspirina. È probabile che l'azione antinfiammatoria esercitata da alte dosi di aspirina, quali quelle utilizzate nella terapia dell'artrite reumatoide, dipenda dall'inibizione trascrizionale di proteine importanti nella patogenesi della malattia infiammatoria. Mentre il farmaco somministrato a piccole dosi - sufficienti per rimuovere dolori lievi, ridurre la febbre e inibire l'aggregazione piastrinica - svolge il suo effetto terapeutico attraverso l'inibizione della ciclossigenasi e il conseguente blocco della sintesi dei prostanoidi infiammatori, a dosi più elevate sembra agire a livello di un fattore di trascrizione genica, il fattore NFkB. Questo fattore è stato inizialmente scoperto nei linfociti B, nei quali regola l'espressione della catena leggera κ delle immunoglobuline. Normalmente NFkB è espresso nel citoplasma di molti tessuti ancorato a una proteina inibitoria detta IkB. L'attivazione di NFkB può essere indotta da agenti biologici esogeni (virus), da agenti chimici, fisici, nonché da mediatori endogeni della risposta immunitaria-infiammatoria, come le citochine. L'attivazione consiste nella dissociazione di NFkB da IkB a seguito di processi di fosforilazione del complesso proteico a opera di proteinchinasi; NFkB è quindi libero di migrare nel nucleo e di stimolare la trascrizione di alcuni geni che codificano per importanti peptidi e proteine infiammatorie. Di recente è stato dimostrato che alte dosi di aspirina sono capaci di inibire la dissociazione NFkB dalla proteina inibitrice IkB. Come si vede, anche il meccanismo dell'effetto antinfiammatorio dell'aspirina, che per anni è stato attribuito all'inibizione della sintesi dei prostanoidi, non è univoco. Chissà se fra qualche anno cambieremo parere ancora una volta!

Ma la genetica molecolare ha offerto ai farmacologi nuove armi per influenzare direttamente la trascrizione e la traduzione del codice genetico, che è così divenuto un bersaglio farmacologico. La terapia genica del futuro ripone molte speranze di successo nello sviluppo di farmaci inibitori del codice genetico. Le tre principali strategie utilizzate per inibire l'espressione genica fanno uso di oligonucleotidi antisenso anti-mRNA, di oligonucleotidi antisenso anti-gene e di ribozimi.

Nel 1979 Zamenick e Knorre sintetizzarono i primi nucleotidi antisenso con intenti farmacologici (v. Wahlestedt, 1994). Gli oligonucleotidi antisenso (aODN) - il cui bersaglio è di solito un RNA messaggero (mRNA) di cui si vuole inibire la traduzione - sono costituiti da una sequenza di nucleotidi complementare a quella dell'mRNA bersaglio a cui, per tale motivo, si legano (ibridizzano) formando una doppia catena nucleotidica che impedisce la traduzione del codice in proteine. Nel caso di aODN anti-mRNA non modificati, la doppia catena ha una emivita breve, in quanto viene prontamente scissa da enzimi cellulari; questo fatto porta a una distruzione di molecole dell'mRNA bersaglio e quindi a un'ulteriore riduzione dell'espressione delle relative proteine. La progettazione di aODN a scopo farmacologico è un esempio tipico di progettazione molecolare di un farmaco. Esistono alcune regole precise da rispettare per raggiungere lo scopo di inibire efficacemente l'espressione della proteina bersaglio. Innanzitutto è necessario conoscere il codice genetico di ciò che si vuole inibire. Di solito questo non è il problema principale, perché i codici di recettori, trasmettitori, ormoni, enzimi che svolgono ruoli importanti nelle funzioni biologiche sono noti o, per lo più, sono facilmente accessibili. Tuttavia finora solo il 7-8% dei codici di potenziali proteine bersaglio è conosciuto. L'aODN deve avere una lunghezza minima di almeno 12-15 nucleotidi per evitare la malaugurata ipotesi di ibridizzare con un mRNA diverso da quello voluto a causa di omologie di sequenza. La sicurezza di non commettere errori in tal senso aumenterebbe con sequenze più lunghe, ma gli aODN più lunghi di 18 nucleotidi non penetrano bene nelle cellule e non sono quindi in grado di raggiungere il loro bersaglio. Infine, solo alcune regioni dell'mRNA sono adatte a ibridizzare con aODN, e per alcune di esse l'ibridizzazione comporta un blocco più efficiente della traduzione (i tratti regolatori a monte della regione codificante, la zona di inizio della traduzione, alcune regioni terminali non codificanti). L'effetto degli aODN è reversibile e cessa dopo alcuni giorni dalla sospensione della loro somministrazione. Tutti gli aODN fino a oggi sintetizzati non superano la barriera ematoencefalica, per cui tale strategia non può essere impiegata per la terapia di malattie del sistema nervoso centrale, a meno di non somministrare gli oligonucleotidi direttamente nel liquor. La terapia oncologica, la terapia antivirale, il controllo delle reazioni immunitarie sono potenzialmente i settori ideali di applicazione degli oligonucleotidi antisenso, e anche quelli in cui è più carente la farmacologia classica.

Simile alla precedente è la strategia con aODN anti-gene. In questo caso l'aODN è progettato per ibridizzare con il DNA e formare con esso un tratto di tripla elica. Teoricamente questa strategia richiede quantità di aODN molto inferiori a quelle necessarie per bloccare l'mRNA, perché in una cellula di un determinato gene ve ne sono al massimo due copie, mentre di un mRNA ve ne possono essere anche 10.000 copie. Questa strategia è molto più recente (1987) della strategia anti-mRNA, ma ha già fornito risultati incoraggianti anche se i problemi da superare sono ancora molteplici e complessi.

Ancora agli albori è la tecnologia che utilizza i ribozimi. Il ribozima è una sequenza ribonucleotidica in grado di scindere RNA e, con certe modifiche, anche DNA a doppia elica, tramite un meccanismo enzimatico. La strategia sino a oggi usata per la progettazione di farmaci che sfruttino questa proprietà è di inserire la struttura minima necessaria per l'attività enzimatica in sequenze oligonucleotidiche specificamente dirette verso RNA o DNA bersaglio. Le difficoltà maggiori in campo farmacologico sembrano legate alla scarsa capacità di penetrazione di questi complessi attraverso le barriere biologiche.

7. La farmacologia molecolare e il futuro del farmaco

La delucidazione della struttura molecolare dei recettori, la scoperta dei messaggeri peptidici nelle comunicazioni cellulari, la possibilità di modulare e controllare la trascrizione genica in modo reversibile e selettivo e, infine, l'utilizzazione delle biotecnologie per produrre in grandi quantità molecole funzionali che la chimica non era in grado di sintetizzare né di isolare direttamente dagli organismi viventi, hanno aperto nuovi orizzonti per la ricerca farmacologica e prospettato nuovi indirizzi all'industria del farmaco (v. Vinter e Gardner, 1994). È probabile che nel prossimo futuro il vecchio farmaco dell'industria chimica sarà progressivamente sostituito da molecole strutturalmente più vicine a quelle biologiche, prodotte con l'ingegneria genetica e somministrate con tecnologie più selettive e sofisticate delle attuali. Nell'ultimo decennio del Novecento alcuni di questi nuovi farmaci sono già entrati nell'uso terapeutico. L'insulina umana, prodotta da colture di cellule transfettate con il gene umano, è oggi disponibile e ha sostituito quelle bovina e porcina nella terapia del diabete. L'interferone e le interleuchine (v. immunologia clinica e immunopatologia), anch'esse prodotte con le nuove biotecnologie, sono la punta di un iceberg che sempre più emergerà nel futuro della farmacologia. In diversi centri europei e nordamericani sono in corso di sperimentazione su pazienti umani le nuove tecnologie di controllo dell'espressione genica per il trattamento di neoplasie e di malattie genetiche. La possibilità di progettare nuovi farmaci in base al meccanismo d'azione molecolare potrà inoltre ridurre, come alcune componenti sociali da tempo sollecitano, il ricorso alla sperimentazione animale che ancora rappresenta un mezzo essenziale per valutare l'attività farmacologica di nuove molecole su funzioni biologiche complesse. Gli studi di farmacologia molecolare richiedono impegni economici ingenti in termini sia di sofisticate attrezzature che di capitale umano. Le allettanti prospettive sulla possibile utilizzazione terapeutica dei prodotti di questa ricerca hanno fatto sì che un motore importante per lo sviluppo del settore fosse l'industria del farmaco. Tuttavia, per i rischi impliciti in questo tipo di indagini e talvolta per le eccessive speranze riposte, i tempi necessari perché gli investimenti si traducano in nuovi farmaci e producano ritorni economici tendono progressivamente ad allungarsi oltre il previsto. Il motore di oggi può divenire un pericoloso freno per lo sviluppo delle future conoscenze in questo fondamentale settore di ricerca.

Alla progettazione del farmaco la farmacologia molecolare può offrire sistemi biologici semplici su cui saggiare e misurare con sufficiente precisione l'effetto di nuove molecole di sintesi. Con l'ausilio delle biotecnologie è possibile creare linee cellulari che in coltura esprimano stabilmente un elevato numero di recettori farmacologici del tipo desiderato e accoppiati a un definito e misurabile sistema di trasduzione postrecettoriale del segnale. Tutto ciò consente, nei laboratori di sintesi del farmaco, di disporre di un rapido e semplice metodo per valutare l'attività farmacologica e offre agli strutturisti molecolari un mezzo estremamente valido e versatile per identificare nelle molecole i gruppi e le conformazioni essenziali per il funzionamento.

La farmacologia molecolare, con l'ausilio delle tecniche di clonaggio dei geni, può individuare nuovi recettori per nuovi bersagli farmacologici e nuovi messaggi molecolari per nuovi modelli di farmaci, allargando così le possibilità di una terapia razionale.

La farmacologia molecolare ha aperto al futuro della scienza del farmaco la possibilità di controllare l'espressione genica dei componenti molecolari delle funzioni biologiche. La farmacologia di oggi è essenzialmente la farmacologia degli agonisti e degli antagonisti dei recettori biologici; quella di domani modulerà le funzioni biologiche del paziente, inibendo o esaltando l'espressione genica delle molecole endogene responsabili della funzione.

C'è una grande speranza che nel futuro tutte queste possibilità, ancora largamente inesplorate, si tramutino in realtà terapeutiche. Oggi rappresentano un prezioso scrigno di conoscenze in rapida crescita, che non debbono essere disperse e dimenticate a causa di false teorie e di errate mercificazioni.

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