FATIMIDI

Enciclopedia dell' Arte Medievale (1995)

FATIMIDI

S. Carboni

Dinastia islamica che deriva il suo nome da Fāṭima, figlia del profeta Maometto e moglie del quarto califfo ῾Alī. I F. si proclamavano di discendenza sciita ismailita, sebbene il loro legame diretto con ῾Alī e con il settimo imām Ismā῾īl non sia stato mai completamente chiarito. Nonostante questo, il califfato fatimide rappresenta sicuramente il risultato politico più concreto e di maggiore successo del movimento radicale sciita ismailita.La storia della dinastia ebbe inizio nel 297 a.E./909, quando il primo califfo, ᾽Ubaydallāh al-Mahdī (909-934) dalla nativa Siria andò a conquistare l'od. Tunisia e fondò la capitale al-Mahdiyya. Dall'Africa settentrionale fu presto occupata la Sicilia e nel 358 a.E./969 il quarto califfo al-Mu῾izz (953-975) riuscì nell'intento di conquistare l'Egitto e di controllare la maggior parte del territorio siriano. Con ciò si raggiunse la massima espansione territoriale dei F., che già un secolo più tardi avrebbero perduto prima la Sicilia per mano dei Normanni e quindi la Siria all'epoca delle prime crociate. I veri centri del califfato furono comunque la città del Cairo e l'Egitto, che caddero sotto i colpi di Ṣalāḥ al-Dīn (Saladino) nel 567 a.E/1171, anno che rappresenta storicamente la fine della dinastia fatimide.

Architettura

Della capitale al-Mahdiyya (Tunisia), fondata nel 912 e che le fonti attestano dotata di superbe mura, di un porto artificiale e di strade coperte, rimangono oggi i resti del palazzo del secondo califfo al-Qā'im (934-946), la cui insolita e complessa pianta lascia supporre che l'edificio venisse utilizzato per il fastoso cerimoniale di corte più che per scopi difensivi. I pavimenti di alcune sale erano decorati con mosaici in pietra a disegni geometrici. Ad al-Mahdiyya si trova anche una moschea oggi molto restaurata ma la cui struttura originale fatimide fu chiaramente influenzata dalla Grande moschea congregazionale di Kairouan (v.): prevedeva infatti una sala di preghiera formata da nove navate perpendicolari al muro della qibla, con una navata centrale, più alta e più larga, coronata da una cupola di fronte al miḥrāb, e un largo cortile circondato da arcate, che aveva un'area ca. doppia rispetto alla sala di preghiera. Caratteristica della moschea di al-Mahdiyya è la facciata monumentale, che occupa l'intero muro nord-ovest dell'edificio, con un portale centrale aggettante a tripla entrata ad arco a tutto tondo; l'ispirazione per tale facciata va probabilmente ricercata nell'architettura palatina omayyade.Della seconda capitale fatimide in Africa settentrionale, Ṣabra Manṣūriyya, vicino a Kairouan, rimane soltanto la pianta della sala del trono del terzo califfo al-Manṣūr (936-953).Nell'Algeria centrale vanno segnalati due altri monumenti prodotti per dinastie minori sotto dominazione fatimide: il palazzo di Ashīr, costruito intorno al 947, quando la dinastia degli Ziridi fondò la sua capitale, e la Qal῾a ('cittadella') dei Banū Ḥammād, un'intera città con un immenso complesso reale fondata da una dinastia berbera intorno al 1010; la cronologia della Qal῾a non è chiara, ma sembra che tale architettura abbia influenzato quella del sec. 12° in Sicilia sotto i Normanni, date le somiglianze con edifici palermitani quali la Cuba e soprattutto la Zisa.Per quanto riguarda l'Egitto, la fondazione del Cairo (v.) ebbe inizio nel mese di sha^bān 358 a.E./luglio 969, quando le truppe si accamparono vicino ad al-Fusṭāṭ nel punto indicato da Jawhar, il comandante dell'esercito del quarto califfo al-Mu῾izz. La città venne chiamata ufficialmente al-Qāhira ('la Vittoriosa') quando al-Mu῾izz arrivò in Egitto dalla Tunisia nel 973. Secondo lo storico del sec. 15° al-Maqrīzī (al-Khiṭāṭ), nel 973 Jawhar diede inizio alla costruzione di due enormi palazzi, il Grande Palazzo orientale e il Piccolo Palazzo occidentale, collegati da una grande piazza chiamata Bayn al-Qaṣrayn ('tra i due palazzi'), di cui nulla rimane dopo la distruzione in epoca ayyubide (secc. 12°-13°).Il primo simbolico atto della presa di possesso dell'Egitto fu la costruzione di una grande moschea del venerdì che sostituisse le due già esistenti, quelle di ῾Amr e di Ibn Ṭūlūn: si tratta della moschea di al-Azhar, iniziata nel 970 e terminata nel 972, ancor prima dell'arrivo di al-Mu῾izz. Il complesso ha subìto alterazioni durante i secoli, ma la sua pianta originale è nota: si trattava di un impianto ipostilo con una sala di preghiera formata da cinque navate parallele al muro della qibla e con cortile circondato da portici su tre lati; una cupola coronava il miḥrāb superbamente decorato in stucco. Iscrizioni in cufica e arabeschi in stucco, influenzati sia dallo stile di Samarra, già presente nella moschea di Ibn Ṭūlūn, sia dal repertorio bizantino, sono ancora visibili sulle cornici di nicchie, finestre, arcate e pannelli. In una fase successiva dell'epoca fatimide il califfo al-Ḥāfiẓ (1129-1149) fece aggiungere un quarto portico i cui archi carenati differiscono da quelli a tutto tondo degli altri tre.Un secondo edificio è la moschea di al-Ḥākim, iniziata sotto il califfo al-῾Azīz (975-996) nel 990-991, ma terminata dal figlio al-Ḥākim (996-1021) nel 1012-1013. L'area complessiva della grandiosa moschea è doppia rispetto a quella di al-Azhar, anche se la pianta è simile; in al-Ḥākim, tuttavia, la navata centrale perpendicolare alla qibla è più alta e ricorda la moschea di al-Mahdiyya. Tre profondi portici a tre navate circondano il cortile esterno; sulla facciata principale si trova l'entrata monumentale. Caratteristici del profilo dell'edificio sono i due grandi minareti ai lati della facciata, notevoli sia per la loro decorazione sia per il fatto di essere l'uno rettangolare e l'altro cilindrico. La decorazione della moschea di al-Ḥākim, in stucco e pietra, presentava motivi geometrici, vegetali ed epigrafici; nel complesso, tale decorazione era più sobria di quella di al-Azhar, probabilmente perché ispirata da modelli nordafricani più che da quelli di Samarra.Due altre moschee del periodo fatimide sono rimaste al Cairo, databili al sec. 12° e di modeste dimensioni: al-Aqmar (1125) e al-Ṣāliḥ Ṭalā'i῾ (1160), entrambe raggiungibili tramite brevi ponti perché costruite sopra botteghe, ancora visibili ad al-Ṣāliḥ; questo elemento rivela che gli edifici furono adattati all'impianto urbano già esistente. La facciata di al-Aqmar, realizzata in mattone e pietra e disposta con andamento non parallelo al muro della qibla, presenta uno schema decorativo molto sofisticato, con un portale aggettante ad arco carenato a formare una nicchia profonda, con nicchie minori, stalattiti, medaglioni, un'iscrizione e altre ornamentazioni che movimentano il resto della facciata. Il motivo architettonico più interessante della moschea di al-Ṣāliḥ è invece l'arcata o portico esterno, che forma parte integrante della facciata stessa, caratteristica unica nelle moschee del Cairo.In Egitto si sono conservati anche importanti monumenti funerari e commemorativi di epoca fatimide. Si tratta di semplici mausolei a pianta quadrata di piccole dimensioni, in mattone o pietra, con apertura su uno, due o tre lati, e tutti coronati da una cupola sorretta da semplici supporti angolari su cui si imposta un tamburo ottagonale; gruppi di tali mausolei sono visibili a S del Cairo e soprattutto ad Assuan, nell'Alto Egitto. Mausolei di maggiori dimensioni, solitamente coronati da una cupola costolata, ma con pianta identica, sono quelli di Sayyida Nafīsa (1089-1090), di Muḥammad alJa῾farī e di Sayyida ῾Āṭika (ca. 1100), di Shaykh Yūnus (1100-1125) e di Yaḥyā al-Shabihī (ca. 1150). Nei due mausolei del 1100 ca. si ha per la prima volta in Egitto l'impiego della stalattite (muqarnas) al posto del semplice supporto angolare quale passaggio dal quadrato di base alla cupola.Fra i santuari di particolare interesse chiamati mashhad ('luogo in cui si è testimoni') - luoghi di preghiera, pellegrinaggio e pietà religiosa - i più importanti sono quelli del cimitero di Assuan (1100-1110), di Umm Khulthūm (1122) e di Sayyida Ruqayya (1133), ma il più interessante è sicuramente il mashhad di al-Juyūshī (1085), situato in posizione dominante sulla collina di al-Muqaṭṭam al Cairo. Quest'ultimo edificio, chiamato mashhad in un'iscrizione originale, ma solitamente definito come moschea, sicuramente non era un monumento funerario, ma forse un memoriale alle vittorie del visir Badr al-Jamalī al-Juyūshī dopo la crisi economica degli anni sessanta dell'11° secolo. I mashhad presentano un complesso d'entrata - cupolato in quello di Assuan, dominato da un minareto in quello di al-Juyūshī - che conduce a un cortile, mentre il santuario interno ha un'ampia cupola sopra il miḥrāb, che nel caso di al-Juyūshī è splendidamente decorato in stucco.Nel campo dell'architettura civile le costruzioni più spettacolari di epoca fatimide, anch'esse edificate su ordine del visir al-Juyūshī, sono le mura del Cairo, in parte conservate, e soprattutto le tre monumentali porte fortificate - Bāb al-Naṣr, Bāb al-Futūḥ, iniziate nel 1087, e Bāb Zuwayla, datata 480 a.E./1091-1092 - costruite in solida pietra e difese da torri quadrate (Bāb al-Naṣr) o semicircolari (Bāb al-Futūḥ e Bāb Zuwayla).

Arti decorative

In epoca fatimide, per gli elementi decorativi dell'architettura religiosa e civile fu impiegato essenzialmente il legno. Materiale scarso e prezioso, veniva usato per comporre iscrizioni epigrafiche che correvano intorno alle pareti delle moschee (per es. ad al-Ḥākim), per travi formate da quattro assi a incapsulare un tronco di palma, per pannelli di porte nelle moschee, o per realizzare miḥrāb e minbar. Il materiale veniva importato dalla Siria e dall'Asia Minore, soprattutto essenze di pino e cedro, ma anche sicomoro, giuggiole, olivo e cipresso, e talvolta i rari ebano e teak dall'India. In alcuni casi diversi legni venivano impiegati nella stessa opera per dare più contrasto cromatico al prodotto finito. La decorazione era ottenuta mediante intaglio secondo tecniche ben conosciute in precedenza dagli artisti copti in Egitto e raggiunse considerevoli livelli artistici. Questa decorazione, ispirata da stilizzati motivi vegetali samarreni in un rilievo molto basso detto ad angolo smussato, nel corso del sec. 11° si arricchì di sfondi con motivi di tralci a spirale a creare due differenti piani di intaglio. Verso la fine dello stesso secolo, gli artisti fatimidi produssero pannelli di legno ad altorilievo, dove il motivo vegetale decorativo si stacca a tal punto dal suo sfondo da creare uno splendido senso di movimento e di luci e ombre. Di questo stesso periodo è una serie di fregi di legno con figure umane, danzatrici, cantanti, scene di caccia, combattimenti di animali, uccelli, che rappresentano il massimo raggiungimento artistico dei lavori su legno fatimidi; tali fregi furono probabilmente prodotti per il califfo al-Mustanṣir (1036-1094) tra il 1058 e il 1065 e furono riutilizzati nell'ospedale cairota del mamelucco Nāṣir Sulṭān Qalā'ūn alla fine del 13° secolo.L'avorio, materiale anch'esso raro e prezioso, venne utilizzato dagli artisti fatimidi soprattutto in forma di placche e piccoli pannelli da impiegare probabilmente come decorazione di mobili di legno e suppellettili, in ambiente religioso e civile. Si deve quindi considerare l'avorio in stretta relazione con il legno, con il quale era spesso usato a intarsio per creare contrasti di colore. I pochi oggetti conservati, generalmente attribuiti ad artisti siciliani sotto forte influenza fatimide, sono sufficienti per comprendere che la decorazione su avorio seguì lo stesso sviluppo di quella su legno, con l'adozione di una sempre maggiore profondità di intaglio e di piani multipli che fanno risaltare i dettagli delle figure umane e animali, fino a dare un'impressione di tridimensionalità. La decorazione di una placca conservata a Berlino (Staatl. Mus., Pr. Kulturbesitz, Mus. für Islamische Kunst) può essere paragonata ai citati fregi in legno prodotti per al-Mustanṣir nella seconda metà dell'11° secolo. Due placche conservate a Firenze (Mus. Naz. del Bargello) rappresentano invece l'ultima fase, simile a quella individuabile per la pittura su ceramica, dove le figure umane (danzatrice, cacciatori, lavoratori agricoli) raggiungono una notevole libertà espressiva e di movimento; in tali figure, l'influenza di Samarra è evidente, ma appare chiaro anche un influsso della contemporanea arte medievale europea.L'intaglio del cristallo di rocca fu forse la più caratteristica forma artistica fatimide. La preziosità del materiale, importato dall'Asia Centrale o dall'Alto Egitto, e la sua durezza e difficoltà di lavorazione suggeriscono che venisse intagliato nella capitale sotto stretto controllo delle autorità. Quando il tesoro dei F. fu disperso in seguito alla crisi del 1060, le fonti riportano, probabilmente esagerando, che ben diciottomila pezzi di cristallo di rocca lavorato andarono perduti. Oggi si conservano ca. duecento pezzi, spesso trasformati in reliquiari, per la maggior parte in Europa in tesori ecclesiastici. Tre di essi sono di eccezionale importanza perché databili con precisione: due splendide brocche - una a Venezia (Tesoro di S. Marco), con un'iscrizione che riporta il nome del califfo al-῾Azīz billāh (979-996), e l'altra a Firenze (Palazzo Pitti, Mus. degli Argenti), databile tra il 1000 e il 1008 - e una mezzaluna forse usata come ornamento da turbante, prodotta per al-Ẓāhir (1021-1036), oggi a Norimberga (Germanisches Nationalmus.). Le brocche sono i pezzi più sontuosi, ma vennero prodotti anche molti altri oggetti di minori dimensioni: fiaschette e bottigliette portaessenze per profumi, pezzi di scacchi, figurine animali, bottiglie globulari. Per quanto riguarda la decorazione, gli artisti fatimidi si ispirarono ovviamente a Samarra e ai prodotti tulunidi, ma il semplice stile samarreno durò per un breve periodo e già alla fine del sec. 10° la decorazione si arricchì: entrarono a far parte del repertorio figure animali, spesso in posa araldica ai lati di un albero i cui complessi elementi vegetali si sviluppano e si estendono su gran parte della superficie dell'oggetto.Il vetro in Egitto fu certamente prodotto anche durante il periodo fatimide, dal momento che si tratta di una tradizione proseguita ininterrottamente fin dall'epoca faraonica. Il maggior centro di produzione di epoca islamica fu l'area di al-Fusṭāṭ al Cairo, oggi sito archeologico ampiamente scavato che ha restituito un gran numero di oggetti e frammenti. Allo stato attuale delle conoscenze non è però possibile stabilire con precisione quali furono i tipici prodotti vetrari legati all'epoca fatimide. Oggetti non decorati per uso quotidiano costituivano la grande maggioranza della produzione, che comprendeva anche il vetro decorato: bottiglie con ornati in rilievo a stampo, probabilmente di ispirazione persiana o mesopotamica; minuscole fiasche portaessenze in vetro spesso e con profonde incisioni, la cui base d'appoggio è formata da quattro peduncoli, dette perciò a dente molare, che sembra siano di produzione esclusivamente egiziana; scodelle e piatti con decorazione dipinta, in rari casi a lustro; gettoni in vetro con epigrafi, usati come pesi o monete; perle composte con diversi vetri opachi.La decorazione incisa, ispirata dal cristallo di rocca, doveva essere particolarmente apprezzata in epoca fatimide e i numerosi frammenti di vetro trasparente quasi incolore testimoniano il tentativo di imitare il prezioso materiale. A questo proposito va menzionato il gruppo di bicchieri c.d. Hedwig - perché collegati a una leggenda che ha per protagonista s. Edvige - in spesso vetro incolore, tendente al grigiastro o al giallo paglierino, la cui decorazione incisa vegetale o animale è chiaramente imitativa dei cristalli di rocca fatimidi. Al pari del cristallo, anche tali oggetti si trovano oggi per lo più in Europa ed è molto dibattuta la questione se siano di produzione fatimide o di fabbricazione europea del 12° secolo. Di produzione fatimide potrebbero essere anche alcuni oggetti molto sofisticati con decorazione a cammeo.Le forme ceramiche di epoca fatimide non sono molto varie: piatti più o meno profondi e scodelle, qualche rara piccola giara e poche altre. Come il vetro, la maggior parte degli oggetti ceramici veniva prodotta ad al-Fusṭāṭ. La ripetitività delle forme sottolinea il valore della decorazione, che trasforma gli oggetti in prodotti più o meno importanti dal punto di vista artistico.Il maggior contributo dei ceramisti fatimidi fu l'applicazione della tecnica della pittura a lustro già utilizzata in precedenza in Egitto su ceramica e vetro. Inizialmente gli elementi decorativi vegetali riempirono quasi tutta la superficie dell'oggetto, tendendo però in seguito a divenire via via più radi e stilizzati, fino a lasciare ampi spazi alla trasparente invetriatura sottostante; venne creato così un effetto di lettura della decorazione su due piani, già notato nell'intaglio su legni e avori. Agli inizi del sec. 11° entrarono a far parte del repertorio figure animali inserite in medaglioni al centro degli oggetti (soprattutto piatti) o collocate in posizione radiale: grifoni alati, lepri, leopardi e leoni spiccano sullo sfondo chiaro dei medaglioni o risultano risparmiati sullo sfondo dipinto a lustro; famoso è un piatto firmato da Ibn al-Dahhān oggi al Cairo (Mus. of Islamic Art).Verso la fine del secolo la libertà espressiva raggiunse il culmine e la ceramica fatimide si arricchì di figure umane ispirate da motivi samarreni e bizantino-ellenistici, ma dotati di maggiore spontaneità e libertà di movimento: danzatrici, scene conviviali con donne, musicisti, combattimenti di galli, e persino scene cristiane, che dimostrano quanto i Copti avessero parte nella vita artistica fatimide.Per quel che riguarda la pittura su legno e stucco, sebbene non si possa parlare di arte strettamente fatimide, le pitture che adornano il soffitto della Cappella Palatina di Palermo rappresentano uno splendido esempio di come doveva essere lo stile pittorico fatimide. Il soffitto fu completato nel 1140 per Ruggero II di Sicilia, quando l'isola era passata nelle mani dei Normanni da parecchi decenni, ma è probabile che per la sua decorazione venissero impiegati artisti di tradizione islamica. La struttura di legno è formata da un elaborato intreccio di cassettoni, stalattiti e nicchie, interamente ricoperti da iscrizioni in arabo, pitture a decorazioni vegetali e una miriade di figure umane e animali; danzatrici, scene di corte e conviviali, di caccia, di vita quotidiana, di genere e scene cristiane quasi invisibili a occhio nudo si susseguono ininterrottamente sul soffitto. Lo stile dei dipinti è pressoché identico a quello delle figure tardofatimidi su ceramica e richiama la libertà espressiva dei legni e degli avori del tardo 11° secolo. Il colorismo brillante, caratterizzato dall'impiego di oro, rosso, blu, porpora, bianco, verde e marrone, rende questo soffitto uno dei capolavori in assoluto della tradizione pittorica fatimide.Provenienti dal territorio egiziano sono invece le pitture murali su stucco dei bagni del santuario di Abū Ṣu῾ūd a S del Cairo, conservate nella capitale (Mus. of Islamic Art). Tra i frammenti più interessanti, due nicchie raffiguranti rispettivamente un giovane che tiene in mano un bicchiere e due uccelli affrontati, entrambe entro una cornice di perle dipinte; lo stile è molto vicino alla pittura su ceramica contemporanea e ai dipinti della Cappella Palatina.A causa della distruzione delle biblioteche fatimidi e della fragilità intrinseca del materiale, pochissimo è rimasto della fiorente industria del libro, che includeva anche trattati illustrati, soprattutto di carattere scientifico. I frammenti su carta e papiro conservati testimoniano che illustrazioni erano presenti su trattati astronomici e su bestiari - oltre che su amuleti -, benché la maggior parte di esse sembra siano state semplici schizzi e disegni in inchiostro nero, talvolta riempiti con tenui colori rosso, giallo e marrone. Alcuni di tali schizzi sono venuti alla luce anche dai ritrovamenti all'interno della sinagoga di Geniza al Cairo. Il disegno di più alta qualità artistica, che ricorda lo stile pittorico su ceramica, è conservato al Cairo (Mus. of Islamic Art) e presenta due soldati che impugnano lance, volute vegetali e uccelli sotto un'iscrizione in cufica fiorita. Per quanto riguarda infine l'arte del libro, si sono conservati scarsissimi frammenti di corani e di rilegature in cuoio.La metallistica fatimide pare fosse limitata quasi esclusivamente alla produzione di sculture zoomorfiche usate come acquamanili, incensieri, getti di fontane, lucchetti, sostegni per larghi piatti o altri oggetti. Grifoni, cervi, leoni, lepri, capre, dromedari, aquile e altri uccelli stilizzati ricordano da vicino la produzione metallistica sasanide, omayyade e buide, con la quale hanno in comune anche la decorazione minuta su tutta la superficie dell'oggetto e le impugnature zoomorfe. È stato recentemente possibile datare con precisione solamente una scatola in argento dorato e niello (León, Mus.-Bibl. de la Real Colegiata de San Isidro), prodotta tra il 1044 e il 1047 per Ṣadaqa ibn Yūsuf, un visir del califfo alMustanṣir. Risulta comunque difficile indicare un'evoluzione di stile nella metallistica fatimide, perché molti oggetti sono dubitativamente assegnati dagli studiosi alla Spagna, all'Egitto o alla Sicilia dell'11°-12° secolo. Tipici esempi di tale discussa attribuzione sono il grifone alato di Pisa (Mus. dell'Opera del Duomo), un'imponente figura alta oltre un metro, poggiante sulle quattro zampe, e un leone di simili dimensioni e fattura apparso recentemente a un'asta a Londra. Della metallistica in oro e argento fatimide non è rimasto quasi nulla, sebbene le fonti attestino l'esistenza di un gran numero di oggetti preziosi nel tesoro dei califfi di questa dinastia.La produzione tessile fu una delle più importanti industrie in epoca fatimide, perché veicolo di legittimazione dinastica ed evidente celebrazione di potere. Infatti, in particolare le fabbriche di Damietta e del Cairo, poste sotto stretto controllo governativo, producevano stoffe con ṭirāz, cioè con iscrizioni per la maggior parte di carattere religioso sciita che si riferiscono alla discendenza legittima dei califfi fatimidi. Il ṭirāz, con diverse formule, era già usato in epoca tardo-omayyade e soprattutto abbaside fin dagli inizi dell'8° secolo. Tali stoffe venivano utilizzate per abiti e probabilmente per stendardi e parasole da esporre durante i magnifici rituali pubblici di celebrazione dinastica. Tra quelle pervenute, la più famosa è il c.d. velo di s. Anna, di seta con ṭirāz, oggi conservato nella chiesa di Sainte-Anne ad Apt (dip. Vaucluse); la sua iscrizione celebra il califfo al-Musta῾lī (1094-1101) e reca la data 489 a.E./1096. La più grande raccolta di stoffe con ṭirāz è al Cairo (Mus. of Islamic Art), ma molti pezzi sono in collezioni americane. Una menzione particolare tra i tessuti merita il c.d. manto di Ruggero, uno splendido broccato in seta e oro prodotto nel 1133-1134 da artisti di tradizione fatimide a Palermo (Vienna, Kunsthistorisches Mus., Schatzkammer); il manto è di forma semicircolare, con un'iscrizione in cufica sul bordo e una palma al centro della composizione, ai lati della quale compare ripetuta la scena di un leone nell'atto di divorare un cammello, evidente esempio di celebrazione dinastica, allusivo al passaggio dalla dominazione musulmana a quella cristiana in Sicilia. Della produzione di tappeti in epoca fatimide, anch'essa ampiamente attestata nelle fonti, non è purtroppo rimasto nulla.

Bibl.:

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