Favola

Enciclopedia Dantesca (1970)

favola

Fernando Salsano

Nel senso comune, e cioè relativamente al genere narrativo, in Cv IV XXX 4 come dice Esopo poeta ne la prima Favola, e in If XXIII 4 Vòlt'era in su la favola d'Isopo / lo mio pensier, dove la f. del topo e della rana legati insieme e ghermiti dal nibbio dovrebbe esser suggerita al lettore dall'episodio della rissa dei diavoli.

Significa più in generale la finzione poetica intesa a esprimere una veritade ascosa sotto bella menzogna; e propriamente, nella partizione dei quattro sensi delle Scritture, f. s'identifica con quello letterale (che non si stende più oltre che la lettera de le parole fittizie, sì come sono le favole de li poeti, Cv II I 3: " mito significante, ma inverosimile ", spiega il Tateo: cfr. Sulla genesi dell' allegorismo dantesco, in Studi storici in onore di G. Pepe, Bari 1970, nota 21). Come sotto la finzione è nascosta la verità ([…L'altro si chiamo allegorico], e questo è quello che si nasconde sotto 'l manto di queste favole, Cv II I 3), è evidente che se nell'ordine dei ‛ sensi ' , ovvero dell' esegesi, è primo il letterale e secondo l'allegorico, nell'atto creativo (lo modo de li poeti) tale rapporto non è sostenibile, dato che la finzione o f. presuppone una verità da significare.

Anche delle favole mitologiche D., com'era comune nel concetto medievale della poesia, richiama esplicitamente il valore esemplare o allegorico: in Cv II XIV 5 credo che [i pitagorici] si mossero da la favola di Fetonte (Met. II 35 ss.), il mito avrebbe suggerito ai pitagorici una teoria sull'origine della Galassia. In Cv IV XXVII 17 in quella favola dove scrive come Cefalo d'Atene venne (Met. VII 490 ss.), la figura del vecchio Eaco costituisce, nella f. di Cefalo, l'essemplo (§ 20) delle quattro virtù necessarie ai vecchi.

In Cv IV XIV 15 ciò è favola, de la quale, filosoficamente disputando, curare non si dee; e pur se volesse a la favola fermare l'avversario, di certo quello che la favola cuopre disfà tutte le sue ragioni, la finzione della f. è in più complesso rapporto con la verità: la nobiltà di Dardano fa sì che egli sia detto figlio di Giove per celare le sue origini ignobili (cfr. B. Nardi, in " Giorn. stor. " XCV [1930] 106).

Significa infine un'invenzione priva di ogni fondamento di verità, e nel contesto acquista valore reprobativo, in Pd XXIX 104 sì fatte favole... / in pergamo si gridan, dove si riferisce alle invenzioni dei predicatori (Per apparer ciascun s'ingegna e face / sue invenzioni; e quelle son trascorse / da' predicanti, vv. 94-97).

In Fiore LXV 10 non crede già mai ta ' favolelle, è sinonimo di " menzogna lusingatrice ".