Fecondazione assistita

Enciclopedia della Scienza e della Tecnica (2007)

Fecondazione assistita

Carlo Flamigni

L'era dei grandi progressi nel campo della biologia della riproduzione si apre negli anni Sessanta del Novecento con la messa a punto di metodi di laboratorio utili per il dosaggio degli ormoni sessuali nel sangue e procede con grande rapidità sia nel campo diagnostico che in quello terapeutico. La nascita della prima bambina concepita in provetta, Louise Brown, avvenuta nel 1978 per opera di Robert Edwards e Patrick Steptoe, è importante non tanto perché risolve un problema clinico, la sterilità meccanica femminile, che fino a quel momento non aveva trovato alcun reale rimedio ma perché è il risultato di fondamentali studi biologici eseguiti in laboratorio. È a questi studi che si devono molte delle nostre conoscenze relative alla biologia cellulare e alla genetica.

Nei primi anni che seguirono l'annuncio della nascita di Louise Brown non sembrava possibile che la tecnica di fertilizzazione in vitro sarebbe diventata tanto popolare da rappresentare uno dei punti di svolta nel cammino della medicina moderna. A distanza di alcuni anni il numero di bambini nati era esiguo e la percentuale di successi minima, tanto che era consuetudine degli operatori trasferire un notevole numero di embrioni. I reali successi sono dunque iniziati negli anni Ottanta e sono contemporanei alle nuove proposte dei ricercatori, da quella di congelare pre-embrioni (1982), a quella di eseguire indagini genetiche sulle cellule embrionali prima dell'impianto (1990).

La diffusione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita è documentata dal grande numero di bambini nati sino a oggi nel mondo grazie alla sua applicazione, un numero che sta avviandosi verso il secondo milione. Del resto, nel 2000 il numero di centri operanti nel settore era molto alto ed è più che probabile che stia crescendo ancora: circa 200 in Italia, 380 negli Stati Uniti, 110 in Inghilterra, 92 in Francia, 75 in Germania, 36 in Spagna, 12 in Olanda. Nello stesso anno gli operatori italiani hanno eseguito 29.600 cicli di trattamento, un numero non poi così alto rispetto alla grande quantità di centri: con servizi meno numerosi, la Francia ha eseguito 45.000 cicli, l'Inghilterra 34.000 e la Germania 37.000. Per lo stesso anno è stato calcolato che in Italia sono nati 7200 bambini, l'1,3% delle nascite complessive avvenute nel Paese.

Se si pensa che agli inizi degli anni Ottanta le gravidanze per ciclo di trattamento non superavano l'8%, si deve considerare con ottimismo il quadro attuale della situazione. Nei registri americani da vari anni la percentuale di nascite per ciclo di terapia supera il 30% e l'unico dato negativo riguarda la frequenza delle gravidanze multiple, che è pari al 35%. Nello stesso Paese le nascite ottenute dopo il trasferimento di embrioni che erano stati congelati ammontano al 23% e quelle da donazione di ovociti al 40%. L'Europa ha risultati nettamente peggiori (27-28% di gravidanze), ma in compenso ha un numero di gravidanze gemellari e multiple molto più basso. In Italia, le valutazioni relative al 2000 riferiscono una percentuale di gravidanze del 25%, con il 15% di gravidanze gemellari.

La ricerca è ora orientata in diverse direzioni per comprendere i differenti passaggi che dall'ovulo e dallo spermatozoo possono portare a un embrione vitale. Ciò implica lo studio dei meccanismi biologici di base che hanno a che fare con la riproduzione, e quindi sono direttamente legati a diversi campi delle scienze della vita e non soltanto alla medicina della fertilità. Dallo studio di questi meccanismi, inoltre, si spera di poter migliorare i metodi attuali di procreazione medicalmente assistita, in modo tale da renderli eticamente meno controversi.

Tecniche alternative alla fecondazione in vitro

Come spesso succede con le grandi conquiste della scienza, negli stessi anni sono state proposte molte tecniche che modificavano, in modo più o meno significativo, quella primitiva utilizzata per la nascita di Louise Brown, la prima bambina ad essere stata concepita in provetta. Di queste, una sola ha avuto una diffusione straordinaria, in quanto ha praticamente risolto un grandissimo numero di casi di sterilità maschile. Questa tecnica, denominata ICSI (Intracytoplasmic sperm injection) e proposta da Gian Piero Palermo nel 1993, consiste nell'inserimento, con tecniche di micromanipolazione, di uno spermatozoo nel citoplasma di un ovocita. In questi ultimi anni si è molto discusso sull'opportunità di utilizzarla in tutte le fecondazioni assistite, ma la proposta trova una certa opposizione.

In Italia, dopo l'approvazione di una legge che limita a tre il numero di ovociti fertilizzabili, si è diffusa la tendenza a sostituire la FIVET (Fertilizzazione in vitro ed embryo transfer) con la ICSI, poiché questa ultima tecnica consente una maggior probabilità di ottenere pre-embrioni. Non ci sono però prove che a questo consegua un maggior numero di gravidanze, tranne che in casi specifici di sterilità come quella idiopatica e naturalmente quella dovuta a un problema maschile più serio. Per converso, la ICSI è più complessa e più impegnativa tecnicamente ed è anche notevolmente più costosa della FIVET. In aggiunta a tale tecnica viene ancora contestata la possibilità di malformazione dei prodotti del concepimento, anche se alcune recenti ricerche sembrano smentire questo rischio. Sono invece progressivamente uscite di scena, proprio in questi ultimi anni, tecniche come la TET (Tubal embryo transfer) e la ZIFT (Zigote intrafalloppian transfer) che non sembrano consentire reali vantaggi rispetto alle tecniche tradizionali, delle quali sono inoltre certamente più invasive.

Si continua invece a discutere della convenienza di utilizzare, in casi selezionati, la GIFT (Gamete intrafalloppian transfer) che ha avuto momenti di particolare notorietà nei primi tempi della sua applicazione, quando consentiva percentuali di gravidanze superiori a quelle della FIVET. Da molti anni, i successi di quest'ultima tecnica sono significativamente aumentati, mentre non si sono modificati quelli della GIFT, per cui la convenienza è scomparsa e resta solo il fatto che l'inserimento dei gameti richiede un intervento laparoscopico e deve essere perciò considerato invasivo. La scelta della GIFT viene ormai fatta solo dalle coppie che la ritengono moralmente accettabile, perché evita la produzione dei pre-embrioni al di fuori del corpo della donna, e che per la stessa ragione rifiutano la FIVET.

Problemi clinici della procreazione medicalmente assistita

In questi ultimi anni la discussione in campo medico sulle tecniche della procreazione medicalmente assistita (PMA) si è concentrata su alcuni specifici temi.

Il primo è quello della salute e della normalità dei bambini nati con il contributo delle tecniche. È ormai certo che i 'bambini FIVET' non hanno particolari problemi genetici o di malformazione, ma nascono con maggior frequenza prematuri o 'piccoli per la data'. Le ragioni di questi problemi non sembrano dipendere dalle tecniche applicate, ma piuttosto dalle caratteristiche biologiche e cliniche delle loro madri, la cui storia ginecologica è spesso caratterizzata da interventi sull'apparato genitale e da terapie ormonali complesse, che possono lasciare un segno sulla fertilità. Un problema a parte è quello delle gravidanze gemellari, considerate giustamente troppo numerose, un dato che deve essere considerato con particolare attenzione vista la notevole frequenza di patologia fetale (emorragie cerebrali) e materna (ipertensione, gestosi, diabete) osservate nelle gravidanze multiple. Come è già stato ricordato, diverso è il caso dei 'bambini ICSI', per i quali sembra documentato un aumento, lieve ma significativo, di anomalie cromosomiche, dovute soprattutto a condizioni di ipofertilità paterna di origine genetica; sempre per questi bambini è in discussione la possibilità di un rapporto tra la tecnica e le anomalie dell'imprinting genomico, dalle quali dipenderebbe la maggior frequenza di alcune malattie dell'infanzia, come la sindrome di Angelman, quella di Berkwitz e quella di Prader-Willi. La valutazione di questo possibile rapporto, proprio a causa della estrema rarità delle malattie in questione, è ancora tutt'altro che dimostrata, ma l'esistenza di questi rischi sollecita alcuni medici a proporre di considerare la ICSI come tecnica residuale, da utilizzare solo in caso di grave ipofertilità maschile.

Per risolvere il problema dell'eccesso di gravidanze multiple, vengono proposte due strade alternative. La prima è quella che si basa sul trasferimento di un solo pre- (soprattutto nelle donne che hanno meno di 35-36 anni) e sulla crioconservazione dei pre-embrioni sovrannumerari. La seconda riguarda invece l'allungamento dell'incubazione dei pre-embrioni dai due giorni abituali (con successivo trasferimento di morule contenenti 4-8 blastomeri) a 5-6 giorni (con trasferimento di blastocisti). Nell'evoluzione dello sviluppo pre-embrionale la blastocisti è una struttura multicellulare che contiene una cavità (il blastocele) che occupa praticamente tutto lo spazio embrionale, una massa cellulare informe, dalla quale prenderanno origine l'embrione vero e proprio e le cellule periferiche che produrranno placenta e annessi fetali (cellule del trofoectoderma). Al momento in cui si forma la blastocisti, è molto probabile che altri pre-embrioni che sono stati messi in coltura contemporaneamente abbiano interrotto il loro sviluppo, consentendo così una prima selezione naturale. L'allungamento del periodo in cui i pre-embrioni vengono lasciati in coltura ha posto inizialmente molti dubbi, perché esperienze simili eseguite su grandi Mammiferi avevano avuto conseguenze negative sullo sviluppo dei prodotti del concepimento, ma le analisi più recenti eseguite sui risultati clinici non confermano questi timori. È ancora in discussione la possibilità che trasferire blastocisti determini una modificazione del rapporto tra maschi e femmine a favore dei primi, ma questo dato è influenzato da molte possibili interferenze ed è probabile che questi timori siano infondati.

La stimolazione ovarica

Il secondo problema in discussione riguarda le possibili conseguenze delle terapie di stimolazione ovarica sulla salute delle donne, un problema sorto nel 1994 con la pubblicazione di dati epidemiologici che sembravano dimostrare l'esistenza di una relazione tra stimolazione con gonadotropine e comparsa di tumori ovarici. In realtà questi dati sono stati smentiti e le uniche preoccupazioni di qualche importanza ‒ alla luce delle nostre conoscenze ‒ riguardano il rischio di 'sindrome da iperstimolazione ovarica', una conseguenza molto sgradevole di trattamenti esageratamente intensi eseguiti senza il necessario controllo e l'opportuna prudenza. Non si dovrebbero più verificare invece le grandi gravidanze multiple che hanno sistematicamente trovato spazio nei quotidiani di tutto il mondo, poiché le linee guida di tutte le società mediche proibiscono il trasferimento di un numero eccessivo di embrioni. Attualmente gli incidenti di questo genere sono quasi esclusivamente il risultato di semplici induzioni dell'ovulazione non seguite da manipolazione dei gameti.

Indagini preimpianto

Le indagini genetiche preimpianto possono essere eseguite sui blastomeri pre-embrionali, prelevati con tecniche micromanipolative, o sui due globuli polari. Questi ultimi sono piccoli corpi citoplasmatici che contengono i cromosomi espulsi dall'ovocita nel processo di maturazione meiotica, il primo al momento dell'ovulazione, il secondo poco dopo l'ingresso dello spermatozoo nell'ooplasma e l'attivazione dell'ovocita. Le indagini sui globuli polari ‒ che per essere significative debbono essere eseguite in sequenza, cioè su entrambi ‒ informano sulla normalità genetica dell'ovocita e quindi non hanno nessuna possibilità di verificare quella dell'embrione. Sono perciò utili nei casi di malattie genetiche materne e in quelli di mutazioni geniche recessive esistenti in entrambi i coniugi, in quanto consentono di utilizzare cellule uovo non portatrici della mutazione genica e di evitare la malattia del concepito. Questa tecnica è relativamente complessa ed è eseguita di routine (con ottimi risultati) da pochissimi centri.

Sul prelievo di uno o due blastomeri si è molto discusso recentemente per vari motivi. Problemi etici a parte, viene criticata la possibilità di errori dovuti al metodo, un rischio che è generalmente considerato inferiore al 4%, ma che è comunque ritenuto abbastanza elevato da richiedere un successivo controllo in gravidanza. Alcuni biologi hanno anche sottolineato l'esistenza di rischi determinati dalla sottrazione, al pre-embrione in fase iniziale di sviluppo, di un numero di blastomeri certamente significativo (due su otto, in genere). Le esperienze eseguite su embrioni di topo, le valutazioni retrospettive dei bambini nati e il fatto che gli embrioni trasferiti dopo crioconservazione non mostrino alcun tipo di anomalia anche se presentano un alto numero di blastomeri danneggiati (in genere si trasferiscono tutti i pre-embrioni che hanno conservato più del 50% di cellule normali) convincono a considerare infondati questi timori. Si discute anche molto della liceità delle indagini genetiche pre-impianto eseguite per selezionare embrioni con specifiche caratteristiche genetiche, che possono essere utilizzate nella cura di fratelli già nati e portatori di particolari malattie. Il problema ha valenze esclusivamente morali e l'opinione degli operatori e dei bioeticisti in merito è molto differenziata.

Problemi psicologici

In questi ultimi anni sono state pubblicate da giornali specializzati numerose ricerche che riguardano la salute, l'equilibrio psicologico e la capacità di normale inserimento sociale dei bambini nati da tecniche di procreazione medicalmente assistita. Gran parte di queste ricerche riguarda i bambini nati da donazioni di gameti, da maternità surrogata o da trattamenti eseguiti in donne sole. La letteratura disponibile è del tutto tranquillizzante, anche se esistono critiche, da parte di alcuni sociologi, sul tipo di indagini eseguite, considerate spesso superficiali e non adeguate. Tali critiche sembrerebbero giustificate dall'esistenza di pubblicazioni che non concordano con il generale ottimismo dei medici, ma questi studi sono generalmente relativi a pochissimi casi che avevano richiesto un intervento da parte di uno specialista e che è difficile poter considerare come rappresentativi.

La crioconservazione

Dopo una prima gravidanza ottenuta da C. Chen nel 1986, la scuola di Bologna ha ripreso in esame il problema di crioconservare ovociti, ottenendo un certo numero di successi, a partire dal 1996.

Il congelamento delle cellule uovo ha sempre rappresentato un motivo di preoccupazione tra i biologi, che ‒ basandosi anche su dati sperimentali ‒ hanno sempre temuto che queste cellule, per la loro specifica struttura e per il grande contenuto in acqua, finissero con l'essere danneggiate dalle basse temperature. Il ministro della Sanità ha organizzato, nel 2000, una commissione di studio per verificare la possibilità di realizzare un progetto di sperimentazione, che è ancora in corso, e che dovrebbe concludersi dopo la nascita di 300 bambini, obiettivo al momento non ancora raggiunto. La crioconservazione degli ovociti ha il duplice scopo di sostituire il congelamento dei pre-embrioni (vietato, per es., in Italia) e di conservare la fertilità delle donne costrette a sottoporsi a cure chemioterapiche, chirurgiche e radiologiche che ne danneggiano il patrimonio follicolare. Si sta anche studiando, in molti laboratori, la possibilità di congelare tessuto ovarico, sempre con la stessa finalità.

La tecnica che comincia a essere applicata anche nei nostri laboratori comporta il congelamento di sottili strisce di corticale ovarica che possono a distanza essere trasferite in varie parti del corpo (per es., all'interno dell'addome o nel grasso sottocutaneo) per un possibile ripristino dell'attività funzionale. La maturazione in vitro dei follicoli conservati è invece particolarmente complessa, in particolare per quanto riguarda i follicoli primordiali.

Cominciano anche a comparire, nella letteratura medica, proposte relative alla crioconservazione di materiale nucleare come potenziale metodo di conservazione della fertilità. Alcuni laboratori sono riusciti a ottenere gravidanze, in vari Mammiferi, congelando il secondo (che si forma dalla prima divisione dell'ovulo fecondato) e trasferendolo successivamente in un ovocita privato del nucleo. Sono stati anche pubblicati i primi risultati ottenuti crioconservando pronuclei femminili prelevati da ootidi (uova fertilizzate nelle quali sono visibili i due nuclei dell'ovulo e dello spermatozoo). Dovrebbero trovare vantaggio da queste tecniche di 'conservazione della fertilità' donne affette da malattie sistemiche, da tumori dell'utero, della mammella, del colon e del fegato, persone sottoposte a terapie immunosoppressive, affette da tumori borderline dell'ovaio, da malattie infiammatorie di origine autoimmune, da anomalie cromosomiche associate a deplezione follicolare ovarica. In alcuni laboratori si sta anche cercando di produrre ooplasti artificiali che potrebbero evitare di dover ricorrere alla donazione di ovociti.

Il problema del congelamento dei pre-embrioni presenta una serie di risvolti, alcuni dei quali molto pratici. Poiché si ignora il tempo di sopravvivenza di un pre-embrione in queste condizioni, è inevitabile che le strutture cliniche nutrano grandi perplessità nei confronti dell'ipotesi di distruggere i pre-embrioni crioconservati dopo un certo numero di anni se non viene fatta richiesta specifica di utilizzazione da parte dei genitori. D'altra parte, il destino di questi embrioni, se abbandonati dalle persone che ne sono responsabili, potrebbe essere quello di venire 'adottati' da una coppia sterile o di essere utilizzati per la ricerca scientifica. Le leggi che regolano questi aspetti sono estremamente variegate.

Negli Stati Uniti, non si possono investire i fondi dello Stato nella ricerca sugli embrioni, che è invece aperta al finanziamento dei privati. In Inghilterra, apposite commissioni possono autorizzare la creazione di embrioni ad hoc, per ricerche finalizzate. In Italia è proibita la ricerca sugli embrioni, qualunque ne sia la finalità, mentre è consentito eseguire studi sulle cellule staminali di origine embrionale importate da laboratori stranieri.

Un problema molto particolare riguarda il congelamento degli ootidi, utilizzato di routine in Germania e in Svizzera da quando in questi Paesi è stato vietato il congelamento dei pre-embrioni. Negli ootidi, i due nuclei (che prendono il nome di 'pronuclei'), sono destinati a scomparire dopo circa 24 ore per consentire l'anfimissi, cioè la ricostruzione di un unico genoma con 46 cromosomi. Secondo molti biologi si tratta di una fase prezigotica, che dunque precede la formazione di quella struttura che secondo molti documenti (anche della Chiesa cattolica) rappresenta l'inizio della vita individuale.

Stabilire dunque che in questa fase non possano essere applicati i regolamenti e le proibizioni relativi all'embrione consente di aprire le porte a una serie di possibilità: per esempio, sostituire quasi integralmente il congelamento dei pre-embrioni; inoltre, anche nel caso in cui siano proibite le indagini genetiche sui blastomeri, permette di analizzare i due globuli polari e di crioconservare l'ootide fino all'acquisizione della risposta del laboratorio, bloccandone così lo sviluppo, per poi decidere se trasferirlo o meno.

Le frontiere

Gran parte delle ricerche scientifiche nel campo della biologia della riproduzione sono rivolte a migliorare i risultati delle tecniche, considerate ancora insufficienti malgrado i grandi progressi degli ultimi anni. La scienza sta investendo anche in progetti che sono solo marginalmente collegati con le cure della sterilità. Molte attenzioni vengono dedicate al problema delle madri non più giovani e alle notevoli percentuali di insuccesso delle PMA che le riguardano. Una tecnica, già applicata in clinica, per migliorare i risultati consiste nella trasfusione, all'interno degli ovociti di donne che hanno superato i 40 anni, di ooplasma prelevato da ovociti di donne più giovani. Questa tecnica ha avuto una certa popolarità, ma non esiste alcuna certezza in merito alla sua utilità, mentre si avvertono molte perplessità relative alla ormai dimostrata presenza di DNA mitocondriale 'donato' nei feti. È probabile che gli studi sull'ooplasma consentano ben presto di identificare i fattori realmente utili e di abbandonare tecniche certamente empiriche e moralmente discutibili, come quella della trasfusione di ooplasma.

È invece del tutto sperimentale il cosiddetto 'dono di placenta': un blastomero prelevato da un pre-embrione a 16 cellule che appartiene a una donna non più giovane e che ha nella sua storia clinica aborti e parti prematuri per insufficienza placentare viene trasferito all'interno di un embrione a 4 cellule, quindi più giovane del primo; il blastomero più vecchio dà origine alla massa cellulare interna e perciò all'embrione e successivamente al feto, mentre le cellule più giovani si limitano a produrre la placenta e gli annessi fetali.

Il trasferimento nucleare

Le tecniche di trasferimento nucleare hanno, come è noto, differenti finalità. Trasferire il nucleo di una cellula somatica all'interno di un ovocita privato del nucleo è la base della clonazione riproduttiva, della quale si ricorda il principio biologico: il nucleo della cellula somatica, che ha 46 cromosomi e ha perso completamente la sua multipotenza, specializzandosi, sollecitato dai messaggi che gli giungono dall'ooplasma, perde la sua differenziazione e torna a essere totipotente, trasformandosi in uno zigote e poi in un pre-embrione che avrà le stesse caratteristiche genetiche del nucleo da cui ha preso origine.

A parte le molte perplessità etiche, la clonazione riproduttiva trova al momento ostacolo insuperabile nel fatto che nella maggior parte dei Mammiferi nei quali è stata sperimentata ha causato la nascita di un notevole numero di feti malformati. È anche per queste ragioni che la tecnica è stata condannata nella maggior parte dei Paesi e che, malgrado voci che peraltro sembrano prive di qualsiasi fondamento, non è stata ancora applicata alla nostra specie.

La tecnica della sostituzione nucleare può essere utilizzata anche per la produzione di cellule staminali, a partire dalle cellule somatiche di un soggetto malato, indirizzate a produrre le cellule dei tessuti che devono essere sostituite e restituite al paziente che le riconoscerà come proprie. Sulla produzione di queste cellule staminali ‒ la cosiddetta 'clonazione terapeutica' ‒ esiste una polemica sia scientifica sia etica e le ragioni di entrambe sono certamente collegate con il fatto che tale metodica passa attraverso la formazione di pre-embrioni. Questa tecnica può essere utilizzata in modo diverso evitando di produrre pre-embrioni e trasformando il nucleo diploide (46 cromosomi) in un nucleo aploide (23 cromosomi, lo stesso numero che si trova nei gameti). La tecnica si chiama 'aploidizzazione' ed è servita, per ora, per produrre ovociti in alcuni Mammiferi. Le gravidanze ottenute sono state caratterizzate dalla nascita di molti feti malformati, ed è evidente che questa tecnica dovrà essere sperimentata ancora a lungo prima di potere essere applicata all'uomo.

Sperimentazioni in corso

Esistono altre tecniche di embriologia sperimentale attualmente oggetto di studio: per esempio, la massa cellulare interna ‒ che produce l'embrione ‒ e il trofoectoderma ‒ che produce la placenta ‒ sono stati separati e ricombinati, addirittura utilizzando embrioni di diverse specie, e hanno consentito la nascita di feti alimentati da placenta di differente origine genetica. Una ulteriore linea di ricerca è quella che riguarda la possibilità di aumentare il numero di gameti, per migliorare le potenzialità riproduttive dei soggetti ipofertili. Vengono coltivati in vitro tubuli seminiferi contenenti cellule germinative primordiali (spermatogoni); per quanto riguarda gli ovociti si sta verificando la possibilità di arrestare la divisione meiotica e di riattivare la divisione mitotica, che consentirebbe a queste cellule di dividersi, moltiplicando il proprio numero.

La ectogenesi definisce lo sviluppo di un prodotto di concepimento fuori dal grembo materno. Sino a oggi è stata studiata sperimentalmente a Bologna, molti anni or sono, e più recentemente negli Stati Uniti nella Cornell University, da Zen Rosenwaks, per indagare l'impianto dei pre-embrioni. In Giappone si è parlato per qualche tempo di studiare una sorta di placenta artificiale, ma di questa tecnica sembra ormai essersi persa traccia. È invece stato applicato con successo, nelle pecore, un sistema che consente la sopravvivenza di feti piccolissimi, il cui cordone ombelicale viene collegato a una macchina che ne ossigena e depura il sangue, arricchendolo delle sostanze necessarie per la crescita.

È molto probabile che saranno i risultati della ricerca scientifica in campo genetico a offrire il maggior contributo al progresso delle tecniche di PMA. La possibilità di riconoscere le anomalie cromosomiche e le mutazioni geniche in un pre-embrione si allarga a un numero sempre maggiore di malattie e le tecniche che consentono questo riconoscimento sono in continuo miglioramento. Anche su queste tecniche esiste una discussione che riguarda la loro possibile natura 'eugenetica' e il diritto dei genitori di evitare la nascita di figli malati e sofferenti.

I meccanismi di base

Alcune delle ricerche sperimentali che si stanno eseguendo nel campo della biologia della riproduzione non sono finalizzate a eventuali applicazioni cliniche, ma dovrebbero essere utili per conoscere meglio alcuni dei meccanismi biologici che sfuggono alla nostra competenza. Un certo numero di ricercatori si sta occupando di , un tipo di riproduzione che in alcune specie è l'unico possibile e che in altre si verifica in maniera intermittente. Sembra si possa escludere che esista anche nell'uomo la possibilità di una riproduzione mediante lo sviluppo della cellula uovo non fecondata, anche se esistono casi in cui un individuo riceve entrambe le copie di un cromosoma dallo stesso genitore (isodisomia uniparentale).

Poiché una divisione partenogenica può iniziare anche a seguito di stimoli meccanici, è possibile che la microiniezione di spermatozoi nell'ooplasma o il prelievo del primo globulo polare siano responsabili di un evento di questo tipo, destinato a concludersi quasi irrimediabilmente per una intrinseca incapacità di sviluppo. Esiste anche una forma di riproduzione, la ginogenesi, nella quale lo spermatozoo attiva la partenogenesi, senza che i suoi cromosomi vengano incorporati nel genoma dell'embrione. Questo tipo di fecondazione è specifico di alcune salamandre.

Non è strano il grande interesse che i biologi stanno mostrando per queste particolari forme di riproduzione. In realtà l'interesse degli scienziati è focalizzato in misura maggiore sull'uovo rispetto alle dinamiche riproduttive in sé. Si cerca di scoprire la fonte dei messaggi che partono dall'ooplasma e condizionano i comportamenti del nucleo. Nella clonazione è l'ooplasma che induce il nucleo di una cellula somatica, ormai interamente differenziato e cronicamente dedicato a una sola attività, a regredire, perdere la propria specificità e assumere le potenzialità di un nucleo di una cellula embrionaria, che è totipotente. Cambiate le condizioni di sopravvivenza e di stimolo, è sempre dall'ooplasma che giungono a un nucleo diploide trapiantato i messaggi che lo inducono a produrre cellule staminali, a formare corpi embrioidi e a diventare un ovocita.

È immaginabile che l'aumento di conoscenze in questo settore, che dovrà a sua volta essere riconoscente ai progressi delle tecniche di procreazione assistita, possa essere di straordinaria sollecitazione allo sviluppo delle conoscenze relative all'impiego clinico delle cellule staminali embrionali.

La legislazione sulla procreazione medicalmente assistita

Il problema della terapia della sterilità e, in misura maggiore, quello delle tecniche di procreazione assistita è stato al centro di grandi polemiche, negli ultimi anni, nel nostro Paese. Nel 2004 è stata approvata in Parlamento, a grande maggioranza, una legge che ha scatenato infinite discussioni; i cittadini sono stati chiamati a partecipare a un referendum che chiedeva la soppressione delle sue parti più significative, tuttavia il voto è stato disertato dal 75% degli aventi diritto.

La discussione che ha preceduto e seguito l'approvazione della legge è stata particolarmente complessa. Quanti desideravano che le tecniche di PMA fossero sottoposte a una rigida regolamentazione, che giungeva fino al divieto di alcune attività ritenute moralmente illecite, hanno contestato lo statuto di 'malattia' della sterilità e la natura di 'terapia' delle tecniche. L'impostazione della legge si è basata poi su tre punti: (a) lo statuto ontologico dell'embrione, persona fin dal concepimento e quindi con gli stessi diritti dei suoi genitori; (b) la tutela del 'principio famiglia', una fondamentale cellula del tessuto sociale che l'inserimento di un genoma estraneo ‒ come avviene nel caso della donazione di gameti ‒ potrebbe turbare in misura certamente pericolosa; (c) la contrarietà nei confronti di qualsiasi forma di selezione genetica, definita come 'eugenetica' o 'eugenetica positiva migliorativa', e quindi di ogni tipo di indagine rivolta a identificare l'esistenza di anomalie e malattie, persino di quelle incompatibili con lo sviluppo del pre-embrione.

La legge n. 40/2004, che è stata varata sulla base di questi principî e che ha riscosso l'approvazione del Magistero Cattolico, contiene una serie di proibizioni particolarmente severe che la rendono atipica rispetto alle altre legislazioni europee. Nel primo articolo, le intenzioni del legislatore sono subito esplicite in quanto si assegnano al concepito i diritti degli altri soggetti coinvolti, cioè dei suoi genitori. In seguito la legge proibisce la donazione di gameti e le indagini genetiche pre-impianto e arriva fino a stabilire l'obbligo del trasferimento degli embrioni prodotti anche nel caso che l'analisi morfologica ne stabilisca l'anormalità. Viene imposto il cosiddetto 'caso semplice', cioè la fecondazione di un numero di ovociti non superiore al massimo numero di embrioni trasferibili, che nella fattispecie è di tre. Ci sono poi norme che confermano l'atteggiamento pesantemente critico dal quale il legislatore si è mosso per scrivere la legge: per esempio, le donne che ottengono una gravidanza con l'uso delle tecniche di PMA non possono chiedere di non essere nominate al momento del parto (cioè di lasciare il figlio in adozione), un diritto di tutte le donne italiane.

Le persone contrarie alla legge hanno espresso opinioni molto diverse su tutti i temi trattati. Sull'embrione e sul suo statuto ontologico esiste una posizione condivisa da molte religioni e da molte filosofie che non ritengono che l'inizio della vita personale coincida con il concepimento. Circa il concetto di 'genitorialità' e il 'principio famiglia' si è chiesto di considerare l'esistenza di una paternità e di una maternità non genetiche, ma basate sul principio della responsabilità e dell'amore. Per quanto poi riguarda la cosiddetta eugenetica, si è cercato di proporre regole che potessero consentire di utilizzare le indagini preimpianto in situazioni particolari, quando la gravità della malattia che è oggetto della ricerca è drammatica e la possibile scelta che i genitori sono chiamati a compiere possa rappresentare soprattutto un atto di compassione.

Dopo l'approvazione della legge sono state predisposte le linee guida che non hanno attutito, come qualcuno sperava, il peso delle proibizioni, che semmai è stato accentuato. Le conseguenze dell'applicazione della legge non sono ancora del tutto chiare, almeno per alcuni aspetti. È già comunque un fatto accertato che molte centinaia di coppie italiane si stanno recando all'estero per le donazioni dei gameti, e la presenza di nostri connazionali in centri spagnoli, belgi e svizzeri è aumentata notevolmente. La stessa cosa si sta verificando per le coppie che ritengono di dover sottoporre i propri pre-embrioni a un'analisi preimpianto e che non possono più trovare risposta ai loro quesiti nei nostri laboratori.

Circa l'effetto della nuova normativa sui risultati delle cure, c'è certamente un minor numero di gravidanze dovuto all'impossibilità di congelare embrioni, un vuoto che la crioconservazione degli ovociti, anche una volta uscita dalla sperimentazione, non potrà colmare del tutto. Per il resto, sono ben documentate le maggiori difficoltà che si incontrano nel trattamento delle donne di età superiore ai 36 anni e nei casi di ipofertilità maschile particolarmente severa. Sono già stati discussi ‒ e prevalentamente respinti ‒ alcuni ricorsi presentati da pazienti a vari tribunali: si tratta soprattutto di problemi relativi alle indagini genetiche e al congelamento degli ootidi, ed è immaginabile che questi contenziosi continuino. In Parlamento sono state presentate varie richieste di modifica delle norme della l. n. 40/2004, ma è escluso che un'azione in questo senso venga iniziata in tempi brevi.

Bibliografia

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Jones, Cohen 2004: IFFS Surveillance 04, edited by Howard W. Jones and Jean Cohen, "Fertility and sterility", 81 (suppl. 4), 2004, pp. 1-53.

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