FEDERALISMO

Enciclopedia Italiana (1932)

FEDERALISMO

Carlo Morandi

Corrente politica che mira a conciliare l'unione dei singoli stati con la loro reciproca autonomia e che ha avuto una funzione storica notevole in varî tempi e in varî paesi (v. federazione). Particolare interesse ha per l'Italia il federalismo del Risorgimento.

Senza dubbio l'esempio degli Stati Uniti d'America, della Confederazione svizzera e di quella germanica, influì sui pensatori e sugli scrittori italiani; ma, d'altra parte, nella stessa storia italiana esisteva una tradizione di carattere federalistico. Tuttavia il federalismo del Risorgimento solo in minima parte si riallaccia a tale tradizione, cui faceva difetto una vera coscienza nazionale.

La lotta tra il principio federalista e quello unitario si delinea chiaramente solo sul finire del Settecento. Nel concorso indetto dall'Amministrazione generale della Lombardia (27 settembre 1795) sul tema: "Quale dei governi liberi meglio convenga alla felicità dell'Italia", gli unitarî appaiono già in prevalenza sui federalisti in massima parte giacobini ardenti (G. A. Ranza, G. Fantuzzi, G. M. Bosisio). L'idea federale risorge dopo la delusione del periodo napoleonico: nel 1814 Benedetto Boselli di Savona proponeva un'associazione di stati italiani, con una dieta di sovrani e di repubbliche, presieduta dal pontefice. Ma nel Conciliatore e nei moti del '20 e '21 il problema costituzionale e riformatore era sempre in primo piano, e mancava una netta e precisa visione dell'assetto futuro della Penisola. Fu la propaganda unitaria del Mazzini che, per contrasto, indusse i federalisti a una chiarificazione del loro programma. Si ha così il federalismo neoguelfo del Gioberti, quello liberale-moderato del Balbo e del d'Azeglio, democratico del Cattaneo, e repubblicano-rivoluzionario del Ferrari. Una vera sistemazione giuridico-politica della teoria è mancata, se si eccettui il tentativo del Rosmini (La costituzione secondo la giustizia sociale, con un'appendice sull'unità d'Italia, Napoli 1848) di stabilire le funzioni della dieta, presieduta dal papa, e degli altri organi centrali. S'aggiunga che mentre per la maggior parte dei neoguelfi e dei moderati il federalismo fu un mezzo di soluzione del problema politico italiano, mezzo che, rivelatosi insufficiente e inadatto nel'48, venne poi abbandonato, per le correnti democratiche-rivoluzionarie costituì la meta essenziale del Risorgimento. Per i primi rivestiva un carattere religioso e cattolico; per gli altri un carattere anti-religioso e antipapale. Nel federalismo degli uni prevalevano motivi politici su quelli di natura economicosociale, che al contrario apparivano dominanti negli altri. Per il Gioberti il federalismo nasceva dalla necessità di consentire al Piemonte l'attuazione storica del suo programma italiano, in armonia con le esigenze della Chiesa e con la coscienza cattolica del paese. Le ragioni storiche sono addotte a posteriori, come giustificazioni di un'idea politica. La federazione, nel pensiero del Gioberti, doveva servire a mascherare l'effettivo predominio del regno sabaudo, e ciò spiega il dissidio che, nel dicembre del 1848, scoppiò tra il Gioberti e il Montanelli a proposito della Costituente.

Per il Cattaneo e per il Ferrari il federalismo ha ben altro valore e significato: a ciascuna nazione, provincia, e comune, la maggior indipendenza e possibilità d'esplicare la propria opera; a ciascun individuo la maggior libertà. Ma per giungere a questo gl'Italiani devono conquistare la propria libertà ancor prima che l'indipendenza. Federarsi vuol dire unirsi, affermava il Ferrari, ma in Italia l'unione non dev'essere monarchica o papale, sibbene repubblicana. Le capitali dei vecchi stati italiani non potevano scomparire: occorreva che conservassero le loro funzioni con organi elettivi e legislativi, impedendo il formarsi di una casta civile. E il Cattaneo aggiungeva la sua teoria della nazione armata, che fa tutt'uno con l'idea federalista: non un esercito stanziale che finisce col creare una casta militare accanto a quella burocratica e civile, ma un ordinamento militare sul tipo svizzero: "militi tutti, soldato nessuno". A sostegno della propria tesi, il Ferrari fece dell'idea federalista un canone d'interpretazione storica, orientando tutta la storia italiana in senso federalistico. Ma anche qui non dobbiamo ritenere sostanziali questi argomenti storici addotti per giustificare un atteggiamento e un programma; i cui veri motivi più che da tradizioni secolari devono sgorgare dagli elementi politici prossimi. Infatti, Cattaneo e Ferrari nel'48 erano federalisti perché democratici. L'avversione al Piemonte derivava dal fatto che la politica sabauda sembrava loro ancora illiberale. Di qui l'opposizione politica; e poiché il problema unità-federazione fu la questione vitale del'48, si spiega il contrasto fra Cattaneo e Mazzini.

Se il'48 segnò il fallimento del programma neo-guelfo, la politica piemontese dal'51 al'59 esautorò il federalismo repubblicano e rivoluzionario, perché Cavour seppe far proprî i due elementi vitali dell'ideologia del Cattaneo e del Ferrari: l'ampio programma riformatore del primo, e la tesi dell'alleanza diplomatico-militare con la Francia del secondo. Il federalismo sembrò affermarsi concretamente solo nel settembre del 1860, quando Garibaldi e Cattaneo pensarono di costituire, attraverso parlamenti speciali, l'indipendenza del Napoletano e della Sicilia. Ma prevalse il movimento unitario e accentratore. Ormai la corrente federalistica aveva esaurito il suo compito strettamente politico e ad essa si guardava come a una tappa superata nel cammino verso la meta unitaria. Anche l'intransigenza rivoluzionaria del gruppo lombardo si attenua e si trasforma in una difesa gelosa delle autonomie, contenuta entro l'orbita costituzionale. Dal federalismo del Cattaneo e del Ferrari esula ogni gretta concezione municipalistica; caduta l'idea politica antimonarchica che l'animava, resta il concetto storico: valorizzazione dei caratteri tipici e dei bisogni delle singole regioni d'Italia, lotta contro l'accentramento amministrativo e burocratico operato dal piemontesismo, come nel'48 s'era lottato per evitare una conquista sabauda della Penisola. Il concetto unitario di nazione non implica che si debba arrivare a un centralismo annullante gli organi locali, prodotti di una secolare evoluzione storica. Però mentre per i federalisti moderati le autonomie locali dovevano fondarsi su un sistema elettorale censitario, l'autonomismo di Cattaneo e Ferrari voleva essere democratico. Questo contrasto apparve dominante dopo il'60, quando s'accese la disputa sull'ordinamento interno da dare all'Italia. Ma presto si comprese che un'amministrazione a base di autonomie locali di carattere democratico avrebbe seriamente intaccato la troppo recente unità nazionale. S'aggiunga che nel Mezzogiorno la mancanza di una solida struttura economico-borghese e la presenza d'una burocrazia ancora borbonica, rendevano indispensabile una amministrazione centralizzata.

Queste condizioni di fatto segnavano la seconda sconfitta del federalismo: caduta la teoria politica della federazione di più stati, cadeva ora il suo corollario imperniato sul mantenimento di organi legislativi locali e sulle autonomie democratiche delle varie regioni. L'unità nazionale portava con sé l'esigenza dell'unità amministrativa. Soltanto in seguito poté risorgere, sotto altra forma, il problema con la questione del decentramento; e nella mente di alcuni tale progetto parve rivestire i colori del vecchio federalismo. Ma ormai troppo innanzi era proceduta l'intima unificazione dell'Italia e il dibattito sull'ordinamento amministrativo del Regno appariva svuotato del primitivo carattere politico.

Bibl.: J. Berger de Xivrey, Tradition franåaise d'une Confédération de l'Italie (1609-1859), Parigi 1860; P. J. Proudhon, La fédération et l'unité en Italie, Parigi 1862; G. Chiesi, La tradizione federale in Italia, Milano 1881; A. D'Ancona, Unità e federazione, in Ricordi ed affetti, Milano 1902 (considera il problema da un punto di vista troppo letterario); A. Monti, L'idea federalistica nel Risorgimento italiano, Bari 1922; G. Salvemini, L'Italia politica nel secolo XIX, in L'Europa nel secolo XIX, I, Padova 1925.

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