CONFALONIERI, Federico

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 27 (1982)

CONFALONIERI, Federico

Luigi Ambrosoli

Nacque a Milano il 6 ott. 1785 da Vitaliano, di famiglia comitale assai facoltosa per le estese proprietà terriere, e da Antonia dei marchesi Casnedi. L'11 ottobre del 1806 sposò Teresa Casati, che era pure appartenente ad una famiglia aristocratica. Il C. non aveva fatto mistero dei suoi sentimenti antibonapartiani; non tollerava l'assolutismo dell'imperatore ed il fatto che l'Italia fosse stata ridotta ad una dipendenza francese. Nel 1814, al momento del rapido crollo del Regno d'Italia, nonostante la giovane età emerse tra i personaggi più influenti ed ascoltati e rappresentò l'orientamento dei cosidetti "Italici puri", cioè di quel gruppo politico che puntava sulla costituzione di uno Stato italiano indipendente, in contrapposizione a coloro i quali sostenevano la causa di Eugenio Beauharnais. Fu tra i firmatari di una petizione che, in data 19 apr. 1814, chiedeva la convocazione dei tre Collegi elettorali perché decidessero sulla sorte futura del Regno; il suo nome appariva accanto a quello del generale Pino, di L. Porro Lambertenghi, di A. Trivulzio, di A. Manzoni, di G. Ciani. Ma il giorno seguente la situazione precipitò: gli Italici puri intesero imporre al Senato, riunitosi in quel giorno, lo scioglimento e la convocazione dei comizi elettorali; la folla invase il palazzo del Senato ed ottenne che il presidente predisponesse il decreto di convocazione dei Collegi e lo dichiarasse approvato; non soddisfatta, assaltò la casa del ministro delle Finanze Prina e finì per ucciderlo.

Il C., che era stato presente a questi avvenimenti, fu accusato di esserne stato il massimo ispiratore, e responsabile persino della misera fine del Prina. Secondo la relazione del senatore L. Armaroli (Sulla Rivoluzione di Milano seguita nel giorno 20 apr. 1814..., Parigi, novembre 1814), il C. si sarebbe avventato contro il ritratto di Napoleone dipinto dall'Appiani e l'avrebbe forato con l'ombrello. Ma nella Lettera ad un amico, che pubblicherà il 15 marzo 1815, il C. affermerà con estrema decisione di non essere neppure entrato, il 20 apr. 1814, nell'aula del Senato, mentre riconfermava quello che era stato il suo atteggiamento politico espressosi nella richiesta di convocazione dei Collegi elettorali perché la nazione avesse modo di manifestare direttamente i propri intendimenti. È vero che, il 20aprile, accanto agli Italici puri si trovarono anche gli austriacanti e che la decisa opposizione del C. e dei suoi amici, in odio al Bonaparte e, quindi, ad Eugenio Beauharnais, al piano di F. Melzi avrebbe favorito il ritorno dell'Austria; ma è vero anche che il C. perseguiva un programma politico confortato dalla dichiarazione dell'esule italiano A. Bozzi Granville, ufficiale della marina britannica venuto in missione segreta nel 1814 nella penisola, che, secondo l'opinione inglese, se non tutta l'Italia almeno il Regno italico avrebbe potuto rimanere indipendente. Del resto la difesa del C. fu apprezzata da U. Foscolo, che era stato testimone degli avvenimenti dell'aprile 1814 a Milano.

Tre giorni dopo l'eccidio del Prina i Collegi elettorali furono convocati e decisero di nominare una deputazione, a far parte della quale fu chiamato anche il C., che avrebbe dovuto perorare la causa italiana presso gli alleati riuniti a Parigi richiedendo l'indipendenza, e un principe e una costituzione liberali. La deputazione giunse a Parigi nei primi giorni del maggio 1814 ed ebbe modo di avvertire molto presto come la situazione italiana fosse ormai irreparabilmente compromessa.

Il C. fu il più combattivo dei deputati lombardi; approfittando delle amicizie e del prestigio del suo nome egli cercò di rimuovere le difficoltà, ma ogni tentativo fu vano. Il 18 maggio egli s'incontrò con lord Castlereagh giudicando come l'estrema speranza fosse legata all'atteggiamento dell'Inghilterra. Ma il ministro britannico non intendeva compromettere l'alleanza con l'Austria e non intendeva neppure eccedere nelle concessioni liberali. La sua risposta fu completamente negativa così che al C. non rimase altro che fare un dignitoso e preciso discorso sulle conseguenze che avrebbe potuto avere il "sacrificio della propria esistenza politica" che si imponeva all'Italia riducendola a provincia austriaca. Senza risultati furono gli incontri che la delegazione lombarda ebbe poi con lo zar Alessandro di Russia e con l'imperatore d'Austria il quale si limitò ad invitarli ad essere sudditi "docili e tranquilli". A questo punto la delegazione ritenne esaurito, con totale insuccesso, il suo compito e si sciolse. Intanto, in Lombardia, l'Austria prendeva possesso di tutto l'apparato governativo e amministrativo.A Parigi il C. aveva incontrato il rivoluzionario Filippo Buonarroti, l'amico e compagno di Babeuf, il più profondo conoscitore dell'organizzazione settaria europea; può essere stato quest'incontro a convincere il C. dell'opportunità di inserirsi in una società segreta per dare l'apporto che desiderava alla causa della libertà. Ma, rientrato a Milano, dovette soprattutto preoccuparsi di respingere le gravi accuse che, nel frattempo, erano state elevate nei suoi confronti sulla responsabilità dell'eccidio del ministro Prina; fu allora che scrisse e pubblicò la Lettera ad un amico, nella quale precisava quale era stata la sua parte negli eventi del 20aprile. Il C. era rimasto estraneo alla congiura fomentata dagli ufficiali del disciolto esercito, italico nella seconda metà del 1814, anche se con alcuni congiurati era certamente in rapporti di amicizia. Del resto durante i viaggi effettuati in Italia negli anni immediatamente successivi egli ebbe, secondo il rapporto confidenziale del governatore di Roma alla polizia austriaca di Milano, contatti con personaggi sospetti per le loro simpatie liberali a Roma, a Napoli, in Calabria, in Sicilia.

Il C. divenne convinto assertore, sotto l'influenza delle idee romantiche, della funzione della letteratura per la formazione di una coscienza liberale; insieme con L. Porro Lambertenghi fu, nel 1818, il promotore morale e finanziario del "foglio azzurro" intitolato Il Conciliatore, di cui furono compilatori L. di Breme, P. Borsieri, G. Berchet e S. Pellico. Il primo numero fu pubblicato il 3 sett. 1818, l'ultimo, il 21 ott. 1819, quando i promotori ritennero opportuno sospendere il periodico per i continui, pressanti interventi della censura austriaca; agli inizi del 1819 il C. aveva scritto all'amico fiorentino Capponi: "Il Conciliatore è castrato e perseguitato in modo scoraggiante, ma egli in ogni caso non morrà che di morte violenta".

Il C. fu collaboratore del Conciliatore con articoli arguti e dotti, che rivelano le sue doti letterarie, la vastità degli interessi ed il suo particolare riferimento ai problemi dell'istruzione. Il Viaggio di un abitante della luna sul globo terrestre (3dic. 1818) era carico di allusioni alla situazione della Lombardia che non sfuggirono al governatore austriaco. Di analoga ispirazione la Vita d'un orso scritta da lui medesimo (13 dic. 1818). Ne Le citazioni (28 genn. 1819) affermava, l'esigenza che gli storici indicassero le fonti delle loro affermazioni. Quattro articoli dedicò alla recensione dell'opera di G. L. Reynier sull'economia pubblica e rurale dei Celti, dei Germani e di altri popoli del Nord e del centro d'Europa (23 maggio, 10 e 27 giugno, 22 luglio 1819). Sull'invenzione dell'arte di istruire i sordomuti e sui risultati raggiunti s'intrattenne in tre ampi contributi (19 ag., 2 e 26 sett. 1819).

Mentre il Conciliatore tramontava, il C. collaborava a far sorgere in Milano le scuole di mutuo insegnamento, che si richiamavano al metodo lancasteriano e che aveva avuto modo di conoscere, con ogni probabilità, durante il viaggio effettuato nel 1814 in Inghilterra mentre altre istituzioni educative aveva visitato in Francia e in Svizzera. Nel gennaio 1819 egli avanzò all'autorità austriaca la richiesta di autorizzazione a costituire la Società centrale per la propaganda e il mantenimento delle scuole di mutuo insegnamento in Lombardia, alla quale collaborarono G. Beccaria, C. Londonio e G. Pecchio che ne fu il segretario e che, con numerosi articoli sul Conciliatore, ne illustrò le finalità e il metodo. L'autorizzazione giunse nel marzo, e nell'ottobre la prima scuola milanese di mutuo insegnamento, frequentata da duecento alunni, funzionò in S. Agostino di fronte al palazzo abitato dal C. in via Monte di Pietà. La seconda scuola, di trecento alunni, fu aperta agli inizi del 1820 nella parrocchia di S. Nazaro, a S. Caterina. Nel suo entusiasmo per l'iniziativa, il C. s'illudeva sull'effettivo conseguimento dei risultati previsti; ma il riunire così gran numero di giovani impegnandoli in una "attività" scolastica era pur sempre una grande opera di educazione sociale. Se ne accorse la autorità austriaca che cominciò a guardare con sospetto la scuola di mutuo insegnamento della quale, dopo aver respinto la richiesta di aprire una sezione femminile, decretò la fine nel gennaio 1821 giustificando il provvedimento con il fatto che erano state aperte scuole elementari minori secondo il regolamento austriaco. Il C. era stato tra gli intellettuali del suo tempo uno dei più avveduti nel comprendere che lo sviluppo economico e la nuova organizzazione industriale della produzione esigevano una manodopera dotata, almeno, dell'istruzione di base.

Nel 1818 il C. aveva compiuto un nuovo viaggio in Francia e in Inghilterra. Nei primi giorni di settembre, a Londra, era stato aggregato alla massoneria di rito scozzese alla quale era stato presentato dal duca di Sussex, fratello del reggente. Aveva incontrato il Foscolo, cui aveva rimproverato l'atteggiamento troppo ostile e polemico nei confronti degli Italiani, ai quali attribuiva la completa responsabilità delle loro sciagure. A Parigi rivide il Buonarroti e incontrò alcuni degli oppositori liberali della restaurata monarchia borbonica. Il viaggio aveva avuto una motivazione principalmente economica; il C. aveva infatti acquistato il macchinario fabbricato a Londra per la produzione del gas illuminante, aveva commesso all'industria inglese Hill macchine per la filatura del lino, e aveva ordinato a Boulton e Watt la costruzione di una macchina a vapore da spedire a Genova per essere collocata su un piroscafo per la navigazione sul Po. Al suo ritorno a Milano, nel gennaio 1819, egli poté concretare i risultati del viaggio; la macchina per la produzione del gas illuminante fu installata in casa Porro e diede ottimi risultati; la macchina a vapore fu collocata sul piroscafo costruito a Genova e battezzato "Eridano", che cominciò a navigare sul Po.

Questa attività economica aveva consentito al C. di riempire le giornate e sottrarsi alla grigia ed oppressiva atmosfera della Restaurazione alla quale, fin dall'inizio, aveva dimostrato di non volersi adattare. Ma nel progresso economico, come in quello intellettuale, egli aveva individuato uno degli stimoli alla redenzione italiana ed alla sua indipendenza. Il raggiungimento dell'autonomia economica avrebbe potuto recare con sé, come conseguenza, il raggiungimento dell'autonomia politica.

Fallì, invece, il progetto del C. di creare in Milano un ateneo che ospitasse conferenze, letture, corsi d'istruzione tecnica, spettacoli teatrali e fosse collocato in un grande bazar con giardini pubblici coperti per l'inverno e i giorni di pioggia, caffé, ristoranti, bagni, alberghi, la borsa. L'ateneo avrebbe dovuto costituire il nuovo centro della città dandole un ulteriore, grande impulso.

Intanto l'azione settaria, d'ispirazione carbonara anche se con ramificazioni e denominazioni diverse, si era intensificata. I moti del luglio 1820 nel Regno di Napoli ne furono la prima testimonianza. In Piemonte e in Lombardia era sorta la Federazione, alla quale avevano aderito quasi tutti i giovani ufficiali dell'esercito sardo di idee liberali e gli esponenti della aristocrazia e della borghesia lombarda che meno tolleravano la dominazione austriaca. Il C., per la sua precedente iniziazione settaria, non solo fu tra i primi federati ma assunse nella setta una posizione di rilievo; divenne il tramite tra i federati piemontesi e i federati lombardi nei mesi che precedettero l'insurrezione del marzo 1821.

Tra la fine d'agosto e gli inizi del settembre 1820 il C. fu cercato dal conte E. Perrone di San Martino, colonnello piemontese, e, successivamente, da un capitano Marenco per conto di Carlo Alberto. In un incontro a Vigevano il Perrone espose al C. il piano dei federati e del principe di Carignano: richiesta della costituzione e, nel caso di abdicazione del re a favore di Carlo Alberto, guerra all'Austria per la conquista della Lombardia. Il C., secondo la deposizione fatta dinanzi alla autorità inquirente austriaca dopo l'arresto, si sarebbe mostrato molto perplesso. Comunque, i rapporti tra federati piemontesi e lombardi dovettero continuare nonostante che l'arresto, nell'ottobre 1820, del Pellico e del Maroncelli dovesse creare non pochi timori.

Quando l'insurrezione scoppiò e, essendosi allontanato da Torino dopo l'abdicazione Vittorio Emanuele I, Carlo Alberto ebbe la reggenza del regno, alcuni giovani lombardi passarono al di là del Ticino per sollecitare l'intervento sardo in Lombardia. Qui era stato progettato che, non appena le truppe piemontesi avessero varcato il confine, vi sarebbero state la sollevazione e la formazione di un governo provvisorio e di milizie cittadine che avrebbero collaborato alla cacciata degli Austriaci; il C. era stato designato, naturalmente, come l'uomo che avrebbe avuto le maggiori responsabilità in quel delicato momento. Va detto che, negli ultimi giorni di febbraio, alla vigilia della insurrezione piemontese, il C. era caduto ammalato e tale rimase per diverse settimane tanto da far temere per la sua stessa esistenza; non aveva potuto prendere parte diretta agli avvenimenti, e apprese a letto le notizie dell'insurrezione, della reggenza di Carlo Alberto, della concessione della costituzione, dell'intervento austriaco richiesto dal nuovo re Carlo Felice, della sconfitta e della dispersione degli insorti.

La polizia austriaca macinò lentamente la sua indagine: il C. fu arrestato nella sua casa il 13 dic. 1821 dopo aver cercato invano di sottrarsi con uno stratagemma agli agenti. Il processo durò quasi due anni e si concluse nel novembre 1823 con la condanna a morte del C. e di altri sei imputati detenuti e nove contumaci.

Il C. aveva scelto la strada della confessione più ampia gettando, nel contempo, le responsabilità maggiori delle iniziative ritenute criminose sui compagni che si erano messi in salvo lontano dalla Lombardia e che non erano raggiungibili dalla giustizia austriaca. Aveva però dimenticato che il codice austriaco puniva con la medesima pena sia colui che si riteneva responsabile di tradimento sia colui che, essendo a conoscenza di un piano criminoso, non avesse sporto la denuncia alla autorità. L'abile inquisitore austriaco Salvotti riuscì ad avere dinanzi il quadro preciso della attività cospirativa dal quale emergeva con sufficiente certezza che il C. ne era stato il capo o l'esponente più rappresentativo, così come era già emerso dalla confessione di uno dei congiurati, C. de Castillia. Nonostante che la polizia non fosse stata in grado di fornire alla commissione speciale cui spettò la istruttoria del processo prove decisive, la confessione del Castillia, l'ampia deposizione del C. stesso, le ammissioni del Pallavicino, del Borsieri e dell'Arese consentirono al tribunale di ricostruire abbastanza attendibilmente la cospirazione dei federati.

Nonostante che la commissione di prima istanza, pur riconoscendo la "gravità delle colpe" del C. gli avesse attribuito il "gran merito di avere sparso massima luce sulla cospirazione, non solo lombarda, ma per così dire europea", l'imperatore confermò la pena di morte. Il vecchio Confalonieri, con la nuora Teresa ed il fratello di questa Gabrio, si recò a Vienna; dovette attendere due settimane per essere ricevuto dall'imperatore dal quale non ebbe, però, promesse di clemenza. Ritornata a Milano, Teresa promosse una petizione di grazia che raccolse le firme della più qualificata aristocrazia lombarda e fu portata a Vienna da Gabrio Casati con una lettera dell'arcivescovo Gaysruck. Finalmente, l'8 genn. 1824, dopo essersi ulteriormente accertato dell'impressione negativa suscitata in Milano dalla condanna a morte del C., l'imperatore si decise a commutare la pena capitale con il carcere duro a vita da espiare nella fortezza morava dello Spielberg.

Il C. lasciò Milano con gli altri compagni la notte dal 4 al 5 gennaio; la comitiva fece tappa a Villaco, dove, il C. essendosi ammalato, fu necessaria una sosta di dieci giorni. Mentre i compagni furono fatti proseguire per Brünn, la città dello Spielberg, il C. fu dirottato per Vienna perché, ritenendolo depositario di conoscenze molto precise sul movimento rivoluzionario europeo, il Metternich volle incontrarlo e lo intrattenne a lungo senza ricavarne però alcuna rivelazione.

Movendo dalla stessa convinzione che il C. poteva essere un importantissimo informatore, gli furono offerti, allo Spielberg, un alloggio e un vitto privilegiati rispetto a quello degli altri carcerati. Gli furono anche messi a fianco cappellani che avrebbero potuto carpirgli dei segreti: ma non raggiunsero alcun risultato perché in realtà il C. non aveva molto altro da aggiungere a quanto aveva già confessato. Rimasero assai tesi, nel carcere, i rapporti tra il C. e il Pallavicino, il quale attribuiva la sua condanna alle deposizioni di lui.

Invano Teresa si recò più volte a Vienna per supplicare la riduzione della pena e il trasferimento in un carcere più umano; nel 1829 ella pensò persino a un progetto di evasione che fallì. Teresa morì l'anno successivo, il 26 sett. 1830, dopo aver inviato un'ultima supplica all'imperatore; la morte fu ignorata dal C. la cui salute nel frattempo, continuava a declinare. La grazia venne alla fine del 1835 da parte del nuovo imperatore Ferdinando, in forma di deportazione forzata in America e perdita dei diritti civili. Fu trasferito a Gradisca e finalmente, il 29 nov. 1836, fu imbarcato a Trieste; dopo tre mesi di navigazione raggiunse New York ancor più stremato nel fisico e nel morale. Negli Stati Uniti poté godere di libertà ed anche dei mezzi necessari per condurre un'esistenza agiata. Il soggiorno americano non durò a lungo; fuggì e nel settembre 1837 era già a Parigi, dove il governo, per timore di urtarsi con l'Austria, lo allontanò. Si trasferì allora nel Belgio, dove fu ospite dei vecchi amici Arrivabene e Arconati. Successivamente fu alle isole Hyerès, ad Algeri, ad Antibes e nel 1840, in seguito ad amnistia, poté ritornare a Milano dove viveva ancora suo padre. Viaggiò in Egitto e in Palestina, alla ricerca di un clima meglio confacente alle sue condizioni di salute.

Morì il 10 dic. 1846 a Hospenthal, nel Cantone di Uri, assistito da Sofia O' Ferral, la donna irlandese che era stata l'affettuosa compagna degli ultimi anni della sua vita. Il 30 dic. 1846 la salma fu trasportata a Milano: le onoranze funebri, celebrate in S. Fedele, furono il pretesto di una dimostrazione popolare.

Fonti e Bibl.: Per la biogr. del C. si veda: R. Huch, Das Leben des Grafen F. C., Leipzig 1925 (trad. di B. Maffi, F. C., Milano 1949). Per la bibliografia: A. Giussani, Per gli studi sul C., in Studi sul Risorgimento in Lombardia, I, Modena 1949, pp. 45-51; G. Talamo, in Bibliografia dell'età del Risorgimento in onore di A. M. Ghisalberti, I, Firenze 1971, pp. 182 ss. Per il carteggio: F. Confalonieri, Memorie e lettere, a cura di G. Casati. I-II, Milano 1889-90; Carteggio del conte F. C. ed altri documenti, a cura di G. Gallavresi, I-III, Milano 1910-13; Carteggio di F. C. e T. Confalonieri, a cura di F. Arese-A. Giussani, Milano 1956. Cfr. inoltre: Lettere ined. di F. C., in La Cultura moderna, 1omarzo 1914, pp. 476-80; Lettere ined. di F. C., a cura di A. Ottolini, in Riv. d'Italia, XIX (1916), pp. 834-38; Ventiquattro lettere ined. di F. C. a S. Pellico, 1837-1844, in Il Risorg. ital., n. s., XV (1922), gennaio-giugno, pp. 25-58; Tre lettere del conte F. C., a cura di G. Bardelli, in Riv. rosminiana, XXXIII (1939), pp. 251-258; Tre suppliche inedite di F. C., a cura di U. R. Montini, in Rass. stor. del Risorg., XXIX (1942), pp. 83-90. Per I Costituti di F. C. cfr. l'ediz. a cura di F. Salata, I-III, Bologna 1940-41, poi a cura di A. Giussani, IV, Roma 1956. Per la collaborazione del C. a Il Conciliatore, se ne veda l'edizione a cura di V. Branca, I-III, Firenze 1956 e la Prefaz. del curatore (I, pp. VII-LVIII). In particolare sul C. si vedano: C. Bianchi, F.C. e i carbonari del 1821, Milano 1962; G. Rosa, F. C., Brescia 1890; A. D'Ancona, F. C., Milano 1898; F. Bertoliatti, Le vicende del soggiorno di F. C. in Svizzera, in Periodico stor. comense, n. s., III (1939), 3-4, pp. 56-94; I. Stefani, C. sulla via dell'esilio, in Miscell. in onore di R. Cessi, Roma 1958, III, pp. 103-146; Id., I prigionieri dello Spielberg sulla via dell'esilio, Udine 1963, passim. Sulprocesso del C.: Relaz. ufficiale della cospirazione di Milano del 1821, del processo e della sentenza contro il conte F. C., Milano 1824; Memoria in difesa del governo austriaco contro le cospir. del conte F. C. e di A. F. Andryane, ibid. 1824; A. Andryane, Mémoires d'un prisonnier d'Etat, I-II, Paris 1850 (trad. italiana con aggiunta di documenti inediti, Milano 1861); D. Chiattone, Nuovi docc. su F. C. per le sue relazioni intime e patriottiche prima del processo, in Arch. stor. lomb., s. 4, V (1906), pp. 47-114; G. Gallavresi, Per una futura biografia di F. C. Appunti, ibid., s. 4, VII (1907), pp. 428-70; A. Luzio, Nuovi docc. sul processo C., Milano 1909; B. Bellorini, G. Berchet e l'ultimo... tentativo per liberare F. C. dallo Spielberg, in Arch. stor. lomb., s. 4, XVII (1912), pp. 360-72; G. Decio, Vicende della sostanza del conte F. C. conseguenti alla sua condanna per i moti del 1821, Novara 1926, R. Morozzo Della Rocca, Nuovi docc. intorno ai tentativi di fare evadere dallo Spielberg il conte F. C., Milano 1931; F. Cappi, I martiri dello Spielberg, Roma 1936, passim; A.Zaniboni, I foglimatricolari dello Spielberg, in I processi spilberghiani, a cura di U. R. Montini, Roma 1937; R. Ciampini, Un po' più di luce sul processo C., in Nuova Antologia, gennaio 1949, pp. 64-73; L. Gasparini, La malattia di F. C. allo Spielberg e una lettera clandestina del Pellico sui "Promessi Sposi" fatta pervenire al C. in carcere, in Studi sul Risorgimento in Lombardia, IV, Modena 1953, pp. 55-60; U. R. Montini, I confessori dello Spielberg attraverso le memorie e i giudizi dei nostri martiri e i docc. ufficiali austriaci, in Atti del XXXIII Congresso di storia del Risorg. ital., Roma 1958, pp. 231-56. Sulla moglie Teresa Casati, si veda la voce di L. Ambrosoli in Diz. biogr. degli Ital., XXI, Roma 1978, pp. 267 ss. Per un quadro generale: C. Spellanzon, Storia del Risorg. e dell'Unità d'Italia, I, Milano 1933, pp. 565, 568 s., 578, 596, 600-603, 617, 712 ss., 778, 780, 848 ss., 858; II, ibid. 1934, pp. 27-36, 44-56, 60-63; K. R. Greenfield, Economia e liberalismo nel Risorg., Bari 1947, passim;W. NoviTommolini, La scuola milanese e la sua didattica. Dalla fondaz. delle scuole gratuite (1786) all'inizio del Novecento, Milano 1943, pp. 72-83; G. Candeloro, Storia dell'Italia moderna, I, Milano 1956, pp. 371 s.; II, ibid. 1958, pp. 35, 125 s.; G. Salvemini, Ipartiti polit. milanesi nel sec. XIX, in Scritti sul Risorg., a cura di P. Pieri-C. Pischedda, Milano 1961, pp. 29-32, 39 ss.; P. Pieri, Storia milit. del Risorg., Torino 1962, pp. 91 s., 97, 177, 180; D. Bertoni Jovine, St. dell'educ. popol. in Italia, Bari 1965, pp. 30-36, 52, 59; S. J. Woolf,. Dal primo Settecento all'Unità. La storia polit. e soc., in Storia d'Italia, III, Torino 1973, pp. 236 ss., 265, 269, 279, 283, 328, 378; A. Gramsci, Quaderni dal carcere, a cura di V. Gerratana, Torino 1975, ad Indicem.

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