Montefeltro, Federico da

Enciclopedia Dantesca (1970)

Montefeltro, Federico da

Luigi Michelini Tocci

Figlio naturale legittimato (Gubbio 1422 - Ferrara 1482) di Guidantonio da M., conte di Urbino. Divenuto signore della città egli stesso nel 1444, dopo l'uccisione del fratellastro Oddantonio in un tumulto, fu creato duca di Urbino nel 1474 da Sisto IV.

Fu uno dei più celebri condottieri del Quattrocento. Uomo di stato acuto, duttile e saggio, divenne, con Lorenzo il Magnifico, uno dei principali elementi di equilibrio nella politica italiana del suo tempo. Versatile e colto, mecenate illuminato di artisti e uomini di cultura, che trovarono sempre nella sua corte asilo, stimolo e commesse per la loro attività; appassionato di architettura egli stesso, fece elevare nella sua città un palazzo che è considerato a ragione la più bella reggia del Rinascimento; in esso raccolse opere d'arte famose e una biblioteca splendida, tra le più celebri del mondo in ogni tempo.

Discepolo di Vittorino da Feltre, era vissuto durante la precoce fanciullezza e la prima gioventù nella continua familiarità di umanisti, in anni nei quali la fama di D. subiva un'eclissi. Volse quindi piuttosto tardi, quando era già arrivato al sommo della sua gloria guerriera e politica, la sua attenzione verso la poesia volgare e verso la Commedia. Nella sua biblioteca c'era - è vero - un codice del poema tra i più antichi e notevoli, l'attuale Urbinate latino 366 della biblioteca Vaticana, che presumibilmente egli non aveva acquistato ma soltanto ereditato dai suoi maggiori, forse dall'avo Antonio, nel quale era stato ben vivo il culto di D. (v. MONTEFELTRO, Antonio da). Federico, dunque, nonostante la tradizione della famiglia, sembra essersi accostato a D. con un notevole ritardo, agl'inizi dell'ultimo trentennio del sec. XV che già vede dovunque rinverdito e fervido il culto del poeta.

Forse fu Angelo Galli, segretario del padre suo Guidantonio, e poi di Federico stesso nei suoi primi anni, poeta e amico di poeti in volgare; forse fu l'altro influente segretario e oratore, Pier Antonio Paltroni, il più autorevole dei suoi biografi tra l'altro, che usava spesso citare la Commedia; o forse furono i Filelfo, padre e figlio, apologisti, biografi, pubblici lettori di D., a risvegliare l'interesse del loro mecenate e amico. Forse anche vi contribuirono i suoi rapporti con Firenze, sempre più stretti, fino all'autentica apoteosi ottenuta in quella città dopo la vittoria su Volterra nel 1472. Certo è che intorno al 1475, quando Federico volle raccogliere nel suo studio di Urbino, come in un suo privato Parnaso, le effigi dei maggiori personaggi della cultura, della poesia, delle lettere, dall'antichità ai giorni suoi, ordinò al pittore che vi comprendesse Dante. Cominciavano intanto a entrare nella sua biblioteca, in esemplari di lusso, anche i poeti in volgare.

Intorno al 1476, egli sentì, quasi a compenso della passata trascuratezza, l'esigenza di avere un esemplare della Commedia che sorpassasse in bellezza e sontuosità di ornati tutto quello che si era visto fino allora, senza risparmio di spesa. Fu così che ordinò al più elegante degli scribi che lavoravano per lui a Urbino, il volterrano Matteo Contugi, di esemplare il poema da un manoscritto autorevole, che peraltro non conosciamo, e di farlo ornare da uno dei miniatori più famosi dell'epoca, il ferrarese Guglielmo Giraldi.

L'artista, con aiuti, iniziò l'opera sua a Ferrara nel 1478. Nel 1480 vi lavorava ancora a Urbino. Ciò nonostante non riuscì ad andare oltre l'illustrazione dell'Inferno e del principio del Purgatorio. Subentrò allora un altro grande miniatore di scuola ferrarese, attivissimo in quegli anni a Urbino, e che è stato identificato con Franco de' Russi. Questo illustrò quasi tutta la seconda cantica, ma anche il suo lavoro s'interruppe per l'intervenuta morte del principe mecenate. Il codice rimase così incompleto nella sua ornamentazione quattrocentesca. Ciò nonostante il manoscritto urbinate resta, come lo aveva voluto Federico, senza possibilità di confronti il più bello di quanti ne esistono del poema.

Bibl. - L. Michelini Tocci, Il D. Urbinate della Biblioteca Vaticana (Codice Urbinate latino 365), Città del Vaticano 1965 (con bibl.).

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