GONZAGA, Federico

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 57 (2001)

GONZAGA, Federico

Isabella Lazzarini

Figlio di Luigi di Corrado, primo signore di Mantova della casa di Gonzaga, e di Caterina Malatesta, nacque a Mantova con ogni probabilità nei primi anni Venti del Trecento, terzo figlio del secondo matrimonio di Luigi, avvenuto dopo il 1319 (anno della morte di Richilde Ramberti, tradizionalmente considerata la prima sposa di Luigi). Nel 1340, durante la magna curia indetta a Mantova per festeggiare il quadruplice matrimonio dinastico di Luigi, Corrado di Luigi, Ugolino e Tommasina di Guido, venne fatto cavaliere con i fratelli maggiori Corrado e Alberto: doveva essere di età considerata adulta, giacché l'Aliprandi (pp. 130 s.), che narra l'episodio, qualifica i tre fratelli come "valenti", mentre Pietro e Guido di Feltrino, per esempio, vengono definiti "picholini da solazo".

Luzio ritenne di intravedere in Luigi Gonzaga una particolare predilezione verso questo figlio, che pure faticò a ritagliarsi uno spazio personale accanto ai ben più potenti fratelli maggiori: rispetto ai vari cadetti di Luigi bisogna in effetti riconoscere al G. una peculiare vivacità, che lo portò in più di un'occasione a porsi in posizione antagonista rispetto ai fratelli. L'ipotesi di Luzio di un favore particolare di Luigi per il G. si basa su di una lettera di Carlo IV di Lussemburgo a Guido, Filippino e Feltrino Gonzaga (edita da Salomon, e da lui fatta risalire agli anni 1347-55) in cui i tre Gonzaga venivano esortati a restituire al G. i beni che gli avevano confiscato in un non meglio precisato "tempore sui discessus non voluntarii". Sembra di leggere fra le righe un contrasto tra i fratelli di primo e di secondo letto del primo signore di Mantova, che potrebbe avere avuto la conseguenza di un allontanamento del G. da Mantova. Il testamento di Luigi, redatto il 26 maggio 1359, conferma l'ipotesi dell'esistenza di una duratura questione patrimoniale fra il G. e i fratelli, che rimane però imprecisata: il G. è nominato subito dopo Guido e Feltrino e prima del fratello maggiore Alberto, ma in una clausola insolita (e unica nel suo genere nel testamento) Luigi stabiliva che le eventuali donazioni da lui fatte al figlio fossero annullate (Arch. di Stato di Mantova, Archivio Gonzaga, b. 328). Guido, erede dei beni allodiali di Luigi e suo successore come capitano del Popolo di Mantova, aveva evidentemente voluto garantirsi da eventuali rivendicazioni del G. in un momento in cui il fratello Feltrino, a causa dell'occupazione a titolo personale di Reggio, forzata e contraria agli accordi con il ramo centrale della famiglia (che condivideva con Feltrino il titolo vicariale sulla città emiliana), era in buona misura ormai fuori dal gioco per la supremazia a Mantova, e l'eredità del defunto fratello Filippino stava per tornare al solo ramo di Guido e del suo primogenito Ugolino.

Questo sospetto di difficili rapporti tra il G. e i fratelli non dovette riguardare gli anni 1354-55 dal momento che il G. partecipò insieme con il fratello Feltrino e con i nipoti Ugolino e Francesco di Guido e Guglielmo di Feltrino alla congiura ordita da Fregnano Della Scala contro il fratello e signore di Verona, Cangrande (II). Nel gennaio 1354, in occasione del matrimonio di Filippino con Varena d'Asburgo, Fregnano, illegittimo di Mastino (II) e condottiero di buona reputazione, aveva contattato i Gonzaga a Mantova (l'Aliprandi parla soprattutto di un abboccamento con Ugolino) e si era assicurato il loro appoggio nel tentativo di sostituirsi al fratello, anche se il reale intento dei Gonzaga era di "recare a sé la signoria" (Villani, p. 451). Allorché, nel febbraio, Fregnano, approfittando di un viaggio di Cangrande a Bolzano, lo fece credere morto e avocò a sé la signoria, il G. si recò a Verona con Feltrino e i nipoti e 300 cavalieri: la prontezza con cui Cangrande - aiutato in questo dall'arcivescovo Giovanni che pure inizialmente era sembrato favorire Fregnano - rientrò a Verona e sventò il tentativo del fratello fece sì che i Gonzaga rimanessero prigionieri di Cangrande; solo la mediazione di Venezia li salvò dalla morte ed evitò alla città di Mantova la prevedibile ritorsione di Cangrande: i prigionieri vennero liberati dietro il pagamento del riscatto di 30.000 ducati, per cui si dovette ricorrere a un prestito di 20.000 ducati dalla Serenissima.

Dopo questo episodio - e considerati i rapporti non facili con i fratelli, soprattutto dopo la morte di Luigi (I) nel 1360 - il G. dovette dedicarsi al mestiere delle armi servendo come capitano visconteo: in questa veste, nel 1360 intraprese una lunga controversia con Gigliola Gonzaga, figlia ed erede di Filippino e di Anna da Dovara, per il controllo di una serie di terre dovaresi in territorio cremonese che, grazie al matrimonio di Anna con Filippino nel 1322, erano pervenute in mani gonzaghesche: Filippino aveva avuto da Anna solo due figlie, Gigliola, moglie e poi vedova di Matteo Visconti, ed Elisabetta, moglie di Rodolfo d'Asburgo.

Alla morte di Filippino (nel 1356), la questione della sua eredità era divenuta un caso di importanza cruciale negli equilibri di potere fra i signori di Mantova: dopo varie pressioni, Gigliola aveva ceduto l'intera eredità paterna al nipote Ugolino di Guido, marito dell'unica figlia Caterina (in qualità di tutore del figlio avuto da lei, Bernabò). Il G. aveva evidentemente occupato parte delle terre che spettavano a Gigliola e al nipote. Iniziò così una lunga diatriba, testimoniata da un complesso incartamento processuale (Arch. Gonzaga, bb. 338-339): le pretese del G. sulle terre erano basate sull'esistenza, da lui proclamata, di un atto di donazione a suo favore stilato da Anna da Dovara, che lo nominava proprio erede in caso di morte sua e del marito senza figli maschi. Gigliola e i consanguinei Guido, Ugolino (sino al 1362), Ludovico e Francesco, che intendevano mantenere le terre cremonesi sotto il proprio controllo (si trattava di zone chiave lungo il difficile confine con i domini viscontei), contestando l'autenticità dell'atto, ricorsero nel 1366 all'imperatore Carlo IV, che nominò arbitro della questione il patriarca di Aquileia, Marquardo, mentre il G. si appellava alla protezione viscontea.

La vicenda si iscrive nel più generale conflitto che oppose i Gonzaga ai Visconti negli anni Sessanta del secolo, dopo che l'assassinio di Ugolino da parte dei fratelli Ludovico e Francesco, nel 1362, aveva allentato la solidarietà viscontea nei confronti dei signori di Mantova. La lunga questione si trascinò sino al 1375, allorché Ludovico Visconti diede finalmente ordine che le terre contese venissero consegnate a Gigliola e a Ludovico (ormai solo signore di Mantova).

Il distacco fra il G. e i consanguinei di Mantova divenne evidente nel corso della guerra che oppose i Visconti alla lega stretta fra il papa Urbano V, i signori lombardi (e dunque anche Ludovico e Francesco signori di Mantova e Feltrino signore di Reggio), e l'imperatore Carlo IV tra il 1367-68 e il 1370.

Il G. infatti, come capitano visconteo, era nel maggio 1368 a campo a Borgoforte - con 1000 fanti e 200 cavalieri insieme con Francesco Ordelaffi e Paganino da Panico - dove vennero raggiunti da 1500 inglesi mandati da Giovanni Dell'Agnello, signore di Pisa alleato di Bernabò Visconti. Fra maggio e giugno il conflitto si fece asperrimo: la resistenza delle forze viscontee e l'incapacità della lega di infliggere ai Milanesi un colpo decisivo condussero i protagonisti a intraprendere diverse trattative per giungere a un accordo.

Nel corso di questi parlamentari, il G. venne incaricato da Bernabò di saggiare le intenzioni dei congiunti Gonzaga: egli scrisse dunque al fratello Guido, invitandolo a riappacificarsi con il Visconti, che avrebbe fatto ogni cosa Guido gli chiedesse. Le trattative diedero vita all'accordo di Modena (27 ag. 1368) e poi alla pace del febbraio 1369. Nel 1370 il G. era ancora al soldo dei Visconti: andò infatti in aiuto a Giovanni Acuto contro Firenze e nel 1373 combatté con l'esercito visconteo a Gavarolo.

Nel processo di semplificazione della gestione del potere gonzaghesco che si attuò nei decenni centrali del secolo in un gioco durissimo di eliminazione dei rami più deboli della dinastia, il G. ebbe, seppure in tono minore, lo stesso destino del più potente Feltrino di Luigi, o dello stesso intraprendente Ugolino di Guido: i suoi ricorrenti contrasti per motivi patrimoniali con i fratelli o i loro figli, che gli chiudevano di mano in mano gli spazi nel Mantovano, si risolsero alla fine con un'azione estrema e diretta. Nel 1376 (e certo non dissuase il G. il fatto di avere perduto l'anno prima l'ennesimo confronto con il nipote Ludovico sulla rilevante questione patrimoniale delle terre dovaresi) venne scoperta una macchinazione di Guido, Guglielmo ed Edoardo, figli di Feltrino (morto nel 1374) che coinvolgeva anche il Gonzaga. Sulla data della congiura negli storici mantovani esiste incertezza, ma le fonti la datano inequivocabilmente al biennio 1374-76. Dall'inchiesta del luglio 1376 emerse che i figli di Feltrino avevano pensato di assaltare Mantova già nell'aprile 1374: il ruolo del G. e di Edoardo, capitani di guerra, sarebbe stato di farsi assoldare da Venezia con 600 lance e 1000 fanti e grazie all'appoggio della Serenissima riunirsi a Peschiera con Guido e Guglielmo e assaltare Mantova. Rivelatosi inconsistente questo primo piano per la riluttanza veneziana (non mancavano nemmeno sospetti sull'affidabilità del G.), avevano ripreso l'intero progetto due anni dopo, meditando di entrare nel Mantovano dal distretto bresciano (Guido era capitano di Cremona).

La sentenza, emessa il 23 ag. 1376, condannò tutti e quattro a morte per decapitazione e alla confisca dei beni: non è chiaro se il G. riuscì a evitare la morte, ma questa è l'ultima notizia certa che si ha di lui.

Del G. non sono noti né mogli, né figli. Sercambi registra al 1395 la notizia della cattura di un Federico Gonzaga nel territorio di Lucca per volontà di Jacopo d'Appiano, ma il Bongi, che curò l'edizione, rimane incerto nell'identificare col G. questo Gonzaga.

Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Mantova, Archivio Gonzaga, bb. 328, 338-339, 385, 2092, 3451; Chronicon Estense, in L.A. Muratori, Rer. Ital. Script., XV, Mediolani 1729, col. 498; B. Sacchi (Platina), Historia urbis Mantuae…, ibid., XX, ibid. 1735, col. 731; B. Aliprandi, Aliprandina o cronaca di Mantova, a cura di O. Begani, in Rer. Ital. Script., 2ª ed., XXIV, 13, pp. 130 s.; G. Sercambi, Le croniche, a cura di S. Bongi, II, Lucca 1892, pp. 308-310, 456; R. Sardo, Cronaca di Pisa, a cura di O. Banti, in Fonti per la storia d'Italia [Medio Evo], XCIX, Roma 1963, p. 196; M. Villani, Cronica, a cura di G. Porta, I, Parma 1995, pp. 451, 456; A. Possevino iunior, Gonzaga. Calci operis addita genealogia totius familiae, Mantuae 1617, pp. 391 ss.; S.A. Maffei, Gli annali di Mantova, Tortona 1675, p. 718; L.C. Volta, Compendio cronologico-critico della storia di Mantova dalla sua fondazione ai nostri tempi, II, Mantova 1827, pp. 47 s.; R. Salomon, Reiseberichte 1908/09, VII, Zur Geschichte des Friedrich Gonzaga (1347-1355), in Neues Archiv, XXXVI (1910), pp. 498 s.; A. Luzio, I Corradi di Gonzaga signori di Mantova. Nuovi documenti, in Arch. stor. lombardo, s. 4, XX (1913), pp. 166, 276; G. Pirchan, Italien und Karl IV. in der Zeit seiner zweiten Romfahrt, in Quellen und Forschungen aus dem Gebiete der Geschichte, Prag 1930, I, pp. 134 ss.; II, p. 106 n. 73; F. Amadei, Cronaca universale della città di Mantova, a cura di G. Amadei - G. Marani - G. Praticò, I, Mantova 1954, pp. 508, 610 s.; F. Cognasso, L'unificazione della Lombardia sotto Milano, in Storia di Milano, V, La signoria dei Visconti (1310-1392), Milano 1955, pp. 444, 447; G. Coniglio, Mantova. La storia, I, Dalle origini al 1440, Mantova 1958, pp. 363, 377, 408; P. Litta, Le famiglie celebri italiane, s.v. Gonzaga, tav. II.

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