SFORZA, Federico

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 92 (2018)

SFORZA, Federico.

Giampiero Brunelli

– Nacque a Caprarola il 14 agosto 1651 da Paolo II, marchese di Proceno, e da Olimpia Cesi.

Il padre aveva intrapreso la carriera militare, raggiungendo il grado di generale delle forze armate della Repubblica di Venezia. Sua madre era la unica figlia di Federico Cesi, fondatore dell’Accademia dei Lincei, ed era stata dotata di una dote ricchissima, pari a più di 30.000 scudi romani.

Federico ebbe pensioni ecclesiastiche in giovane età, con dispensa di poterne godere anche se si fosse sposato. Dimostrò spiccati interessi letterari e fu poeta in volgare. Entrato nell’Accademia degli Umoristi, ne fu l’ultimo principe, prima dello scioglimento nel 1670. Quindi, tentò di intraprendere la carriera militare.

Nella primavera del 1672 era a Vienna, dove incontrò prima l’imperatore Leopoldo I, poi il generale Raimondo Montecuccoli. Si unì effettivamente alle armate imperiali (che in quel frangente si disponevano all’intervento contro il Regno di Francia che aveva attaccato l’Olanda), ma soltanto per pochi mesi.

Il cardinale di famiglia, anch’egli di nome Federico, nel contempo, aveva avanzato a Roma la sua candidatura al matrimonio con Livia Cesarini, oblata (ma non professa) nel monastero della Madonna dei Sette Dolori, e fermamente intenzionata a uscire dalla regola religiosa. Come primogenita, infatti, in caso di assenza di figli maschi, il patrimonio, i titoli e i feudi sarebbero passati a lei, a condizione che avesse sposato un rampollo di casa Orsini, Sforza, Cesi o Caetani.

La vicenda tenne sospesa la città del papa per diversi mesi, fra il 1672 e il 1673. Alla fine di ottobre, mentre Federico Sforza aveva mandato dalla Germania un atto per procedere a un matrimonio per procura, l’omonimo suo zio cardinale fece prelevare dal monastero Livia Cesarini, che acconsentiva all’unione. Ostili restavano le due maggiori case romane: i Colonna perché un’altra sorella Cesarini, Clelia, aveva sposato Filippo, principe di Sonnino, e dunque ambiva all’eredità; gli Orsini perché l’azione riuscita al cardinale Sforza, con l’aiuto del cardinale Federico Borromeo iuniore, sovvertiva l’ipotesi di matrimonio con Lelio Orsini, duca di Vicovaro. Ma soprattutto si ritenne colpito nei propri interessi il sovrano di Francia, Luigi XIV, poiché l’ereditiera di una famiglia appartenente alla sua fazione sarebbe andata in moglie a un gentiluomo di orientamento marcatamente filoasburgico.

Federico Sforza – bene accetto a Livia Cesarini, anche contro il parere della madre e dello zio – riceveva, nel contempo, dallo zio cardinale inviti pressanti e denaro per tornare repentinamente a Roma, mentre la sua promessa sposa era posta per ordine del papa (dopo pressioni francesi) nel monastero di S. Anna.

Le nozze furono comunque pubblicate, l’11 dicembre 1672, in S. Biagio degli Armeni, parrocchia di Federico Sforza. La celebrazione delle nozze per procura si rese impossibile per l’esistenza di errori formali nell’atto. Si diffusero addirittura voci di una morte di Federico per malattia, in Germania. Ma, a dissipare ogni dubbio, egli si presentò in corte di Roma all’inizio di febbraio del 1673. La notte del successivo giorno 27, il cardinale Federico Sforza celebrò le nozze.

Il nipote omonimo, che fin dai primi giorni di marzo «si sottoscrive[va] col cognome di Cesarini» (cit. in Ademollo, 1883, p. 129), poté riunirsi alla moglie soltanto dopo tre mesi, durante i quali si susseguirono progetti di accordo tra le diverse famiglie contendenti. Uno, addirittura del duca Ludovico Sforza, suo cugino, prevedeva che gli si assegnassero 300.000 scudi in cambio della cessione dell’eredità e del nome Cesarini. Federico ovviamente lo respinse.

Sulla regolarità dell’unione matrimoniale dovette pronunciarsi la congregazione del Concilio, che la giudicò pienamente valida. Il cognato di Federico, Filippo Colonna, intentò comunque causa presso la Rota, già il 4 aprile 1673. La contesa durò ancora a lungo (sarebbe terminata solo nel febbraio del 1697, con una coda nella transazione del 10 settembre 1709). L’assegnazione della primogenitura Cesarini fu definitivamente confermata alla moglie di Federico, Livia.

Federico Sforza non si impegnò efficacemente nell’amministrazione dei suoi beni. È vero che si attivò nel dare impulso alla produzione delle sue vigne (anche se meno della moglie). Riuscì anche, nel marzo del 1695, a riacquistare il ducato di Segni, che Mario II Sforza di Santa Fiora aveva dovuto mettere all’asta per debiti nel 1639. Nondimeno, Federico, a giudizio di Girolamo Marcello De Gubernatis, residente sabaudo a Roma, «vivendo in continuo disordine e senza la menoma economia, si trova[va] sempre senza un soldo, e con le entrate dissipate due o tre anni anticipatamente» (cit. in Ademollo, 1883, p. 142).

Federico Sforza, d’altro canto, restò per tutta la vita un protagonista della scena culturale romana. Era entrato nell’Accademia dell’Arcadia il 10 giugno 1691 con il nome di Misena Ladoneceo e aveva steso un’orazione dal titolo Christina Regina di Svezia sprezzante il Regno. Di tutto rilievo anche il suo gusto artistico, di cui si trovano espressioni nelle residenze da lui più frequentate: il palazzo Sforza Cesarini alle Botteghe Oscure e un altro palazzo nel Borgo Vaticano, cui va aggiunto un ‘casino’ nella villa appena fuori Roma, oltre la porta del Popolo, sui monti Parioli. Riguardo alle opere di pittura della sua collezione, l’inventario redatto nel 1713 (dopo la sua morte) ne menziona 149.

Vi erano compresi quadri di Angiolo Bronzino, di Giorgio Vasari, di Francesco de’ Rossi (detto il Salviati), di Livio Agresti (il Ricciutello), della scuola di Giovan Domenico Angelini, detto il Perugino; di Guido Reni, di Domenichino; copie da Pietro da Cortona; opere di pittori caravaggeschi, come Bartolomeo Manfredi, Orazio Borgianni e Antiveduto Grammatica; lavori di anni più vicini, come ad esempio quelli di Carlo Maratta; e opere che avevano per soggetto vedute e scene di battaglia (per mano di autori fiamminghi, come Herman van Swanevelt o italiani quali Pasqualino Rossi); infine, prove dei bamboccianti, innanzi tutto del caposcuola Pieter van Laer. Federico, insieme con la coniuge Livia, aveva altresì commissionato diversi ritratti di casa Sforza e di casa Cesarini a Giovanni Maria Morandi, artista in voga nella Roma del secondo Seicento, due volte principe dell’Accademia di S. Luca, istituzione alla quale era stato iscritto anche Federico Sforza stesso, in qualità di membro onorario.

Restò sempre filospagnolo: fra le opere commissionate da Federico Sforza si trovano anche oli su tela con l’arme della Corona di Spagna. Nel 1687, rese al papa il consueto omaggio feudale per il Regno di Napoli (la cosiddetta presentazione della Chinea), essendo stato nominato ambasciatore straordinario del re Carlo II. Non volle invece accettare l’onorificenza dell’Ordine dello Spirito Santo offertagli da Luigi XIV.

Ebbe quattro figli: Gaetano, l’erede, Olimpia, Giovan Giorgio, Cornelia.

Morì a Roma il 10 ottobre 1712.

Volle essere seppellito nella chiesa dei cappuccini di Genzano. Un suo ritratto è riprodotto in Benocci, 2014, p. 469.

Fonti e Bibl.: G.M. Crescimbeni, L’Istoria della volgar poesia, V, In Venezia 1730, p. 275; N. Ratti, Della famiglia Sforza, parte I, Roma 1794, pp. 331, 335, 346-350, parte II (Donne illustri di casa Sforza), Roma 1795, pp. 202-207; A. Ademollo, Il matrimonio di suor Maria Pulcheria, al secolo Livia Cesarini, Roma 1883, passim; C. Benocci, La magnificenza di due casati uniti: l’inventario del 1687 dei quadri di F. S. e di Livia Cesarini, in Rassegna degli archivi di Stato, 2001, vol. 61, pp. 101-128; G. De Luca, Vicende di un dipinto di Giovanni Maria Morandi per il Duomo di Siena, in Prospettiva, 2010, vol. 138, pp. 56 s.; C. Benocci, Le vigne degli Sforza Cesarini a Roma e Genzano nel Seicento e i debiti con Gian Lorenzo Bernini, in Honos alit artes. Studi per il settantesimo compleanno di Mario Ascheri, II, Gli universi particolari. Città e territori dal medioevo all’età moderna, a cura di P. Maffei - G.M. Varanini, Firenze 2014, pp. 462-464, 466, 469.

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