Dostoevskij, Fëdor Michajlovič

Enciclopedia dei ragazzi (2005)

Dostoevskij, Fëdor Michajlovič

Guido Carpi

Lo scrittore che voleva risolvere l'enigma uomo

Sin dall'adolescenza Fëdor Michajlovič Dostoevskij si scontra con la realtà opprimente e brutale della Russia zarista. Il suo tentativo di difendere la dignità umana calpestata si traduce in lunghi anni di lavori forzati in Siberia. Tornato dall'esilio scrive numerosi romanzi dedicati a uomini e donne che combattono il proprio egoismo e le proprie debolezze, cercando la felicità attraverso la sofferenza e il sacrificio

Le prime esperienze

Con le guerre napoleoniche la Russia acquista potere e prestigio internazionale, ma fatica a mantenere tale posizione nei decenni successivi: l'economia è arretrata, basata sulla servitù della gleba, e il sistema politico è burocratico e oppressivo. La situazione si aggrava soprattutto durante il lungo regno dello zar Nicola I (1825-53), caratterizzato da uno spietato sfruttamento dei contadini e da un tetro militarismo. Tale clima incide profondamente nella biografia del giovane Dostoevskij, nato a Mosca nel 1821, anche a seguito di esperienze traumatiche: gli anni di dura disciplina all'Accademia di ingegneria militare di San Pietroburgo e la morte del padre, un ex medico dell'esercito, ucciso nel 1839 dai suoi stessi servi.

Già all'età di 18 anni il futuro scrittore scrive al fratello Michail: "L'uomo è un enigma che dev'essere risolto, e chi va alla ricerca della soluzione per tutta la vita non può dire di aver sprecato il proprio tempo; io mi dedico a questo enigma poiché voglio essere un uomo".

Nel 1844 Dostoevskij riesce a ottenere il congedo da ufficiale per dedicarsi interamente alla letteratura e l'anno successivo esce il suo primo romanzo, Povera gente. Influenzato da Balzac e Gogol´, esso ha come protagonista un povero impiegato che tenta di recuperare la propria dignità umana schiacciata dalla gerarchia e dalle convenzioni sociali. Il romanzo viene accolto bene dalla critica del tempo, molto attenta al valore sociale della letteratura, ma l'opera successiva, Il sosia (1846), suscita sconcerto nel pubblico: qui, per la prima volta, Dostoevskij descrive una personalità che, chiusasi nelle proprie allucinazioni, finisce per scindersi e scivolare nella follia. Alla figura del sognatore incapace di interagire positivamente col mondo circostante saranno dedicati anche Il signor Procharčin, La padrona, Le notti bianche, Netočka Nezvanov, scritti tra il 1846 e il 1849.

I lavori forzati e l'esilio

A partire dal marzo 1847 Dostoevskij frequenta il circolo di M.V. Petraševskij, un gruppo di giovani impegnati nella critica della società russa e soprattutto della servitù della gleba; arrestato nell'aprile 1849 con molti compagni, lo scrittore viene condannato a morte, condotto al luogo dell'esecuzione e solo all'ultimo momento graziato e spedito in Siberia ai lavori forzati: l'attesa della fucilazione imminente verrà rievocata più volte da Dostoevskij (e dai personaggi dei suoi romanzi) come un'esperienza drammatica ma preziosa, attraverso cui lo spirito umano si rafforza perché riconosce il vero valore della vita.

Fondamentale è anche l'esperienza dei lavori forzati (in russo katorga) che Dostoevskij sconta dal 1850 al 1854, vivendo fianco a fianco con rappresentanti di un'umanità che nessuno scrittore prima di lui aveva mai neanche intravisto. Scriverà poi: "Fra i criminali ho riconosciuto finalmente degli uomini"; e ancora: "Ci sono caratteri profondi, forti, bellissimi, e che felicità cercare l'oro sotto quella rude scorza. Quanti tipi e caratteri popolari mi sono portato via dai lavori forzati! Basterà per volumi interi". Descriverà il mondo della katorga nelle Memorie dalla casa dei morti (1860-61). Dopo la Siberia gli toccano altri lunghi anni di esilio come soldato semplice in una lontana guarnigione di frontiera, dove sposa Marija Isaeva; solo nel 1860 gli viene finalmente concesso di tornare a San Pietroburgo.

Le speranze deluse

La fine dell'esilio coincide con un periodo di grande fermento: il nuovo zar Alessandro II concede più libertà all'opinione pubblica e promette l'abolizione della servitù della gleba. Dostoevskij partecipa con entusiasmo al nuovo clima e fonda insieme a Michail la rivista Il tempo, dove per più di due anni pubblica le sue opere (fra cui spicca il romanzo Umiliati e offesi) ed elabora la teoria del "ritorno al suolo": dopo secoli di divisione e ostilità, in Russia la minoranza privilegiata deve riconciliarsi con la massa del popolo, in cui affondano le radici dello spirito nazionale. Nel 1861 lo scrittore compie il suo primo viaggio in Occidente, ma la vita sociale in Francia e in Inghilterra gli appare dominata dall'ingiustizia e dall'ostilità fra le classi: egli ripone sempre più le sue speranze in un originale cammino storico della Russia, che risparmi al suo popolo un tale destino.

Le aspettative di Dostoevskij vengono però deluse: i contadini, liberati dalla servitù nel 1861, sono mantenuti in una condizione di sfruttamento economico (le terre restano in gran parte agli ex proprietari) e dalle riforme non nasce una società più democratica e solidale, ma al contrario il paese cade sempre più in balia di grandi gruppi di speculatori. Alla delusione si aggiungono tragedie personali: Il tempo viene chiuso dalla censura e nel 1864 muoiono la moglie e l'amatissimo Michail. Perseguitato dai debiti e tenuto per contratto a pubblicare un'opera dopo l'altra, Dostoevskij si affida a una giovane stenografa, Anna Snitkina, che diventerà la sua seconda moglie e gli porterà infine un po' di serenità. La penuria economica, aggravata dalla passione che lo scrittore aveva per il gioco d'azzardo, continuerà a pesare a lungo sulla coppia, che per sfuggire ai creditori sarà costretta a rifugiarsi in alcuni paesi europei.

La colpa e l'espiazione

Le amare esperienze politiche e personali tolgono a Dostoevskij la fiducia nella capacità dell'uomo di conseguire la felicità con le proprie forze, e lo scrittore finisce per aggrapparsi alla religione: la vita è una continua lotta fra l'impulso all'egoismo e un istinto alla solidarietà e all'amore che non si può spiegare razionalmente ma che è ispirato direttamente da Dio: "Il diavolo lotta con Dio, e il loro campo di battaglia è il cuore degli uomini". D'ora in poi, Dostoevskij rappresenterà nei suoi romanzi uomini tormentati da una qualche idea fissa che è in realtà il riflesso del loro egoismo e della loro incapacità di amare: Aleksej Ivanovič si abbandona al vizio del gioco (Il giocatore); Raskol´nikov (Delitto e castigo) vuole dimostrare a sé stesso di essere un uomo superiore per il quale non vale la morale comune; Rogožin e Nastas´ja Filippovna (L'idiota) sono preda di un rapporto d'amore ossessivo, proprio come Dmitrij Karamazov e Grušen´ka (I fratelli Karamazov); il giovane Arkadij (L'adolescente) è dominato dall'idea del denaro; Pëtr Verchovenskij (I demoni) tenta di acquisire un potere carismatico sugli altri attraverso la paura.

La parola definitiva

Alcuni personaggi di Dostoevskij offrono un esempio positivo: sono uomini e donne che ricordano Cristo per la loro capacità di amore e di sacrificio; altri rappresentano invece le estreme conseguenze dell'egoismo, sono uomini rapaci, dominati da un cinismo freddo e disperato che culmina nell'omicidio, nel suicidio, nella follia: non a caso le loro vittime predilette sono gli innocenti, gli indifesi, i bambini.

Proprio alla necessità di difendere i bambini da un mondo che basa la propria prosperità sull'oppressione dei più deboli è dedicata la riflessione di uno dei personaggi più affascinanti: "Immagina di essere tu stesso a costruire l'edificio del destino umano con lo scopo finale di rendere felici gli uomini, di dare loro pace e tranquillità", così Ivan Karamazov sfida il fratello Alëša. "Ma se per questo fosse necessario e inevitabile tormentare anche solo una minuscola creaturina, magari proprio quel bambinello che si batteva il petto con la manina, e sulle sue lacrime fondare il tuo edificio, accetteresti di esserne l'architetto a queste condizioni?".

Malgrado tutta la sua apparente prosperità materiale, la civiltà europea, secondo Dostoevskij, è troppo cinica e individualista per poter fare a meno della violenza e dello sfruttamento; non così il popolo russo, che sotto la scorza della miseria e dell'ignoranza ha saputo conservare l'istinto della solidarietà: "Diventare un vero russo" esclamerà lo scrittore durante una conferenza tenuta nel 1881, pochi mesi prima di morire, "significa forse pronunciare la parola definitiva della grande armonia universale, della concordia fraterna fra tutti i popoli secondo la legge evangelica di Cristo". A trovare questa "parola definitiva" Dostoevskij ha dedicato il suo talento e la sua vita.

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