FEDRA

Enciclopedia Italiana (1932)

FEDRA (Φαίδρα, Pedra)

Alessandro Olivieri

Figlia di Minosse e di Pasifae, moglie di Teseo. È famosa per l'amore violento concepito verso il figliastro Ippolito, che non volle assolutamente corrisponderle. Poco o nulla si sa di questo episodio, prima che largamente e variamente lo elaborasse la tragedia.

Il verso dell'Odissea (XI, 321) che nomina F. si considera per lo più un'interpolazione del sec. VI. Che vi fosse nel poema epico Naupactia è un'ipotesi; certo doveva trovarsi nella Teseide. Pausania (X, 29, 2) avverte che Polignoto, nella sua rappresentazione dell'Ade nella Lesche di Delfi, aveva insieme congiunto Arianna e Fedra. Euripide portò sulla scena due Ippoliti, il velato e il coronato. Ci è pervenuto il secondo; la scena è in Trezene. Afrodite sdegnata che Ippolito rifiuti a lei l'onore dovuto, mentre lo concede ad Artemide, si appresta alla vendetta. Fedra è presa d'amore per Ippolito. Incalzata dalla nutrice, preoccupatissima per il turbamento della regina, essa le svela la passione per la quale ha deciso di uccidersi. La nutrice cerca di distogliere F. dal suo proposito e svela a Ippolito l'amore della matrigna, ma il giovane si mostra inorridito per la proposta. F. s'impicca e il marito rinviene nella mano di lei una tavoletta, in cui la regina incolpa Ippolito di aver tentato di sedurla. Teseo implora da Posidone l'adempimento di una delle tre maledizioni che il dio gli aveva accordato, e fa perire Ippolito. Pare che l'Ippolito velato, scritto da Euripide prima di questo coronato, non fosse piaciuto al pubblico per il carattere svergognato di F. che svelava da sé al figliastro il proprio amore con accenti, che qualcuno pensa facessero coprire Ippolito, onde il nome della tragedia. Anche Sofocle scrisse una Fedra dopo il primo Ippolito e prima del secondo; non conosciamo bene il disegno del dramma ed è oscuro se F. direttamente o per mezzo della nutrice svelasse a Ippolito la propria passione. Nella tragedia di Seneca è la regina che confessa al figliastro il proprio amore. Ippolito la vuole uccidere con la spada, ma getta via la spada stessa e fugge. Il particolare della spada serve alla nutrice per incolpare Ippolito dell'amore incestuoso. Pare che Licofrone scrivesse anch'egli un Ippolito; Sopatro parodiava in un dramma omonimo l'euripideo. In alcuni monumenti figurati la nutrice è rappresentata nell'atto di porgere una lettera a Ippolito. Nei tempi moderni sono da ricordare specialmente la Fedra del Racine e quella del D'Annunzio; ed è da notare che nell'una e nell'altra Ippolito non è rappresentato come l'uomo che non cede neppure un istante alle lusinghe d'amore, ma nella prima egli ama e sposa Aricia, nella seconda anela alla mano di Elena (nella Fedra del Bois un filtro propinato dalla nutrice al giovane, invece di agire in favore di F., fa rinascere in lui l'amore per una fanciulla, che già l'amava in segreto). In tutt'e due F. confessa il suo amore al figliastro, da cui è respinta.

L'interpretazione del mito di Fedra ha seguito principalmente due motivi: o quello simbolico, che vede in lei gli attributi di una divinità lunare, d'amore e di morte a un tempo, finendo col farne quasi un'ipostasi di Afrodite; o quello novellistico, che ha ricongiunto questo mito con tutte le affini leggende aventi a fondo comune la calunnia come vendetta dell'amore respinto, abbondanti non solo in Grecia (Frisso e Demodice, Antea e Bellerofonte, ecc.), ma in tanta parte delle letterature orientali (la moglie di Putifarre, la storia indiana dei sette visir, l'episodio persiano di Sūdābeh e Siyāvish, ecc.).

Bibl.: v. ippolito; inoltre: V. Puntoni, De Phaedrae indole et moribus ex Euripidis Hippolyto, Pisa 1884; H. Patin, Études sur les tragiques grecs, 4ª ed., Parigi 1879-73; U. v. Wilamowitz, Euripides' Hippolytos, Berlino 1891, pp. 23-58; R. Heinemann, Die tragischen Gestalten der Griechen in der Weltliteratur, Lipsia 1920, II, pp. 69-79; C. Robert, Die griech. Heldensage, II, ii, Berlino 1921, p. 740 segg.; P. Séchan, Études sur la tragédie grecque dans ses rapports avec la céramique, Parigi 1927, pp. 322-40.

TAG

Ippolito velato

Poema epico

Licofrone

Polignoto

Euripide