FELICE da Prato

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 46 (1996)

FELICE da Prato

Rosalba Zangari

Nato, presumibilmente a Prato, intorno al 1460, da famiglia ebraica, si convertì al cristianesimo ed entrò nell'Ordine degli agostiniani.

La circostanza che si firmasse, si presentasse e fosse noto come "frater Felix pratensis" o "de Prato" può avere una duplice valenza: da un lato l'indicazione, come d'uso presso i religiosi, del luogo di nascita, dall'altro la conservazione del cognome, su base toponimica, della famiglia ebraica dalla quale era uscito per convertirsi al cristianesimo. In tal caso F. appartenne ad un noto ed illustre casato di coanim ("sacerdoti") originario di Terracina e trasferitosi in Toscana, a Lucignano, fra la fine del Trecento ed i primi del Quattrocento, per esercitarvi l'attività bancaria. Interessati in seguito ai banchi di Pescia, Prato, Monte San Savino, Pisa, Castiglione Aretino, Pistoia, Firenze e Lucca, e attivi anche a Ferrara, i da Terracina finirono per fissarsi più stabilmente a Prato, donde trassero il nuovo cognome. Proprietari del banco di prestito su pegno e della sinagoga della città, negli ultimi decenni del Quattrocento erano suddivisi in almeno cinque rami, alcuni dei quali già trasferitisi a Firenze e a Roma.

Imparentati con tutte le principali famiglie della "aristocrazia" ebraica del tempo, di elevata cultura religiosa e scientifica (almeno tre membri della casata sono noti come "magistri", erano cioè medici o rabbini o entrambe le cose) furono spesso coinvolti in movimentate vicende finanziarie ed anche penali. Non rari, inoltre, già erano stati nella famiglia i casi di apostasia, a partire da quella di Sabato di Buonaventura di Salomone (possibile nonno o prozio di F.) che si convertì al cristianesimo in vecchiaia, poco dopo il 1465.

La preparazione di F. in campo ebraico (le fonti lo vogliono addirittura rabbino) rimanda in ogni caso ad una formazione avvenuta in un ambito familiare di elevate tradizioni e disponibilità economiche, l'unico che consentisse nella Toscana della fine del Quattrocento, anche attraverso l'insegnamento di precettori privati, un adeguato livello di studi.

Il fatto che egli sia citato dalle fonti come "trium linguarum scientia ac solida eruditione ornatus" rinvia poi a un contesto culturale che poté ben essere quello di Prato: animato, nell'ultimo ventennio del XV secolo e nei primi anni del XVI, da fermenti e sollecitazioni di impronta umanistica, legati sia alla tradizione di studi giuridici che i giovani pratesi compivano nello Studio fiorentino di Pisa o in quello di Siena e integravano con interessi verso le lettere classiche, sia al patrocinio di grandi personalità della cultura del tempo, che Lorenzo il Magnifico convogliava nella vicina villa di Poggio a Caiano.

La conversione di F. precedette probabilmente di poco l'ingresso nell'Ordine agostiniano: è possibile che egli sia stato battezzato, ormai più che quarantenne, il 25 apr. 1505, quando risulta presentato al fonte della propositura di S. Stefano di Prato un "Francescho e Marco, ch'era giudeo" (evidentemente un adulto), e che già nel 1506 sia entrato nel convento di S. Anna, appartenente alla congregazione agostiniana di Lecceto (Siena), con il nome di Felice, uno dei patroni della diocesi pistoiese cui Prato afferiva.

Dopo aver forse frequentato lo Studio di Padova fu impegnato, presumibilmente prima a Roma e poi certamente a Venezia (1515-1516), nell'insegnamento dell'ebraico e nella traduzione, edizione e stampa di testi veterotestamentari, talmudici e cabbalistici. Di nuovo a Roma intorno al 1518 e ormai noto per la sua erudizione, ebbe stretti rapporti con la Curia pontificia, e in particolare con il cardinale Egidio da Viterbo, con il pontefice Leone X e con il cardinale Pietro Accolti dei quali ultimi fu familiare. Si dedicò nel contempo alla predicazione della dottrina cristiana partecipando sia ai progetti di conversione degli ebrei sia a dispute teologiche con rappresentanti dell'ebraismo, anche in virtù dell'incarico affidatogli di lettore di teologia.

Egualmente alta fu la considerazione di cui godette F. in campo politico-diplomatico e amministrativo; nel 1522, per volontà dei priore generale dell'Ordine, venne infatti inviato come legato in Spagna, presso il neoeletto papa Adriano VI, per affrontare questioni relative all'Ordine stesso.

Rientrato a Roma, fu nominato, nel 1523, maestro di teologia "ob virtutem et eruditionem ... qua summis viris clarus habitus est". Nel 1526 e nel 1528 ricoprì la carica di procuratore generale della congregazione di Lecceto.

La notorietà di F. è legata soprattutto alle attività di edizione, traduzione e commento di testi ebraici, improntate ad un considerevole rigore filologico e ad una forte spinta esegetica. Importante è anche il contributo che, sulla scia dell'interesse per gli studi ebraici manifestatosi tra gli umanisti - basti il nome di Pico della Mirandola -, egli diede alla diffusione della lingua ebraica sia con l'insegnamento sia con la stesura di regole di grammatica e di un dizionario ebraico.

Per la pubblicazione delle sue opere F. rivolse la sua attenzione a Venezia, già importante centro dell'editoria ebraica, verso la quale aveva puntato i suoi interessi anche Daniel Bomberg, originario di Anversa. Questi avviò la sua considerevole attività editoriale finanziando la prima opera a stampa del frate, una traduzione latina del Salterio che vide la luce il 5 sett. 1515 a Venezia per i tipi di Peter Lichtenstein. Il testo, dedicato a Leone X e corredato a margine da altre possibili traduzioni e interpretazioni, rivela, al di là dell'interesse filologico, l'intento didascalico dell'autore. Il papa, che aveva approvato e lodato l'opera, la dotò di un privilegio di esclusiva per dieci anni: il Psalterium furistampato a Venezia nel 1519, a Basilea nel 1524 e a Lione nel 1530.

Un'autorizzazione a stampare, egualmente con un'esclusiva di dieci anni, fu concessa dalle autorità veneziane a seguito di una richiesta del 23 apr. 1515, che, assieme a Daniel Bomberg e Peter Lichtenstein, F. aveva presentato proponendo altre sue opere, tra cui le traduzioni in latino di due testi cabbalistici (Sepher Temuna e Imre Sepher), forse sollecitate dal cardinale Egidio da Viterbo, che non videro però la luce. Stessa sorte ebbero altri suoi scritti rimasti tuttora inediti o andati perduti.

Ma nella petizione si menzionavano soprattutto due Bibbie in ebraico, una con e l'altra senza commenti, che F. aveva approntato e che Daniel Bomberg iniziò a stampare nel 1516. Mentre l'edizione minore fu in 4º la maggiore, vera e propria Bibbia rabbinica, uscì in quattro volumi di grande formato. Oltre a costituire un caposaldo dell'editoria perché è la prima edizione a stampa di una Bibbia ebraica con Targūm, essa offre la testimonianza della dottrina di F. e del carattere innovativo del suo impegno di curatore. L'opera è infatti ripartita in modo inconsueto e vi si possono leggere, stampati in un'unica pagina, "il testo ebraico della Bibbia, la parafrasi aramaica, i commenti al testo biblico dei più celebri esegeti ebrei medievali e soprattutto le note masoretiche". L'edizione viene presentata, nella dedica a Leone X, come risultato dell'uso di un attento metodo filologico nella collazione di vari manoscritti nonché come utile mezzo di diffusione della lingua ebraica.

L'intento didascalico di F., orientato al rafforzamento del cristianesimo attraverso l'approfondimento delle tradizioni ebraiche, si manifestò ancora nell'ulteriore impegno, assunto assieme a Daniel Boniberg, di attendere all'edizione del Talmūd, che fu approvata e dotata di privilegio decennale di stampa da Leone X, nel 1520, e venne successivamente pubblicata in Venezia dallo stesso Bomberg.

L'opera, nelle intenzioni originarie, avrebbe dovuto comprendere delle risposte di mano di F. alle obiezioni ebraiche verso il cristianesimo. Le risposte, che sappiamo già pronte entro il 1527, quando andarono perdute per il sacco di Roma, non furono invece stampate da Bomberg che, nel 1532, chiese un rinnovo del privilegio di stampa a Clemente VII, sottolineando ed evidenziando la disponibilità di F. a riscriverle.

Non risulta che F. abbia poi compiuto l'opera, ma la fiducia e il favore manifestati nei suoi confronti da Clemente VII, e prima di lui da Leone X, già comprensibili sulla sola base dell'origine toscana di F., possono a buon diritto inscriversi nel rapporto privilegiato, da tempo instauratosil e fondamentalmente per ragioni economiche, fra gli ebrei fiorentini e toscani ed i Medici, cui certo conferiva prestigio la conversione e la brillante carriera, come eruditi cristiani, di alcuni dei loro clientes ebrei.

F. morì a Roma il 5 nov. 1559

Fonti e Bibl.: Sulla famiglia dei da Terracina, poi da Prato, si veda: M. Ciardini, Ibanchieri ebrei in Firenze nel sec. XV e il Monte di pietà fondato da Girolamo Savonarola..., Borgo San Lorenzo 1907, pp. 37 ss., 75 s., 83; U. Cassuto, Gli ebrei a Firenze nell'età del Rinascimento, Firenze 1918, ad Indicem;E. Fiumi, Demografia, movimento urbanistico e classi sociali in Prato dall'età comunale ai tempi moderni, Firenze 1968, pp. 106, 136; M. Cassandro, Commercio, manifatture e industria, in Prato storia di una città, I, a cura di G. Cherubini, Firenze 1991, pp. 443 ss., 461. Per le attività fiorentine dei membri della famiglia si vedano poi, fra i molti altri, i protocolli notarili (1448-1505) di ser Pietro di Antonio da Vinci (Archivio di Stato di Firenze, Notarile antecosimiano, nn. 16823-16842, già P 349-357). Per l'ambiente culturale pratese di fine Quattrocento vedi L. Perini, La cultura, in Prato storia di una città, II, a cura di E. Fasano Guarini, Firenze 1986, pp. 623-684. La registrazione di battesimo del 1505 si legge in Sezione di Archivio di Stato di Prato, Archivio storico del Comune, n. 2964 (1482-1509), c. 62r. Per la biografia, le opere e la fortuna di F. si veda: Prato, Bibl. Roncioniana, ms. 181, Q IV, 23: G. F. Buonamici, Brieve storia della terra di Prato (1585), c. 18v; Ibid., ms. 69, Q III, 15: G. B. Ciughi, Vite degli uomini illustri di Prato (1802 circa), cc. 74v-75; copia di parte di una lettera adespota e senza destinatario del 16 ag. 1522; Ibid., Carte Guasti, n. 58, fasc. 12; R. Fulin, Documenti per servire alla storia della tipografia veneziana, in Archivio veneto, XXIII (1882), pp. 181 ss., 185 s., 191 s.; Egidio da Viterbo, Resgestae generalatus, I (1506-1514), a cura di A. De Meijster, Romae 1988, pp. 133 n. 333, 153 n. 406; Id., Lettere familiari, II (1507-1517), a cura di A. M. Voci Roth, Roma 1990, pp. 210 s.; D. W. Amrain, The makers of Hebrew books in Italy..., Philadelphia 1919, pp. 150-153, 155 s., 169, 226; D. A. Perini, Bibliographia augustiniana, III, Firenze 1935, pp. 100 ss.; P. Kahle, Felix Pratensis - a Prato Felix. Der Bearbeiter der ersten Rabbinerbibel, Venedig 1516-17, in Die Welt des Orients, I (1947), pp. 32-36; Id., Zwei durch Humanisten besorgte, dem Papst gewidmete Ausgaben der hebraischen Bibel, in Essays presented to Leo Baeck, London 1954, pp. 50-74 (poi, rivisto, in Opera minora, Leiden 1956, pp. 128-150); F. Rosenthal, The study of the Hebrew Bible in sixteenth century Italy, in Studies in the Renaissance, I (1954), p. 84; F. Secret, Introd., in Egidio da Viterbo, Scechina e Libellus de litteris Hebraicis..., a cura di F. Secret, I, Roma 1959, pp. 11 s.; A. Milano, Storia degli ebrei in Italia, Torino 1961, p. 642; P. Sacchi, Rassegna di studi di storia del testo del Vecchio Testamento ebraico, in Rivista di storia e lett. religiosa, II (1966), pp. 258 ss.; G. Tamani, L'attività tipografica a Venezia fra il 1516 e il 1627, in Henoch, II (1980), pp. 68 s.; Id., Le Bibbie ebraiche stampate in Italia nei secoli XV-XVIII, in Bergomum, LXXVIII (1984), pp. 47-53; J. S. Penkower, La prima edizione della Bibbia di Bomberg e gli inizi della sua attività di stampatore (in ebraico), in Kiryat Sefer, LVIII (1983), pp. 586-605; A. Rosenthal, Daniel Bomberg and his Talmud editions, in Gli Ebrei a Venezia. Secoli XIV-XVIII, a cura di Gaetano Cozzi, Milano 1987, pp. 376-380; R. Bonfil, Cultura e mistica a Venezia nel Cinquecento, ibid., pp. 478, 501 s.; S. Simonsohn, Alcuni noti convertiti del Rinascimento, in Ebrei e Cristiani nell'Italia medievale e moderna: conversioni, scambi, contrasti, acura di M. Luzzati-M. Olivari-A. Veronese, Roma 1988, pp. 93-104; Id., Some well-known Jewish converts during the Renaissance, in Revue des études juives, CXLVIII (1989), pp. 26-30, 41 ss.; Id., The Apostolic See and the Jews: Documents: 1464-1521, Toronto 1990, pp. 1555 (n. 1242), 1563 s. (n. 1247), 1601 s. (n. 1277); ... 1522-1538, ibid. 1990, pp. 1837 ss. (n. 1559); Id., The Apostolic See and the Jews: History, ibid. 1991, pp. 283, 285, 335 s.; F. Lelli, La Bibbia e le origini della stampa ebraica, in La Bibbia a stampa da Gutenberg a Bodoni, a cura di I. Zatelli, Firenze 1991, pp. 78, 80 (vedi anche p. 123); A. Foa, Ebrei inEuropa dalla peste nera all'emancipazione. XIV-XVIII secolo, Roma-Bari 1992, p. 176; M. E. Cosenza, Biogr. and bibl. Diet. of the Italian humanists..., II, Boston 1962, p. 1374.

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