MELIS MARINI, Felice

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 73 (2009)

MELIS MARINI, Felice

Maura Picciau

MELIS MARINI, Felice. – Nacque a Cagliari il 18 dic. 1871 da Enrico Melis e da Annunziata Marini.

I Melis erano una agiata famiglia borghese, colta e piuttosto in vista nella Cagliari ottocentesca: il nonno paterno Gerolamo fu un valido disegnatore e membro dell’Accademia di belle arti di Carrara. Il padre Enrico, ingegnere e allievo dell’architetto Gaetano Cima, era a capo dell’Ufficio tecnico municipale. Figura di spicco nella vita cittadina del secondo Ottocento, a Enrico si devono incisive trasformazioni urbanistiche del capoluogo sardo (le quali tuttora connotano la fisionomia della città) oltre alla realizzazione nel 1886 del grande mercato civico in largo Carlo Felice, innovativa opera di architettura civile in ferro e vetro, demolita negli anni Cinquanta del Novecento.

In un ambito familiare dunque aperto e moderno si svolse la prima educazione artistica del M., che manifestò precoce attitudine al disegno: ragazzo, fu avviato dapprima alle scuole tecniche e quindi all’istituto tecnico di Cagliari, dove si diplomò nel 1893. Benché sembrasse naturale che il M. dovesse seguire le orme paterne, egli scelse (non senza qualche malumore familiare) di seguire la propria vocazione all’arte. Risale al 1893-94 il primo soggiorno a Roma, segnato dalle assidue visite alla giovane Galleria nazionale d’arte moderna, all’epoca in via Nazionale.

Molti anni dopo il M., ricordando quei mesi, citava con passione gli autori che più lo avevano influenzato nei suoi giorni da autodidatta: Giovanni Fattori, Francesco Paolo Michetti, Giovanni Segantini, Luigi Nono, Filippo Palizzi. Il naturalismo italiano, dunque, e la pittura di paesaggio, nell’accezione divisionista o di macchia: a tali premesse giovanili il M. fu fedele, specie nella produzione pittorica, per tutta la vita.

Rientrato a Cagliari, il M. tentò da subito di inserirsi nell’attardato milieu artistico, che vedeva ancora le migliori committenze pubbliche aggiudicate a professionisti giunti dalla penisola: è il caso, per esempio, del concorso per la decorazione pittorica della sala consiliare del palazzo del Governo di Cagliari, vinto dal perugino Domenico Bruschi. In tale situazione obiettivamente deficitaria per gli artisti sardi, il M. si fece ben presto parte attiva per il progresso e per la crescita professionale della comunità artistica locale.

Desiderando allargare il proprio bagaglio culturale, il M. fece ritorno a Roma, dove, tra il 1897 e il 1901, frequentò la Scuola libera del nudo a via di Ripetta. Orientato probabilmente da Francesco Jacovacci, suo docente alla Scuola e direttore della Galleria nazionale d’arte moderna, verso l’incisione, il M. ne apprese le diverse tecniche (fra le quali privilegiò da subito l’acquaforte) nei laboratori della Calcografia nazionale. Conclusi gli studi romani, nel 1902 tenne la prima esposizione personale nella sede del Collegio degli ingegneri e architetti di Cagliari: una selezione di opere sul tema del paesaggio, sardo e romano, apprezzata dal pubblico e dalla stampa.

Durante l’anno accademico 1903-04, forse alla ricerca di nuove possibilità del colore, il M. fu a Venezia all’Accademia, dove seguì i corsi di Guglielmo Ciardi e familiarizzò con il figlio di questo, Beppe (Giuseppe).

L’ambiente culturale lagunare fu di stimolo per il M., che si confrontò da vicino con una tradizione pittorica ancora memore del tonalismo e che tributava al tema del paesaggio, in cui eccellevano le figure di Guglielmo Ciardi e di Pietro Fragiacomo, un ruolo di primo piano. L’esperienza veneziana impresse un segno duraturo nel M.: egli accrebbe l’amore per il vedutismo e per l’acquaforte (tecnica di cui a Venezia poteva ammirare grandi capolavori del passato) e raggiunse esiti lusinghieri di ordine compositivo e luministico, presentandosi come un autore sincero, pervaso da un lirismo malinconico, ancora tutto ottocentesco, che fu il sigillo della sua opera.

Accanto alla produzione pittorica e incisoria, il M. si dedicò all’illustrazione grafica, disegnando bozzetti per cartoline, copertine di libri e riviste, inviti a feste ed eventi: in tale ambito espresse un aggiornato gusto liberty, raffinato e alla moda, rivolto al pubblico urbano. Ne è valido esempio il bozzetto per la cartolina Natale (datato 1903, in Scano, 1993, ill. n. 82), in cui tre tondi inquadrano in taglio fotografico le cupole di S. Marco, mentre una decorazione vegetale su mosaico d’oro scandisce il ritmo dell’immagine.

Stabilitosi nuovamente in Sardegna, il M. fece tesoro degli insegnamenti ricevuti e nel 1904 si rivelò artista compiuto in una mostra organizzata con il pittore Filippo Figari, che fu accolta con grande calore dal pubblico.

Uomo mite e pacato, il M. andò guadagnandosi (con la sua azione di convinto animatore della vita artistica) la stima dei colleghi, anche più giovani, che per tutta la sua lunga esistenza lo ebbero come punto di riferimento imprescindibile. Esemplare della produzione di quegli anni, il quadro Vecchia fioraia (1907: Cagliari, Galleria comunale d’arte), delicata scena di interni che parrebbe denunciare la conoscenza del giovane U. Boccioni.

Sul finire del 1906 il M. sposò Ersilia Meloni, giovane di buona famiglia, con la quale ebbe il figlio Enrico, nato a Cagliari il 6 apr. 1908. Nel giugno del medesimo anno aprì una scuola di pittura nelle sale del suo studio in piazza S. Eulalia, affiancato nell’impresa dal collega Giambattista Rossino.

Gli anni Dieci furono coronati dal successo: nel 1911 il M. fu incaricato di progettare i mobili e i disegni per i ricami del padiglione sardo all’Esposizione regionale ed etnografica di Roma, inaugurando così un settore di intervento, quello del disegno per l’artigianato, in cui si distinse per molti anni. Ancora nel 1911 un suo calendario artistico, esposto a Torino al palazzo del Giornale e della stampa, ottenne la medaglia d’oro. Forte di queste affermazioni, nel 1912 ricevette dalla giunta comunale di Cagliari la commissione per la decorazione del gabinetto del sindaco del nuovo, monumentale, palazzo civico.

Il fregio decorativo, costituito da ampi pannelli dipinti a olio, raffigura il panorama di Cagliari quale si osserva dal mare, dalla pianura retrostante, dal monte Urpino a est della città: il profilo dell’antico quartiere di Castello, con le sue torri, si staglia inconfondibile nelle luce mattinale, assurgendo a emblema della municipalità. Pittura ariosa, dal grande impianto spaziale a punto di vista rialzato, fu eseguita con un colorire brillante e puro secondo una tecnica di memoria divisionista; l’opera fu ultimata nel 1914 (danneggiata durante i bombardamenti del 1943, fu ripristinata nel 1948).

Parallelamente alla pittura, il M. indagava con costanza le possibilità espressive proprie dell’acquaforte originale, pervenendo a risultati altissimi per rigore compositivo, definizione segnica e timbrica, per fusione tonale. Dai soggiorni in Barbagia, nell’appartato borgo di Tiana, il M. trasse acqueforti di vera bellezza: atmosfere rarefatte e silenti, contraddistinte sovente dal taglio orizzontale, in cui la figura è assente e la natura dichiara la sua forza.

La Tanca, databile a metà degli anni Dieci, è giustamente famosa: un muretto a secco, eco nuragica, divide in due l’immagine (in Scano, 1993, ill. n. 142), generando così un al di qua, il terreno incolto ricco di arbusti tracciati con segni nervosi, e un al di là fatto di un cielo ventoso e abbagliante, irraggiungibile. Morbida nelle morsure plurime e nelle inchiostrazioni seppiate, l’acquaforte è un vero capolavoro, che ricollega il M. ai grandi incisori del passato.

Nel 1916 il M. diede alle stampe per i tipi di U. Hoepli di Milano L’acquaforte: manuale pratico. L’agile libretto, illustrato da tavole dell’autore, guida, in un italiano scorrevole e moderno, i principianti ai segreti delle tecniche di incisione e stampa (il manuale fu ristampato nel 1924; una sua traduzione spagnola con il titolo El aguafuerte fu pubblicata a Barcellona nel 1954).

Il M. coltivò, con bonaria ironia e senza alcuna pretesa, la poesia: è del 1919 la raccolta di sonetti (stampata a Cagliari) Sorrisi durante la guerra: versi, in cui l’autore descrive con accenti lievi il quotidiano in tempo di conflitto.

Nel dopoguerra partecipò con rinnovato entusiasmo alla ripresa della vita culturale cagliaritana, maturando anzi, dopo la partecipazione dolorosa della Sardegna al conflitto, un crescente attaccamento all’isola, ai suoi costumi e alle sue tradizioni. Nel 1921 fu dunque tra gli organizzatori della Mostra d’arte sarda, vasta rassegna promossa dal Circolo universitario cattolico cagliaritano, in cui esposero i migliori artisti sardi dell’epoca, da Antonio Ballero a Stanys Dessì. A conferma di una credibilità oramai nazionale, nel 1923 L’Illustrazione italiana pubblicò alcune sue acqueforti; quello stesso anno il M. partecipò, prevalentemente con incisioni, alla Quadriennale di Torino. Due anni dopo Giuseppe Fanciulli, cui lo legava una profonda amicizia, recensì in Emporium il suo lavoro, salutandolo come un indiscusso maestro incisore.

Ormai affermato, il M. in quegli anni intensificò l’attività di grafica editoriale, collaborando con le riviste di cultura sarda Il Nuraghe e Mediterranea e disegnando copertine per pubblicazioni letterarie. È del 1927 il suo trasferimento, per gli studi superiori del figlio Enrico, a Milano, dove rimase, pur con frequenti e fattivi soggiorni nell’isola, fino al 1932. Sempre nel 1927 allestì (in collaborazione con Figari e con il ceramista Federico Melis) gli interni del padiglione sardo alla Fiera di Milano, eclettica architettura neoromanica su progetto di Dionigi Scano: il M. preparò i disegni per gli arredi intagliati, ispirandosi ai motivi della tradizione artigianale isolana, ma rivisitandoli alla luce del trionfante gusto déco; la critica, persuasa del valore di tali rivisitazioni culturali, parlò di uno stile sardo. Nel 1929 fu tra i promotori, a Cagliari, della nascente Famiglia artistica sarda, associazione che intendeva riunire e promuovere la cultura nell’isola.

Il paesaggio lombardo, dall’aria umida e brumosa, suggerì al M. un nuovo tocco luministico nelle incisioni, che si fecero più morbide e soffuse: significativa Strada di villaggio nel Varesotto (in Scano, 1993, ill. n. 363), composizione equilibrata, quieta, crepuscolare.

Negli anni Trenta si intensificò l’attività espositiva e organizzativa, in Sardegna e nella penisola.

Si segnalano in particolare alcune partecipazioni alle mostre d’incisione di richiamo nazionale e oltre (1933, III Mostra dell’incisione italiana a Roma; 1936, XV Mostra d’incisione italiana moderna ad Abbazia; 1939, Mostra dell’incisione italiana in America Centrale e Latina). Numerose, inoltre, le mostre personali tenute dal M. alla galleria Palladino di Cagliari, prima vera galleria d’arte del capoluogo, alla cui attività egli diede un contributo rilevante.

Si datano a questi anni le sue sperimentazioni nel campo della xilografia, disciplina cui lo aveva introdotto anni addietro l’artista sassarese Remo Branca e che in Sardegna aveva formidabili cultori; la critica ha lungamente ritenuto di scarso interesse tale produzione del M., anche in ragione di una frequente ripresa di temi e soggetti già percorsi con l’acquaforte, ma oggi tale esperienza viene in parte rivalutata proprio nel carattere pittorico delle sue tavole al legno.

Come segretario del Sindacato regionale di belle arti della Sardegna organizzò la VII Mostra sindacale nelle sale della Galleria comunale di Cagliari, edizione ricordata come elegante e curata nella selezione e nell’allestimento delle opere, cui parteciparono anche artisti peninsulari.

Il conflitto mondiale, se non arrestò, certo rallentò la vita artistica, ma già nel 1945, all’indomani della fine delle ostilità, il M. presiedette la giuria di accettazione della I Libera Esposizione regionale d’arte, che si tenne in autunno presso la Galleria comunale di Cagliari e dove egli stesso partecipò anche come espositore.

Nel 1946-47 fece dono, su sollecitazione di Renato Papò, direttore della Biblioteca universitaria di Cagliari, di un vasto nucleo di sue opere per il nascente Gabinetto delle stampe.

Oltre 1000 tra schizzi e disegni e più di 400 incisioni, che costituiscono il Fondo Melis Marini, consentono oggi di ricostruire il percorso del M. dalla giovinezza alla tarda età. Si tratta di una preziosa documentazione della perduta civiltà agropastorale sarda, poiché il M. ha rappresentato con interesse profondo tutti gli aspetti della vita rurale: l’architettura, le usanze, l’orticoltura.

Ormai anziano, il M. si dedicò con cura paterna alla formazione di alcuni giovani incisori sardi, quali Dina Masnata e Giovanni Dotzo, esortandoli all’impegno e seguendone da vicino i progressi. Raggiunta la celebrità, si rafforzò il suo rapporto con la Calcografia nazionale, allora diretta da Carlo Alberto Petrucci.

Gli ultimi anni del M. furono densi di onori: nel 1947 fu nominato rappresentante per la Sardegna dell’Associazione nazionale per i paesaggi e i monumenti pittoreschi d’Italia; nel 1948 fu nominato ispettore onorario della Soprintendenza bibliografica della Sardegna per il materiali incisorio. Infine, a febbraio dello stesso anno, l’Accademia Pietro Vannucci di Perugia scelse il M. insieme, tra gli altri, con Petrucci quale accademico di merito; nel giugno seguente la Biblioteca universitaria di Cagliari gli dedicò una personale, esponendo i disegni e le incisioni da lui donate. Inoltre, grande fu la soddisfazione che il M. trasse dalla segnalazione al premio Gastaldi per la poesia della sua raccolta di sonetti Nello studio e fuori: schizzi a penna, pubblicata a Milano nel 1950. Nell’autunno di quel 1950 (anno di lutto per la morte della moglie Ersilia), furono allestite due importanti mostre personali nelle gallerie cagliaritane Palladino (incisioni) e Della Maria (acquerelli e tempere).

Nel 1951 venne stampato a Cagliari Così divenni incisore, un testo autobiografico dove il M. poté ripercorrere la sua vicenda di artista, estratto dalla rivista Il Convegno (IV [1951], 4), che gli aveva dedicato un numero monografico ricco di illustrazioni.

Il M. morì a Cagliari il 30 apr. 1953.

Fonti e Bibl.: G. Fanciulli, Un maestro dell’acquaforte: F. M.M., in Emporium, LXII (1925), 368, pp. 67-73; R. Carta Raspi, Artisti, poeti e prosatori di Sardegna. I contemporanei, Cagliari 1927, pp. 32-39; Dedicata al pittore F. M.M., in Il Convegno, VI (1953), 3 (numero monografico); L. Crespellani, Commemorazione del pittore incisore F. M.M., Cagliari 1953; R. Maxia, F. M.M. Il suo contributo alla cultura artistica del suo tempo, tesi di laurea, Università di Cagliari, a.a. 1983-84; G. Altea - M. Magnani, Le matite di un popolo barbaro. Grafici e illustratori sardi 1905-1935, Cinisello Balsamo 1990, pp. 40-43, 144, 148, 154, 179 s.; M.G. Scano, F. M.M., Nuoro 1993 (con ricca bibl.); G. Altea- M. Magnani, Pittura e scultura del primo ’900, Nuoro 1995, ad ind.; M.G. Scano Naitza, F. M.M., Nuoro 2004; A.M. Comanducci, Dizionario illustrato dei pittori, disegnatori e illustratori italiani moderni e contemporanei, III, Milano 1962, ad vocem.

M. Picciau

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