GALLI BIBIENA, Ferdinando

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 51 (1998)

GALLI BIBIENA, Ferdinando

Anna Coccioli Matroviti

Secondogenito di Giovanni Maria il Vecchio e di Orsola Maria Possenti, nacque in Bologna il 19 ag. 1657. Dopo gli studi di pittura con G. Viani, si formò alla quadratura con Mauro Aldrovandini e Iacopo Mannini, alla prospettiva con Giulio Troili. Seguì il soggiorno a Roma (1670), ove il G. poté ampliare le proprie conoscenze. Secondo lo Zanotti il suo esordio nella scenografia sarebbe avvenuto in Emilia, più precisamente a Bologna, accanto a Ercole Rivani, mentre nelle sue memorie manoscritte (N. Clerici Bagozzi, in Meravigliose scene…, 1992, p. 37 n. 3) lo stesso G. ricorda l'esperienza parmense con Andrea Seghizzi nel 1672 e la collaborazione con l'Aldrovandini alla realizzazione delle scene (1674-75) per il teatro della Fortuna di Fano, sotto la direzione di Stefano Torelli. Il G. svolse un'intensa attività affiancato da una ricca schiera di collaboratori che gli consentì di espletare più incarichi contemporaneamente. Con il fratello Francesco lavorò dapprima alla decorazione a fresco (perduta) della delizia ducale della Motta a Mirandola e della locale chiesa del Gesù, quindi a Modena per gli Este e per i marchesi Campori. Dal 1680 è documentato con Carlo Cignani a Parma. In occasione delle nozze di Odoardo con la cognata dell'imperatore, Dorotea Sofia di Neuburg, Ranuccio II Farnese attuò una politica di abbellimenti e di riorganizzazione dei servizi teatrali per i quali coinvolse anche il Galli Bibiena. Al G. si deve la ristrutturazione del collegio dei nobili.

Ai lavori di abbellimento delle facciate dell'edificio si riferiscono il bel disegno del Gabinetto nazionale delle stampe di Roma e le incisioni di Carlo A. Buffagnotti del Museo teatrale alla Scala (Lenzi, in Matteucci - Stanzani, 1991, pp. 98 s.). Di un altro disegno per la decorazione della facciata del collegio dei nobili, si conserva pure l'incisione di Pietro Abbati e del Buffagnotti (Cirillo - Godi, 1989, fig. 10, p. 41).

Al 1684 risalgono il dipinto, tuttora conservato, e gli affreschi perduti per la chiesa parrocchiale di Stagno (Lenzi, 1992, p. 104). È stata poi ipotizzata una collaborazione del G. alla decorazione della cappella nel palazzo del Giardino (1687-88) con il genovese G.B. Merano. In seguito al matrimonio con Corona Stradella (1685), il G. risiedette a Parma ove ricoprì ruoli di grande prestigio. Il lungo periodo del soggiorno nel Ducato si protrasse fino al 1708. Su incarico del conte Scipione Rossi, fra il 1685 e il 1687 realizzò l'affrescatura dell'oratorio del Serraglio a San Secondo Parmense, in collaborazione con il figurista bellunese Sebastiano Ricci. Fu questa la committenza che gli valse l'ingresso alla corte dei Farnese: dal 1687 fu primo pittore di corte, nel 1697 fu nominato "primo architetto di corte".

Risolta con sorprendente abilità la decorazione a quadratura sulle pareti e sulle absidi del piccolo edificio del Serraglio, del cui progetto architettonico con ogni probabilità fu egli stesso responsabile, il G. realizzò qui "il più antico per angolo a due fuochi che si conosca" (Lenzi, in Matteucci - Stanzani 1991, p. 97). All'interno del piccolo vano si assiste dunque alla precoce applicazione della "veduta per angolo" nella decorazione, ossia la messa a punto di un sistema prospettico che, ai consolidati schemi compositivi secenteschi di spazi attestati su un asse longitudinale, sostituiva la fuga prospettica in diagonale, che rompeva lo spazio chiuso. Al fuoco unico centrale all'infinito subentrava la "veduta per angolo", ossia l'impostazione dell'ambiente da raffigurare in una disposizione obliqua rispetto al "quadro". Il "per angolo" dipinto dal G. all'interno dell'oratorio del Serraglio si pone in stretta connessione con l'allestimento fatto dal G. per Didio Giuliano di Lotto Lotti che nella primavera 1687 inaugurò il ristrutturato teatro ducale di Cittadella a Piacenza (Lenzi, 1980, pp. 147 s.).

Negli ultimi due decenni del Seicento al G. toccò il compito di soddisfare le esigenti richieste della corte e della locale aristocrazia; e, in seguito all'inaugurazione del nuovo teatro Ducale di Parma (1688) e del teatrino di corte che Stefano Lolli aveva costruito nel palazzo della Pilotta, e quindi in occasione delle feste nuziali per Odoardo e Dorotea Sofia di Neuburg nel 1690, la sua attività di scenografo subì una comprensibile accelerazione.

Negli anni Novanta si datano due importanti cicli decorativi eseguiti a Piacenza, ove ebbe domicilio tra il 1693 e il 1697 (Cirillo - Godi, 1979, I, p. 92). Si tratta più precisamente della decorazione della volta dell'oratorio di S. Cristoforo, detto anche della Morte (1690), e dell'affrescatura (1699) del salone da ballo del seicentesco palazzo dei conti Costa su strada S. Lazzaro (al n. 80 dell'attuale via Roma); mentre a Bologna veniva eretto su suo progetto l'altare della cappella Buratti nella chiesa di S. Maria degli Alemanni (Lenzi, 1991, pp. 77 s.). Nella cappella voluta dal nobile veneziano G. Paolo Buratti e dalla moglie Anna E. Lupari (1690-1700), l'altare bibienesco, alla cui costruzione collaborò l'architetto e scultore veronese G.B. Ranghieri, sviluppa il "motivo per angolo" qui affidato a un possente binato di colonne tortili a sostegno di una trabeazione mistilinea con timpano spezzato.

Per quanto concerne la decorazione del piacentino palazzo Costa, questa doveva soddisfare le esigenze della nobile famiglia di origine genovese intenzionata a conferire una fastosa apparenza al salone di rappresentanza della propria dimora.

Il G. operò in una felice consonanza con il genovese G.E. Draghi. Nella Piacenza di fine Seicento il palazzo del conte Giuseppe Costa divenne emblematico nella sua specificità di simbolo sia della cultura architettonica - la sua scenografica "scala aperta" è stata convincentemente ricondotta dalla Matteucci allo stesso G. - sia della soluzione decorativa che dispone sulla verticale una vertiginosa sequenza di cinque ordini differenti e "apre" sulle pareti illusorie fughe prospettiche.

In chiusura di secolo il G. stipulò il contratto con i principi Meli Lupi di Soragna (1696) per gli affreschi nella rocca, condotti però dalla sua équipe e dal fratello Francesco. Al 1697 risale il contratto per il teatro nella rocca (distrutto). L'anno successivo realizzò con Ilario Spolverini gli affreschi nell'appartamento estivo della duchessa di Parma (perduti). Pittore e scenografo, il G. si misurò anche con l'architettura costruita. A partire dal 1699 e per nove anni si dedicò all'ammodernamento della delizia e del giardino ducale di Colorno; ma i lavori furono compiuti da Giuliano Mozani.

Nel 1708 si recò a Barcellona per sovrintendere agli spettacoli e alle feste per le nozze di Carlo (III) d'Asburgo. Sul volgere del 1711 rientrò a Parma, dove nello stesso anno pubblicò L'architettura civile, preparata su la geometria e ridotta alle prospettive. Il suo ruolo di docente alla Clementina, nonché gli alti costi e le grandi dimensioni dell'opera costrinsero il G. a rivederne l'impostazione e a fornire un'edizione ridotta, Direzioni a giovani studenti nel disegno dell'architettura civile nell'Accademia Clementina…, stampata a Bologna nel 1725 e quindi nel 1731-32. Ancora a Parma, fornì i disegni per la chiesa di S. Antonio Abate su strada S. Michele (l'attuale strada della Repubblica). Lungo il medesimo asse viario aveva progettato la facciata di palazzo Rangoni Farnese (1690). I lavori per S. Antonio Abate furono avviati nel 1712, ma si conclusero solo nell'inoltrato Settecento. L'originalità dell'edificio consiste precipuamente nell'adozione di una prima calotta che lascia scorgere i dipinti nella seconda, nonché nell'andamento planimetrico di derivazione guariniana, insolito per l'Emilia e per gli stessi Galli Bibiena.

Invitato a Vienna dall'imperatore Carlo VI, il G. ideò spettacoli e apparati festivi che gli valsero il titolo di "primo architetto teatrale" (1717). Rientrato a Bologna, ove è documentato nel 1717, fu aggregato alla locale Accademia Clementina di cui fu viceprincipe (1718), direttore d'architettura (dal 1719 al 1731, nel 1733, 1735, 1737, 1740, 1742) e, quindi, principe nel 1741. Come scenografo lavorò in molte città spostandosi fino a Genova (1694-95, 1700), Torino (1694, 1698-99), a Roma (1696-97), a Milano (dal 1692, ogni anno, fino al 1708), Mantova (1696, 1706) e a Napoli (1699-1700), oltre che in numerosi centri emiliani (Lenzi, 1992, pp. 104 s.); si occupò della ristrutturazione di teatri e di palcoscenici, disegnando scenari che poi sovente realizzavano gli allievi. L'attività architettonica del G. è inoltre documentata a Bologna con i progetti per la specola dell'Istituto delle scienze e per lo scalone di palazzo Malvezzi, per la sala delle feste in palazzo Ranuzzi (1720), per le prospettive nel secondo cortile di palazzo Monti (dal 1721), per l'appartamento del gonfaloniere nel palazzo pubblico; fornì anche i disegni per il campanile della chiesa di S. Cristina della Fondazza (1723). Della prospettiva in palazzo Mattei si conservano l'impianto e il grandioso schema compositivo, seppure in stato di avanzato degrado (Lenzi, in Matteucci - Stanzani, 1991, pp. 185 s.).

Il committente, Francesco Maria Monti Bedini già in passato si era rivelato vicino ai Galli Bibiena, tanto che nella propria collezione possedeva due dipinti a olio del G. e di Francesco.

Il G. fu quindi attivo a Sant'Agata Bolognese e a Fano, ove con il figlio Antonio eseguì i lavori di restauro al teatro della Fortuna (1719) e gli affreschi (perduti) nel soffitto della chiesa di S. Agostino (Battistelli, 1986). Del G. si conservano, inoltre, l'agostiniana chiesa di S. Giovanni Evangelista da lui ristrutturata (1719-22) a Rimini, città nella quale lavorò alla chiesa dei teatini, e l'altare della chiesa del Rosario di Cento (1727), dove la monumentale ancona recupera il fastoso modello sperimentato dal G. nell'altare bolognese della cappella Buratti circa un ventennio prima. A Cento aveva progettato anche l'altare maggiore della chiesa di S. Filippo, eretto però da Giuseppe Caner; mentre non furono realizzati i suoi disegni per l'altare maggiore della chiesa parmense di S. Maria della Steccata (Adorni, 1982, p. 90), né quelli per l'altare della Karlskirche di Vienna (Lenzi, 1991). Del 1739 è il progetto di villa Paveri Fontana a Caramello, nella campagna piacentina, caratterizzata da una loggia terrena, spazio "filtrante" fra cortile e giardino, e da uno scaloncino che approda a un ballatoio a forma di emiciclo, scenografica conclusione del percorso che si svolge su nove brevi rampe fra loro ortogonali, di cui non si conserva traccia (Matteucci, in Matteucci - Manfredi - Coccioli Mastroviti, 1991, pp. 514-523). Il catalogo degli interventi architettonici espletati dal G. a Piacenza e nell'immediato territorio include anche l'intervento di restauro barocco, di recente ascrittogli, compiuto all'interno del castello Leoni a Lisignano, in cui mutò la chiusa struttura di "severo ricetto difensivo in quella di ameno e fresco ninfeo" (ibid., p. 36).

Il G. morì in Bologna il 3 genn. 1743.

È recente l'importante puntualizzazione critica circa l'edizione di Varie opere di prospettiva inventate da Ferdinando Galli d.o il Bibiena…, raccolta di tavole incise dal bolognese C.A. Buffagnotti e da Pietro Giovanni, di cui si conservano vari esemplari al Metropolitan Museum di New York, al Museo teatrale alla Scala di Milano, a Stanford (collezione privata), sul cui frontespizio è stato possibile leggere la data 1701 (Pigozzi, 1992). Le 71 incisioni della raccolta, alcune delle quali apparse prima del 1701, costituirono un veicolo di indiscusso rilievo nella diffusione del repertorio delle tipologie bibienesche in Italia e in Europa.

Fonti e Bibl.: G.P. Zanotti, Storia dell'Accademia Clementina di Bologna…, II, Bologna 1739, pp. 202 ss.; N. Pelicelli, Artisti parmigiani all'estero. I Galli Bibiena di Parma, in Crisopoli, III (1935), 1, pp. 29-40; F. Hadamowsky, Die Familie Galli Bibiena in Wien…, Wien 1962; G. Cuppini - A.M. Matteucci, Ville del Bolognese, Bologna 1969, pp. 121, 231; M. Fanti - G. Roversi, S. Maria degli Alemanni in Bologna, Bologna 1969, pp. 113-116, 154-156; A.M. Matteucci, C.F. Dotti e l'architettura bolognese del Settecento, Bologna 1969, pp. 59 s. e passim; V. Comoli Mandracci, "Cielo" e iconografia in alcune chiese di derivazione guariniana: S. Antonio Abate di Parma…, in Guarino Guarini e l'internazionalità del barocco.Atti del Convegno internazionale di studi…1968, Torino 1970, pp. 391-411; Illusione e pratica teatrale (catal., Venezia), a cura di F. Mancini - M.T. Muraro - E. Povoledo, Vicenza 1975, pp. 79-96; M. Monteverdi, I Bibiena. 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