LISZT, Ferenc

Enciclopedia Italiana (1934)

LISZT, Ferenc (Franz)

Alfredo Casella

Musicista, nato a Raiding nel Burgenland (allora in Ungheria, oggi in Austria) il 22 ottobre 1811. Suo padre, Adam, era agente contabile al servizio del principe Nicola Esterházy, il magnate che per tanti anni ebbe Joseph Haydn per maestro di cappella. La madre, Anna Lager, era austriaca. Adam L. era ottimo dilettante di musica, e suonava il cembalo, il violoncello, il flauto, partecipando talvolta alle sedute musicali di casa Esterházy. A sei anni il piccolo Ferenc cominciò a studiare il pianoforte sotto la guida paterna. In pari tempo, il bambino si divertiva già a scrivere musica. A nove anni egli esordiva in un concerto di beneficenza, con esito così buono da indurre il principe Esterházy a voler udire il fanciullo. Quest'audizione ebbe luogo il 20 novembre 1820 e indusse alcuni magnati ungheresi ad unirsi per assicurare al piccolo L. una borsa di studio per la durata di sei anni. E così alla fine del medesimo anno la famiglia L. si stabiliva a Vienna, dove L. divenne discepolo di C. Czerny per il pianoforte e di A. Salieri per l'armonia e il contrappunto. Sotto la guida di questi due maestri, i progressi. del ragazzo furono tali da indurre Adamo L. a presentare il figlio al pubblico, assai esigente, della capitale austriaca, e così L. si produsse in un concerto nel dicembre 1822, destando stupore e ammirazione. Altri concerti seguirono, e il 13 aprile 1823 il giovane L., salendo sul podio della Redoutensaal gremita da 4000 uditori, scorgeva in prima fila Beethoven, il quale dopo il concerto lo abbracciava in presenza di un pubblico acclamante. I L. partirono quindi per Parigi, sperando di far entrare il ragazzo al conservatorio di quella città. Questo desiderio non fu esaudito dal direttore, L. Cherubini. A Parigi però il giovanetto trovò presto nuovi plausi e nuove protezioni, e vi rimase durante gli anni 1823-24. Ebbe anche colà lezioni di composizione (nonché di lingua francese) da F. Paër. Dall'Opéra gli fu commesso un lavoro teatrale, che fu Don Sanche, un atto, rappresentato con buon successo su quella scena l'8 marzo 1824. L. si recò quindi a Londra, e in seguito (spesso sostando a Parigi, dove scrisse e pubblicò nel 1826 quegli Studi in 12 Esercizi, che dovevano più tardi divenire i famosi Studi trascendentali) compì altri viaggi artistici in Francia, Svizzera ed Inghilterra. Nel frattempo, studiava ancora a Parigi il contrappunto con A. Reicha. Nell'agosto 1827 gli moriva improvvisamente a Boulogne-sur-Mer il padre. In seguito a questa sventura, il giovane L. si diede a una vita ritirata, interrotta da pochi concerti (in uno di questi, che ebbe luogo al conservatorio di Parigi nel novembre 1828, L. eseguì il quinto concerto di Beethoven, che non era mai stato udito in quella città e che parve incomprensibile). Furono, quelli, anni di raccoglimento e di intenso studio, che avvicinarono il giovane ungherese a molti pittori, romanzieri, poeti, filosofi (ebbero forte influenza su di lui le idee del Saint-Simon, che rinnegò però alcuni anni dopo). Nel 1832, L. udiva Paganini all'Opéra di Parigi, e l'impressione fu tale sul suo spirito ardente da indurlo - pur già tanto celebre - a rimettersi coraggiosamente a perfezionare la propria tecnica e ad appartarsi dal pubblico, a tale scopo, durante altri due anni. Intanto egli cominciava la trascrizione pianistica dei 24 capricci paganiniani, che pubblicò tuttavia solo nel 1839. In quel medesimo periodo di lavoro e di passione romantica, L. avvicinò due altre grandi personalità che dovevano esercitare un'influenza decisiva sulla sua formazione artistica: H. Berlioz e F. F. Chopin. Anche incontrò l'abate Lamennais, il quale, diventatogli amico fedele, ebbe altissima influenza sul suo spirito profondamente religioso. Dopo essere riapparso, con esito magnifico, in pubblico, e aver fatto conoscere dappertutto le sonate ed i concerti di Beethoven (suscitando le fierissime critiche dei benpensanti di allora), incontrava una sera in casa di Chopin la giovane e bellissima contessa Maria d'Agoult, sposa di un ufficiale francese e madre di tre figli. Tra i due si accese una passione che indusse gli amanti, nell'agosto del 1835, a fuggire in Svizzera, e a stabilirsi a Ginevra. Il L. e Maria d'Agoult rimasero insieme dieci anni ed ebbero tre figli: Blandina (che sposò più tardi il ministro francese Émile Ollivier), Cosima (sposa di H. v. Bülow e poi di R. Wagner) e infine un maschio: Daniele. Nei primi tempi dell'idillio ginevrino, L. si dedicò con viva energia alla composizione e scrisse le Années de pèlerinage per pianoforte, oltre a numerose trascrizioni. Ma intanto, in quella Parigi che l'amore gli aveva fatto precipitosamente abbandonare, si era levato un nuovo astro pianistico: Sigismondo Thalberg, il quale raccoglieva clamorosi trionfi. L., offeso nel suo amor proprio, corre a Parigi e in un memorabile torneo di concerti riacquista il posto perduto.

A questo periodo di battaglie segue un soggiorno presso George Sand a Nohant, dove L. termina, fra parecchi altri lavori, la trascrizione per pianoforte delle nove sinfonie di Beethoven. Nel 1837, Maria e L. scendono in Italia. L. esordisce alla Scala, dove impone a un pubblico piuttosto arretrato, in fatto di musiche strumentali, lo sconosciuto Beethoven, e altre nuove musiche. Intanto una gravissima inondazione avvenuta in Ungheria lo richiama a dar concerti a Vienna per alleviare quelle miserie. In Ungheria entra per la prima volta a contatto con la musica degli zingari. Poco dopo, avendo appreso che la sottoscrizione aperta per elevare un monumento a Beethoven aveva fruttato poche centinaia di franchi, garantisce personalmente i 60.000 franchi che mancano, e così qualche anno dopo il monumento può essere inaugurato. Negli anni dal 1840 al 1847, la carriera trionfale di L. si svolge nell'intera Europa ed egli giunge, nel 1842, fino in Russia, dove suona davanti allo zar. Ma nel 1842 un nuovo avvenimento determinava L. ad abbandonare a poco a poco la carriera di virtuoso per quella - meno rosea - di compositore e di direttore d'orchestra: l'intendente di Weimar gli offriva un contratto, secondo il quale L. assumeva la carica e gli obblighi di Generalmusikdirektor del teatro e della cappella granducali. L. entrò in carica nel 1844, ed elesse Weimar a propria residenza dal 1848 al 1861. Il periodo weimariano di L. può essere considerato il più fecondo, il più ricco di risultati musicali che mai città europea abbia conosciuto durante l'Ottocento.

L. dedicò tutta la sua attività anzitutto a far conoscere l'opera e le idee di Riccardo Wagner, di lui incontrato per la prima volta a Parigi pochi anni prima. Accanto al Tannhäuser e al Lohengrin, L. fece ancora conoscere in quegli anni opere teatrali come Benvenuto Cellini di Berlioz, Ernani e i due Foscari di Verdi, Fidelio di Beethoven, Orfeo, Ifigenia, Armida e Alceste di Gluck, Don Giovanni e Il Flauto magico di Mozart, Euryanthe e Oberon di Weber, oltre a molte altre opere di Spontini, Donizetti, Rossini, Cherubini, ecc. Nel campo sinfonico egli fece conoscere tutto Beethoven, tutto Berlioz, e ancora tutto Schumann. In pari tempo dava lezioni e formava molti e illustri discepoli, quali H. v. Bülow, K. Klindworth, K. Tausig e E. d'Albert; esercitava una viva azione come scrittore e critico, e componeva le sinfonie Faust e Dante e i dodici poemi sinfonici, cioè la parte più cospicua della sua attività di creatore.

La sera del 18 dicembre 1858 una violenta opposizione organizzata da coloro ai quali l'apostolato di L. dava fastidio, accolse Il Barbiere di Bagdad di P. Cornelius, da lui diretto, con una tempesta di fischi. L. si dimise. Intanto, nel 1847, egli aveva conosciuto a Kiev la principessa Carolina di Sayn-Wittgenstein. A Weimar i due amanti vissero insieme sperando in un annullamento del primo matrimonio della principessa, che permettesse loro di unirsi legalmente e per sempre. Nel 1861, parve questo sogno vicino a realizzarsi e tutto era già predisposto per il matrimonio in Roma quando un veto pontificio fece svanire la speranza che era già quasi certezza. L. riprese allora una vita randagia fra Roma, Weimar e Budapest. Tali vicende sentimentali influirono fortemente sulla sua attività di compositore, orientandola quasi esclusivamente verso la musica religiosa. Nel 1865 egli vestiva l'abito talare. Intanto però l'artista continuava la sua vita di viaggi e di lavoro, dividendo il tempo fra la composizione e l'insegnamento. Nel 1872 egli aveva la gioia di veder sorgere il teatro di Bayreuth, trionfo delle idee di quel Wagner per il quale egli aveva lottato sin dalla prima ora e la cui amicizia non gli venne mai meno. Da allora in poi, egli prese l'abitudine di passare parecchi mesi ogni anno nella cittadina bavarese. Nel 1877 apparve per l'ultima volta come pianista in pubblico, a Hannover. Nel 1883 moriva Wagner, lasciando un immenso vuoto nel cuore del vecchio compagno di lotta. Nel 1886, L. intraprendeva un ultimo viaggio trionfale attraverso l'Europa. Giunse malato di bronchite a Bayreuth alla fine di luglio. Si fece portare al Festspielhaus per udire un'ultima volta la musica sua prediletta: Parsifal e Tristano. Il 1 agosto si spense senza sofferenze. Fu sepolto a Bayreuth. Morì povero, egli che aveva guadagnato milioni.

Se la figura di L. pianista è oggi più che mai al disopra di ogni discussione, non altrettanto può dirsi di quella del compositore, la quale rimane ancora oggetto delle più diverse valutazioni. Va subito osservato però, che ogni metodo critico applicato all'opera di L. deve considerare come un tutto inscindibile la multiforme opera sua di pianista, di interprete, di trascrittore, di direttore d'orchestra, di insegnante, di scrittore, di organizzatore e di agitatore spirituale infine, insieme con quella del puro creatore. Perché egli creava sempre. Creava come interprete, giacché ciò che i compositori manifestano a mezzo della carta e della penna, L. sapeva realizzarlo attraverso il pianoforte. Creava poi come formidabile trasformatore della tecnica pianistica; trasformazione strumentale che non ha riscontro storico se non in quella analoga apportata da Paganini nel violino. Creava infine come compositore, manifestando una ricchezza inventiva che pochi altri maestri hanno uguagliato. Se i documenti dell'epoca non possono darci altro che una pallida idea della sua arte interpretativa abbiamo nondimeno una profonda intuizione di quella grande personalità attraverso la sua produzione pianistica. Quando L. giunse nel mondo musicale, il pianoforte era ancora essenzialmente uno strumento di intimità: vero successore - sia pure molto più robusto - del clavicembalo. E nemmeno Chopin - per geniale tecnico che egli fosse - aveva saputo far sconfinare il pianoforte dai limiti già tracciati da M. Clementi, C. Czerny e J. N. Hummel. L. fu il primo ad ottenere un pianoforte orchestrale, capace di imporre la propria maschia, brillante e potente voce a migliaia di uditori, e per primo egli ebbe quindi la nozione precisa delle risorse dello strumento. È qui impossibile il dire, sia pure sommariamente, il carattere tecnico di questa rivoluzione strumentale, la quale provocò l'intervento del braccio e della spalla laddove non si era fino allora sfruttato altro mezzo che quello delle cinque dita; e che recò nel pianismo, coi nuovi incessanti spostamenti di accordi e di ottave oppure con incroci di mani, quel gusto del rischio e quell'audacia virtuosistica che solo un D. Scarlatti aveva intravveduto. Occorre anche aggiungere che Paganini esercitò un'altissima influenza su L. Si è già accennato come L., quando ebbe occasione di udire per la prima volta l'"infernale" violinista all'Opéra di Parigi, ne riportò tale impressione da indursi - già così celebre - a rimettersi a lavorare appartato dal pubblico per oltre due anni. Ed è sommamente interessante e istruttivo il raffrontare i Capricci paganiniani originali con le trascrizioni che ne fece L., per comprendere sino a quale punto servì il gigantesco tecnicismo del genovese a spingere Liszt su una strada che nessuno aveva mai tentato. L. creò dunque una tecnica pianistica che si può dire oggi ancora insuperata, perché anche le ulteriori creazioni di un F. Busoni, di un M. Ravel, di un L. Godowski o i Trois mouvements de Petruška stravinskiani altro non sono - in fondo - che conseguenze naturali di un pensiero strumentale (quello, appunto, del L.) che racchiudeva già in sé queste ed altre forme di pianismo. Creando, come abbiamo già detto, il pianoforte orchestrale, vale a dire elevando quello strumento dal suo antico carattere ancora alquanto clavicembalistico a quello di mezzo di espressione per parlare alle grandi masse, L. diede necessariamente luce a procedimenti tecnici totalmente nuovi, quali, ad es., il grande sviluppo dato alle ottave, alle note doppie (terze ed ottave), agli accordi adoperati con grande frequenza su tutta l'estensione della tastiera, ecc. Altro procedimento caratteristico lisztiano fu l'impiego abbondantissimo, fondamentale anzi, del pollice come punto di appoggio costante e come mezzo di forza (un'analoga innovazione tecnica doveva poi compiere P. Casals molti anni dopo nel campo violoncellistico). Ma soprattutto è ammirevole nella tecnica del Liszt la sua perfetta adattabilità a mani di dimensioni ordinarie, caratteristica tanto più straordinaria in quanto egli era dotato di mezzi fisici certo non comuni. Si può dire che egli propose problemi non di rado difficilissimi, ma sempre di soluzione possibile e perfettamente logica e conforme alle possibilità medie della quasi totalità dei pianisti. Del resto, per comprendere quale sia la forza inventiva e creativa e propriamente musicale che sta alla base di tutta l'opera pianistica lisztiana, basta un rapido raffronto con le povere, sciatte produzioni di un S. Thalberg o persino con quelle, più recenti, di un A. Rubinstein per misurare subito la distanza che divide un genio inventore come quello di L. dalle elucubrazioni di un virtuosismo che nulla crea e sfrutta invece il già noto.

La medesima energia creatrice, che anima persino le più secondarie fantasie su motivi d'opera lisztiane, illumina tutta la sua musica originale. A questa si possono certo rimproverare taluni difetti, che sono poi quelli più comuni del tempo romantico, ed ai quali seppe sottrarsi solo uno Chopin: l'enfasi, la grandiloquenza, l'eccessivo compiacersi in un perenne tumulto patetico, una certa volgarità infine, la quale può anche stupire presso un artista così profondamente religioso e aristocratico di spirito. Ma questi difetti sono, oltreché romantici, inerenti alla natura stessa del L., che fu di sincerità e di abnegazione e soprattutto di generosità. I pregi di quell'arte sorpassano del resto di gran lunga le deficienze. Con F. Schubert e M. Musorgskij, L. può senza esitazione venire annoverato fra i maggiori scopritori di nuove terre musicali che abbia recato l'Ottocento. La sua invenzione musicale, tanto melodica quanto ritmica o armonica, è di una ricchezza oggi ancora in buona parte inesplorata e che racchiude le più straordinarie profezie. La sua strumentazione conduce direttamente a quella odierna e in molti suoi aspetti è assai più vicina alla nostra di quella del Wagner. E se anche la musica a programma - della quale L. fu tenace assertore - può oggi sembrare tramontata, non possiamo però dimenticare che il poema sinfonico da lui creato fu a suo tempo necessario, e servì a ridare vita, aria e luce alla musica sinfonica che il genio di Beethoven sembrava avere esaurita.

L'influenza delle creazioni e delle idee di L. è stata immensa durante un cinquantennio, e non è esagerato l'affermare che, sebbene meno palese di quella wagneriana, essa fu nondimeno tra le maggiori influenze esercitate da un compositore dopo Beethoven. Basti pensare che questa influenza è più o meno evidente - tralasciandone le ben note, ormai indiscusse tracce nell'opera wagneriana, in gran parte posteriore per data a quella lisztiana - in B. Smetana, C. Franck, C. Saint-Saëns, P. Čajkovskij, M. Musorgskii, N. Rimskij-Korsakov, A. Borodin, M. Balakirev, G. Sgambati, I. Albeniz, G. Mahler, R. Strauss, F. Busoni, C. Debussy, fino a trovarne incontestabili residui in M. Ravel, B. Bartók e persino nello Stravinskij di Petruška per abbracciare immediatamente tutta la vastità di quella forza creatrice, di cui ancora non è riconosciuto il reale valore.

L'elenco delle opere si trova in Thematisches Verzeichnis der Werke, Bearbeitungen und Transcriptionen von F. L., ed. completata, Lipsia 1887.

Bibl.: L. Ramann, F. L., Lipsia 1880-94; B. Vogel, F. L., ivi 1888; R. Louis, F. L. und das Problem der Programm.Musik, in Die Musik, 1902; E. Segnitz, L. und Italien, in Neue Musikzeitung, 1904; A. Göllerich, F. L., Berlino 1908; J. Chantavoine, F. L., Parigi 1910; J. Kapp, Autobiographisches von F. L., in Die Musik, 1911-12; C. Wagner, F. L., Monaco 1911; E. Reuss, L. als Kritiker, in Neue Zeitschrift für Musik, 1911; E. Segnitz, F. L.s Kirchenmusik, Langensalza 1911; B. Schrader, L., Berlino 1917; P. Raabe, Die Entstehungsgeschichte der ersten Orchesterwerke F. L.s, diss., Jena 1917; J. Kapp, F. L., 6ª e 7ª ed., Berlino 1918.