COLOMBO, Fernando

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 27 (1982)

COLOMBO (Colón), Fernando

Giovanni Nuti

Andaluso di nascita, ma "genovisco" per discendenza paterna, nacque a Córdoba da Cristoforo e Beatriz Enríquez de Arana. La data di nascita fu fissata dal Navarrete al 15 ag. 1488, sulla base di un manoscritto originale del C. conservato nella Biblioteca Colombina e sulla base della testimonianza di Marcos Felipe, suo curatore testamentario.

Beatriz, figlia di Pedro de Torquemada e di Anna Nuñez de Arana (di cui prese il cognome, secondo l'uso spagnolo) era nata verso il 1465 a Santa Maria de Trasierra, un villaggio nelle vicinanze di Córdoba. Morti i genitori, si era trasferita col fratello maggiore Pedro presso il cugino della madre, Rodrigo Enríquez de Arana, persona colta e benestante, e presso suo figlio Diego. Gli Arana abitavano a Córdoba accanto alla bottega dello speziale genovese Leonardo de Esbarroya, dove probabilmente Cristoforo incontrò Diego, venendo ammesso nella sua casa e conoscendovi Beatriz. Che il C. fosse figlio naturale di Cristoforo non ci sono ormai dubbi: privi di fondamento furono i tentativi compiuti nel secolo scorso per dimostrare la sua legittimità, al fine di permettere la beatificazione di Cristoloro, proposta dal Roselly de Lorgues, ma mai presa in seria considerazione. La testimonianza dello stesso Cristoforo (si veda il lascito a Beatriz col riferimento al "peso di coscienza", contenuto nel codicillo del 25 ag. 1505), il fatto che il C. non la ricordi mai e che Diego la escluda dalla tomba di famiglia, le testimonianze degli stessi contemporanei che, come il Las Casas e l'Oviedo, conobbero il C. concordano nel negare un secondo matrimonio di Cristoforo. È certo, altresì, che il C. fu legittimato dal padre. Infatti, in un atto pubblico sottoscritto a Siviglia il 31 ott. 1497, Cristoforo incaricò Jeronimo de Aguero, precettore dei suoi due figli, di pagare i debiti e di riscuotere quanto venisse a lui dalle Indie, a suo nome e a nome di Diego e del C., citati come "sus fijos ligytymos".

Trascorsi i primi anni a Córdoba presso la madre, fu nominato paggio del principe don Juan, insieme col fratello Diego (la cui nomina a tale carica è documentata da una cedola reale dell'8 maggio 1492, mentre la nomina del C. è ricordata dall'Oviedo, che fu anch'egli paggio del principe). Partito Cristoforo per il secondo viaggio, è probabile che il C. abbia continuato a risiedere a Córdoba finché fu accompagnato a corte dallo zio Bartolomeo; morto il piccolo don Juan, il 18 febbr. 1498 i due figli di Cristoforo divennero paggi della regina Isabella. A corte il C. dovette essere coinvolto nella campagna di odio provocata dal malcontento spagnolo per il cattivo esito delle spedizioni del padre, l'"ammiraglio dei mosciolini", come veniva sprezzantemente definito secondo la testimonianza dello stesso Colombo. All'età di quattordici anni nonancora compiuti, egli seguì il padre e lo zio nel quarto viaggio verso il Nuovo Mondo.

Salpata da Cadice l'11 maggio del 1502, la flotta, che era composta da quattro caravelle con centoquaranta uomini a bordo, toccò Santa Caterina e poi, in Marocco, Arzila, una piazzaforte portoghese assediata dai Berberi, che tolsero l'assedio prima dello arrivo della piccola flotta. Il C., con lo zio Bartolomeo e coi comandanti delle navi, sbarcò per far visita al capitano della fortezza, ferito dai Berberi. Raggiunta nel maggio la Gran Canaria, dopo un mese di navigazione la flotta toccò la Martinica e poi la Dominica, raggiungendo il 24 giugno l'isola di San Juan de Porto Rico. Il C. dovette sperimentare le sofferenze, le malattie, il cattivo tempo che perseguitarono implacabilmente le navi e i marinai nel viaggio di esplorazione lungo le coste dell'Honduras fino all'istmo di Darién; assistette alla rivolta promossa dai fratelli Francisco e Diego Porras e poi alla congiura di maestro Bernal; conobbe l'umiliazione di vedere il padre respinto da Santo Domingo per ordine del nuovo governatore, Nicola de Ovando; condivise la fame e le privazioni nel lungo periodo trascorso al largo della Giamaica in attesa di rifornimenti.

Giunti i superstiti a Santo Domingo (13 ag. 1504) e noleggiata una nave, il C. fece ritorno in Spagna col padre e con lo zio, sbarcando a Sanlúcar de Barrameda il 7 novembre. Nel dicembre fu inviato a corte presso il fratello Diego, per consegnargli denaro e una lettera del padre; nella primavera seguente, accompagnò a corte lo zio Bartolomeo. Morto Cristoforo, insieme con pochi amici (come Francesco Pinello, Diego Mendez, Alonso Sanchez de Carvajal), egli affiancò lo zio e il fratello nell'opera di rivendicazione dei diritti spettanti alla famiglia per le scoperte del padre. Nel 1509, accompagnando Diegonel suo viaggio verso il Nuovo Mondo, ebbe l'incarico dal re di fondare a Santo Domingo chiese emonasteri e ottenne quattrocento schiavi che Ferdinando gli permise di mantenere nonostante la legge, provocando il risentimento di padre Bartolomé de Las Casas, che accusò il C. di poca sensibilità verso la sorte degli Indiani. Ritornato in Spagna come capitano della flotta incaricata di ricondurre in patria l'ex governatore Ovando, giunse nel gennaio 1510 a Valladolid, passando successivamente a Calatayud in Aragona.

L'anno seguente fu, a Siviglia, da dove inviò al cardinale Ximenes, vecchio amico di famiglia, l'originale di un suo manoscritto, forse il primo da lui composto. I due trattati in esso contenuti avevano lo scopo di dimostrare che si poteva circumnavigare il globo da Est ad Ovest, che il Vangelo era destinato a civilizzare tutte le parti del mondo e che la Terra sarebbe stata sottomessa alla Spagna.

Nell'autunno fu a Toledo e nel giugno dell'anno seguente a Lerida, dove acquistò molte opere in catalano. Sono proprio le annotazioni cheil C. scriveva nell'ultimo foglio dei libri da lui comprati, con l'indicazione dell'epoca e del luogo dell'acquisto, oltreché del prezzo, a permetterci di seguirlo nei continui spostamenti cui spesso la sua passione di bibliofilo lo spingeva.

Partito per Roma, vi rimase per circa un anno, facendo in seguito ritorno in Spagna, dove lo ritroviamo nell'estate del 1513 a Barcellona, Tarragona e Valencia; in questo periodo, fu forse presente alla traslazione dei resti del padre dal convento di S. Francesco di Valladolid a quello di Las Cuevas di Siviglia. Nel febbraio dell'anno seguente fu a Madrid, poi a Medina e a Valladolid. Nel gennaio 1515 si recò a Genova, spingendosi sino a Viterbo; nell'inverno fu a Roma, nel gennaio dell'anno seguente a Firenze, facendo ritorno a Roma e poi in Spagna, dopo la morte del re Ferdinando, anche se è possibile un suo nuovo soggiorno romano nel giugno 1517, dato che un suo libro risulta comprato a Roma in questa data. Ritornato in Spagna, ad Alcalá incontrò il latinista Antonio de Lebrixa, che egli forse consultò per la stesura del dizionario geografico, della Spagna da lui progettato, ma interrotto su intervento del presidente del Consiglio reale. Nel gennaio 1518 fu a Valladolid e nel luglio a Medina; nel settembre, iniziò a Segovia un dizionario di definizioni in latino. Non abbiamo sue notizie per il 1519, anche se l'Harrisse suppone che egli fosse presente, insieme col fratello Diego, alla solenne seduta in cui il Las Casas, davanti a Carlo V, difese i diritti degli Indiani.

Eletto Carlo imperatore, il C. si imbarcò al suo seguito verso i Paesi Bassi. Prima della partenza, si incontrò a La Coruña col fratello Diego in attesa di imbarcarsi per le Indie: i due arrivarono ad un compromesso, in base al quale il C. rinunciò all'eredità paterna in cambio di una rendita annua di 200.000 maravedís. Tale accordo fu approvato con reale cedola del 3 marzo 1525, che annullava per questa parte il testamento di Cristoforo Colombo. L'8 luglio 1520 il C. giunse a Bruxelles e poi a Worms (17 dicembre), dove ottenne da Carlo un assegno annuo di 200.000 maravedís sulla tesoreria delle Indie, ricompensa per i suoi servigì alla casa imperiale come cosmografo ufficiale.

Tuttavia, non assistette alla famosa Dieta convocata nella città, perché durante l'inverno 1520-21 si recò in Italia: a metà dicembre 1520 fu a Genova e il 2 gennaio dell'anno seguente a Savona, alla ricerca della famiglia del padre, come egli stesso narra nelle sue Historie. Nel maggio passò a Ferrara e poi a Venezia, dove rimase sino al novembre, quando lo ritroviamo a Treviso. Attraverso la Svizzera, ritornò in Germania, a Norimberga (dicembre 1521), Francoforte (gennaio 1522), Colonia e Aquisgrana (febbraio). Nella primavera si trovava nei Paesi Bassi, soggiornando due mesi a Lovanio, dove forse incontrò l'umanista Nicolas Cleynaerts, che vi insegnava latino e greco. Nel maggio si recò a Bruges, dove dovette conoscere Jean Vasaeus, destinato a diventare il primo bibliotecario della Libreria Fernandina. Nello stesso mese presentò a Carlo la Forma de navigación; insieme con l'imperatore fu in Inghilterra, dove lo troviamo a Londra (giugno 1522); nell'ottobre è nuovamente in Spagna, a Santander. Non si hanno notizie su suoi viaggi nei tredici mesi seguenti. Secondo l'Harrisse, in questo periodo forse egli compose il trattato, perduto, sul modo di scoprire e popolare le Indie. Il 4 nov. 1523 fece acquistare in Alcalá la famosa Bibbia poliglotta, detta del cardinal Ximenes e il 23 dello stesso mese acquistò personalmente alcuni libri a Medina.

Con decreto del 19 ag. 1524 fu chiamato a far parte del collegio arbitrale incaricato di definire i diritti della Spagna e del Portogallo sulle Molucche, presiedendo la giunta dei cosmografi e dei piloti spagnoli. La commissione si riunì a Badajoz, dove il C. risiedette sino al maggio, componendo quattro memorie, rispettivamente sulla appartenenza delle Molucche. sui diritti della Spagna al suo possesso, sul parere dei piloti e astronomi riuniti a Badajoz circa la proprietà e la demarcazione delle isole e una dichiarazione sui diritti vantati dalla Spagna per la conquista della Persia, Arabia, India e Calicut. Dopo un soggiorno a Medina, nel febbraio dell'anno seguente compì un lungo giro nel Nord della Spagna, risiedendo per due mesi a Madrid e per altri due a Salamanca. Nell'autunno del 1526 iniziò un altro viaggio a Roma, dove dovette restare solo un mese, perché nel novembre a Siviglia ricevette da padre Fernando Pérez de Oliva la traduzione dell'Anfitrione di Plauto.

In quell'anno elesse a sua stabile dimora Siviglia: la scelta non fu casuale, perché proprio in questa città era nata l'arte tipografica spagnola. Il 12 febbraio e il 18 apr. 1526 ottenne dal Consiglio municipale la cessione dell'immondezzaio posto fuori della porta de Goles, impegnandosi a costruirvi casa. Il 27 febbraio comprò anche l'ortaglia confinante con l'immondezzaio, di proprietà della chiesa di S. Michele di Siviglia.

Sempre in quest'anno ottenne dall'imperatore l'incarico di formare una commissione di cosmografi e piloti per aggiornare la carta marina ufficiale sulla base delle recenti scoperte. L'anno successivo, per l'assenza del "piloto mayor" Sebastiano Caboto, partito per una spedizione alle Molucche, egli presiedette nella sua abitazione agli esami dei piloti che i celebri cosmografi Diego Ribero e Alonso de Chavez erano stati incaricati di interrogare. Nell'agosto del 1528 a Siviglia il C. venne informato della scoperta della terra di Santa Cruz, compiuta da Pedro Alvarez Cabral. Avendo Carlo maturato l'intenzione di cedere al Portogallo i suoi diritti sulle Molucche, il C. provvide a stendere una memoria su richiesta dell'imperatore; in seguito, il 22 aprile, il passaggio delle isole al Portogallo venne firmato a Saragozza. Imbarcatosi quindi Carlo per l'Italia, egli lo dovette seguire, perché lo ritroviamo (10 sett. 1529) a Genova, dove si accordò con Antonio Maria de Carona e Antonio deLanzo del vescovato di Como, i quali si impegnarono con lui a compiere diverse opere in marmo per la facciata del palazzo che il C. stava edificando in Siviglia. È probabile che la sua permanenza in Italia si sia protratta sino all'autunno dell'anno seguente, perché lo ritroviamo a Perugia il 4 sett. 1530 e il 20 dello stesso mese a Roma. Ritornato in Spagna e presi gli ordini sacri, si recò a Valladolid.

Nulla sappiamo sui due anni successivi; nel gennaio 1534 lo si ritrova ad Alcalá de Henares e nell'estate del 1535 nel centro della Francia, a Montpellier e a Lione. Ritornato in Spagna, dovette essere assorbito nella opera di rivendicazione dei diritti spettanti alla famiglia Colombo. Egli fiancheggiò l'azione di donna Maria de Toledo, vedova di suo fratello Diego, ma non partecipò al compromesso che nel 1536 pose termine al lungo "pleito". Il 23 ag. 1536 incontrò a Valladolid il vescovo Juan de Zummaraga, arrivato in Spagna per rendere conto della fondazione di un vescovato in Messico.

Di questo periodo è un memoriale che il C. presentò all'imperatore, contenente consigli circa la difesa delle Indie e, in particolare, circa la difesa dello stretto di Magellano. Ritornato a Siviglia nel 1537, non viaggiò più, dedicandosi interamente all'abbellimento del suo palazzo (dove costruì un giardino di ben sette ettari, ornato con circa cinquemila piante trasportate in gran parte dalle Antille); alla fondazione di una scuola di matematica e navigazione, che doveva avere il nome di Collegio imperiale; all'arricchimento della sua "Libreria", come egli chiamava la sua grande biblioteca, detta Fernandina e, più tardi, Colombina, vera meraviglia per i dotti del tempo, la più grande biblioteca privata dell'epoca.

Il nucleo primitivo deve risalire al 1506-08 e fu costituito dai libri letti e postillati dal padre e dallo zio Bartolomeo. Sappiamo che già nel 1509 quattro casse contenevano la sua biblioteca, per un totale di 238 libri. I viaggi in tutta Europa e i frequenti acquisti fatti grazie ai suoi corrispondenti accrebbero ben presto il numero degli esemplari, che raggiunsero le 15.600 unità (tenendo presente che per il C. è libro anche il semplice foglio, contenente una cosa a sé). Lo stesso imperatore guardò con interesse all'opera grandiosa intrapresa dal C., tanto che nel 1536 concesse alla "Libreria" 500 pesos d'oro per il suo incremento. Il C. volle che essa fosse aumentata e protetta con grande cura: nel 1535 come primo bibliotecario scelse l'erudito umanista Jean Vasaeus; nel suo testamento, la metà delle carte che lo compongono riguarda la "Libreria", per la quale provvide a stendere anche il regolamento.

In questi anni, egli si accinse a compiere ancora un viaggio alle Indie, forse per controllare più da vicino i suoi possedimenti. Tale progetto non fu, probabilmente, realizzato, dato che le cedole reali con cui gli si permetteva il passaggio alle Indie sono delmarzo 1539, pochi mesi prima della sua morte, avvenuta a Siviglia il 12 luglio, dopo lunga e penosa malattia.

Unico tra i membri della sua famiglia, egli ebbe l'onore di essere sepolto nella cattedrale di Siviglia. Nel suo testamento (3 luglio 1539), lasciò in eredità una fortuna cospicua, costituita da una rendita annua per circa 2.000.000 di maravedís sui profitti derivati dalle scoperte del padre, da un repartimiento di quattrocento schiavi assegnatogli da re Ferdinando e impiegati nelle miniere della Española e dalla pensione annua concessagli da Carlo V per una somma di 425.000 maravedís. La "Libreria" fu lasciata in testamento al nipote don Luís, figlio di Diego e di donna Maria de Toledo, con l'obbligo di provvedere ad essa con una somma annua di 100.000 maravedís. Nel caso di sua rinuncia, il C. nominava a sostituirlo il capitolo della cattedrale di Siviglia e, in caso di altra rinuncia, il convento domenicano di S. Paolo della stessa città. Don Luís, tuttavia, non espresse la sua intenzione, cosicché (24 sett. 1540) il capitolo della cattedrale, come secondo erede, gli intimò di accettare o di rinunciare alla eredità. Trascorsi quattro anni nelle liti giudiziarie, il 7 apr. 1544 donna Maria de Toledo, madre e tutrice di Luís, autorizzò il deposito dei libri raccolti nella casa del C. nel convento dei domenicani, provocando l'opposizione del capitolo, che ottenne ragione dalla Cancelleria di Granada: nell'aprile 1552, la biblioteca fu trasferita nella cattedrale e, in seguito, collocata nella grande aula al primo piano dell'ala moresca. Dopo aver subito un altro trasferimento sempre nell'ala moresca, dapprima fu protetta con eccessivo rigore, nonostante la volontà del C., che la voleva aperta a tutti i dotti d'Europa, e, poi, trascurata e abbandonata al saccheggio. Attualmente, essa è ridotta a circa 5.600 libri, di cui 4100 latini, 850 circa italiani, poco più di 500 francesi, 64 castigliani, 21 catalani, 14 greci, 10 tedeschi e uno portoghese.

La cultura poliedrica del C., dotto umanista, valente matematico ed espertissimo cosmografo ed astronomo, gli permise di affrontare opere sui più svariati argomenti, delle quali spesso non ci è rimasto che il nome. Alla biblioteca dedicò grandi fatiche: suoi sono il Registrum A e il Registrum B, il Compendium librorum, alla cui stesura attese per quindici anni, gli Abecedaria, preziosa guida ai volumi della "Libreria". Nella biblioteca sono conservati anche alcuni manoscritti di sua mano o, almeno, di sua ispirazione, come il progetto di un dizionario geografico della Spagna e un manoscritto contenente aforismi, sentenze, detti tolti dai libri da lui studiati.

Tuttavia, l'opera di gran lunga più importante tra quelle composte dal C. e al centro di accese discussioni tra gli studiosi, sono le Historie della vita e dei fatti di Cristoforo Colombo, fondamentali per la ricostruzione della sua tormentata biografia.

Il libro, di cui non ci è pervenuto il testo originale in spagnolo, apparve a Venezia nel 1571 nella traduzione di Alfonso de Ulloa. Dall'introduzione risulta che il nipote del C., don Luís (morto ad Orano nel 1572, dove era stato esiliato sotto l'accusa di poligamia e perennemente alla ricerca di danaro), si sarebbe accordato col genovese Baliano de Fornari, per pubblicare le Historie in cambio di una certa somma; il de Fornari, già assai avanzato in età, sarebbe partito alla volta di Venezia, il centro editoriale più importante d'Italia, preponendo un altro patrizio genovese, Giovanni Battista Marini, all'edizione del manoscritto, andato poi perduto o per incuria del traduttore Ulloa o per incuria di un altro curatore dell'opera, il matematico siciliano Giuseppe Moleto. Il libro è teso a difendere Cristoforo Colombo e le sue scoperte, evidenziando le sue sicure conoscenze fisiche, geografiche, cosmologiche e matematiche, sottolineando anche come il progetto originario colombiano e la sua realizzazione costituiscano "un disegno organico, organizzato su basi inequivocabili e guidato da un fine chiaro" (G. Imbrighi). Benché qualche dubbio circa l'esattezza delle notizie offerte dalle Historie fosse stato già avanzato, solo nel 1871 l'avvocato del foro di New York e insigne americanista Henri Harrisse formulò l'ipotesi che l'opera non potesse essere attribuita al C., data la grande quantità di informazioni erronee e contraddittorie in essa contenute. Ne seguì una violenta polemica, che vide schierarsi a favore della sostanziale autenticità dell'opera storici come il D'Avezac, il Fabié, il Peragallo e il De Lollis, mentre lo stesso Harrisse (dopo la pubblicazione, nel 1875, della Historia de las Indias di padre Bartolomé de Las Casas, amico del C., della cui opera egli si servì) modificò la sua ipotesi, osservando che gli errori e i difetti effettivamente contenuti nel libro dovevano essere attribuiti ad arbitrarie interpolazioni dell'editore o del traduttore. Nell'aspra querelle, ben lungi dal placarsi, intervennero altri critici: alcuni autori sostennero, come il Vignaud e R. Carbia (per quest'ultimo cfr. Almagià, 1936), che l'autore dell'opera non fosse il C., ma l'Ulloa o lo stesso Las Casas o don Luís, spinto dall'interesse a difendere il nome del nonno (ma si è osservato che nel 1571, ormai terminato il lungo "pleito" col Fisco spagnolo, tale interesse non aveva più ragione di esistere); altri, come l'Harrisse e il De La Rosa, hanno indicato nello stesso C. il responsabile delle falsificazioni e degli arbitrî storici, dovuti al desiderio di presentare la scoperta del Nuovo Mondo non come fatto casuale, ma come frutto di un piano consapevole, volto alla ricerca di terre sconosciute; altri ancora, come l'Altolaguirre e il Magnaghi, pensano che il C., forse in occasione del processo col Fisco, abbia iniziato un'opera biografica sul padre, senza attenzione alla successione cronologica dei fatti, ma sviluppando piuttosto quelle parti per le quali poteva far riferimento alla sua esperienza personale (in effetti, l'opera si rivela un canovaccio affrettato e privo di revisione): questo materiale informe sarebbe stato utilizzato da don Luis o da altri, con aggiunte e interpolazioni, per elaborare il testo spagnolo a base della traduzione dell'Ulloa; altri studiosi, infine, come il Caddeo, lo Jos e il De Lollis (autore di una attenta analisi comparata del testo fernandino con quello lascasiano), sostengono la sostanziale autenticità delle Historie, i cui errori sarebbero del tutto marginali e frutto della distrazione o della scarsa dimestichezza con l'italiano del traduttore. Tuttavia, qualunque ipotesi dovesse rivelarsi confortata da una ulteriore analisi del testo, per il momento troppo legata ad elementi soggettivi di valutazione per poter giungere ad una conclusione definitiva, le Historie restano una fonte fondamentale per la biografia di Cristoforo Colombo, di cui non è possibile mettere in discussione la sostanziale attendibilità, anche se i singoli dati da essa offerti debbono essere, di volta in volta, verificati dalla acribia dello storico.

Del C. è stata pubblicata la Descripción y cosmografia de España, con prefazione di A. Blazquez y Delgado Aguilera, Madrid 1910. Le Historie della vita e dei fatti di Cristoforo Colombo, per d. Fernando suo figlio sono state pubbl. in due volumi da R. Caddeo, Milano 1930 (qui elenco delle edizioni precedenti in italiano e in altre lingue).

Fonti e Bibl.: Per la biografia dei C. fondamentali sono le opere di H. Harrisse, Don F. Colón, historiador de su padre, Sevilla 1871, e F. Colomb. Sa vie, ses oeuvres, Paris 1872. Si veda inoltre: M. Fernandez de Navarrete, Noticias para la vida de d. Hernando Colón, in Colección de documentos inéditos para la historia de España, XVI, Madrid 1850, pp. 289-483; Documentos escogidos del Archivo de la Casa de Alba, Madrid 1891, pp. 205 ss.; Colección de documentos inéditos relativos al descubrimiento, conquista y organisación de las antiguas posesiones españolas de Ultramar, s. 2, VII, Pleitos de Colón, Madrid 1892, pp. VIII, 30 s., 42, 47, docc. 10, 11, 13; VIII, Pleitos de Colón, ibid. 1894, pp. 2, 31, 424, 427, docc. 66, 194, 198, 201, 213; Docum. relativi a Cristoforo Colombo e alla sua famiglia, a cura di L. T. Belgrano - M. Staglieno, in Racc. di docum. e studi pubbl. dalla R. Comm. colombiana, II, 1, Roma 1896, pp. 51, 60 ss., 65, 68-72, 74, docc. CXV, CXVIII-CXXI, CXXIV-CXXIX; W. Irving, F. C., in Storia della vita e dei viaggi di Cristoforo Colombo, IV, Genova 1830, pp. 74-77; G. A. Dondero, Se F. C. fosse figlio illegittimo di Cristoforo Colombo... o non piuttosto legittimo figliolo di lui, in Giornale degli studiosi di lettere, scienze, arti e mestieri, II (1869), pp. 141-190; A. F. Roselly de Lorgues, L'ambassadeur de Dieu et le pape Pie IX, Paris 1874, pp. 379-394; A. Sanguineti, Sull'origine di F. C. Questioni vecchie e nuove, Genova 1876; A. F. Roselly de Lorgues, Histoire postume de Christophe Colomb, Paris 1885, pp. 211-238; P. Peragallo, Cristoforo Colombo e la sua famiglia, Lisboa 1889, ad Ind.; A. Marcone, Cristoforo Colombo e la legittimità di suo figlio F., Milano 1891; A. M. Fabié, Don Hernando Colón, in El centenario, I, Madrid 1892, pp. 84-89; A. Marcone, L'autorità di mons. Bartolomeo de Las Casas nella nascita di F. C., Siena 1894; R. R. 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