BUSONI, Ferruccio Benvenuto

Enciclopedia Italiana (1930)

BUSONI, Ferruccio Benvenuto

Guido Maria Gatti

BUSONI, Ferruccio Benvenuto.- Pianista, compositore e scrittore di musica, nato a Empoli il 1° aprile 1866, morto a Berlino il 27 luglio 1924. Dal padre, Ferdinando, clarinettista di qualche merito, e più dalla madre, Anna Weiss, pianista esperta, ricevé la prima educazione musicale, a Trieste e in città austriache dove la famiglia dimorò per diversi anni. A nove anni diede, a Vienna, il suo primo concerto pianistico, poi continuò gli studî a Graz. A quindici anni lo ritroviamo in Italia, acclamato in tutte le città. Nel 1886 è a Lipsia a studiare composizione, e nel 1889 ottiene la cattedra di pianoforte nel conservatorio di Helsingfors. Nel 1890, vincitore del premio Rubinstein, insegna nel conservatorio di Mosca, e dal 1891 al 1894 nel New England Conservatory di Boston. Ma non abbandona, anzi intensifica l'attività di pianista concertista, e non trascura quella di compositore; la quale diviene particolarmente importante nel periodo che il Busoni trascorse a Berlino sino allo scoppio della guerra europea (1894-1914). Verso la fine del 1913 accettò di dirigere il Liceo musicale di Bologna, ma l'ufficio non l'attrasse e nell'autunno nel 1915 si ritirò a Zurigo, donde nel 1920 ritornò a Berlino, ove insegnò pure composizione all'Accademia di belle arti.

Grandissimo pianista, il Busoni soffrì molto, specialmente negli ultimi anni della sua vita, che in lui non si volesse vedere che questo aspetto della sua attività d'artista. Certamente la sua tecnica, come conquista e padronanza assoluta dello strumento, era giunta a tal punto da esaurirsi come tale: l'ascoltatore non riusciva più a riconoscerla, a individuarne i confini: era scomparso del tutto il limite che nella maggior parte degli esecutori, anche fra i migliori, si percepisce fra l'esecuzione e l'interpretazione, tra la riproduzione fedele della grafica della composizione e la ricreazione dell'opera d'arte, come prodotto dello spirito.

Si può dire che, primo dopo Liszt (che egli amò sempre, anzi idoleggiò, forse ritrovando nel maestro ungherese alcuni tratti della sua stessa personalità e del suo modo d'intender l'arte), il B. ampliò i limiti dell'esecuzione pianistica, apportandovi qualche cosa di sostanzialmente originale. Egli inventò un gioco di pedali straordinariamente mobile ed elastico, giunse all'estreme possibilità del gioco polifonico, attraverso una più sottile e logica considerazione della diteggiatura, e, da quel musicista ch'era, non si fermò alla meccanica e alla sonorità, ma si curò particolarmente del fraseggio melodico, cui attribuì, come è giusto, un'importanza predominante nell'interpretazione, studiando e sperimentando originali e accorte partizioni della melodia fra le due mani.

Tuttavia, anche come compositore il B. ebbe una natura musicale così felice e così ricca che, pensando a lui, la mente corre involontariamente a Mozart. È un'affinità dapprima istintiva, che a poco a poco si fa sempre più consapevole e decisa: la mente discrimina, giustifica, conferma, rinsalda ciò che la natura ha sentito. Tutta l'opera del B., dalla Sonata in mi minore per violino al Dottor Faust, sta a dimostrarci l'ininterrotto cammino verso quella che il B. chiamò "classicità nuova" e che potrebbe sintetizzarsi nel ritorno agli spiriti della creazione mozartiana, a una più intima e pura coscienza dell'essenza della musica e soprattutto della sua unità: per cui la sua bellezza è assolutamente intrinseca, indipendente dalle forme assunte e dalle determinate significazioni che le si possono sovrapporre sì, ma che le rimangono sempre estranee e inadeguate. Naturalmente il B. si guardò bene dal predicare un ritorno puro e semplice alle forme del passato; nemmeno ammetteva che si potesse distinguere musica da musica secondo la sua destinazione: "la musica" - egli scriveva - "resti, dove ed in qualunque forma essa si presenti, esclusivamente musica".

Una siffatta concezione portava come diretta conseguenza all'autonomia della musica nel campo delle arti, negava ogni possibilità di collaborazione e d'integrazione, nel caso specifico dell'opera composita di teatro. E naturalmente, anche se ammessa pacificamente per la composizione istrumentale, doveva trovare oppositori irriducibili - e ne trovò infatti molti - allorché si rivolgeva a quell'opera. Il suo saggio Dell'opera, premesso a guisa di prefazione al Dottor Faust, suscitò vive discussioni. Opponendosi da un lato al sensibilismo come abbandono incontrollato all'impulso sentimentale, dall'altro rinnegando la formula e gli sviluppi tematici in favore di una melodia liberata dall'influenza dell'armonia, di una melodia, come energia di movimento, atta ad infrangere la resistenza degli accordi e ad affermare decisamente la sua linea, il B. veniva a porsi decisamente tra gli antiwagneriani, ma si distingueva in pari tempo dagl'impressionisti, in cui vedeva, ancor più che in Wagner, un'abdicazione ai diritti supremi della musica, e sotto questo riguardo è da considerarsi, oltre a tutto, come un precursore di certe correnti estetiche odierne.

La sua musicalità non ebbe vincoli. La sua opera non si chiarisce con alcun commento, né didascalia. Non ha titolo. A volte il carattere di pura musicalità delle sue pagine è così prepotente che ne è scomparsa ogni idiosincrasia strumentale: la Fantasia contrappuntistica, composta sull'ultima fuga incompiuta dell'Arte della Fuga di Bach, si è pubblicata per uno o per due pianoforti, ma l'autore stesso ci dice che egli non la scrisse per alcun istrumento, la concepì soltanto come musica. E come l'idea melodica è del tutto indipendente dal timbro, così, nel momento del suo nascere, non è connessa ad alcuna tonalità; questa risulta poi per l'intensa concentrazione, sintesi necessaria e naturale di successivi sviluppi.

Opere principali: per il teatro: Die Brautwahl op. 45, Amburgo 1912; Turandot, Berlino 1921; Arlecchino op. 50, Zurigo 1918; Doktor Faust (compl. da Philipp Jarnach, rappr. a Dresda il 21 maggio 1925). Per orchestra: Suite op. 25, 1888; Concerto op. 35 per violino e orchestra, 1899; Lustspiel-Ouverture op. 38, 1904; 2ª Suite op. 34 a, 1904; Berceuse élégiaque op. 42, 1910; Notturno op. 43, 1914; Indianische Fantasie op. 44, per pianoforte e orchestra, 1914; Rondò arlecchinesco op. 46, 1910; Gesang vom Reigen der Geister op. 47, 1916; Concertino op. 48 per clarinetto e piccola orchestra, 1918; Divertimento op. 52 per flauto e orchestra, 1921; Tanz-Walzer op. 53, 1921; Romanza e scherzoso op. 54 per pianoforte e orchestra, 1922. Per pianoforte: 4 Scènes de Ballet opere 6, 20, 30, 30a, 6 elegie, 1908; 6 sonatine con diversi titoli, 1910-21; Indianisches Tagebuch, 1918: Fantasia contrappuntistica per 2 pianoforti, 1921; Toccata, 1921; Studì, 5 libri, 1921; Concerto op. 39 per pianoforte, orchestra e coro finale, 1906; cadenze revisioni e trascrizioni, ecc., tra cui importantissima quella della Toccata in do magg. di Bach. Musica da camera: 2 quartetti d'archi, op. 19 e op. 26, Suite op. 23 per violoncello e pianoforte, 1886; 4 Bagatelle op. 28 per violino e pianoforte, 1888; 1ª Sonata op. 29 per violino e pianoforte, 1891; 2ª Sonata op. 36 per violino e pianoforte, 1904; Serenata op. 34 per violoncello e pianoforte. Inoltre Busoni pubblicò: Entwurf einer neuen Ästhetik der Tonkunst (Lipsia 1916); Versuch einer organischen Klaviernotenschrift (1910), e Von der Einheit der Musik, raccolta di scritti diversi (Berlino 1923).

Bibl.: H. Leichtentritt, F.B., Lipsia 1916; G. Selden-Goth, F. B., Vienna 1922; A. Jelmoli, F. Busonis Zürcherjahre, Zurigo 1929. Una bibliografia completa è stata pubblicata nella Riv. Mus. Italiana, XXXI, 4. E. J. Dent, amico e ammiratore del B., attende a una biografia del maestro di cui alcuni saggi sono già apparsi in riviste straniere. Sui rapporti fra l'Italia e il B. e in genere sul concetto di nazionalismo artistico nel B., vedi: E. J. Dent, B. e l'Italia, in Rassegna Musicale, gennaio 1930.

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