BRUNELLESCHI, Filippo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 14 (1972)

BRUNELLESCHI, Filippo

HHyman

Nacque a Firenze nel 1377, secondogenito dei tre figli di ser Brunellesco di Lippo Lapi, notaio, e di Giuliana degli Spini.

La prima Vita del B., scritta fra il 1480 e il '90 da un più giovane contemporaneo suo ammiratore, generalmente identificato con Antonio di Tuccio Manetti, rimane, malgrado dati inesatti e lacune, la più ricca fonte di notizie su di lui. La sua biografia è stata poi ampliata dai documenti pubblicati da Fabriczy (1892, 1907), Guasti (1857), Gaye (1839) e altri.

Benché la fama del B. quale uno degli iniziatori del Rinascimento sia legata alla sua opera architettonica e ai suoi contributi allo sviluppo della prospettiva, egli iniziò la sua carriera come orafo. Già nel 1398 aveva chiesto di essere iscritto all'Arte della seta, e nel 1404 fu immatricolato come maestro. Secondo Manetti (p. 41), il giovane B. eseguì "certe figure d'ariento d'importanza" per l'altare di S. Iacopo a Pistoia.

In effetti, documenti conservati nell'archivio dell'Opera di S. Iacopo registrano un "Pippo da Firenze" che nel 1399 e 1400 lavorava all'esecuzione dell'altare come membro della bottega degli orafi Lunardo di Mazzeo Duccio e Piero di Giovannino. In esso quattro figure, eccezionalmente vigorose nel gesto e nell'atteggiamento, e particolarmente vivide nell'espressione, sono state attribuite plausibilmente al B.: due Profeti a mezzo busto e due Padridella Chiesa, uno seduto e uno in piedi (Sanpaolesi, 1953).

Nel 1401 il B. aveva acquisito sufficiente maturità nella scultura per poter partecipare al concorso (vinto da Lorenzo Ghiberti) per una nuova porta in bronzo per il battistero di Firenze.

Benché egli abbia continuato a operare in questo campo fino agli ultimi anni della sua vita, il rilievo in bronzo con Il sacrificio di Isacco (Bargello), eseguito per questo concorso, è il risultato più alto della sua attività di scultore. Eseguito poco dopo le figure di Pistoia, il rilievo del Bargello rivela un notevole progresso del punto di vista tecnico; l'azione è fissata con grande abilità nel momento più drammatico e nello stesso tempo è più sviluppato lo studio anatomico.

Manetti riferisce che dopo l'insuccesso nel concorso per la porta del battistero, il B. si recò a Roma insieme con Donatello. Qui egli avrebbe studiato, oltre alla scultura, le tecniche architettoniche dei Romani che poi adattò alle proprie costruzioni. Nel corso della sua vita fece molte volte il viaggio fra Firenze e Roma: questo primo viaggio giovanile è tuttavia probabile, ma non certo. Era presente a Firenze nel 1409, l'anno della famosa burla a spese del "grasso legnaiuolo" (cfr. Manetti, in Milanesi, 1887).

Tra le opere di scultura attribuite al B. dal Manetti, ma non documentate, sono una statua lignea policroma di Maria Maddalena presumibilmente collocata nella chiesa fiorentina di Santo Spirito fino al 1471, quando fu distrutta da un incendio, e il Crocifisso di legno, tuttora nella cappella Gondi di S. Maria Novella, stilisticamente databile al decennio 1410-20.

Una "figuretta di pietra vestita di piombo dorato", ora perduta, documentata (Guasti, 1887, doc. 473) ma non menzionata dal Manetti, fu eseguita insieme dal B. e da Donatello nel 1415, e doveva servire da modello per una grande statua (mai eseguita) destinata a uno dei pilastri nel coro della cattedrale di Firenze. Secondo una tradizione che risale al cinquecentesco Libro di Antonio Billi, al B. e a Donatello insieme furono commissionate altre due opere scultoree: le statue di San Marco e di San Pietro in Orsanmichele. Nulla corrobora questa attribuzione, rifiutata dalla maggioranza dei critici, benché alcuni (A. Venturi, 1923, pp. 113 s.) abbiano tentato di collegare le illusionistiche tarsie marmoree della nicchia del San Pietro con gli esperimenti prospettici del Brunelleschi.

È da ritenere che verso il 1442, quando la sua fama di architetto era ormai stabilita da tempo, il B. sia tornato al rilievo, per eseguire, all'interno di uno dei suoi edifici, la cappella dei Pazzi, i quattro tondi in terracotta policroma smaltata con gli Evangelisti. Non vi sono documenti o riferimenti di Manetti o altre fonti che glieli attribuiscano: alcuni critici li ritengono opera di Luca della Robbia e della sua bottega, ma affinità chiaramente individuabili tra questi Evangelisti, il Sacrificio di Isacco e le figure dell'altare di S. Iacopo a Pistoia corroborano l'attribuzione dei tondi al Brunelleschi. In essi, a quarant'anni di distanza dal rilievo del Bargello, il B. si esprime ancora nei modi del gotico internazionale, con figure sottili e rarefatte avvolte in panneggi fluidi e collocate in tenui, non convincenti strati spaziali. Anche se l'opera di Giovanni Pisano e dei maestri senesi del Trecento ispirò certi brani della sua scultura, i modelli più immediati sono da ricercarsi nelle botteghe degli orafi francesi del secolo XIV.

Documenti attestano che il B. fece modelli o disegni per varie suppellettili sacre, ma gli oggetti stessi furono eseguiti dal figlio adottivo ed erede, lo scultore Andrea di Lazzaro Cavalcanti (noto come il Buggiano), e da altri.

Un tabernacolo progettato dal B. per la chiesa di S. Iacopo in Campo Corbolini fu eseguito dopo l'anno 1427 da Giusto di Francesco da Settignano. Un lavabo in marmo destinato alla sagrestia meridionale di Santa Maria del Fiore gli venne commissionato nel 1432, e il Buggiano fu pagato nel 1440 per il suo compimento. Sempre nel 1432 il B. presentò un modello per un nuovo reliquiario di s. Zenobi, destinato a una delle cappelle nella tribuna del duomo, ma gli fu commissionato solo l'altare sotto il quale il reliquiario stesso, assegnato al Ghiberti, fu finalmente collocato (dopo il 1442). Un altro altare marmoreo, fatto dal Buggiano nel 1443 probabilmente su disegno del B., fu collocato nell'abside della sacrestia vecchia di S. Lorenzo: originariamente esso conteneva il rilievo del Sacrificio di Isacco, presentato al concorso. Nel 1443 il B. fu pagato per un modello in legno del pulpito, decorato da rilievi, per la navata centrale di S. Maria Novella (tradotto poi in marmo dal Buggiano).

Le soluzioni di complessi problemi di ingegneria e statica, i disegni di ingegnose macchine per costruzione e di congegni meccanici e la sua "invenzione" della prospettiva scientifica rivelano nel B. un genio poliedrico. Manetti riferisce che, agli inizi della sua carriera di architetto (probabilmente verso il 1410-15), il B. scoprì i principi della costruzione prospettica lineare, che illustrò in due pannelli dipinti, ora perduti.

Uno, di circa mezzo braccio quadro, rappresentava il battistero di S. Giovanni con la sua piazza come se fosse vista da "qualche braccia tre" (p. 43) dall'interno del portale principale del duomo. L'osservatore, da dietro il pannello, doveva guardare, attraverso un piccolo foro praticato nel pannello stesso, in uno specchio tenuto a distanza di braccio: l'immagine che vi si rifletteva era esattamente uguale a quella vista dall'artista. Il secondo pannello, più grande, rappresentava la piazza della Signoria vista obliquamente dall'accesso settentrionale: erano visibili gli edifici laterali e le facciate settentrionale e occidentale di Palazzo Vecchio. In questa tavola il cielo non era di argento brunito, come nella prima, bensì completamente eliminato per cui, dal punto di vista diagonale dello spettatore, il vasto orizzonte del dipinto coincideva con quello degli edifici reali. Dalla descrizione dei pannelli fatta dal Manetti risulta evidente che il B. aveva compreso il principio dell'unico punto di fuga verso cui appaiono convergere tutte le linee parallele disegnate su uno stesso piano, il rapporto inverso esistente tra la distanza di un oggetto dall'occhio e le dimensioni dell'oggetto stesso, e la configurazione della piramide visiva formata dalla linee rette che congiungono l'occhio con l'oggetto della visione. Non fu tuttavia il B. a codificare i principi ottici e geometrici su cui si basavano i suoi congegni prospettici, ma Leon Battista Alberti. Questi, peraltro, dedicò al B. la traduzione in volgare del De Pictura forse proprio perché si sentiva in debito verso di lui relativamente alle leggi della prospettiva formulate nel primo libro del trattato stesso.

Ancora nel 1463 il Filarete nel suo trattato citava il B. come inventore della prospettiva, e prima della pubblicazione del trattato dell'Alberti, Masaccio, verso il 1425, nel suo affresco della Trinità, applicando la scoperta del B., creò uno straordinario effetto di spazio interno misurabile matematicamente.

Le invenzioni tecniche del B. furono ricordate perfino nel suo epitaffio: "Quantum Philippus architectus arte daedalea valuerit cum huius celeberrimi templi mira testudo tum plures machinae divino ingenio ab eo adinventae documento esse possunt". Tali invenzioni erano intese prevalentemente a risolvere problemi connessi con la costruzione della cupola della cattedrale di Firenze, ma le sue multiformi capacità si estesero anche alla scenografia teatrale. Una delle macchine più famose del B., inventata probabilmente nel 1435-40 e descritta dettagliatamente dal Vasari (pp. 375-378), costituiva lo scenario per una sacra rappresentazione nella chiesa di S. Felice.

Le macchine inventate dal B. per servire alla costruzione della cupola del duomo e il suo progetto per la costruzione stessa sono le massime creazioni del suo genio. La fabbrica di S. Maria del Fiore, iniziata nel 1296, era giunta, nel 1418, al punto in cui era ormai necessario risolvere quei problemi tecnici, relativi all'erezione della cupola, che erano già stati oggetto di aspre polemiche per le precedenti generazioni di architetti. Il B. escogitò un metodo per costruire la cupola "senza armadura", inventò le macchine necessarie, disegnò la lanterna e le edicole, conservando la carica di capomaestro della fabbrica dal 1420 fino alla morte.

Il ruolo del B. nella costruzione della cupola può essere definito parzialmente in base ai documenti pubblicati da Guasti nel 1857. Egli collaborò per la prima volta con l'Opera del duomo nel 1404, quando fece parte di una commissione consultiva per uno degli speroni; alcuni studiosi fanno risalire a questa data e a questo intervento l'inizio della sua carriera di architetto; del resto, nel 1412, a Prato, ove era stato chiamato come consulente per l'erezione di una nuova facciata della cattedrale, il B. era detto "capomaestro", il che indica che aveva già acquisito una certa posizione in campo architettonico (cfr. Marchini, 1963, p. 102, doc. 41).

Un pagamento del 1417 è comunque il primo atto ufficiale comprovante l'opera del B. in relazione alla cupola. Lo schema, già fissato probabilmente nel Trecento, prevedeva una cupola ogivale a otto spicchi, divisi da costoloni senza contrafforti esterni, e comportava problemi tecnici che sembravano insolubili. Nel 1418 l'Opera bandì un concorso per modelli di soluzioni tecniche: tra i molti vi parteciparono Ghiberti e il B., il cui modello, ideato in collaborazione con Donatello e Nanni di Banco, fu costruito in muratura alla fine del 1418 da quattro muratori dell'Opera nei pressi del campanile; in esso, la mancanza di armatura era la più importante innovazione. Nel 1419 il B. fu pagato per una lanterna che collocò sopra il modello e per una galleria tra il tamburo e la cupola (queste parti erano in legno).

Nel 1420 si pervenne a una decisione favorevole al modello brunelleschiano, ma non è chiaro se si trattasse di quello originale del 1418 o di un nuovo modello approntato dal B. insieme col Ghiberti. Comunque, fu approvato il progetto di costruzione della cupola "senza armadura"; il B. e il Ghiberti furono nominati capimaestri insieme con Battista d'Antonio. Fu stabilito per iscritto un piano di costruzione molto dettagliato (una autorevole versione di questo documento è conservata nei registri dell'Arte della lana).Nel 1421 il B. fu compensato con 100 fiorini per il disegno di un complicato argano molto potente e rapido (Guasti, 1857, pp. 58 ss., docc. 123 s.); nello stesso anno ottenne un brevetto per l'invenzione di una nave da carico, per il trasporto di materiali da costruzione (la nave si rivelò alla fine un fallimento). Nel 1423 fu concesso al B. un altro cospicuo premio per un perfezionamento apportato al suo nuovo argano, ed egli è detto "...inventori et ghubernatori maiori Cupule" (Guasti, 1857, p. 71 doc. 177). Nel 1425 ebbe un incarico civico: fu uno dei priori del quartiere di San Giovanni.

Nel 1420 ebbe inizio la costruzione della cupola. Lunghe controversie sono nate fra gli studiosi a proposito delle parti non visibili della struttura, e interpretazioni contrastanti sono state proposte per i punti oscuri dei documenti, ma alcuni dati sono sicuri. La cupola è costruita con due calotte di pietra e mattoni - una interna e una esterna - il cui spessore diminuisce procedendo dalla base verso l'oculo. Esse sono rinforzate verticalmente da 24 costoloni in pietra: un costolone grande, visibile dall'esterno, su ciascuno degli otto angoli dell'ottagono, e due costoloni più piccoli, interni, tra le due calotte, su ciascuno degli otto lati. Piccoli archi orizzontali collegano i costoloni intermedi con quelli più grandi. I costoloni trasmettono la forza di spinta ai massicci pilastri di sostegno nella sottostante tribuna della chiesa e ai rinforzi orizzontali della cupola. Questi rinforzi sono costituiti da catene di tensione, parzialmente visibili, in pietra e legno, che cingendo le calotte neutralizzano la loro spinta in fuori e, insieme con una serie di travi trasversali, collegano la calotta interna con quella esterna. Rimane ancora da stabilire l'esatta natura di queste catene, data la scarsa chiarezza della descrizione fornitaci dai documenti. Le due calotte terminano in un oculo ottagonale coperto da una grande ed elaborata lanterna.

Il B. escogitò anche il metodo col quale la cupola poté essere eretta "senza armadura". L'ampiezza e il peso della volta non permettevano i metodi tradizionali di centinatura in legno; egli eresse la massa di pietre e mattoni in successivi corsi autosufficienti, disponendo i mattoni a spina di pesce in modo che la struttura si sostenesse da sé. È probabile che questa tecnica gli fosse stata suggerita dall'architettura bizantineggiante dell'Italia nordorientale, benché Manetti a questo proposito faccia riferimento esplicito alle tecniche costruttive dell'antica Roma.

La cupola fu terminata nel 1434 e consacrata nel 1436, anno in cui fu approvato il progetto per la lanterna. Il modello di questa, che il B. aveva creato correggendo ed elaborando il precedente abbozzo del 1419, fu eseguito dal legnaiuolo A. Manetti Ciaccheri e fu causa di aspri contrasti tra i due (l'esecuzione definitiva della lanterna fu opera di Michelozzo successore del B., dopo il 1446, nella carica di "capud magistro Cupole et Lanterne"). Secondo Manetti, la realizzazione della lanterna comportò importanti deviazioni dalle intenzioni brunelleschiane, e il biografo imputa (p. 119) velatamente i difetti della lanterna a "la malizia" e "la ignioranza d'alcuno".

Connesse con gli esperimenti per la cupola sono, anche per il Vasari, due opere architettoniche non documentate e di incerta attribuzione al B., una perduta e l'altra mutila: la cappella Ridolfi in S. Iacopo Oltrarno e la cappella Barbadori in S. Felicita. Ambedue ricavate in un angolo formato dalle mura della chiesa, erano di pianta approssimativamente quadrata, aperte su due lati con grandi archi, coronate da una volta a vela sostenuta da pennacchi poggianti sopra un'architrave.

La cappella Ridolfi, distrutta quando la chiesa fu rifatta nel Settecento, ci è nota solo dalla descrizione del Manetti. La cappella Barbadori fu trasformata nel Settecento, ma l'originale quattrocentesco fu parzialmente riscoperto da scavi compiuti dopo il 1930. In ambedue queste cappelle la volta era stata costruita a corsi di mattoni a spina di pesce, e senza armatura; il B. avrebbe quindi dimostrato con queste imprese minori, agli scettici operai del duomo, che la grande cupola poteva essere costruita con lo stesso metodo. È difficile dedurre la data della cappella Ridolfi, non disponendo di documenti o resti, e generalmente la si riferisce all'incirca al periodo 1417-20. La datazione della cappella Barbadori può ricavarsi da un approfondito studio dei capitelli e di altri dettagli conservati e dal parallelo con l'architettura nell'affresco della Trinità di Masaccio; il problema ha provocato dissensi tra gli studiosi, le cui ipotesi variano dal 1417 agli anni dopo il 1430.

Non è provata la partecipazione del B. alla progettazione o costruzione dei primi tre edifici menzionati dal Manetti: la casa Lapi presso il canto de' Ricci, la torre di villa Petraia fuori le mura, la residenza e gli uffici dei funzionari del Monte nel palazzo della Signoria; perciò la prima opera da prendere in esame, a parte la cupola, è l'Ospedale degli Innocenti.

Nel 1419 venne acquistata l'area e si iniziarono i lavori di costruzione. Il nome del B. compare per la prima volta nei documenti dell'Ospedale nel 1421, quando venne pagato per disegni o modelli, ma è probabile che iniziasse a lavorarvi nel 1419-20. Nel 1424 il B. era a Pistoia, mentre la costruzione dell'Ospedale continuava, ma fu richiamato a Firenze per risolvere difficoltà tecniche insorte nel frattempo. Il suo nome compare per l'ultima volta nei registri nel 1426.

Il nucleo originale, oltre il portico ad arcate che ne costituisce la facciata, consisteva di due ali parallele simmetriche, perpendicolari alla facciata e separate da un cortile quadrato. I Libri della Muraglia (estratti in Fabriczy, 1892 e 1907, da integrare con altri in Mendes-Dallai, 1966) non chiariscono se il contributo del B. si limiti al solo portico, come affermò Manetti, o si estese anche alla progettazione delle ali e del cortile. Nel 1427, quando il B. aveva già abbandonato i lavori, l'operaio Francesco della Luna apportò al progetto originale modifiche determinanti, severamente criticate dal Manetti (p. 97); fece ampliare le campate del portico, aggiunse un secondo piano, mutò le proporzioni e la disposizione dell'architrave e delle cornici ed eliminò le lesene incassate.

Il portico dell'Ospedale degli Innocenti è generalmente considerato il primo esempio di stile rinascimentale in architettura. In realtà, malgrado la presenza di molti elementi nuovi, esso è ancora morfologicamente legato alle tradizioni dell'architettura romanica e tardogotica in Italia: il B. diede alle forme precedenti un nuovo vocabolario, classico nello spirito, ma suggerito non tanto da prototipi ortodossi quanto dalla interpretazione personale dei motivi classicheggianti dell'architettura romanica toscana, e in particolare della facciata di S. Miniato a Firenze e del battistero di S. Giovanni. Gli aspetti innovatori dell'edificio emanano dalla penetrazione intuitiva dei principi formali dell'arte classica e dalla corrispondenza razionale tra le singole componenti dell'edificio. Gli echi trecenteschi che persistono nell'ospedale sono subordinati a questo nuovo stile che conferisce alla facciata un'aria all'antica - riconosciuta ed elogiata dall'Alberti e dal Filarete -, e che era la caratteristica della "scrittura" architettonica brunelleschiana di questo periodo: muri lisci, delicatamente articolati da membrature piatte, con dettagli classici, costruzione modulare, proporzioni geometriche, pianta simmetrica.

La regolarità della facciata degli Innocenti e la sua funzione definitrice dello spazio ebbero una notevole influenza sulla successiva costruzione della piazza dell'Annunziata. Lo spazio fu reso regolare, gli edifici che l'attorniano hanno facciate uniformi consone a quella dell'Ospedale degli Innocenti, e fungono da cornice per la statua equestre nel centro della piazza. Benché nulla provi che il B. avesse concepito il suo portico come la prima unità di un complesso, si è tentati di attribuirgli una avanzata concezione urbanistica.

La nuova ala del palazzo di Parte guelfa, la cui costruzione fu iniziata dal B. nei primi anni del terzo decennio del secolo e forse anche prima, come una aggiunta al più antico palazzo trecentesco, fu compiuta da "uno cittadino" - secondo il Manetti che intende inequivocabilmente Francesco della Luna - che ne guastò l'effetto per la sua errata interpretazione del progetto brunelleschiano.

I pochi documenti attinenti a questa opera non chiariscono la cronologia o i dettagli della costruzione, né suffragano l'attribuzione al B. che si basa sul Manetti. Questi riferisce che edificò la parte superiore dell'edificio (benché lo abbia lasciato incompiuto), essendo subentrato nella direzione del progetto quando la costruzione era già giunta a due braccia dai davanzali delle finestre. La definizione della facciata esterna è un esempio della precisione e della purezza dello stile brunelleschiano: il piano del muro suddiviso orizzontalmente da una cornice; finestre equidistanti terminanti ad arco a pieno centro; sopra ogni finestra un oculo circondato da una semplice modanatura e l'intera sequenza inquadrata da lesene lisce. L'elegante levigatezza della facciata introdusse un nuovo linguaggio nella architettura dei palazzi civili a Firenze, eliminando il bugnato rustico e le finestre bifore, e aggiungendo dettagli classici. Il grande salone interno è interessante perché il B. vi introdusse la lesena di ordine colossale.

Pietre miliari dello "stile nuovo" sono considerate anche la Sacrestia vecchia e la basilica di S. Lorenzo. Commissionata verso il 1418 da Giovanni di Bicci de' Medici, che probabilmente intendeva farne il mausoleo della famiglia nella chiesa parrocchiale de' Medici, la Sacrestia vecchia di S. Lorenzo fu iniziata nel 1421, e sostanzialmente fu compiuta (senza le decorazioni scultoree) nel 1428, data iscritta nella lanterna.

Con essa il B. fissò il prototipo degli edifici a pianta centrale del Rinascimento: la progettò come un cubo - coronato da una cupola emisferica su pennacchi - su una faccia del quale s'innesta un altro vano cubico più piccolo contenente l'altare. Le 20 braccia quadrate della pianta costituiscono il modulo proporzionale. Il rapporto matematico tra pianta e sezione, la chiarezza delle proporzioni definite da membrature scure su pareti chiare e la pianta centrale sono contributi fondamentali alla caratterizzazione dell'architettura del primo Rinascimento. Nella Sacrestia vecchia il B. accomunò nuovamente motivi romani classici a moduli architettonici bizantineggianti.

Benché nessun documento attesti che il B. sia stato l'architetto di S. Lorenzo, la paternità del progetto, descritto per la prima volta da Manetti, non è stata mai posta in dubbio. Al posto della preesistente basilica romanica, esso prevedeva una struttura più grande con tre navate, un coro monumentale, sacrestie, un transetto con cappelle perimetrali e una crociera coperta da una cupola su pennacchi.

La prima pietra fu posta nel 1421; i lavori furono sospesi intorno al 1425 e un'altra volta nel 1429 per non essere ripresi che nel 1441 quando Cosimo de' Medici, in quanto erede delle responsabilità pubbliche del padre, accettò di assumersi l'onere finanziario per una parte della costruzione. I lavori per S. Lorenzo procedettero discontinuamente fino alla fine del settimo decennio. All'epoca della morte del B. nel 1446, la cappella maggiore e il transetto erano in gran parte terminati, erano iniziati i lavori della cupola ed erano state commissionate le colonne della navata centrale. La cupola, compiuta nel 1457 da Gaccheri Manetti, differiva notevolmente, secondo il Manetti, dalle intenzioni brunelleschiane, e presentava difetti sia nell'illuminazione, sia nella lanterna sia nelle proporzioni. La pianta di S. Lorenzo non era insolita; somigliava ad anteriori basiliche fiorentine a croce latina a tre navate; ma ancora una volta il B. subordinò le formule tradizionali alle sue innovazioni: lo schema geometrico, i rapporti matematici, le impostazioni prospettiche, il vocabolario all'antica. Servendosi delle dimensioni del quadrato della crociera come nucleo organizzativo della chiesa, come già aveva fatto con la pianta della Sacrestia vecchia, sviluppò un sistema di rapporti proporzionali nelle dimensioni della lunghezza, larghezza e altezza delle campate della navata centrale e di quelle laterali. I problemi relativi alle cappelle laterali, aggiunte dopo la morte del B., non sono stati ancora risolti. È difficile accertare se il progetto originale, preferito dall'architetto ma non eseguito (secondo Manetti, egli aveva "più modi" per S. Lorenzo), contemplasse tre navate con cappelle nelle navate laterali, o una combinazione di cappelle laterali con una navata unica coperta da volta a botte (Luporini, 1964), o se le cappelle che vediamo oggi furono il risultato di una revisione postuma del progetto.

Anche S. Lorenzo presenta la solita commistione di temi classici e bizantini; la decorazione a rilievo degli intradossi delle arcate (primo esempio a Firenze), le membrature quadrangolari sovrapposte ai capitelli della navata centrale e la cupola a pennacchi della crociera derivano dall'architettura bizantina, mentre l'ornamentazione scultorea è di derivazione classica.

La cappella dei Pazzi, sul lato orientale del primo chiostro di S. Croce, fu commissionata da Andrea de' Pazzi come sala capitolare per i monaci di S. Croce. La costruzione fu attribuita per la prima volta al B. dall'anonimo autore (forse il Manetti) di Huomini singhulari. Manetti non ne fa cenno nella Vita. I documenti indicano come data del contratto il 1429-30, ma sembra che la costruzione sia stata iniziata solo dopo il 1442 (H. Saalman, Michelozzo studies, in The Burl. Mag., CVIII [1966], p. 242 n. 6). Fondi furono stanziati nel 1442, 1445, 1451 e 1457, e altri ne venivano richiesti nel 1473. Sulla parete settentrionale è dipinta la data 1443; un'altra data, 1459, appare all'interno della cupola principale, e una terza data, 1461, è iscritta nella cupola del portico (cfr. Laschi-Roselli-Ricci, 1962).

Sondaggi moderni nella cappella (ibid.) hanno rivelato che il progetto originale del B. differiva sostanzialmente dalla cappella attuale. Sembra che l'attuale portico, che non è strutturalmente necessario né stilisticamente coerente al resto dell'edificio, in origine non fosse contemplato. La facciata al di là del portico era stata preparata per un rivestimento che ne avrebbe fatto la facciata principale. Era anche intenzione del B. lasciare gli estradossi delle volte a botte visibili (ora sono coperti da due strati di muratura). Più complessa di S. Lorenzo nella sua configurazione spaziale, la cappella dei Pazzi si compone di un vano a pianta quadrata, coperto da una cupola emisferica, che diventa rettangolare per l'aggiunta, su due lati, di due ali con volta a botte. Sul lato est del quadrato centrale, di fronte all'ingresso, si apre un vano più piccolo, anch'esso a pianta quadrata, coperto da una cupola e contenente un altare. Come nella Sacrestia vecchia e nelle parti più antiche di S. Lorenzo (abside e transetto), ma in maniera più ricercata, sulle superfici chiare del muro le membrature color grigio scuro, disposte secondo un modulo dato dalle misure della parete, compongono disegni geometrici (rettangoli, cerchi e archi a sesto ribassato). La decorazione della cappella è arricchita dai grandi rilievi policromi, probabilmente disegnati dallo stesso B., nei pennacchi degli archi sotto la cupola.

S. Maria degli Angeli, edificata per il monastero camaldolese a Firenze, è una delle opere più enigmatiche del Brunelleschi. La costruzione cominciò nel 1434, su commissione degli eredi di Filippo Scolari (Pippo Spano), e fu lasciata incompiuta nel 1437 per mancanza di fondi. Nei tre anni di lavoro l'edificio raggiunse l'altezza interna di circa quattro metri e mezzo e tale rimase fino a dopo il 1930 quando fu completato e coperto da volta, in maniera esteticamente spiacevole e discutibile.

Il progetto prevedeva un ottagono interno circondato all'esterno da un poligono di 16 lati. Su ognuno degli otto lati dell'ottagono si apriva una cappella con la parete di fondo piana e le due laterali curvate in profonde nicchie semicircolari. Le cappelle erano intercomunicanti per mezzo di uno stretto passaggio che creava un sottile deambulatorio attorno all'ottagono. Otto nicchie semicircolari erano ricavate, alternativamente, sulle facce del muro esterno. Abbiamo una serie di disegni, stampe e ricostruzioni che derivano dai disegni originali perduti. I primi in ordine di tempo sono probabilmente un anonimo disegno cinquecentesco (Firenze, Bibl. Laurenziana) dell'alzato interno dell'edificio (vedi B. Lowry, Renaissance architecture, New York 1962, fig. 23) e un disegno della pianta fatto da Giuliano da Sangallo (vedi Illibro di Giuliano daS., a cura di C. Huelsen, Leipzig 1910, f. XV). Il Manetti parla anche di un "modello" (pp. 103, 117). S. Maria degli Angeli fu il più rivoluzionario dei progetti brunelleschiani (Vasari lo disse "bizzarrissimo", p. 372): stilisticamente più coerente della Sacrestia vecchia, esso presenta una struttura perfettamente centralizzata. Non vi è accordo circa un preciso modello che può averla ispirata: alcuni critici suggeriscono i ruderi di monumenti a cupola dell'architettura romana, come per esempio il tempio di Minerva Medica, altri invece propongono l'ottagono contornato da cappelle del coro della cattedrale di Firenze. Né sarebbero da escludere riferimenti agli edifici a pianta centrale dell'Esarcato. Anche questa cupola costituisce un problema: dal disegno della Biblioteca Laurenziana si deduce che il B. intendeva coprire lo spazio con una volta a padiglione a otto spicchi sopra un tamburo con lunette e oculi. Invece di insistere sulla geometria piana dei suoi edifici precedenti, in S. Maria degli Angeli egli concentra l'interesse sulla malleabilità della massa muraria, e sulla plasticità delle forme architettoniche, in particolare dei pilastri triangolari con i loro elementi incassati tra le cappelle: perciò molti studiosi, e per primo Heydenreich (1931), considerano quest'opera come l'inizio di una fase matura della sua carriera, una fase in cui prevalgono motivi plastici, "modellatori dello spazio" (per un'opinione contraria, vedi Luporini, 1964). Ma la data avanzata della cappella de' Pazzi e la contemporaneità di esecuzione di molti dei suoi progetti tolgono valore a qualsiasi netta distinzione tra stile giovanile e stile tardo nell'attività del Brunelleschi.

La chiesa di Santo Spirito fu progettata nel 1428 o nel 1434 (a seconda dell'interpretazione che si voglia dare ai documenti), e doveva sostituire una struttura anteriore. Oltre al progetto, il B. fece un modello ligneo, e ideò molte innovazioni: una delle più rivoluzionarie fu quella di mutare l'orientamento della facciata in modo da dare alla chiesa una grande piazza di accesso prospiciente l'Arno; ma questa parte del progetto, che costituiva uno dei primi esempi di pianificazione urbana rinascimentale, non fu realizzata.

Le fondamenta furono iniziate nel 1436, e i lavori per la chiesa continuavano ancora quando, nel 1486, dopo varie discussioni, la facciata venne costruita con tre portali invece dei quattro previsti dal progetto brunelleschiano. Le colonne della navata centrale non furono erette che dopo la morte del B.; dopo il 1457 fu preposto alla costruzione Antonio Ciaccheri Manetti. Tutto l'edificio, a schema basilicale con l'estremità orientale a pianta centrale, è contornato da cappelle semicircolari che si aprono sulle navate laterali coperte da volte a vela, sul transetto e sul capocroce. Queste cappelle determinavano un'altra caratteristica insolita, in quanto i muri esterni della chiesa, seguendo la forma delle cappelle, dovevano presentare una successione di curve, ma dopo la morte del B. le sporgenze ricurve delle cappelle furono incorporate nel muro rettilineo attualmente visibile.

Una questione dibattuta dalla critica riguarda l'intenzione del B. per l'estremità occidentale della chiesa: secondo Manetti voleva che le campate delle navate laterali continuassero attraverso la parte iniziale della navata centrale come nel capocroce, ma ciò non fu realizzato. Anche la questione se intendesse continuare lungo la facciata le cappelle semicircolari non trova concordi i critici (Folnesics, 1915). Mentre a S. Lorenzo il B. aveva trattato il muro come una superficie piana su cui inserire sottili membrature rettilinee, a Santo Spirito ne avvertì tutto il peso, la gravità e la plasticità. Usò membrature aggettanti curvilinee per articolare le spesse mura. Malgrado ciò, qui è più ridotto l'apparato ornamentale (sono privi di decorazioni gli intradossi degli archi e i pulvini), e ciò richiama a una semplicità e a una essenzialità tipiche dello spirito classico. Luporini, che ha anche pubblicato i documenti dandone una nuova interpretazione, propone una analisi storica e formale di Santo Spirito che differisce radicalmente dalla lettura tradizionale (di cui l'enunciazione più incisiva è in Heydenreich). Nel 1968 (Quad. dell'Istituto di st. dell'arch., fasc. 85-90) sono state pubblicate nuove misurazioni dell'edificio e un sommario di nuove scoperte archeologiche: gli autori sostenevano che i risultati confortavano un'ardita ricostruzione dell'originale progetto brunelleschiano proposta dal Sanpaolesi (1962) e appoggiata dal Luporini. Secondo questa ipotesi, il B. intendeva coprire il transetto e la navata centrale di Santo Spirito con volte a botte innalzate direttamente sulla trabeazione sovrastante le arcate e sorrette dai muri delle cappelle laterali (ma vedi, per opinioni contrarie, Saalman, recensione al Luporini, in Art Bull., 1966).

Le quattro edicole semicircolari erette dal B. sopra le sacrestie di Santa Maria del Fiore si ricollegano, per la loro massa imponente, con Santa Maria degli Angeli e Santo Spirito. Sono composte da profonde nicchie semicircolari coronate a conchiglia e divise da muri spessi cui sono addossate coppie di colonne corinzie con trabeazioni aggettanti. Nella forma e nello spirito le edicole si accostano all'architettura classica più di ogni altra precedente costruzione fiorentina, preannunciando i forti profili e la massiccia grandiosità degli edifici dell'Alberti e del Bramante.

Il modello dell'edicola fu approvato dagli Operai del duomo nel 1439; esso fu modificato quasi immediatamente con la sostituzione delle semicolonne appaiate, tra le nicchie, alle lesene del progetto originale. La prima edicola fu compiuta nel 1445; le altre tre furono portate a termine fra il '60 e il '70.

È difficile valutare l'importanza del B. nel campo dell'architettura civile. Varie case o palazzi, pur mancando prove documentarie, gli sono stati attribuiti da biografi e studiosi. Manetti narra che egli veniva spesso consultato su progetti di importanti edifici "pubricj come di privatj" (p. 35) a Firenze e altrove, e "Che di luj di case private si sarebbe veduto maraviglie" (p. 99). Il biografo ammette comunque che di opere eseguite "non sia molto", e cita la casa Lapi, la torre di villa Petraia e una casa per la famiglia Barbadori incompiuta per problemi relativi all'area ed economici.

A cominciare dalle biografie cinquecentesche - Il Libro di Antonio Billi, l'Anonimo Magliabechiano e le Vite del Vasari -sono attribuiti al B. progetti di palazzi fiorentini: Bardi-Busini, Pitti e Medici.

Nel palazzo Medici il bugnato rustico, le finestre, la regolarità della pianta, il disegno del cortile, e il consapevole classicismo, sono tutti aspetti nuovi nell'architettura di palazzo a Firenze, non è però chiaro se siano invenzioni di Michelozzo, l'architetto del palazzo, o se riflettano il progetto brunelleschiano che Cosimo de' Medici avrebbe rifiutato perché "troppo grande e sontuosa". Il grande cortile regolare di palazzo Bardi-Busini è stato attribuito sia al B. sia a Michelozzo, e datato tra il 1415 circa e il 1440 circa. La questione della priorità del progetto del cortile di pal. Medici può essere affrontata solo dopo aver risolto questi problemi di datazione e attribuzione, e la priorità del bugnato rustico è a sua volta legata alla soluzione del problema di palazzo Pitti, uno dei più spinosi della storia dell'architettura di quel periodo. Dei documenti superstiti relativi a palazzo Pitti (i catasti di Luca Pitti) sono state date interpretazioni contrastanti: secondo una di queste il palazzo sarebbe stato costruito a partire dal 1458-66 (Busse, 1930, che inoltre pubblica estratti dei docc. stessi); da un'altra lettura si dedurrebbe che il palazzo non fu abitato prima del 1461, ma che la costruzione era iniziata poco dopo il 1440, prima della morte del Brunelleschi (Sanpaolesi, 1968).

Nulla rimane della struttura originaria della villa della famiglia Pitti a Rusciano che il Vasari dice costruita dal Brunelleschi. Tra le attribuzioni dubbie va menzionata anche la badia di Fiesole, l'ultimo importante progetto architettonico iniziato e finanziato da Cosimo de' Medici: benché l'edificio sia assegnato al B. dal Vasari, che afferma che egli ne fece un modello, esso non è menzionato dal Manetti e non gli è concordemente attribuito dalla critica (cfr. M. Procacci, Cosimo de' Medici e la costr. della Badia fiesolana, in Commentari, XIX [1968], 1-2, pp. 84-97).

I documenti (pubblicati da Fabriczy, 1892) comprovano che essa fu costruita nel 1456, dieci anni dopo la morte del B., e fu portata a termine nel 1466. Una grande volta a botte copre l'unica ampia navata sulla quale si aprono cappelle coperte da cupole; sono motivi insoliti nell'architettura quattrocentesca fiorentina mentre tutti gli altri particolari hanno carattere tipicamente brunelleschiano.

Sono stati inoltre attribuiti al B.: palazzo Quaratesi, il secondo chiostro di Santa Croce, una piccola cappella nella badia fiorentina e una loggia nella chiesa di S. Piero a Grado, presso Pisa.

Le molteplici attitudini del B. sono attestate inoltre da esempi di architettura militare, dei quali alcuni parzialmente conservati: per la ricostruzione delle fortificazioni di Pisa sopra la porta del Parlascio, consigliò l'aggiunta di due torri, una per ogni riva dell'Arno; la sua presenza a Pisa e il suo lavoro alle fortificazioni sono documentati negli anni 1426, 1435 e 1440; nel 1430 fu chiesto il suo parere per fortificazioni a Rencine, Staggia e Castellina, ma di queste opere non rimane alcuna traccia. Sempre nel 1430 il B. partecipò a un progetto con il quale si voleva trasformare Lucca in isola, costruendo una diga e deviando il fiume (Prager-Scaglia, 1970, p. 128 n. 10). Tra il 1436 e il 1439 fu consultato per fortificazioni a Vicopisano e fornì un modello "di terra e di legname" (Manetti, p. 119) per torri e per un muro. Nel 1438 era a Rimini dove costruì, probabilmente, una fortezza per Sigismondo Malatesta. Vasari riferisce che fece un modello per la fortezza del porto di Pesaro.

Morì nella città natale il 15 apr. 1446 e fu sepolto nella cattedrale di Santa Maria del Fiore la cui famosa cupola era stata creata dal suo genio.

La personalità umana del B. può essere ricostruita coi frammenti fornitici dalle fonti e dai documenti. Godette di grandissima considerazione non solo a Firenze ma anche in molte altre città italiane che lo chiamarono per consigli e progetti durante tutto l'arco della sua carriera. Fu persona irascibile, litigiosa, riservata: caratteristiche coerenti con l'atmosfera competitiva della Firenze del primo Quattrocento. Per tutta la vita rivaleggiò accanitamente con Ghiberti; litigò con Donatello (principalmente a causa delle decorazioni scultoree della Sacrestia vecchia); ebbe aspre dispute con Antonio Ciaccheri Manetti, Giovanni di Gherardo da Prato detto Aquettini e altri; purtuttavia ciò non gli impedì di collaborare con costoro, quando necessario. La sua inclinazione a scrivere sonetti era stimolata da queste dispute, e forse solo da esse. Non prese moglie, ma era palesemente affezionato al figlio adottivo, il Buggiano, che fu anche suo erede. La gamma degli interessi del B. è paragonabile a quella di Leonardo da Vinci. Oltre che alla architettura, alla scultura, alla prospettiva, e alla costruzione di macchine, il B. si dedicò a problemi più astratti: di tempo e di moto (Manetti narra che costruiva orologi), di statica, di idraulica e di matematica. Ebbe anche rapporti con Paolo Dal Pozzo Toscanelli, matematico e astronomo, ma è difficile determinare in quale misura Toscanelli influì sulle sue attitudini matematiche. Conosceva lo scultore e ingegnere senese Mariano Taccola, il quale riferisce un discorso del B. sui lavori di deviazione di fiumi (Prager-Scaglia, 1970). A differenza dell'Alberti, il B. non era propenso a codificare o a formulare le sue teorie per iscritto: anzi, preferiva non manifestarle e considerava imprudente comunicare le proprie invenzioni o idee. Di proposito non rifiniva i disegni e i modelli lignei per i suoi progetti, per non rivelarne i dettagli o altre innovazioni da lui ideate (questo suo tratto trova la più clamorosa conferma nel disaccordo tra B. e Ciaccheri Manetti a proposito del modello della lanterna della cupola).

La letteratura più recente si è discostata dall'antica definizione del B. come di un "padre del Rinascimento". Più acutamente egli è interpretato nel contesto di due mondi quello gotico in via di sparizione e l'incipiente Rinascimento: egli appare infatti ancora profondamente attaccato alle formule dell'architettura e della tecnica costruttiva gotiche, ma ha una concezione dell'arte e della scienza ispirata all'ideale umanistico. Nell'ordine e nella chiarezza dell'architettura brunelleschiana erano riflessi la umana ragione e i modelli classici, e per questo fu rispettato e ammirato da umanisti come Niccolò Niccoli, Ambrogio Traversari, e Leon Battista Alberti. Prototipi plausibili dei suoi edifici si riconoscono non soltanto nelle rovine dell'antica Roma, ma anche nell'architettura italiana del tardo Trecento. Supremo simbolo della sintesi dei due mondi brunelleschiani è l'armoniosa giustapposizione della cupola di Santa Maria del Fiore, dal profilo ancor gotico, e delle sue edicole di puro disegno rinascimentale.

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Ospedale degli Innocenti: G. Morozzi, Ricerche sull'aspetto originale dello Stedale degli Innocenti, in Commentari, XV (1964), pp. 186-201; M. C. Mendes-G. Dallai, Nuove indagini sullo Spedale,ibid., XVII (1966), pp. 83-106; C. Gilbert, The earliest guide to Florentine architecture,1423, in Mitt. d. Kunsthist. Inst. in Florenz, XIV (1969), pp. 36 s. e passim.

Cappella Barbadori: P. Fontana, Die Cappella Barbadori in S. Felicita zu Florenz, in Mitt. d. Kunsthist. Inst. in Florenz, III (1931), pp. 365-372; R. Niccoli, Sualcuni recenti saggi..., in Atti del I Congresso naz. di storia dell'architettura, 1936, Firenze 1938, pp. 139-146; U. Schlegel, La Capp. Barbadori..., in Riv. d'arte, XXXII (1957), pp. 77-106; H. Saalman, Further notes…, in The Burlington Magazine, C (1958), pp. 270-274.

Sacrestia Vecchia e San Lorenzo: P. Ginori-Conti, La basilica di San Lorenzo di Firenze e la famiglia Ginori, Firenze 1940; P. Sanpaolesi, B. e Donatello nella Sacrestia Vecchia di San Lorenzo, Pisa 1948 (cfr. recens. di E. Carli, in Emporium, CIX [1949], pp. 216-221); E. Luporini, B., forma e ragione..., cit., 1964, ad Ind.; I. Hyman, Fifteenth Century Florentine Studies: the Palazzo Medici and a ledger for the Church of San Lorenzo, tesi, New York Univ. 1968.

Palazzo di Parteguelfa: C. v. Fabriczy, IlPalazzo Nuovo..., in Boll. d. Assoc. per la difesa di Firenze antica, IV (1904), pp. 39-49; A. Chiappelli, La resurrezione d'un antico edificio e la gloria d'un artefice..., in Nuova Antologia, 1º marzo 1923, pp. 3-22 (ripubblicato in Arte del Rinascimento, Roma 1926, pp. 343-369); M. Salmi, Il palazzo della Parte guelfa a Firenze F. B., in Rinascimento, II (1951), pp. 3-11.

Santa Mariadegli Angeli: Tempio di Filippo degli Scolari e sua fortuna in Ungheria, a cura di G. Del Rosso, in L'Osserv. fiorentino sugli edifizi della sua patria, II, Firenze 1821, pp. 167 s.; G. Marchini, Un disegno di Giuliano da Sangallo riproducente l'alzato della rotonda degli Angeli, in Atti del I Congresso nazionale di storia dell'architettura, 1936, Firenze 1938, pp. 147-154; U. Procacci, Di un disegno del tempio degli Angioli..., in Rinascimento, IV (1953), pp. 227-231; P. Waddy, B.'s design for S. Maria degli Angeli, in Marsyas, XV (1971).

Cappella dei Pazzi: M. L. Thompson. A note on the Pazzi Chapel, in Marsyas, VI (1950-53), pp. 70 s.; A. Galderisi, La cappella..., in L'Architettura, I (1955), pp. 555-563; D. F. Nyberg, B.'s use of proportion in the Pazzi Chapel, in Marsyas, VII (1954-57), pp. 1-7; C. Bertelli, La Cappella... e Civita Castellana, in Paragone, VII (1956), 77, pp. 57-64; R. Linnenkamp, Die Pazzi Kapelle..., einunbekanntes proportionssystem B.s., in Deutsche Bauzeitung, 1961, pp. 277-279; G. Laschi-P. Roselli-P. A. Rossi, Indagini sulla cappella..., in Commentari, XIII (1962), pp. 24-41.

Santo Spirito: C. Botto, L'edificazione della chiesa di S. Spirito in Firenze, in Riv. d'arte, XIV (1932), pp. 24-53; XXI (1939), pp. 477-511; Id., La chiesa di S. Spirito in Firenze, in Atti del I Congresso nazionale di storia dell'architettura,1936, Firenze 1938, pp. 155-158; M. Salmi, Nota sulla chiesa…, ibid., pp. 159-164; R. Zeitler, Uber den Innenraum von Santo Spirito zu Florenz, in Idea and Form (Figura, n.s., I), Stockholm 1959, pp. 48-68; E. Luporini, B. Forma e ragione..., cit., 1964, pp. 230-239; L. Benevolo-S. Chieffi-G. Mezzetti, Indagine sul S. Spirito di B., in Quaderni dell'Istituto di storia dell'architettura, 1968, fasc. 85-90, pp. 1-52.

Palazzo Pitti: K. H. Busse, Der Pitti-Palast, in Jahrb. d. Preuss. Kunstsamml., LI (1930), pp. 110-132; F. Morandini, Pal. Pitti,la sua costruzione e i successivi ingrandimenti, in Commentari, XVI (1965), pp. 35-46; P. Sanpaolesi, Il Pal. Pitti e gli architetti fiorentini della discendenza brunelleschiana, in Festschr. U. Middeldorf, Berlin 1968, pp. 124-135.

Brunelleschitecnico: C. Guasti, Commissioni di Rinaldo degli Albizzi, III, Firenze 1873, pp. 470-515; O. Fischel, Eine florentiner Theateraufführung in der Renaissance, in Zeitschrift für bildende Kunst, LV (1920), pp. 11-20; F. D. Prager, B.'s inventions and the "renewal of Roman masonry work", cit., 1950; P. Sanpaolesi, Ipotesi sulle conoscenze matematiche... del B., cit., 1951; G. Scaglia, Drawings of B.s mechanical inventions for the construction of the Cupola, in Marsyas, X (1960-61), pp. 45-68; E. Garin, in Encicl. Univ. dell'Arte, cit., 1950, coll. 823-825; L. Reti, Tracce dei progetti perduti di F. B. nel Codice Atlantico di Leonardo da Vinci, Firenze 1965; G. Scaglia, Drawings of machines for the early Quattrocento in Italy, in Journ. of the Soc. of Architectural Historians, XXV (1966), 2, pp. 90-114; A. R. Blumenthal, A newly-identified drawing of B.'s stage machinery, in Marsyas, XIII (1966-67), pp. 20-31; P. Turchetti, in Encicl. dello Spett., II, Roma 1954, coll. 1197-1199; F. D. Prager, B.'s clock?, in Physis, X (1968), pp. 203-216; F. D. Prager-G. Scaglia, B. Studies of his technology and inventions, cit., 1970.

Brunelleschiscrittore: C. Guasti, Un disegno di Giovanni di Gherardo da Prato, in Belle Arti..., Firenze 1874, pp. 109-128; A. Pellizzari, F. B. scrittore, in Rassegna bibl. della letter. ital., XXVIII (1919), pp. 292-315; A. Chiappelli, Un epigramma sconosciuto de F. di ser Brunellesco contro Donatello, in Arte del Rinascimento, Roma 1926, pp. 191-201; A. Parronchi, "Un nuovo San Paulo", in Paragone, XII (1961), 143, pp. 47-58.

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