COMERIO, Filippo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 27 (1982)

COMERIO, Filippo (Carlo Filippo)

Renzo Mangili

Nacque a Locate (od Locate Varesino, prov. di Como) il 1° maggio 1747 da Agostino e da Maria Antonia Castiglioni. La sua iniziazione alla pittura avvenne a Bologna, dove, all'Accademia Clementina, gli fu guida V. Bigari e dove "cercò di imitare li Gandolfi" (Oretti). Presso l'Accademia bolognese ottenne, nel 1772, il premio relativo alla sezione figura disegnata del concorso Fiori (Bologna, Accad. di belle arti: Atti dell'Accademia Clementina, ms., 1772, 11, cc. 157 s.). Nel 1773 circa si trasferì a Roma per concludere la sua formazione. Qui, oltre ad aggiornarsi alla fonte dell'indirizzo neoclassico a spinta internazionale, recepì i più periferici fermenti neomanieristici e preromantici: studiò il Cinquecento più che le opere di scavo, guardò alla cerchia del Füssli.

Nel 1774 il C. trasse disegni dagli affreschi di Pietro da Cortona a villa Chigi a Castel Fusano, in vista della pubblicazione - poi, mancata - di un album di incisioni. Tali disegni sono rimasti nell'archivio della stessa villa (G. Briganti, Pietro da Cortona..., Firenze 1962, p. 180). Alla produzione iniziale dell'artista è ascrivibile la Testa di s. Gerolamo della Pinacoteca di Faenza.

Tra la fine del 1776 e l'inizio del '77, il C. lasciò la regione romana, probabilmente intenzionato al ritorno in Lombardia. Una tappa a Faenza gli fruttò la commissione di due grandi tele per la chiesa dell'ospedale dei Fatebenefratelli, tramite un padre Brambilla suo conterraneo. Si tratta della Nascita e della Morte di s. Giovanni di Dio, tutt'oggi in situ, entrambe approntate per il marzo 1777. La sosta nella città si prolungò, in realtà, per quasi un quinquennio. Le prime opere faentine ebbero un seguito immediato: nel maggio successivo, furono collocati i due ovali con I quattro santi dottori che si vedono in una cappella laterale del duomo. Frattanto, il C. si fidanzò con Lauretana Benini di Faenza, figlia di Paolo, primo pittore e direttore nella celebre fabbrica di maioliche del conte Ferniani. L'artista maiolicaro introdusse il giovane, che diventò presto suo genero, alla decorazione ceramica. Il C. fu a fianco del Benini anche quando questi, lasciata la Ferniani nel 1777, in società con T. Ragazzini tenne aperta, per la breve durata di un anno, una propria officina. Pure la volta della bottega annessa, andata distrutta, si tramanda fosse dipinta dal C. (Aggiunta alla cronaca di Faenza, I, p. 124).

In quest'ambito, il C., senza eludere le esigenze esornative della pratica specifica, dispiegò un discorso figurativo di intensità espressiva molto rara; costituì un sorprendente capitolo autonomo nella lineare tradizione locale. Sulle sue stoviglie da pompa, dipinte a "piccolo fuoco", spiritate macchiette - discendenti più o meno direttamente da Callot, Della Bella, o anche Piranesi - popolano paesi dati per accenni simbolici. Sono invenzioni tratteggiate semplicemente a punta di pennello in nero, porpora o ruggine sullo smalto latteo di fondo, oppure tratteggiate in nero di manganese e velate a macchia con un cupo, traslucido verde smeraldo - richiamante il più noto "vert de Savy" - prontamente detto a Faenza "verde Comerio". La dedizione del C. alla maiolica, seppure limitata alla breve stagione romagnola, è tale da collocarlo tra i più importanti ceramografi europei del tempo. Esemplari superstiti di questa produzione si conservano a Faenza (Museo internazionale delle ceramiche e Raccolta Ferniani), a Milano (Castello Sforzosco), e in poche sparse coll. private.La collaborazione con la manifattura ceramica non fu però così esclusiva da imporre al pittore l'interruzione del lavoro da cavalletto: al marzo 1778 risale la serie, pervenuta, dei quattro ovali con Storie di s. Giovanni di Dio, ancora destinata alla chiesa dei religiosi suoi primi committenti; al novembre dello stesso anno risale una Via Crucis per la chiesa dei serviti (le otto tele superstiti sono oggi al seminario); nel gennaio 1779 fu collocata una pala con S. Antonio abate nella chiesa della Ganga (conservata oggi in vescovado). Non mancano nemmeno testimonianze di una sua applicazione a compiti decisamente modesti, come la decorazione di carrozze. Il C. lasciò Faenza nell'aprile 1781 per stabilirsi nel paese natale.

Portò con sé la moglie e due figlie nate nel frattempo. A Locate ebbe poi altri figli, tra cui Agostino ed Ercole, entrambi destinati alla pittura, ma anche a una diversa sorte: mentre il primo raggiunse una discreta celebrità, il secondo morì a soli venticinque anni nel 1820, dopo aver fornito i primi saggi delle sue capacità, facendosi apprezzare specialmente nel genere paesistico (Restauramento... nella chiesa di S. Satiro, in Gazzetta di Milano, 17 ott. 1820, p. 1492).

Dovrebbe risalire agli inizi degli anni Ottanta una trasferta del C. a Rivalta, nel Piacentino, per decorazioni in villa Landi, prima prova nota della sua attività di figurista-decoratore murale, in seguito preponderante. Ma una volta in Lombardia, il C. frequentò soprattutto il Bergamasco, al servizio di fabbricerie di campagna o di nobili agrari nostalgici che, forse, leggevano bel suo colorismo vivace una perpetuazione della venezianità a loro ancora tanto congeniale. Non si hanno però molte date precise delle tappe professionali del C. a partire da questo momento, e non soccorre l'esame stilistico, data l'assoluta coerenza formale delle opere della maturità. La data 1797 apposta su un ex voto, conservato in S. Defendente a Romano Lombardo, vale a situare cronologicamente un cospicuo programma figurativo espletato nella stessa chiesa (tempere murali e su tela); nel periodo 1797-98, forse estensibile fino al 1804, lavorò saltuariamente nella parrocchiale di Arcene (murali e una grande tela con L'Eterno e s. Michele vittorioso sui demoni).

Ulteriori indicazioni cronologiche approssimative, coprenti l'intero ultimo decennio del Settecento e i primi tre-quattro anni dell'Ottocento, scaturiscono da considerazioni filologiche intorno ad altre opere sparse nel medesimo territorio: decorazioni in villa Fenili di Scano, in villa Locatelli Milesi di Villa d'Almè, in villa Mapelli Mozzi di Sottoriva (Ponte San Pietro); nei palazzi Pesenti, Patirai-Locatelli, Daina de' Valsecchi, Terzi di Sant'Agata, Gavazzeni (sei sovrapporte di ubicazione non originaria), Mandelli e Soldini, tutti di Bergamo città; figurazioni murali nella chiesa della Visitazione di Alzano Lombardo, in S. Anna ad Albino, nelle parrocchiali di Gorlago, Ranica e Castelfranco di Rogno; tele nelle parrocchiali di Villa d'Almè (Martirio dei ss. Faustino e Giovita)e di Torre Boldone (La Vergine coi ss. Martino e Margherita); medaglie e tela ex voto nella parrocchiale di Spirano; due telette monocrome con Scena di vaticinio e Vestizione di un eroe, già in una dimora bergamasca e oggi in collezione privata a Lecco; quattro tele sovrapporta allegoriche delle Stagioni, oggi in collezione privata; un paliotto dipinto e ricamato, oggi al Museo diocesano di Bergamo. Gran parte di queste opere è stata per lungo tempo concordemente attribuita a V. Bonomini.

Fu nel 1800 che il C., con la famiglia, si trasferì a Milano, dove il giovane Agostino poté frequentare l'Accademia di Brera. Nel 1803 il C. iniziò la decorazione murale della parrocchiale di Locate, lavoro che non portò a termine secondo il complesso progetto, a causa dei primi gravi segni di declino fisico (una sospensione avvenne già nel 1804). Dal 1808 i Comerio abitarono, a Milano, in strada del Pontaccio, 1992 (parrocchia di S. Marco); da qui partirono nel '13 per ignota destinazione; vi ritornarono nel 1816. Nel corso di tale anno, nella sua città, il C. restaurò gli affreschi di B. Roverio nelle volte del presbiterio e del coro di S. Marco. Nella fase progettuale di tale intervento, l'artista sperò invano di poter coprire parte dell'antico ciclo - precisamente la grande figurazione del catino absidale - con una sua creazione ispirata all'Apocalisse (Milano, Archivio parr. di S. Marco, scat. 30, fasc. 2/c). Tre anni dopo, Agostino, sposato con prole, cessava di viaggiare e cercava di esercitare stabilmente in Milano "per aver pace e poter assistere meglio i vecchi genitori" (C. Cantù, in Le glorie delle belle arti esposte nel palazzo di Brera..., Milano 1835, p. 124). Il C., verosimilmente, aveva da tempo ridotto al minimo la sua attività professionale. L'ultimo incarico di cui si ha notizia, risalente al 1820, risulta di scarsa entità: il restauro di quattro antichi medaglioni a fresco nei pennacchi della cupola di S. Satiro a Milano (Restauramento... nella chiesa di S. Satiro, cit., p. 1490). In tale occasione, peraltro, gli fu accanto Agostino, cui era stato commissionato un affresco importante per lo stesso tempio. Dopo aver assistito ai notevoli successi del figlio, il 2 sett. 1827 il C. morì nel suo domicilio di Milano. La vedova gli sopravvisse fino al 1837.

Partito dalle già citate estreme manifestazioni del barocco bolognese, il C. ne filtrò perspicacemente quelle potenzialità espressionistiche latenti che, associate all'incalzante dettato linguistico neoclassico, conducevano al preromanticismo e alle poetiche del "sublime", per via diversa dalla nordica ma in affinità di accezione. Scelta che lo isolò anche dai contemporanei italiani, altrimenti orientati. La sua figurazione, a volte rientrante nell'Arcadia, ma più spesso espressionisticamente caricata, sempre siglata da stilemi audacemente astrattizzanti, non trovò entusiastico accoglimento nella committenza lombarda e segnatamente milanese, educata su un barocchetto d'evasione e presto attratta dal neoclassicismo canonico, poco problematico, dell'Appiani. Alla scarsa fortuna critica coeva e postuma conseguì, fino a tempi recenti, ignoranza quasi assoluta dei dati biografici e di catalogo. Solo nella storiografia della ceramica faentina è dato trovare più antichi riscontri, ma ripetitivi e inevitabilmente settoriali. Data al 1978 la prima monografia, corredata di catalogo ragionato (Mangili). È dell'autunno 1979, nell'ambito delle importanti manifestazioni per l'arte del Settecento emiliano-romagnolo, l'apparizione di opere pittoriche e ceramografiche del C. alla mostra su "L'età neoclassica a Faenza" (sono attribuzioni erronee i due Paesaggi di fantasia, figg. 164-65 del catalogo). In clima di crescente interesse per l'epoca neoclassica, è prevedibile una riemersione vivace di questa figura, in realtà notevole.

Dell'attività grafica del C., oltre ai ricordati disegni dal Berrettini nell'archivio Chigi di Castel Fusano, si conosce a tutt'oggi un esiguo numero di prove: fogli con motivi decorativi destinati al Maggiolini per la traduzione in intarsio (Mostra... di G. Maggiolini, catal. a cura di G. Nicodemi, Milano 1938. fig. a p. 23) e un album con studi di vasi decorativi, presso il Castello Sforzesco di Milano; un foglio già a Londra, gall. Baskett & Day, con Figure a una balconata.

Fonti e Bibl.: Bologna, Bibl. comunale dell'Archiginnasio, ms. B 135: M. Oretti, Notizie istoriche de' pittori... App. alli altri tomi, I, p. 2; Faenza, Arch. del Capitolo della cattedrale, Aggiunta alla cronaca di Faenza del cav. Carlo Zanelli, ms., I, pp. 100, 106, 124, 148. 186 s., 193; Il, p. 131; G. Maironi da Ponte, Dizionario odeporico... della provincia bergamasca, I, Bergamo 1819, p. 28; III, ibid. 1820, pp. 19, 222; G. A. M[ezzanzanica], Genio e lavoro. Biografia... dei... Maggiolini, Milano, 1878, p. 70; C. Malagola, Mem. stor. sulle maioliche di Faenza, Bologna 1880, pp. 192 s., 196, 211-214, 303, 525 s.; A. Messeri-A. Calzi, Faenza nella storia e nell'arte, Faenza 1909, pp. 417, 422-24, 451, 520; L'officina di maioliche dei conti Ferniani, Faenza 1929, pp. 45 s., 75, 106 s., nota 14 a pp. 118 s., tavv. 24 s.; C. Castiglioni, Mem. di Locate Varesina, Milano 1956, pp. 38 s., 44, 110, 150, 153; S. Levy, Maioliche settecentesche..., Milano 1964, pp. 33 s., tav. XXXII; E. Golfieri, Il cenacolo della fabbrica Fermani, in Faenza, LIII (1967), pp. 59 s., tav. XLIV; Id., L'arte a Faenza dal neoclassicismo ai nostri giorni, Faenza 1975, I, pp. 26, 38 s., 114 5.; R. Mangili, Vincenzo Bonomini. Dipinti e disegni, Bergamo 1975, pp. 27-31 passim; Id., F. C. Dipinti, disegni, maioliche, Bergamo 1978 (con trascriz. delle fonti archiv. e bibl. prec.: rec. di E. Golfieri, in Faenza, LXV [1979], 1, pp. 14-16); G. C. Boiani-A. Scarlini, in L'età neoclassica a Faenza (catal.), Bologna 1979, pp. 86-90, 231-238, figg. 161-67, 375-88; A. M. Matteucci, in Soc. e cultura nella Piacenza del Settecento. Architettura decorazione scenografia (catal.), 2, Piacenza 1979, pp. 69 s. e figg. 89 s.; Id., Palazzi di Piacenza dal barocco al neoclassico, Torino 1979, pp. 57-61, 63-65; L. Pagnoni, Chiese parrocchiali bergamasche, Bergamo 1979, pp. 62, 123, 203, 291, 298, 302, 365, 376, 405; E. Golfieri, Fra arte e artigianato nella Faenza del primo Ottocento, Faenza 1980, p. 21; R. Mangili, Vincenzo Boromini. I disegni, i macabri, l'ambiente (catal.), Bergamo 1981, pp. 35 s., 210 s. e passim.

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