BIOGRAFICO, film

Enciclopedia del Cinema (2003)

Biografico, film

Renato Venturelli

Detto anche biopic (biographical picture), comprende quei film che rievocano la vita di personaggi realmente vissuti, rielaborandola in modo più o meno romanzesco. Il suo statuto di genere è sempre stato oggetto di discussione, in quanto il biopic si è prevalentemente sviluppato in combinazione con il musical, il western, il melodramma, il gangster film, il film sportivo, bellico, avventuroso, e ovviamente il film storico, a seconda dei personaggi affrontati e del taglio narrativo e iconografico adottato. Per questi motivi, la sua evoluzione attraverso gli anni si è intrecciata alle trasformazioni dei singoli generi con cui è entrato di volta in volta a contatto. Al di là di una più ovvia distinzione dipendente dai generi affrontati, è possibile comunque indicare tre tipi fondamentali di film biografici. Il primo è quello che rievoca sovrani, condottieri o grandi uomini politici, in un rapporto continuo con le convenzioni del film storico. Una seconda categoria riguarda scienziati, artisti e altri esponenti della società civile. In entrambi i casi, l'attrattiva spettacolare poggia solitamente sul fascino della ricostruzione d'epoca, su un racconto aneddotico e sull'interpretazione di grandi attori; il rischio, invece, risiede in un accademismo sempre in agguato, quando scenografie, costumi e recitazione prendono staticamente il sopravvento. Un terzo tipo riunisce infine quei film che rievocano la vita di personalità legate al mondo dello spettacolo, come musicisti, ballerini, cantanti, attori: in questi casi, la ricostruzione biografica comprende spesso brani dei loro spettacoli, rimandando, per es., al musical o alla formula particolare del 'cinema sul cinema'. La centralità di figure realmente vissute non è inoltre condizione sufficiente perché si parli di f. b.: nella sua forma più propria, il genere è infatti legato al significato complessivo della vita di un personaggio, o a una parte importante di essa, e al suo interno acquista spesso un particolare valore strutturale lo scorrere del tempo di un'esistenza.I primi f. b. risalgono al cinema muto, quando si presentava la necessità di attirare un pubblico più colto e borghese con soggetti prestigiosi. Tra i titoli più significativi degli anni Dieci si possono ricordare La reine Élisabeth o Élisabeth reine d'Angleterre (1912) di Henri Desfontaines e Louis Mercanton con Sarah Bernhardt, oppure il Giulio Cesare (1913) di Enrico Guazzoni, per passare poi a Madame Dubarry (1919) e Anna Boleyn (1920; Anna Bolena) di Ernst Lubitsch, fino al gigantismo del Napoléon di Abel Gance (1927), in cui culmina la rievocazione storica in chiave spettacolare e sperimentale al tempo stesso. Lo sviluppo determinante del genere si ebbe però durante gli anni Trenta, quando si dimostrò di poter combinare il favore del pubblico con una rilettura politicamente mirata della Storia. Negli Stati Uniti, uno dei primi grandi successi del cinema parlato fu Disraeli (1929) di Alfred E. Green, che rimase in prima visione a New York per sei mesi e costituì per il protagonista George Arliss il tipico starring vehicle di derivazione teatrale. Le biografie di personaggi famosi fornirono per tutto il decennio un diffuso pretesto divistico, frequentato da Greta Garbo (Mata Hari, 1931, di George Fitzmaurice; Queen Christina, 1933, La regina Cristina, di Rouben Mamoulian), Marlene Dietrich (The scarlet empress, 1934, L'imperatrice Caterina, di Josef von Sternberg), Katharine Hepburn (Mary of Scotland, 1936, Maria di Scozia, di John Ford), e utilizzato in tal senso da quasi tutti gli studios. La vera svolta si ebbe tuttavia nel 1936, con il successo di The story of Louis Pasteur (La vita del dottor Pasteur), diretto dal regista che più di ogni altro venne identificato con il genere: William Dieterle, al quale si devono anche The life of Emile Zola (1937; Emilio Zola, Oscar per il miglior film) o Juarez (1939; Il conquistatore del Messico), tutti interpretati da Paul Muni. I film di Dieterle furono in particolare apprezzati da B. Brecht, che elogiava lo spirito progressista e l'innovazione drammaturgica di questo ciclo di 'grandi figure borghesi'. Secondo Rick Altman (Film/Genre, 1999, pp. 139-40) fu proprio sul finire del decennio, in seguito a questi successi, che il f. b. venne riconosciuto come genere a sé stante, e non più come semplice variante all'interno di altri generi (biographical drama, biographical musical ecc.). In molti casi, a essere celebrata da Hollywood era la storia americana (Young Mr. Lincoln, 1939, Alba di gloria, di John Ford; Wilson, 1944, di Henry King), talvolta mescolata al genere western (Jesse James, 1939, Jess il bandito, di H. King; Buffalo Bill, 1944, di William A. Wellman), dove più evidente era il processo mitologico sviluppato a partire dai presupposti storici. Ma altrettanto numerosi erano i biopic hollywoodiani d'ambiente europeo, magari imperniati su temi tipici dell'epoca rooseveltiana, come la lotta contro pregiudizi e prevaricazioni sociali in nome del progresso, della libertà e della giustizia, lotta che il protagonista doveva sostenere sfidando le resistenze della società circostante. Uno schema ricorrente del genere consiste del resto nel mostrare le difficoltà affrontate dal protagonista nella sua vita: alcool, droga, handicap, malattia, insuccesso, sfortuna, e così via.

Nel corso degli anni Trenta, tuttavia, altre cinematografie si dimostrarono attente alle potenzialità spettacolari, commerciali e politiche del film biografico. In Inghilterra, il regista e produttore Alexander Korda, strettamente legato a W. Churchill, realizzò il costoso The private life of Henry VIII (1933; Le sei mogli di Enrico VIII) che ebbe uno straordinario successo di pubblico e di critica, e che fu seguito da Rembrandt (1936; L'arte e gli amori di Rembrandt) e da altri titoli analoghi. In Italia, si vide nel f. b. un'ottima occasione per celebrare le glorie nazionali da esportazione, puntando sui grandi compositori e sul cinema operistico: in particolare, Carmine Gallone mise a punto la formula in Casta Diva (1935), su V. Bellini, e la fece poi culminare nel Giuseppe Verdi del 1938, presentato alla Mostra del cinema di Venezia dello stesso anno per celebrare un genio italiano, simbolo del Risorgimento e delle battaglie patriottiche, capace di unire l'ambiente colto e quello popolare. Altri film si ispirarono a noti personaggi storici per esaltare l'identità nazionale nelle sue matrici cattoliche (Don Bosco, 1935, di Goffredo Alessandrini), in quelle risorgimentali (Pietro Micca, 1938, di Aldo Vergano), nella romanità riletta secondo un'ottica fascista (Scipione l'Africano, 1937, di Gallone). In chiave propagandistica, peraltro, furono concepiti anche in Unione Sovietica capolavori come Ivan Groznyj (la cui prima parte fu presentata al pubblico nel 1945, la seconda, terminata nel 1946, uscì solo nel 1958; Ivan il terribile e La congiura dei boiardi) di Sergej M. Eizenštejn, dove la figura dello zar russo viene rievocata in rapporto a quella di Stalin.

Una volta acquistata una pur precaria identità transgenerica, il f. b. si sviluppò nel dopoguerra attraverso una serie di continue combinazioni. In Italia, proseguì per qualche tempo il filone delle biografie musicali, e per il suo Giuseppe Verdi (1953) Raffaello Matarazzo si rifece agli schemi del melodramma, raccontando la vita del compositore sulla falsariga della Traviata. Negli Stati Uniti, il musical biografico conobbe una straordinaria fioritura nel corso degli anni Quaranta e Cinquanta, con titoli come Yankee doodle dandy (1942; Ribalta di gloria, su Gcorge M. Cohan) di Michael Curtiz, The Jolson story (1946; Al Jolson) di Alfred E. Green, Night and day (1946; Notte e dì, su Cole Porter) di Curtiz, The Glenn Miller story (1953; La storia di Glenn Miller) di Anthony Mann. Le biografie illustri di Toulouse-Lautrec (Moulin Rouge, 1952, di John Huston) o di Vincent van Gogh (Lust for life, 1956, Brama di vivere, di Vincente Minnelli) ricorrono allo splendore delle citazioni pittoriche per risolvere le particolarità drammaturgiche in termini schiettamente cinematografici e non decorativi. L'indebolirsi della censura portò alla produzione di gangster film biografici, ambiguamente giocati su personaggi di forte presa popolare, ma tutt'altro che esemplari, con titoli come Baby face Nelson (1957; Faccia d'angelo) di Don Siegel, Al Capone (1959) di Richard Wilson o The rise and fall of Legs Diamond (1960; Jack Diamond gangster) di Budd Boetticher. Alle soglie degli anni Sessanta, del resto, due tendenze si fecero largo all'interno del genere. Una riguardava la scelta di argomenti sempre più problematici, con personaggi controversi o con episodi di più risentita denuncia sociale, come nei film di Francesco Rosi, da Salvatore Giuliano (1962) all'originale impianto semidocumentaristico di Il caso Mattei (1972); in quegli anni, inoltre, diventarono più frequenti i film prestigiosi ispirati alla biografia di personaggi in sé oscuri, come nel caso di Birdman of Alcatraz (1962; L'uomo di Alcatraz) di John Frankenheimer, esempio di f. b. carcerario. Nello stesso periodo, la progressiva ricerca di superproduzioni fastose, in grado di combattere la concorrenza televisiva, portò alla realizzazione di kolossal di qualità come Lawrence of Arabia (1962; Lawrence d'Arabia) di David Lean, e più in generale alla tendenza inglese di raccontare la Storia attraverso personaggi famosi, unendo lo sfarzo scenografico al prestigio teatrale di grandi interpreti. Il continuo interagire con gli altri generi ha indirizzato del resto il f. b. verso gli sviluppi più diversi. Si va così dal serial da rotocalchi anni Cinquanta costituito dai film austriaci su Sissi (Sissi, die Deutschweister, 1955, La principessa Sissi, di Ernst Marischka ecc.), alla combinazione con il film sportivo (Rocky Graziano in Somebody up there likes me, 1956, Lassù qualcuno mi ama, di Robert Wise) o con il cinema bellico (Patton, 1970, Patton, generale d'acciaio, di Franklin J. Schaffner), oltre al filone a parte dell'agiografia, che ricade più propriamente nel cinema religioso ed ebbe un particolare sviluppo fra gli anni Cinquanta e Sessanta. Negli ultimi decenni del Novecento è proseguita un'importante produzione che va dal versante sportivo (Raging bull, 1980, Toro scatenato, di Martin Scorsese) a quello politico (Malcolm X, 1992, di Spike Lee), mentre lo spettacolo nello spettacolo offerto dalla lunga tradizione di biopic musicali o dedicati a vari performers (Lenny, 1974, di Bob Fosse; la serie dedicata ai cantanti rock e pop: Elvis, 1979, Elvis, il re del rock, di John Carpenter; La bamba, 1987, di Luis Valdez, su R. Valens; Great balls of fire!, 1989, Great balls of fire! ‒ Vampate di fuoco, di Jim McBride, su J. Lee Lewis) si è arricchito di un numero crescente di film su personaggi del cinema: come Frances (1982, sull'attrice Frances Farmer) di Graeme Clifford, Chaplin (1992; Charlot) di Richard Attenborough o Ed Wood (1994) di Tim Burton. Al di là delle varie combinazioni tra generi, va però ricordato come numerosi registi abbiano dimostrato motivi personali d'interesse 'autoriale': l'intenzione didattica di Roberto Rossellini (La prise du pouvoir par Louis XIV, 1966, La presa di potere da parte di Luigi XIV, e l'intensa attività televisiva), la provocatoria riflessione sull'arte di Ken Russell, anch'egli molto attivo nelle biografie televisive (The music lovers, 1971, L'altra faccia dell'amore; Mahler, 1974, La perdizione ecc.), l'attrazione di Werner Herzog per personaggi titanici, il confronto con la magniloquenza cinematografica da parte di Bernardo Bertolucci (The last emperor, 1987, L'ultimo imperatore), la rilettura polemica della Storia operata da Oliver Stone (Nixon, 1995, Gli intrighi del potere ‒ Nixon), l'attenzione di Milos Forman verso figure che smascherano dall'interno le contraddizioni della società americana (The people vs. Larry Flint, 1996, Larry Flint ‒ Oltre lo scandalo; Man on the Moon, 1999). In questi casi, gli schemi convenzionali del f. b. sono stati reinterpretati con grande originalità, come pure accade nel Ludwig (1972) di Luchino Visconti o nel Molière (1978) di Ariane Mnouchkine. Non va d'altronde dimenticato come lo stesso Citizen Kane (1941; Quarto potere) di Orson Welles possa in fondo essere letto come una parodia del biopic, realizzata poi nei termini esplicitamente comici del finto film-inchiesta da Woody Allen in Zelig (1983). Nell'insieme, i f. b. continuano tuttavia a muoversi tra due tendenze principali: l'ambizione, o la pretesa, didattica, che talvolta sfocia in un'ibridazione con forme documentaristiche; e la propensione a rielaborare in termini mitici il personaggio di cui si parla, risolvendo la complessità storica in una galleria aneddotica. Nonostante le reciproche influenze con gli sceneggiati televisivi, il genere è molto frequentato da produzioni ambiziosamente spettacolari, che cercano di combinare l'enfasi scenografica con temi edificanti e prestigiose prove d'attore. Non a caso, rimane particolarmente ricca la lista dei film biografici premiati, in alcuni casi al di là del proprio valore: basti ricordare, in anni recenti, la vittoria di Michael Collins (1996) di Neil Jordan alla Mostra del cinema di Venezia, i César francesi attribuiti al rigoroso Thérèse (1986) di Alain Cavalier o al più lezioso Camille Claudel (1988) di Bruno Nuytten, gli Oscar vinti da Gandhi (1982) di Attenborough, Amadeus (1984) di Forman, Shine (1996) di Scott Hicks, Shakespeare in love (1998) di John Madden.

Bibliografia

M. Argentieri, Il film biografico, Roma 1984.

G.F. Custen, Bio/pics: how Hollywood constructed public history, New Brunswick (NJ) 1992.

E. Karsten, From real life to reel life: a filmography of biographical films, Metuchen (NJ) 1993.

A. Pesce, Biopic. Una vita, un film, Roma 1993.

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