SENTIMENTALE, FILM

Enciclopedia del Cinema (2004)

Sentimentale, film

Massimo Marchelli

Sentimentale anche sullo schermo è il termine consueto per indicare ciò che è relativo ai sentimenti, in particolare di natura amorosa (il romance inglese), come certificano repertori e schedature di film in ambito giornalistico, e senza particolari riferimenti all'ascendenza letteraria del termine, originariamente inglese (sentimental comedy), sorto in clima preromantico in sintonia con la nuova sensiblerie, e introdotto in italiano con la traduzione fatta da U. Foscolo (1813) di A sentimental journey through France and Italy di L. Sterne. Alla tipologia del f. s. sarebbe dunque riconducibile una grandissima parte della produzione cinematografica se ciò che la distingue da quella melodrammatica non ne delimitasse i confini. Rispetto al più nobile macrogenere, riconosciuto in ambito colto, e di cui costituisce lo sviluppo di particolari sfumature e l'accentuazione di certi temi, il genere sentimentale non ha infatti la stessa eccitata tensione nello stile, non risente in maniera determinante di ciò che è concatenato alla società e al destino. È quindi più sfumato nei toni, e solo nelle sue forme più alte coincide con il melodramma, nonché con la commedia, quando questa però non esalta lo scontro tra i sessi come struttura narrativa portante. In breve, è più identificabile in base ai contenuti ed è meno trasversale rispetto agli altri generi (anche se possono esserci elementi sentimentali in film appartenenti ad altri generi). Gli si addicono semmai gli estremismi del lacrimoso e del patetico, ma non i risvolti morali della settecentesca sentimental comedy.

Le prime espressioni del genere non sono così antiche come quelle melodrammatiche: ai suoi esordi, il cinema, linguisticamente acerbo, aveva infatti bisogno di soggetti e strutture forti, da esasperare con i gesti e le espressioni del muto. Tuttavia già prima dell'avvento del sonoro alcuni autori affrontarono le vicende con sfumature apertamente sentimentali. Quasi tutta l'opera di uno dei primi maestri del melodramma, Frank Borzage, è sentimentale, mentre lo è di meno l'asciuttezza di Henry King e di King Vidor. Più degli autori è però significativo l'imporsi delle interpreti, donde la denominazione women's pictures riferita appunto alle eroine sullo schermo come alle spettatrici in platea. Greta Garbo è naturalmente la figura di primo piano in tal senso, anche se la sua altezza interpretativa la fa assurgere piuttosto al melodramma puro, così come la neppur troppo latente ironia di Marlene Dietrich avvicina quest'ultima alla commedia, a conferma di una sorta di equidistanza del f. s. tra il melodramma e, appunto, la commedia. In questo senso va ricordata la figura di Charlie Chaplin, il cui personaggio è stato un sentimentale per eccellenza.Il tono in questione si affermò diffusamente con l'avvento del sonoro: l'arricchimento tecnico-espressivo favorì infatti l'impiego di nuove sfumature, unitamente peraltro alla frammentazione dell'unità espressiva conseguita nel muto; il terreno ideale, insomma, per l'esplicitazione dei sentimenti, come nel caso dello struggente One way passage (1932; Amanti senza domani) di Tay Garnett, dove nasce l'amore, tanto intenso quanto impossibile, tra una malata terminale e un condannato a morte per omicidio, ignari entrambi dei reciproci destini. Tra i maestri è da citare Ernst Lubitsch, le cui supreme commedie in almeno due casi sono percorse da un'intensa emozione sentimentale: Angel (1937; Angelo) e The shop around the corner (1940; Scrivimi fermo posta). Ma è Leo McCarey ad attraversare completamente l'universo sentimentale, anch'egli ai confini della commedia. Il suo Make way for tomorrow (1937; Cupo tramonto) è originalissimo nell'affrontare la vecchiaia di una coppia di coniugi costretti da problemi economici a separarsi, entrando lui in un ospizio, lei in casa di una figlia. Sono poi Going my way (1944; La mia via) e il successivo The bells of St. Mary's (1945; Le campane di Santa Maria) a rifinire il f. s. secondo McCarey, con il prete interpretato da Bing Crosby che 'seduce' in un caso un vecchio e burbero parroco (Barry Fitzgerald) e nell'altro una suora conservatrice (Ingrid Bergman). La vicenda di un amore a lungo represso in Love affair (1939; Un grande amore) e nel remake, realizzato anch'esso da McCarey, An affair to remember (1957; Un amore splendido), resta ai vertici del genere, nonché di tutto il melodramma, tanto da essere stata ripresa ‒ ma con esiti assai inferiori ‒ altre due volte, più liberamente nel 1993 in Sleepless in Seattle (Insonnia d'amore) di Nora Ephron e quasi pedantemente l'anno successivo in Love affair (Love affair ‒ Un grande amore) di Glenn Gordon Caron.

Se si possono individuare ingredienti sentimentali in Gone with the wind (1939; Via col vento) di Victor Fleming, in un altro film mitico dell'epoca, Casablanca (1942) di Michael Curtiz, il sentimento vissuto da Rick e Ilse (rispettivamente Humphrey Bogart e Ingrid Bergman) ha lasciato una traccia indelebile nell'immaginario dei cinefili, non meno peraltro di quello vissuto dal protagonista per il suo irrinunciabile idealismo. La barocca opulenza di genere del film di Curtiz è tuttavia scavalcata in direzione sentimentale dalla compostezza di Brief encounter (1945; Breve incontro) di David Lean, dall'unica piena digressione che Alfred Hitchcock si è concesso dalla sua geometria razionale in Notorious (1946; Notorious ‒ L'amante perduta), dalla letterarietà fattasi cinema in Le diable au corps (1947; Il diavolo in corpo) di Claude Autant-Lara e in Letter from an unknown woman (1948; Lettera da una sconosciuta) di Max Ophuls.

All'inizio degli anni Cinquanta la grande stagione creativa di Raffaello Matarazzo rese il sentimento protagonista assoluto dei suoi film (nonché di quelli dei numerosi epigoni), ma l'impianto drammaturgico e il rigore stilistico fecero assurgere i film interpretati dalla coppia Amedeo Nazzari-Yvonne Sanson al più puro melodramma. Anche il contemporaneo maestro americano del melodramma, Douglas Sirk, ricorse a esasperazioni sentimentali, culminanti nel funerale che chiude il suo ultimo film hollywoodiano (Imitation of life, 1959, Lo specchio della vita) quasi a contraddire la lucidità critica propria del suo cinema, ereditata in seguito dall''allievo' Rainer Werner Fassbinder, che fu sempre melodrammatico e mai autenticamente sentimentale.Nel dopoguerra lo stesso Neorealismo non rinunciò ad affondi di forte presa emotiva, presenti anche in una cinematografia come quella giapponese nel pur asciutto stile del cantore della quotidianità, Ozu Yasujirō. Così come l'esotismo talvolta incorniciò le trasferte hollywoodiane: Love is a many splendored thing (1955; L'amore è una cosa meravigliosa) di H. King. Fu però Vincente Minnelli a dar forma a un universo sentimentale articolato persino nei musical, oltreché nei melodrammi, con la punta di diamante costituita da Tea and sympathy (1956; Tè e simpatia) sul tema dell'innamoramento di un giovane per una donna matura, tema poi ripreso in chiave di commedia da The graduate (1967; Il laureato) di Mike Nichols. I giovani sono stati protagonisti anche di alcuni film significativi di Delmer Daves ‒ A summer place (1959; Scandalo al sole), Parrish (1961; Vento caldo) ‒ cineasta 'storico' del genere, in quanto sceneggiatore del citato Love affair, e lo sono stati anche di una vicenda acclamata alla fine della decade, Love story (1970) di Arthur Hiller, significativa anche per aver contrastato sincronicamente il disincanto sessantottesco, a sua volta stemperato dal pur anteriore Un homme et une femme (1966; Un uomo, una donna) di Claude Lelouch. Nel cinema classico vanno ancora citati il ritorno al tono leggero del veterano William Wyler con Roman holiday (1953; Vacanze romane), primo di un filone di commedie romantiche ambientate nella città eterna; l'indugio di Blake Edwards con Breakfast at Tiffany's (1961; Colazione da Tiffany), dopo gli esordi timidamente comici e prima del perfezionamento farsesco; le digressioni che Billy Wilder si è concesso, dopo la stagione dei drammi e prima di quella delle commedie, nel tono fiabesco di Sabrina (1954) e poi ancora in quello malinconico di Love in the afternoon (1957; Arianna): tutti film interpretati da Audrey Hepburn, eroina sentimentale dai tratti moderni. E persino John Ford ha caratterizzato un suo personale, umanissimo sentimentalismo con l'uscita di scena di un anziano politico interpretato da Spencer Tracy in The last hurrah (1958; L'ultimo urrà).

Nel cinema moderno argomenti e toni sentimentali sono sopravvissuti, ma con minore rilevanza rispetto al melodramma. Se un autore per eccellenza come François Truffaut ha instaurato un dialogo fecondo tra lucidità critica e adesione sentimentale appunto ai suoi soggetti, ai suoi personaggi, la maggioranza dei cineasti ha invece fatto convivere, in maniera più o meno serena, straniamento, ironia e partecipazione passionale accentuata talvolta dai risvolti erotici concessi dai tempi. Il caso forse più riuscito di questa convivenza è quello di Steven Spielberg, mentre altri autori hanno prodotto casi isolati, da quelli confinanti con la commedia ‒ come When Harry met Sally... (1989; Harry, ti presento Sally…) di Rob Reiner, Pretty woman (1990; Pretty woman ‒ Una ragazza deliziosa) di Garry Marshall e You've got mail (1998; C'è post@ per te) di N. Ephron ‒ a quelli nobili sfocianti nel melodramma, come The age of innocence (1993; L'età dell'innocenza) di Martin Scorsese e soprattutto The bridges of Madison County (1995; I ponti di Madison County) diretto da Clint Eastwood.

L'assenza di uno stile in qualche modo forte e identificabile ha tuttavia impedito al f. s. di conseguire una precisa autonomia di genere (ma senza che ciò giustifichi la sufficienza critica espressa nei suoi confronti, motivata dalla linearità della comunicazione sentimentale e dalla sostanziale mancanza di riferimenti culturali alla sua base); il sentimentale è rimasto di fatto quindi solo una componente, seppur irrinunciabile, del sistema narrativo cinematografico.

Bibliografia

H. Agel, Romance américaine, Paris 1963.

A. Kyrou, Le film d'amour, in A. Kyrou, Amour-érotisme & cinéma, Paris 1966.

M. Magrì, Il cinema e l'amore: i temi, e P. Bianchi, Il cinema e l'amore: i personaggi, in Storia del cinema, 1° vol., Milano 1966, pp. 197-229.

E. Martini, È il rombo del cannone o il mio cuore che batte?, in "Cineforum", 1982, 216, pp. 29-36.

Home is where the heart is: studies in melodrama and the woman's film, ed. Ch. Gledhill, London 1987.

R. Campari, Il discorso amoroso: melodramma e commedia nella Hollywood degli anni d'oro, Roma 1990.

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