Filosofia

Dizionario di filosofia (2009)

filosofia


Dal gr. φιλοσοφία «desiderio di sapere». Il termine indica un ambito disciplinare assai variegato e uno sviluppo storico tutt’altro che lineare. La definizione della f. occidentale è parte integrante della sua problematica, ed è riferita di epoca in epoca a sfere più o meno ampie della cultura in una varietà di significati.

Le origini greche della filosofia

Non è semplice convenzione attribuire le origini della f., con Platone e Aristotele, all’ingenua «meraviglia» che l’Homo sapiens provò dinanzi ai fenomeni della natura: la motivazione viene dalla tradizione dossografica che attribuì ai presocratici gli esordi della f. greca. Ma Talete, Anassimene e Anassimandro di Mileto, Eraclito di Efeso, vissuti nelle città-Stato della Ionia, furono definiti «fisiologi» piuttosto che filosofi, perché identificarono l’ἀρχὴ, o principio delle cose, con un elemento fisico – l’acqua, l’aria, il fuoco – o con lo spazio infinito. Secondo la genealogia aristotelica, la «scuola italica» di Melisso e Parmenide di Elea intravide invece nel principio astratto dell’Uno le radici metafisiche della natura; mentre Empedocle di Agrigento assegnò l’origine del mondo fisico e i suoi cicli alla lotta tra bene e male. Nei frammenti dei loro poemi cosmogonici Sulla natura, come in quelli di Esiodo, la riflessione razionale reca l’impronta dei miti di origine orientale. Anche la sapienza di Pitagora appare ambivalente: la tradizione attribuì all’enigmatico maestro della scuola italica, vissuto nel 5° sec. a.C., una duplice personalità di «primo dei filosofi» ma anche di mago e sciamano, iniziato alla sapienza egizia, depositario di un sapere occulto adombrato in massime prudenziali e protetto da severe regole di segretezza. La ricerca moderna attribuisce invece a Filolao le intuizioni aritmetiche, geometriche e astronomiche della scuola. Nella polis aristocratica di Crotone la consorteria politica dei pitagorici ebbe un ruolo dominante, ma fu dispersa dalle fazioni avverse. In un dialogo riferito da Cicerone, Pitagora paragona la vita umana a una fiera dove alcuni gareggiano, altri comprano e vendono, altri osservano e riflettono: sono le «rare persone che trascurano tutto il resto, studiano attentamente la natura e si chiamano amanti della sapienza, cioè filosofi». Platone derivò dai pitagorici il primato della matematica, la dottrina della metempsicosi, la cosmologia del Timeo. Aristotele discusse le dottrine di Filolao e dei «cosiddetti pitagorici» circa la natura del numero e le cause delle cose, ma criticò le loro dottrine cosmologiche circa il fuoco centrale e sulla musica astrale. I Detti aurei e una vasta letteratura apocrifa assicurarono al mito della prisca sapientia italica una vita autonoma, che si diffuse in varie forme nel mondo ellenistico, nella tradizione medievale, nella cultura del Rinascimento e riaffiorò nelle logge massoniche del Settecento.

Da Socrate ad Aristotele

Socrate dette un’impronta nuova alla f., combattendo sul loro stesso terreno i sofisti mercenari che tra i secc. 4° e 3° affollavano le città della Grecia e della Magna Grecia. Con il suo insegnamento orale egli «accantonò l’indagine sulla natura, si dedicò all’etica, a ricercare l’universale e le definizioni». L’oracolo di Delfi lo definì «il più sapiente degli uomini […] perché riconobbe che la sua sapienza non aveva valore». La ricerca socratica verte sulla distinzione tra falsa e vera f., approfondisce la distinzione etica tra bene e male, mira a definire il concetto universale e culmina nell’ascesi, intesa come liberazione dell’anima dalla prigione del corpo e dalla vita stessa. Essa pro- seguì, oltre Socrate, nei dialoghi in cui Platone sviluppò la propria concezione della f. come «amore della sapienza», simboleggiata nel mito di Eros, figlio della Povertà e dell’Ingegno, «filosofo, perché sta in mezzo tra il sapiente e l’ignorante». Per il Platone maturo, il metodo dialogico-dialettico eleva la mente alla contemplazione dei puri archetipi: la f., conoscenza razionale di idee, è adombrata nella simbologia dei miti. Il complesso itinerario speculativo della Repubblica riflette le vicende del potere in Atene e nelle poleis italiche, e si conclude in un’utopia politica illuminata dalla f.: ai mali del genere umano non vi sarà rimedio, «a meno che i filosofi non regnino negli Stati, o i re non facciano genuina f.». Nei frammenti dei primi scritti di Aristotele – il Protrepticus e il dialogo Sulla filosofia – si definisce f. l’insegnamento dei presocratici, la cui storia critica è tracciata nel primo libro della Metafisica. Altrove Aristotele formulò varie definizioni della f. e della sua funzione nel sistema enciclopedico delle conoscenze. La sua netta distinzione tra teoria e prassi, scienza e tecnica, implica che filosofare significa usare in ogni campo un rigoroso criterio razionale di indagine su singoli problemi: per es., nella scienza politica, il problema della giustizia distributiva o la natura delle varie costituzioni (Politica, 1279 b 12). L’esame razionale del filosofo giudica le questioni poste dalla pratica di governo; suo compito, secondo Aristotele, non è agire personalmente in politica, ma fungere da consigliere del principe, come egli stesso aveva tentato di fare alla corte macedone da tutore del giovane Alessandro, e più tardi a Siracusa. Più in generale spetta al filosofo lo studio dei principi propri di ciascuna scienza e l’articolazione delle varie scienze pratico-empiriche: psicologia, politica, etica, poetica, fisica, storia naturale. Il primato della f. fu fissato da questa sistemazione gerarchica, che premette al sistema del sapere l’Organon della logica sillogistica e una metafisica deduttiva («f. prima») senza escludere l’esperienza e l’induzione. Il metodo aristotelico consiste nella discussione critica delle opinioni dei predecessori; nell’uso di argomenti dialettici per risolvere le questioni; nella descrizione dettagliata dei fatti e nella ricerca delle cause; nel ricorso alle prove; nel fissare la nozione di essere in quanto essere, il concetto di sostanza, le distinzioni tra forma e materia, potenza e atto, tra le quattro cause. La fisica è «f. seconda» perché studia i moti terrestri e celesti, la generazione e corruzione nel mondo sublunare, la classificazione delle specie viventi. La psicologia definisce l’uomo «sinolo», un composto di materia e forma, in parte animale e in parte divino: psicologia, etica e teologia convergono nel distinguere la vita pratica dalla vita contemplativa, che è la forma più alta di filosofia: «se la ragione è divina nell’uomo, la vita secondo ragione è divina rispetto alla vita umana».

Dall’ellenismo alla tarda antichità

L’alternativa aristotelica tra vita contemplativa e vita attiva fu discussa nel mondo antico da peripatetici come Teofrasto e Stratone, mentre nella scuola di Atene iniziarono i tentativi ricorrenti di conciliare la f. di Aristotele con quella di Platone. Nelle scuole ellenistiche fu formulato un canone eclettico di definizioni della f., rispettivamente come conoscenza dell’essere in quanto essere; conoscenza delle cose umane e divine; aspirazione dell’uomo a rendersi simile a Dio; preparazione alla morte; «arte delle arti e scienza delle scienze», o più semplicemente amore della sapienza. La distinzione platonica tra chi ama la verità e il saggio che ne fruisce, l’alternativa tra la f. come scelta di vita o come mero «discorso sulla f.» (Diogene Laerzio, Vite, VII, 41), diventarono luoghi comuni. Tra l’età ellenistica e la tarda antichità si possono individuare tre atteggiamenti nei confronti della riflessione sulla f.: una tendenza etico-pratica, ben definita da Cicerone: «tutto ciò che la filosofia insegna si riferisce alla vita»; un’attività prevalentemente esegetica, volta all’esposizione e al commento dei testi; l’aspirazione mistica alla philosophia perennis che culminò nel 6° sec. d.C. nei sistemi neoplatonico-neopitagorici di Sinesio, Proclo, Giamblico, Plotino. Una concezione della f. opposta e alternativa alla cultura dell’Accademia e del Peripato, delineata fin dal 4° sec. dagli atomisti Leucippo di Mileto e Democrito di Abdera, fu sviluppata ad Atene e a Roma dai loro seguaci, Epicuro e Lucrezio. Se il modello platonico-aristotelico della natura era zoomorfo e a sfondo organicista, quello degli atomisti è meccanico, materialistico, privo di finalità e di intenzionalità; le sue ‘cause’ si riducono al peso, al numero, alla misura, cioè all’ipotesi astratta di minutissimi corpuscoli indivisibili, tridimensionali, di varia forma, e alle leggi deterministiche che intervengono a regolare il moto degli «atomi» in caduta libera nello spazio e i loro urti fortuiti. Di qui le dottrine gnoseologiche, etiche, antropologiche degli atomisti: la negazione della metafisica, la riduzione degli dei a pallide larve disperse negli intermundia, l’incitamento a ignorare il terrore dei fenomeni naturali e la collera delle divinità. Nel De rerum natura di Lucrezio la genesi degli animali e dell’uomo dalla terra avviene per generazione spontanea, dallo stato di natura fino alla formazione della società e del linguaggio. Epicuro insegnò nel «giardino» un’epistemologia fenomenista e un’etica ispirata al piacere (ἡδονή), inteso come emancipazione dal dolore, dalla superstizione e dalla paura. La f. atomistica fece scandalo: la dottrina del piacere prediletta dai ‘porci del gregge di Epicuro’ fu condannata dalle scuole avverse, esecrata dai padri della Chiesa, ma ebbe attenti esegeti nel sec. 17° tra gli adepti della nuova scienza corpuscolare e i moralisti libertini. L’immagine ‘ateniese’ della f. fu dilatata in senso cosmopolitico dalla scuola stoica, sorta anch’essa in Atene, con Zenone e Cleante (3° sec. a.C.), mentre l’ideale della polis era in dissoluzione. Nella media e tarda Stoa la metafisica monista del logos universale, ragione e anima del mondo, includeva una logica deduttiva, un’etica e una politica. Le dottrine più caratteristiche dello stoicismo – la ragione seminale presente in tutti gli uomini, l’eudemonia (εὐδαιμονία) che pone i singoli in comunione con l’armonia universale, i cicli cosmici del «grande anno» – furono coltivate a Rodi da Posidonio e Panezio; le condivisero a Roma Cicerone, principe del foro, Seneca, precettore di Nerone, e il suo liberto Epitteto, l’imperatore Marco Aurelio: incarnazioni diverse del saggio stoico, in lotta contro le avversità, esperto nella «conoscenza delle cose umane e divine», dedito all’esercizio della ragione e alla «ascesi» che inizia all’arte di vivere secondo natura, a dominare le passioni e a prepararsi alla morte. La tendenza delle varie scuole a trasformarsi in sette e a consolidare in dogmi le proprie dottrine suscitò come reazione il ritorno ‘socratico’ all’atteggiamento di dubbio e indifferenza, che lo scettico Pirrone praticò in Atene (3° sec. a.C.) e che fu poi teorizzato nell’Accademia platonica da Arcesilao e Carneade. Sottrarsi al dogmatismo dei metafisici e vivere in uno stato di indifferenza nei confronti delle opinioni altrui fu, per i primi scettici, un impegno anzitutto morale volto a ottenere, nel dubbio, l’imperturbabilità dell’animo (ἀταραξία). Gli Accademici approfondirono la confutazione logica della mentalità dogmatica mediante argomentazioni probabilistiche, sia negando le realtà nascoste al di là dei fenomeni sensibili, sia insistendo sui limiti della conoscenza e praticando la sospensione del giudizio (ἐποχή). Sesto Empirico (3° sec. d.C.) confutò sistematicamente le proposizioni di filosofi, matematici e studiosi di scienze, respingendo nei suoi «tropi» come dogmatica perfino la tesi dell’impossibilità della conoscenza. La sfida scettica di Sesto Empirico riaffiorò, dal Rinascimento al sec. 20°, nei più vari contesti teologici, nella riflessione epistemologica e nel metodo sperimentale. Sotto l’impero di Augusto e dei suoi successori la pax romana e la simbiosi delle culture favorirono un clima di tolleranza, aperto al sincretismo etico-religioso che assimilò i culti misterici orientali, l’ermetismo egizio, le pratiche magiche. Una diffusa ricerca di salvezza ultraterrena influenzò le f. neoplatonizzanti e neopitagoriche di Apollonio di Tiana, Apuleio, Numenio, e i sistemi di Proclo, Giamblico, Plotino, Pofirio, teorici di una f. emanatista dell’essere, con al centro il tema del destino dell’anima, della sua decadenza nel mondo e del suo ritorno al sovrasensibile. Un contributo essenziale venne a tale κοινή dalla cultura giudaica: la sintesi greco-ebraica di Filone di Alessandria interpretò il Logos ellenico in termini fideistici e l’associò all’esegesi allegorica delle scritture. Il messaggio cristiano raggiunse il centro dell’Impero, si diffuse tra tutti i ceti sociali ed entrò in competizione con le varie scuole filosofiche: i primi scrittori cristiani – Minucio Felice, Giustino, Eusebio – fecero l’apologia di un’unica vera f., non priva di echi pagani. Paolo mise in guardia i fedeli di Cristo dal contagio della f. profana, seguito da Tertulliano, Arnobio, Lattanzio; mentre i padri alessandrini Clemente e Origene proposero un corpus sincretistico di teologia dogmatica, derivato dal neoplatonismo. Non meno influenti furono le dottrine degli gnostici, intese a fondere fede e scienza, e dei manichei, sostenitori di una ontologia dualistica del bene e del male. Agostino, tentato da queste dottrine, ricercò la sua verità in interiore homine: Dio si rivelava nel profondo della coscienza, al culmine di un itinerario razionale di liberazione dagli errori e dal peccato. La vera f. non era dunque, come quella dei pagani, patrimonio individuale, ma condiviso dall’ecclesia degli eletti in lotta con la massa dei reprobi, fino al trionfo finale della «città celeste». L’escatologia di Agostino comprende la predisposizione dell’anima alla condanna o alla salvezza, il libero arbitrio, la grazia. L’esegesi delle scritture e la missione salvifica della Chiesa mirano al riscatto dal peccato di Adamo di cui ogni uomo è erede. Affine ma meno sistematica è la dottrina paga- no-cristiana di Boezio, dove il messaggio salvifico della f., personificata da una «donna di aspetto venerando», concerne i temi della fortuna, della felicità, del male, della provvidenza.

La filosofia medievale

Agostino e Boezio furono tra i massimi ispiratori della f. medievale, dedita a definire, tramandare, commentare il corpus di una verità indiscutibile, frutto della rivelazione, dell’autorità e della tradizione. La f. e il sapere tecnico-scientifico greco-romano si ridussero a scarni compendi didattici. Nell’assiduo sforzo di conciliare in formule destinate alla preparazione dei chierici l’esegesi delle scritture ebraiche e l’eredità della metafisica antica, la scolastica non fu meno rissosa delle sette pagane. Nei primi secoli prevalse la f. di Agostino, con l’aiuto di compilazioni neoplatonizzanti come il Liber de causis, il commento di Calcidio al Timeo di Platone, gli scritti mistici attribuiti a Dionigi Areopagita; seguì il sincretismo arabo-giudaico di Avicenna, Avicebron, Maimonide; una svolta decisa fu la ripresa dell’eredità di Aristotele da parte dei dotti islamici Alfarabi e Averroè, che aprirono la via alle traduzioni di Alberto Magno e Tommaso d’Aquino, autori di summae teologico-filosofiche ove la logica, l’epistemologia, l’antropologia, la fisica, la metafisica, la politica dello Stagirita si fusero sistematicamente con la dottrina della chiesa cattolica. All’ipse dixit peripatetico, dominante nell’ordine di s. Domenico, reagirono i francescani Bonaventura e Duns Scoto, fedeli invece all’eredità agostiniana. Nei chiostri dei grandi ordini religiosi e nelle università – Parigi, Oxford, Coimbra, Bologna, Padova – furono dibattute per secoli sottili questioni logiche concernenti i concetti di sostanza, causa, materia, forma, anima, individuo. La scolastica concepì la f. come ancilla theologiae, privilegiò la fides quaerens intellectum, dibatté senza tregua il problema degli universali logici – come i generi e le specie – rispetto agli enti reali. Questi problemi, essenziali per la teologia, orientarono le dispute di Alcuino, Anselmo d’Aosta, Bonaventura, Sigieri di Brabante, Tommaso d’Aquino e di molti altri dottori sull’eucarestia, l’esistenza e gli attributi di Dio, la natura e il destino dell’anima. La scolastica fu ricca di venature naturalistiche, occultistiche, magiche, simboliche, allegoriche, interessanti come testimonianze di una cultura. La maturità e la crisi del formalismo scolastico furono segnate dall’insegnamento dialettico di Abelardo e dalla scepsi terminista del francescano inglese Occam, anche se ne furono epigoni la tarda sistemazione di Suárez e la neoscolastica cattolica del sec. 19°.

Dall’Umanesimo all’Illuminismo

Nel sec. 15° la f. si rinnovò profondamente nella vita delle città italiane: i cancellieri umanisti fiorentini modellarono sui classici latini una tematica civile e politica, che si sviluppò dopo la caduta di Costantinopoli grazie alla rilettura dei codici greci. Le traduzioni e i commenti di Bessarione, Valla, Alberti, Poliziano, Pico della Mirandola, Ficino riportarono al centro della riflessione Platone e Aristotele dando vita a un sincretismo denso di elementi magico-esoterici, che permearono anche la rinascita della matematica, dell’astronomia, della medicina e delle arti. Il platonismo geometrizzante fu lo sfondo della mistica cristiana del cardinal Cusano, mentre il fascino della magia e il sensismo furono condivisi da Telesio e Dalla Porta. Anche la riflessione dei domenicani ribelli Bruno e Campanella fu nutrita di simbologia esoterica e di temi astrologici, non estranei neppure a Keplero. Il sapere pratico di viaggiatori, medici, ingegneri, matematici, naturalisti, artisti – come mostrano i manoscritti di Leonardo da Vinci – proseguì la corrosione del corpus aristotelico riguardo a circoscritti problemi di anatomia, meccanica, tassonomia. Lo scontro decisivo avvenne in astronomia: togliendo la Terra dal centro del mondo e proiettandola nei cieli, la rivoluzione di Copernico e Keplero provocò il crollo del sistema tolemaico, e Galileo ne estese le conseguenze distruttive all’intera f. peripatetica. Il metodo sillogistico fu messo in crisi in nome di assiomi tratti per via induttiva da «sensate esperienze e certe dimostrazioni». L’uso del cannocchiale giovò a rimuovere antichi dogmi: il modello geocentrico dell’Universo, l’incorruttibilità di cieli, la diversità dei moti e la perfezione del moto circolare, la metafisica della potenza e della forma. La condanna ecclesiastica di Galileo e dell’ipotesi eliocentrica non riuscirono ad arrestare la diffusione di dottrine alternative: l’immagine platonizzante di una natura scritta in caratteri matematici, la struttura corpuscolare della materia, l’analisi dei fenomeni secondo il peso, il numero e la misura. Il nuovo corso nella f. ebbe al centro l’immagine del mondo fisico creata dal metodo sperimentale. Francesco Bacone teorizzò il rigetto dell’autorità degli antichi filosofi e le suggestioni della magia, disegnò un «nuovo organo» di metodi logici induttivi e un nuovo assetto dell’enciclopedia del sapere, profetizzò l’avvento di un futuro regno dell’uomo fondato sull’utilità della scienza e sulla scoperta collegiale delle forze di natura. Descartes, dopo aver sognato in gioventù una f. radicalmente nuova, creò la geometria analitica ed elaborò un metodo di ricerca fondato sulle sue regole, anzitutto in ottica, cosmologia, anatomia. Il suo principio del cogito ergo sum fu la premessa di una metafisica fondata sulla distinzione tra rescogitans e res extensa, destinata a sostituire l’intero edificio della f. scolastica secondo una metafora pregnante: «La f. è come un albero, le cui radici sono la metafisica, il tronco è la fisica e i rami che escono da questo tronco sono tutte le altre scienze». La sua fisica meccanicista era una variante della f. corpuscolare che, ricostruita ex novo da Gassendi su basi epicureo-lucreziane, fu condivisa dai filosofi naturali nei secc. 17° e 18°. I conflitti ideologici sorti dalla prima rivoluzione scientifica alimentarono f. scettiche, neopirroniane e libertine: Montaigne e Charron tracciarono un nuovo ideale del saggio. Pascal, matematico, contrappose all’esprit de géométrie l’intuito etico dell’esprit de finesse che rivelava la nullità dell’uomo nel cosmo e invocava una mistica cristiana della salvezza. Bayle elaborò sistematicamente argomenti scettici ironizzando sui conflitti tra le metafisiche, inclusi il dualismo cartesiano e l’originale variante panteistica del sistema di Spinoza. Le ricerche analitiche di Locke attaccarono l’apriorismo di Descartes, le idee innate e la metafisica della sostanza, privilegiando l’approccio sperimentale con la verifica delle funzioni e dei limiti dell’intelletto. Il successo della sintesi newtoniana in fisica, ottica, astronomia, calcolo, indusse Locke a indicare nelle regulae philosophandi di Newton un modello esemplare di logica della scoperta induttiva. Berkeley e Leibniz furono invece ostili a Newton: il primo mise in questione le astrazioni dell’ottica geometrica in nome di un idealismo soggettivo a sfondo teosofico; il secondo rivendicò contro Newton la priorità nell’invenzione del calcolo infinitesimale, merito di entrambi, e lo attaccò sul terreno dell’epistemologia e della fisica, rivolgendo accuse di materialismo e ateismo alla philosophia naturalis newtoniana. Al sensismo di Locke, Leibniz contrappose le idee innate, un nuovo concetto di sostanza, una logica combinatoria, l’idea di forza viva e il sistema fisico-metafisico della monadologia, intessuto di finalità provvidenziali. La razionalità degli illuministi si ispirò al modello induttivo fornito dai Principia e dall’Ottica: Voltaire, gli enciclopedisti d’Alembert, Diderot, Condillac, Turgot, Condorcet trassero da Newton e Locke le premesse di una f. militante, volta alla critica radicale del cristianesimo e dell’Antico regime. La critica scettica di Hume incalzò la metafisica nei suoi recessi più segreti demolendo il concetto di causa e il suo uso in fisica. Nella Aufklärung tedesca prevalse invece la f. di Leibniz, grazie soprattutto alla codificazione di Wolff, versione moderna dell’ontologia scolastica. Mentre altri Aufklärer, come Reimarus, Thomasius, Crusius, Lessing, Mendelssohn insistevano su temi quali il diritto naturale e la laicizzazione della provvidenza, la scolastica leibniziano-wolfiana provocò il distacco del giovane Kant dalla metafisica dogmatica. Egli prese atto della critica di Hume alla metafisica, e indicò nel metodo newtoniano la guida da seguire nell’analisi della ragione «pura». Ma la sua f. trascendentale trasformò i concetti newtoniani di tempo e spazio assoluto da realtà esterne a forme a priori della sensibilità. Ai giudizi sintetici a posteriori, propri della scienza della natura, Kant oppose il giudizio sintetico a priori, strumento di ricerca in cui il predicato, non contenuto nel soggetto, è estensivo della conoscenza e conduce a scoprire le forme a priori dell’intelletto: le categorie, funzioni dei giudizi, e le idee pure della ragione. La metafisica fu così ridotta a un’illusoria evasione dialettica, ma la «scienza pura della natura» era chiamata nuovamente a giustificare i titoli di legittimità delle singole scienze dinanzi al tribunale supremo della f., dove l’io trascendentale era «legislatore della natura», i fenomeni avevano il loro limite nell’enigma del noumeno, e le idee dell’anima, del mondo e di Dio venivano ridotte a principi puramente «regolativi». Questo estremo tentativo di restaurazione della f. era destinato a nutrire innumerevoli controversie sul ruolo privilegiato e autonomo del pensiero puro rispetto alle altre scienze. Kant portò a compimento il suo programma critico ammettendo in etica l’imperativo incondizionato del dovere, reintroducendo l’idea di finalità come massima di una fede trascendentale e come funzione del giudizio riflessivo nell’analisi del mondo vivente.

L’Ottocento

Tra la Rivoluzione francese e l’invasione napoleonica la rinascita dell’idealismo in Germania ebbe uno sfondo culturale comune: il rifiuto della concezione illuministica della ragione, la reazione contro la mentalità scientifica, la nostalgia del naturalismo magico e la ricezione critica del panteismo di Spinoza, il recupero della religione in chiave speculativa, la ricerca di un gergo filosofico sui generis, la negazione della psicologia individuali- stica, un energico richiamo alla nazionalità. Gli schemi correnti tendono a semplificare le tensioni polemiche interne alla triade dei protagonisti della «f. classica tedesca», Fichte-Schelling-Hegel, la cui riflessione fu in realtà estremamente articolata, anche se essi condivisero la volontà faustiana di ricostruire ex novo l’intero sistema della conoscenza in nome dell’antico ideale di un sapere assoluto, dominato da un singolo filosofo. La formula kantiana dell’io trascendentale fu il punto di partenza al quale si ispirarono divergenti metafisiche del Geist, lo spirito universale immanente nella natura, nella storia e nella mente umana, controfigura speculativa della teologia luterana. La dialettica fichtiana dell’io che pone sé stesso e si trova di fronte un non-io, da cui trapassa in un io e in un non-io limitati, traduce in formule astratte la tensione etica del filosofo, che affermò: «La scelta di una f. dipende da quel che si è come uomo, perché un sistema filosofico non è un’inerte suppellettile, che si può lasciare o prendere a piacere, ma è animato dallo spirito dell’uomo che lo fa suo». Le formule logico-metafisiche della sua «dottrina della scienza» furono in sincronia con il suo energico attivismo morale e con un radicalismo politico aperto al messaggio rivoluzionario, poi incline all’utopia platonizzante dello «Stato commerciale chiuso», all’idealizzazione della cultura germanica e al fervore patriottico dei Discorsi alla nazione tedesca. Schelling, più versatile, passò dall’idealismo soggettivo alla f. della natura, poi alla f. dell’identità, infine alla radicale opposizione tra positivo e negativo; formule connesse ma distinte, su cui Hegel ironizzò: «Schelling ha sviluppato in pubblico i momenti della propria educazione filosofica, e ha segnato ciascun nuovo stadio con un nuovo trattato». La Naturphilosophie schellinghiana culminò nel panteismo, in una concezione mistica dell’Assoluto e nell’interpretazione della mitologia come insieme di simboli. Hegel dedicò un saggio al confronto tra le filosofie di Schelling e di Fichte, e contrappose a entrambi il proprio metodo dialettico, strumento della ragione speculativa e di una reinterpretazione sistematica dei contenuti della coscienza, dalla percezione sensibile al sapere assoluto. La costruzione del sistema fu preceduta da una serie di abbozzi e programmi: dall’idealizzazione della polis ellenica, in sintonia con il poeta Hölderlin, ai frammenti sull’amore e sulla religione; dalla reinterpretazione speculativa della vita di Gesù alla Logica di Jena e alla Fenomenologia dello spirito, si compie l’assimilazione di ogni ‘fenomeno’ della coscienza nel ritmo irrequieto della dialettica, simboleggiato da una metafora: «Il vero è il trionfo bacchico dove non c’è membro che non sia ebbro». La successione di figure dialettiche della Fenomenologia dispiega per mediazioni triadiche l’intero dramma dell’autocoscienza universale; poi, nell’assetto didattico della Propedeutica e nell’Enciclopedia, la fenomenologia diventa sezione di un processo più articolato che dal sapere immediato trapassa alla logica, alla f. della natura, alla f. dello spirito, e culmina nella sintesi suprema di religione, arte e filosofia, dove il pensiero è emulo dell’atto puro aristotelico. Così «ciascuna delle parti della f. è un tutto filosofico, un circolo che si chiude in sé stesso […] il tutto si pone come un circolo di circoli». Le lezioni degli anni berlinesi sull’estetica, sulla religione, sulla f. della storia universale, sulla storia della f. completarono un sistema onnicomprensivo che si considerava conclusivo: «La f. che è ultima nel tempo è insieme il risultato di tutte le precedenti e deve contenere i principi di tutte: essa è perciò la più sviluppata, ricca e concreta». L’ambigua formula «tutto ciò che è razionale è reale, e tutto ciò che è reale è razionale» sottende, nella Filosofia del diritto, l’autocelebrazione del filosofo come apologeta dello Stato prussiano, che è suprema incarnazione dello spirito assoluto. Secondo una suggestiva metafora, la funzione della f. appare esaurita: «La f. viene sempre troppo tardi; in quanto pensiero del mondo, essa appare soltanto quando il reale ha compiuto il proprio processo di formazione […]; quando la f. dipinge grigio su grigio, una manifestazione della vita è decrepita […]. La nottola di Minerva si leva soltanto all’inizio del crepuscolo». Accreditando questa immagine crepuscolare di sé, il sistema hegeliano si espose ad accuse di panlogismo e di ciarlataneria e prefigurò gli esiti di un’ideologia violentemente conflittuale. Dal punto di vista delle scienze sperimentali, l’ambizione di ridurre tutti i concetti a triadi dialettiche apparve assurda e regressiva. Dal punto di vista ideologico-politico i seguaci e i critici più immediati si divisero tra una ‘destra’ di epigoni conservatori e una ‘sinistra’ militante di pubblicisti consequenziari, rissosi, dediti a reinterpretare la dialettica in senso ateistico, materialistico, religiosamente e politicamente eversivo. Emarginati e perseguitati per le loro idee, Ruge, Strauss, Bauer, Feuerbach, Stirner, Marx, Engels svilupparono fino alle conseguenze estreme la riflessione hegeliana sulla religione, sul diritto, sulla storia universale, riecheggiando ciascuno a suo modo la tesi della fine della filosofia. Bauer denunziò in un pamphlet l’ateismo implicito nella concezione hegeliana del cristianesimo. Feuerbach fondò la «f. dell’avvenire» sul concetto di alienazione, rovesciando la f. hegeliana della religione e della natura, anche alla luce della scepsi antimetafisica di Bayle, in un umanismo immanentistico e sentimentale. Marx trasse da tali premesse conseguenze più radicali. Denunziò l’astrattezza dell’antropologia di Feuerbach, statica, ignara dei rapporti sociali e della prassi, affermando: «i filosofi si sono limitati e interpretare il mondo in modi diversi: si tratta ora di trasformarlo». Rimettere sui piedi la dialettica «rovesciata» di Hegel significava demistificare la sua dottrina «borghese» dello Stato e del diritto, viziata da una visione spiritualistica dei rapporti sociali, la cui vera realtà è di natura economica e materiale. Marx non rinunziò alla dialettica, che applicò alla critica dell’economia politica «classica» di Smith e Ricardo. La sua analisi dell’età capitalista configurò in termini di contraddizioni dialettiche le contrapposizioni reali tra borghesia e proletariato, individuo e Stato, capitale e lavoro. Il «rovesciamento della prassi» comportava un’azione rivoluzionaria volta a sovvertire lo Stato borghese, instaurare la dittatura del proletariato, preparare la futura società senza classi e l’estinzione dello Stato. In questo senso – affermò Engels – il proletariato era il vero erede della f. tedesca. Una versione aggiornata della f. della natura hegeliana fu il materialismo dialettico di Engels che, in simbiosi con il materialismo storico di Marx, si irrigidì nei dogmi dell’ideologia rivoluzionaria, che conobbe una lunga parabola di varianti e revisioni dal Manifesto del 1848 alla crisi di fine sec. 20°. Tra gli altri contemporanei e avversari dell’idealismo, Kierkegaard oppose alla metafisica il senso del peccato e l’angoscia esistenziale. Schleiermacher, Herbart, Schopenhauer si confrontarono con l’eredità di Kant. Il primo pose al centro della sua riflessione il nesso tra morale e religione e coltivò temi pietistici fondati sul sentimento religioso, la rivelazione divina e la ricerca «ermeneutica» della verità. Schopenhauer indicò nel principio di ragion sufficiente l’approccio a due livelli della realtà: la superficiale rappresentazione spazio-temporale dei fenomeni del mondo e la «volontà», che occupava il vuoto del noumeno kantiano. La sua metafisica ispirata alla mistica indiana assegnava alla f. il compito di lacerare «il velo di Maia» che occulta ai non iniziati l’energia irrazionale della volontà di cui si nutrono le arti, la poesia, la musica. Il ritorno alla metafisica era presente anche in Herbart, che intese la f. come «elaborazione generale dei concetti», tramite l’analisi psicologica degli elementi «reali» più elementari della coscienza, nel quadro di un’epistemologia d’impronta empiristica. La crisi della dialettica idealistica e della Naturphilosophie romantica distrusse le illusioni egemoniche della ‘scienza prima’ riguardo ai progressi della ricerca in matematica, geometria, fisica, nelle scienze della natura e della vita, in psicologia e nelle scienze sociali. In Germania il neoaristotelico Bolzano e cultori di epistemologia matematica, fisica, psicologica come Frege, Lotze, Fechner, Wundt, Helmholtz, Brentano, rifletterono variamente sulle linee di confine tra l’analisi filosofica e i linguaggi delle discipline sperimentali, che sottraevano alla cultura filosofica tradizionale sfere di ricerca sempre più ampie, mediante tecniche d’indagine ormai remote dalle loro originarie matrici ‘filosofiche’. Mentre nella cultura tedesca la gnoseologia kantiana seguitò a offrire un orizzonte relativamente omogeneo a scienziati, filosofi ed epistemologi, nella cultura inglese l’eredità empiristica di Bacone, Locke, Hume, sviluppata dai teorici scozzesi tardo-illuministi del common sense, si rinnovò nella riflessione epistemologica di Herschel, Brewster, Whewell, concordi nel privilegiare la sintesi newtoniana come paradigma di certezza in fisica, astronomia, ottica. Il metodo induttivo delle regulae philosophandi fu esteso alla ricerca delle leggi operanti nella mente umana, mediante l’analisi dell’associazione delle idee. Alla scienza della mente avrebbe fatto seguito una scienza positiva della società. La Logica di Stuart Mill enuncia le regole dell’induzione e un programma di metodi d’indagine e prova da applicare alla fisica, alla psicologia, alla sociologia e alle altre scienze. In etica, da Hutcheson, Hume, Bentham ai loro seguaci scozzesi la f. inglese elaborò la ricerca utilitarista della «massima felicità divisa nel maggior numero di individui», che includeva un programma di riforme radicali: il suffragio universale, l’estensione dei diritti civili alle classi lavoratrici, la conquista delle libertà individuali nello Stato di diritto, una maggiore equità economi- ca, l’emancipazione femminile. Sul continente i caposcuola del positivismo furono alcuni studio- si formatisi nell’ambito di una singola disciplina scientifica: Comte, matematico e fisico, Spencer, ingegnere, Haeckel, zoologo. Comte teorizzò una f. del progresso fondato sulla successione delle culture, dall’età metafisica all’età razionale e all’età scientifica; estrapolò dalle varie discipline un metodo atto a formulare le leggi della convivenza sociale e la futura «religione dell’umanità». Spencer elaborò una f. evolutiva che generalizzava l’ipotesi trasformistica proposta, nel frattempo, da Darwin entro il quadro nebuloso di un’evoluzione cosmica guidata da una forza inconoscibile. Haeckel contribuì a sua volta a divulgare l’evoluzione secondo la «legge biogenetica» (l’ontogenesi ricapitola la filogenesi) e sostenne che la soluzione di tutti «gli enigmi del mondo» consisteva in un rigoroso monismo materialistico. I vari sistemi «positivi», ben accolti dai naturalisti, suscitarono reazioni di segno opposto contro l’appiattimento in senso positivistico di discipline «umanistiche» tradizionali come l’antropologia, la psicologia, il diritto civile e criminale, la sociologia, la filologia, l’estetica. La f. del socialismo ambì a diventare a sua volta «scientifica», enunciando le leggi economiche e sociali che avrebbero liberato l’umanità. L’ipotesi di Darwin demolì le ultime illusioni fondate sul mito di Adamo; le leggi biologiche della lotta per la vita e della sopravvivenza dei più adatti furono sommariamente estese all’ambito storico-sociale. Ne fu largamente influenzato il nichilismo paradossale ed estremo di Nietzsche, che rinnegò l’intera f. tedesca in nome di un’utopia ellenizzante, proclamò l’inferiorità dell’etica cristiana e la distruzione di tutti i valori, predisse l’avvento di una specie umana superiore, anticipando temi che sarebbero entrati a far parte dell’ideologia nazista.

Le filosofie del Novecento

La sfida del positivismo aprì in Germania un’ampia discussione sui valori umanistici e sulla distinzione tra scienze della natura e scienze dello spirito, che coinvolse neohegeliani come Dilthey, neokantiani come Natorp e Rickert, «filosofi della vita» come Simmel, che rivendicarono l’autonomia del sapere storico. Max Weber, critico del marxismo e teorico della sociologia avalutativa, sostenne l’influenza determinante delle religioni nella vita economica. In Italia la f. neoidealista di Gentile e Croce sviluppò contro il positivismo le formule teologizzanti dei neohegeliani napoletani, propose una «riforma della dialettica» avversa al materialismo storico, e declassò a pseudoscienza il metodo sperimentale. Lo storicismo di Croce si configurò come una «f. dello spirito» volta a identificare, con Vico, la f. con la filologia, l’estetica, la storiografia. Gentile ridusse alla formula mistica dell’«atto puro» la logica, l’arte, la f., lo Stato; oppose al liberalismo di Croce la retorica paternalista del Risorgimento e la trasformò in apologia del regime fascista. La rivoluzione relativistica del sec. 20° in fisica, la psicologia sperimentale di James, la psicologia del profondo di Freud e Jung contribuirono a sottrarre altro terreno ai filosofi, che reagirono secondo linee di tendenza contrastanti. Si cercò, in primo luogo, di reinterpretare i dati della ricerca scientifica all’interno di nuove sintesi spiritualistiche: James divulgò l’etica del pragmatismo; Bergson elaborò una f. dell’evoluzione creatrice, fondata sull’intuizione interiore e su uno «slancio vitale» di natura metafisica; Whitehead estrapolò dalla fisica una f. della natura; l’antropologo gesuita Teilhard de Chardin immaginò un «punto omega» al vertice dell’evoluzione cosmica. Una seconda tendenza fu quella a rivendicare alla f. il compito di organon o di guida epistemologica in tutti i settori scientifici: è il caso di Frege e Russell che condussero su questo piano l’analisi dei fondamenti in matematica, di Wittgenstein e del Circolo di Vienna che elaborarono logiche neopositiviste, della gnoseologia analitica inglese e della fenomenologia pura del primo Husserl. In terzo luogo, si rifiutò in blocco l’approccio scientifico, come esito estremo di una ὕβρις contro la natura e i poteri del creatore: il secondo Husserl denunciò l’oblio del «mondo della vita» e l’estrema crisi delle scienze europee; Heidegger descrisse l’inferno del mondo umano (Dasein) e lanciò un atto d’accusa contro l’intera metafisica occidentale fino a Kant e Hegel, contro l’universo della τέχνη, alla ricerca di un approccio iniziatico all’Essere tramite la poesia. Si è diffuso un catastrofico senso di disperazione per lo status deviationis in cui versa il mondo moderno dopo la scoperta dell’energia nucleare e lo sfruttamento del Pianeta. L’eco di nostalgie teologiche riaffiora in molte formule filosofiche recenti, dall’esistenzialismo allo strutturalismo, dal decostruzionismo alle magmatiche correnti postmoderne. La frammentazione delle correnti filosofiche è di tutte le epoche; ma la crescita delle discipline scientifiche, la crisi delle ideologie, l’avvento della cultura di massa hanno inflitto alla f. una radicale crisi d’identità. La rinuncia a ogni rigore la riduce a un genere letterario eclettico, nei casi limite a una forma di intrattenimento edificante.

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