Fisiognomia
Fisiognomia o fisiognomonia (dal greco ϕυσιογνωμονία, tardo ϕυσιογνωμία, composto di ϕύσις, "natura", e tema di γιγνώσκω, "conoscere") è il nome della disciplina parascientifica che, studiando la correlazione tra il carattere e l'aspetto fisico della persona, si proponeva di dedurre le caratteristiche psicologiche degli individui dal loro aspetto corporeo, in particolare dai lineamenti e dalle espressioni del viso. La fisiognomia era basata su un processo di simbolizzazione rigorosamente codificato che è restato invariato per secoli.
sommario: 1. Un sistema di codificazione. 2. Presupposti epistemologici. 3. Parallelismi tra uomini e animali. 4. Teoria degli umori e spiritualità rinascimentale. 5. Significato morale della forma. 6. Antropologia criminale. □ Bibliografia.
1. Un sistema di codificazione
La fisiognomia, fin dai tempi remoti, si è proposta come 'riconoscimento e interpretazione della natura'. Aristotele ricorreva al termine ϕυσιογνωμονεῖν per definire l'attività di "giudicare la natura di un oggetto sulla base della sua struttura corporea" (Analytici primi, 2, 27, 70b). Per quanto la tradizione consideri Pitagora l'iniziatore di questa scienza,
2. Presupposti epistemologici
Proponendosi come scienza, la fisiognomia ha adottato, come metodo, un procedimento di ordine analitico-deduttivo che mira anzitutto a congelare il divenire di una fisionomia in alcuni stati immutabili. Si tratta di un processo di simbolizzazione che non riguarda più il volto reale, ma la '
Secondo Della Porta, i segni del viso più rivelatori sono quelli intorno agli occhi e alla fronte. Egli ritiene inoltre che 'tutto l'uomo sta nella faccia', perché essa è la 'regia della ragione', poi viene il petto che è il 'seggio del cuore', quindi le gambe e i piedi, e, infine, il ventre. Ma già Aristotele, in De partibus animalium, aveva detto che le parti del corpo seguono l'ordine della natura in modo tale che la parte superiore è orientata verso la parte superiore dell'universo (2, 10, 656a, 10). Ne consegue una gerarchia di categorie topologiche, per la quale ciò che è migliore e più nobile, riguardo all'alto e al basso, tende a trovarsi in alto; riguardo al davanti e al dietro, davanti; riguardo alla destra e alla sinistra, a destra (3, 3-4, 665a, 20-21). Su questa topologia, articolata in un vero e proprio sistema di valori, Aristotele fondava la sua fisiologia. Anche la posizione del cuore, egli diceva, rispetta questo principio: è al centro, più verso l'alto che verso il basso e più in avanti che indietro; la natura infatti colloca ciò che è più nobile nelle parti più nobili (665a, 15-20). Questa ripartizione si ritrova nella divisione del volto in aree: quelle superiori sono generalmente delegate a rivelare le inclinazioni più spirituali e quelle inferiori, invece, l'istintualità che più avvicina l'uomo all'animale.
Si tratta di una topologia simbolica che attraversa tutta la fisiognomia antica e rinascimentale per arrivare, in pieno positivismo, alla frenologia. Nell'Ottocento, infatti, la localizzazione cerebrale delle funzioni psichiche postulata da F.J. Gall si fonda su una topologia delle funzioni del cervello. La superficie ossea del cranio non sarebbe altro che l'impronta fedele delle funzioni del cervello; da qui la necessità di esaminare la calotta alla ricerca di affossamenti o protuberanze, ovvero delle cosiddette bozze craniche. Per chiarire la geografia cerebrale, Gall divideva la testa in distretti e a ciascuna zona assegnava una facoltà. Questa sorta di topografia si articolava in tre grandi aree, secondo l'antico schema simmetrico che opponeva l'alto al basso, l'anteriore al posteriore. Così, la parte alta e anteriore era costituita, per Gall, dalla superficie abitata dall'intelligenza e dai suoi talenti; quella alta e posteriore, da facoltà cognitive più pratiche, come il senso delle relazioni spaziali o dei colori; al centro le passioni; nella parte inferiore e posteriore gli istinti più ancestrali. Per quanto riguarda la spartizione del volto in aree, in tutta la tradizione fisiognomica essa si presta a un'ulteriore scomposizione di ciascuna parte presa singolarmente. E così, il naso può distinguersi in radice, spina e punta e, per l'articolazione dei tratti (lungo/corto, convesso/dritto, asciutto/carnoso), possono identificarsi fino a 81 tipi corrispondenti ad altrettante inclinazioni morali.
Con lo stesso metodo si possono reperire fino a 58 tipi di fronti, 43 di occhi, 50 di menti e 18 di bocche. La maggiore sinuosità o durezza di una linea, che caratterizza un elemento del volto o la sua forma intera, si carica di senso: è indice di una inclinazione morale. Il simbolismo delle linee conserva la sua forza visionaria fin nel cuore del 20° secolo, come dimostrano le teorie di L.F. Clauss, espresse in Rasse und Seele (1926), nel quale gli uomini sono divisi in sferici, parabolici, piramidali e poligonali. Sferici sono gli italiani e i polacchi dal naso camuso, occhi rotondi, gambe corte, movimenti rapidi e fluidi, mentre parabolici sono i tedeschi e gli scandinavi dal cranio, faccia e collo allungati, dall'incedere lento e imponente. Piramidali sono i 'teatralissimi' ebrei e poligonali i 'rozzi' negri. In queste teorie del razzismo si delinea una sorta di simbolismo che riguarda non solo le linee, ma soprattutto i colori. E così, come lo schema dell'alto si oppone, nei suoi sviluppi simbolici, a quello del basso, analogamente le categorie cromatiche chiare si oppongono a quelle scure e i simboli della luce a quelli delle tenebre, essendo queste assimilate al caos, alla morte, al regno sotterraneo del silenzio. Ne consegue che, per la fisiognomia, i colori chiari e trasparenti della pelle, degli occhi o dei capelli sono in genere utilizzati come figure cromatiche del vero, a differenza di quelli scuri o incerti, segno della menzogna o delle oscure insondabilità di un'anima.
3. Parallelismi tra uomini e animali
L'analisi e il 'riconoscimento' del volto attraverso schemi simbolici non riguarda soltanto un sistema di posizioni, linee e colori, ma rimanda soprattutto ad altre forme, più semplici e immediatamente comprensibili, come quelle animali.
Dal momento che il mondo umano, nel regno animale, non soltanto è quello più vario nella sua forma corporea, ma anche l'unico che all'interno della sua classe possieda tutti i vizi e tutte le virtù, esso deve essere preso come dispositivo di verifica e di controllo. Ed è così che l'uomo si configura, a suo turno, come punto di riferimento che dà origine a un altro processo semeiotico, questa volta di ritorno verso l'animale. Il parallelismo tra gli uomini e gli animali è sviluppato in modo sistematico nel trattato De physiognomonia che la tradizione attribuisce ad Aristotele. Qui l'intero regno animale è diviso in due: il maschio, simboleggiato dal leone, e la femmina, simboleggiata dalla pantera. Si tratta di un metodo comparativo che prolifera per tutto il mondo classico, torna nei bestiari medievali, ha la sua apoteosi nel Cinquecento. In De humana physiognomonia, Della Porta riprende infatti il sillogismo fisiognomico di Aristotele e lo estende a tutto il mondo animale, facendone il perno su cui articola la sua celeberrima galleria di maschere caratteriali: l'uomo-becco, l'uomo-leone, l'uomo-uccello, l'uomo-scimmia. Si prenda, per es., il caso dell'uomo-uccello. Gli uccelli sono mobili, vani e loquaci, nonché dotati di piccolo capo. E allo stesso modo gli uomini che hanno la testa piccola, saranno mobili, vani e loquaci come gli uccelli. Lo struzzo ha un capo piccolissimo e la sua stoltezza è proverbiale. Non è infatti lo struzzo che nasconde la testa nei cespugli illudendosi di scampare in questo modo ai suoi inseguitori? Così, dice Della Porta, attestano la Bibbia,
4. Teoria degli umori e spiritualità rinascimentale
Il carattere di un animale, come quello dell'uomo, per gli antichi aveva una motivazione organicamente fondata, il cui supporto si trova nell'antica teoria degli umori che, dai fisiologi del 5° secolo a.C. fino alla teoria dei temperamenti di Galeno, arriva ad articolare il sistema stesso delle passioni fino a Cartesio. Per Ippocrate, la gioia era facilitata dal sangue puro e sincero, e la paura, secondo Aristotele, era provocata da un improvviso raffreddamento del sangue; la collera, invece, era tipica di animali come tori e cinghiali, le cui fibre terrose erano facili a surriscaldarsi. Il Cinquecento raccoglie la tradizione classica e vi aderisce con entusiasmo: "ben scrisse Ippocrate ‒ dice Della Porta ‒ perché questi sian lieti e questi melanconici, essere negli elementi, perché coloro che sono di sangue puro sono sempre allegri [...] mentre il cervo e la lepre sono paurosi perché hanno il sangue freddo" (Della fisionomia dell'huomo, 1610, 2, 78). Il carattere è motivato dunque dalla composizione fisiologica del corpo. La teoria degli umori e degli elementi torna spesso nelle opere ermetiche del Rinascimento, soprattutto nei Magiae naturalis libri XX (1558) di Della Porta, dove la fisiognomia appare chiaramente inserita in una costellazione che accomuna alchimia, magia e astrologia all'interno di una visione unitaria del cosmo.
Le sostanze naturali, secondo Della Porta, sono composte dai 'primi sensi della natura': dal fuoco, dall'aria, dall'acqua e dalla terra. Gli elementi agiscono gli uni sugli altri per attrazione e repulsione in una sorta di circolarità, all'interno della quale ciascuno di essi rinuncia alla sua natura per trasformarsi, nel corso del ciclo, nell'altro. In questa incessante trasmutazione di ispirazione alchemica, ogni elemento è sé stesso e altro da sé. Fa parte di questa visione cosmologica anche il rapporto tra materia e forma. Sebbene la materia non sia inerte, tuttavia, sostiene Della Porta, la forma è prioritaria a causa del luogo in cui essa ha origine. La forma deriva da Dio. Attraverso un processo emanatistico d'ispirazione neoplatonica, Dio, detto appunto 'Datore delle forme', partecipa queste alle intelligenze e alle stelle, legando fra loro gli ordini in modo che le cose inferiori siano soggette a quelle superiori. Come materia e forma sono legate fra loro, così lo sono spirito e corpo. L'ordine cosmico e quello umano non sono contrapposti ma uniti: il destino dell'uomo si prolunga nella vicenda naturale e questa si arricchisce di profonde vibrazioni spirituali. Il volto dunque diventa decifrabile in quanto specchio del cosmo e, a sua volta, l'intero mondo appare comprensibile in quanto, nelle sue forme, nei suoi colori e nei suoi elementi, si disegna come teatro di passioni e di inclinazioni tutte umane. La simpatia e antipatia fra tutte le cose dell'universo è tipica della spiritualità rinascimentale, da
E così, in virtù di una certa similarità di forme si apre nel creato un immenso scenario di relazioni passionali, di amicizie e inimicizie, violente fobie e fatali attrazioni, sordidi complotti e tenere alleanze tra animali e uomini, animali e animali, animali e piante, piante e pietre, pietre e astri e, infine, tra astri e uomini. In base a una sia pur minima somiglianza di forme, tutte le cose si ritrovano in tutte le cose, le nature celesti nelle cose terrene e quelle terrene nelle celesti. Si tratta di una visione organicistica che instaura un sistema di equivalenze tra macrocosmo e microcosmo dove il mago, come il fisionomo, è colui che è capace di cogliere gli occulti legami di cui è intessuta l'infinita rete di relazioni sulla quale poggia l'unità del cosmo. In un'altra opera, Caelestis physiognomonia (1603), Della Porta esamina gli influssi che corpi, moti e congiungimenti astrali esercitano sugli aspetti, sull'indole e, perfino, sul destino degli uomini. Ancora nel Cinquecento, notevole importanza per la storia della fisiognomia ebbe il volume del medico, filosofo e matematico milanese
L'ordine universale si specchia nel microcosmo umano, in particolare sulla fronte, attraverso un sistema di corrispondenze e influenze fra i tre piani cosmici. Ogni parte della fronte ha il suo ascendente astrale. Ancora in pieno Seicento, J. Belot (Instructions familières pour apprendre les sciences de chiromancie et physiognomonie, 1688), maestro di scienze divine e celesti, sostiene che, oltre alla fronte, che corrisponde a Marte, ogni parte del volto mostra affinità planetarie e zodiacali: l'occhio destro con il Sole, l'occhio sinistro con
5. Significato morale della forma
Per secoli l'identificazione del volto si è dunque appoggiata sul rilevamento di forme e di colori appartenenti ad altri mondi: a mondi animali, vegetali, minerali e anche agli universi siderali. Pur con metodi e concezioni diverse, antropologi e pittori, scrittori e visionari non hanno fatto che riprendere e sviluppare l'antica idea di una stretta contaminazione di forme, caratteri e passioni all'interno del cosmo intero. Ma soprattutto l'investigazione dell'anima è stata condotta attraverso quelle stigmate corporee che più sembravano ravvicinare l'uomo all'animale. E così, grazie a una sorta di fisiologia comparata di antica origine aristotelica, è accaduto che il principio di questa 'scienza', considerando insieme animalità e umanità, di fatto, poco a poco, abbia eluso le distanze tra l'una e l'altra. L'animalità progressivamente è venuta a inscriversi nel corpo umano. A livello cognitivo, è stata una sorta di dispositivo retorico che ha permesso di identificare la forma dell'uomo e attribuirle un significato morale: nel modo in cui una forma umana si avvicinava o allontanava, assomigliava o era dissimile a/da una forma animale, solo allora sembrava suscettibile di identificazione.
Esemplare, in questo senso, è la famosa Dissertation physique sur les différences réelles que présentent les traits du visage chez les hommes de différents pays et des différents âges (1791) del medico e fisiologo olandese
Di Lavater, tra il 1775 e il 1778, escono a
Contro questi presupposti si scaglia, nel suo Über Physiognomik wider die Physiognomen (1778) e soprattutto nei suoi appunti manoscritti (Sudelbücher), G.C. Lichtenberg, primo cattedratico di fisica sperimentale, secondo il quale, se si dovesse seguire la fisiognomia di Lavater, si dovrebbero impiccare i bambini prima ancora che abbiano compiuto imprese degne della forca. Malgrado le polemiche tra Lavater e Lichtenberg che coinvolgono, per un intero secolo, il mondo culturale, il determinismo biologico ritorna con tutta la sua forza, non solamente visionaria ma, questa volta, anche istituzionale, nell'antropologia criminale della fine dell'Ottocento.
6. Antropologia criminale
Per l'antropologia criminale, dunque, il delinquente, come l'animale è 'naturalmente' cattivo. Per questo il criminale non va ritenuto tale per sua libera volontà; dovrà piuttosto essere considerato un disgraziato o un malato dalla cui pericolosità occorre preservarsi. Fornendo un simile substrato biologico alla morale, la teoria di Lombroso attirò non pochi attacchi soprattutto da parte del mondo cattolico, che si scagliò contro il suo 'materialismo' e contro la sua negazione del libero arbitrio come postulato universale, in nome del determinismo e delle predisposizioni ereditarie. Tuttavia, anche se oggi questa teoria suona bizzarra e razzista, quando apparve si costituì come un vero e proprio orientamento progressista nella criminologia del tempo, con conseguenze anche positive nel trattamento dei reclusi.
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