TORRI, Flaminio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 96 (2019)

TORRI (Torre), Flaminio

Enrico Ghetti

Nacque a Bologna nel 1620. L’atto di battesimo, registrato il 19 maggio di quell’anno (Bologna, Biblioteca comunale dell'Archiginnasio, ms. B863: B. Carrati, Cittadini bolognesi battezzati..., XIX sec.), è tra le rarissime attestazioni documentarie riferibili alla sua breve vita.

La formazione dell’artista si svolse negli anni Trenta nella bottega di Giacomo Cavedoni. Il maestro gli trasmise il cromatismo dei grandi veneti del Cinquecento e il naturalismo di Ludovico Carracci, che l’allievo assimilò anche attraverso lo studio delle opere di Guercino, di Carlo Bononi e Alessandro Tiarini. Torri avviò la propria personale rivoluzione innestando su queste componenti i frutti di una breve ma proficua sosta presso l’atelier di Guido Reni, terminata non è chiaro se a causa di screzi relativi all’autografia di un disegno (Malvasia, 1841, p. 393) o a seguito della morte del maestro (Id., [1983], p. 333). Decisivo fu il successivo incontro con Simone Cantarini, col quale Torri condivise l’interpretazione in chiave naturale dell’ideale reniano, anche se egli pose «più sangue» nei suoi dipinti e si scostò «da quel pallido e cinericcio, ch’era l’unica opposizione che faceasi a quest’ultimo suo maestro, ma che in lui solo ad ogni modo stava sì bene» (Id., 1841, p. 393).

In un momento di vuoto nella committenza pubblica, laica ed ecclesiastica, come molti colleghi Torri si dedicò alle richieste dei privati, ricoprendo all’occorrenza il ruolo di copista, restauratore e perito, e occupandosi delle mansioni di un artista di corte ancor prima di divenirlo concretamente (Colombi Ferretti, 1977, p. 12). Sono solo tre le sue pale d’altare ricordate dalla letteratura artistica nelle chiese bolognesi, e unica superstite è la Deposizione già in S. Giorgio in Poggiale (Bologna, Pinacoteca Nazionale); l’assorbimento dei colori da parte dell’imprimitura, denunciato già da Malvasia che sottolineava il suo dipingere «anche troppo liquido e olioso» (Malvasia, 1841, p. 384), dovette causare la precoce sostituzione delle altre. Perduto è il giovanile S. Onofrio già in S. Egidio, iniziato da Cantarini e terminato dall’allievo dopo la sua morte avvenuta nel 1648. Secondo Carlo Volpe qualcosa del giovane Flaminio rimane in un altro dipinto lasciato incompiuto dal pesarese, la Madonna col Bambino e s. Filippo Benizi (Bologna, Cassa di Risparmio, già S. Giorgio in Poggiale). È noto che la tela fu completata da Francesco Albani, ma Torri, autore anche dei perduti affreschi che la sovrastavano, dovette occuparsi almeno della testa e delle mani del santo, «striando e stridendo sul supporto dell’ombra bituminosa» (Volpe, 1977, p. 30). Perduta è anche la Madonna col Bambino e i ss. Carlo, Nicola da Tolentino, Girolamo e Giovanni Battista, realizzata per la famiglia Fontani Bombelli, già nella chiesa della Carità, il cui ricordo fortunatamente sopravvive in una versione autografa in formato ridotto (Modena, Galleria Estense). Già ritenuta un bozzetto, l’alto grado di finitura che la connota ha fatto plausibilmente pensare a una replica in piccolo, realizzata dietro specifica richiesta o a ricordo della pala. L’eco di Cavedoni nella figura della Vergine, unito allo spiccato cantarinismo del s. Girolamo, suggerisce di datare la teletta alla fase iniziale di Torri, in parallelo con un’Adorazione dei Magi oggi al Museo dei Cappuccini di Bologna, con la quale condivide i profondi sbattimenti chiaroscurali, l’impasto denso e il naturalismo filtrato dal magistero di Cantarini (Colombi Ferretti, 1977). Proprio al pesarese era riferita l’Adorazione, prima del riconoscimento di un’iscrizione che certifica l’autografia dell’allievo sulla versione incisa da Giuseppe Caccioli. Del dipinto dei Cappuccini esiste una replica presso la Cassa di Risparmio di Mirandola (L. Peruzzi, in Tesori Ritrovati, 1998). In opere del genere, come pure nel Crocifisso d’ignota provenienza (Bologna, Collezioni comunali d’arte), l’artista si volge ai modelli reniani e cantariniani ‘normalizzandoli’ attraverso la rimozione del filtro ideale, e preferendo tipi popolari e quotidiani, in un recupero del carraccismo ludovichiano che già punta verso un’intimità precrespiana (Colombi Ferretti, 1977).

Simili intenti si avvertono in altri dipinti riferibili al primo tempo di Torri, quali la Testa maschile e la Testa femminile della Galleria Estense o la Sacra Famiglia, un tempo a Modena e oggi alla Gemäldegalerie di Dresda, dopo la vendita di parte della collezione estense all’Elettore di Sassonia nel 1746. Si tratta quasi certamente dei tre quadri di cui parla Adolfo Venturi, entrati in Galleria nel 1681 dalla collezione del conte Prospero Toschi, poiché la Testa femminile corrisponde probabilmente al frammento di una Veronica col sudario che aveva questa provenienza (Venturi, 1882). Lo conferma il confronto con la somigliante Veronica col sudario di Mattia Preti ora al Los Angeles County Museum of Art, che Torri potrebbe aver visto e preso a modello poiché, datata attorno al 1652 (J.T. Spike, Mattia Preti. Catalogo ragionato dei dipinti, Firenze 1999, p. 162) fu forse realizzata durante il soggiorno modenese dell’artista calabrese, i cui legami col nostro sono stati rilevati dalla critica (Colombi Ferretti, 1977, p. 13). I dipinti Toschi indicano che Torri aveva instaurato precoci relazioni con la città estense, come del resto conferma la morte di «Antonio figlio di Flaminio Torri» registrata a Modena il 14 aprile 1647 (Campori, 1855, p. 469).

Accanto alla Sacra Famiglia di Dresda si pongono opere come il Riposo durante la fuga in Egitto e la Sibilla (entrambi a Roma, Galleria Pallavicini), analogamente gravate dal forte chiaroscuro che le distanzia dai modelli reniani dai quali esse dipendono. Si manifesta, in questa fase, una vena zingaresca che, anche nei cromatismi, scuri ma setosi e traslucidi, sembra corroborarsi degli spunti stilistici e tematici forniti dall’arte di Eberhard Keil, detto Monsù Bernardo (A. Colombi Ferretti, in L’arte degli Estensi, 1986, p. 205), che viaggiò in Romagna attorno al 1655.

Il definitivo trasferimento di Torri a Modena risale al 1659. La questione ha generato un equivoco sul responsabile della chiamata presso la corte estense: Malvasia riteneva che questi fosse Gian Giacomo Monti, mentre Venturi (1882) pensava al gesuita Andrea Garimberti, basandosi su due lettere inviate dal religioso a Rinaldo d’Este, il 4 novembre e il 12 dicembre (per errore Venturi scrive settembre) 1659. Dopo aver riesaminato i documenti originali (Archivio di Stato di Modena, Cancelleria Ducale, Regolari, busta 51) si può affermare che la chiamata di Torri spettò al Duca in persona, forse consigliato da Monti ma non certo da Garimberti, che, nella prima lettera, riferendosi a lui come a «un tal pittore per nome Flaminio Torri», dimostrava di non conoscerlo. Il secondo foglio documenta il restauro compiuto sulla Madonna di s. Sebastiano di Correggio e l’apprezzamento di cui in breve tempo Torri godette a corte: parlando di ritratti, il gesuita consigliava a Rinaldo di «farne fare uno al Torri ch’è uno, et forsi il miglior pittore stimato ch’ha in Bologna, quale S. A. ha fatto venire a Modena per farli fare alcuni retratti che li mancano, et li fa bene. Ha anco aggiustato il quadro di S. Sebastiano del Correggio molto bene». Dell’ampia produzione di ritratti di Torri sopravvive solo quello di giovane, in Galleria Estense, già riferito a Ludovico Lana e ad Alessandro Tiarini, ma riconosciuto a Flaminio da Volpe (L. Peruzzi, in Mostra di opere restaurate, 1980, p. 46). Daniele Benati (in Figure come il naturale, 2001, p. 83) ne conferma l’autografia cogliendo le tangenze con una delle rare pale dell’artista, la Visione di s. Antonio di Padova (Imola, Osservanza), parimenti caratterizzata da tormento grafico e da un tratteggio replicato che, come in Cantarini, esalta le parti in luce sul viso e sul colletto acciaccato. Benati (in Disegni emiliani, 1991, p. 174) data il S. Antonio al 1650 circa, mentre Anna Colombi Ferretti vi coglie una «nuova dolcezza» priva di allusioni zingaresche e una materia più liscia e preziosa che lo sospingono verso l’ultima fase dell’artista.

L’allentamento della vena popolaresca ben si coglie nell’affascinante S. Francesco in estasi sorretto da un angelo (collezione privata), reso noto da Volpe (1977) e recentemente riemerso (D. Benati, in 25 anni di Fondantico, 2017, pp. 58-60), forse il suo capolavoro, che si presume essere appartenuto ad Angelo Michele Colonna (Malvasia, 1841, p. 394). La bella copia della Pinacoteca Nazionale di Bologna, giudicata autografa da Volpe (1977), è ora dubitativamente ricondotta a Giulio Cesare Milani o a Giovanni Maria Viani, allievi di Torri (A. Colombi Ferretti, in L’arte degli Estensi, 1986, p. 206; A. Mazza, in Pinacoteca, 2008, p. 434). Un processo di raffinazione analogo a quello operato nel S. Francesco si avverte anche nell’ultima pala dell’artista ricordata dalle fonti, la Deposizione di S. Giorgio in Poggiale. Colombi Ferretti (1977, p. 16) la ritiene tra i più importanti dipinti d’altare degli anni Cinquanta e, forse, la prima grande macchina scenografica moderna su un altare bolognese, importante precedente per gli artisti del barocco locale e, nello specifico, per Domenico Maria Canuti (A. Colombi Ferretti, in L’arte degli Estensi, 1986, p. 204). Allo stesso modo, col citato S. Antonio di Imola, Torri piantò i semi di un’eleganza e di un virtuosismo che trovarono terreno fertile in Lorenzo Pasinelli, suo più giovane condiscepolo presso Cantarini che, alla scomparsa del maestro, «seguì Flaminio» (Malvasia, 1841, p. 383). Un’aria schiettamente pasinelliana, testimonianza di quello che certo divenne un rapporto di reciproco scambio, si respira negli ultimi esiti di Torri: opere come la Figura femminile con turbante di collezione privata (A. Colombi Ferretti, in L’arte degli Estensi, 1986, p. 206) o la Giuditta della Bob Jones University di Greenville (South Carolina), motivano le incertezze attributive tra i due rilevate a iniziare da Marcello Oretti (Ambrosini Massari, 1992, p. 395 nota 61).

Della celebrata attività di copista di Torri poco rimane: si è tentato, con scarso successo, di riferirgli le copie della Madonna di s. Sebastiano e della Madonna di s. Giorgio di Correggio alla Galleria Estense (Quintavalle - Ghidiglia Quintavalle, 1960). Per contro, dalla sua Rebecca ed Eliezer al pozzo del Szépművészeti Múzeum di Budapest dipende strettamente la versione di collezione privata realizzata da Pasinelli (Dobos, 2001).

Flaminio morì a Modena il 6 agosto 1661 e venne sepolto nella chiesa di S. Vincenzo (Colombi Ferretti, 1977, p. 21 nota 5).

Fonti e bibliografia

Archivio di Stato di Modena, Cancelleria Ducale, Regolari, busta 51; Bologna, Biblioteca comunale dell’Archiginnasio, ms. B.863: B. Carrati, Cittadini bolognesi battezzati… (XIX sec.), p. 98. C.C. Malvasia, Felsina pittrice. Vite de’ pittori bolognesi, con aggiunte, correzioni e note inedite dello stesso autore, di Giampietro Zanotti e altri scrittori viventi, I, Bologna 1841, pp. 393 s.; Scritti originali del Conte Carlo Cesare Malvasia spettanti alla sua Felsina Pittrice, a cura di L. Marzocchi, Bologna [1983], pp. 329-335; G. Campori, Gli artisti italiani e stranieri negli Stati estensi, Modena 1855, pp. 469 s.; A. Venturi, La R. Galleria Estense in Modena, Modena 1882, p. 268; A.C. Quintavalle - A. Ghidiglia Quintavalle, Arte in Emilia. 1960-61, s.l. 1960, p. 109, tavv. 100-101; A. Colombi Ferretti, Bilancio su F. T., in Paragone. Arte, XXVIII (1977), 333, pp. 8-28; C. Volpe, Ancora sul Torre, per una importante aggiunta, ibid., pp. 28-36; Mostra di opere restaurate. Secoli XIV-XIX (catal.), a cura di C. Volpe - G. Guandalini, Modena 1980, p. 46; A. Colombi Ferretti, F. T., in L’arte degli Estensi. La pittura del Seicento e del Settecento a Modena e Reggio (catal.), Modena 1986, pp. 203-207; Disegni emiliani del Sei-Settecento. Come nascono i dipinti, a cura di D. Benati - A. Brogi - R. Roli, Cinisello Balsamo (MI) 1991, pp. 174-177; A.M. Ambrosini Massari, F. T., in La scuola di Guido Reni, a cura di M. Pirondini - E. Negro, Modena 1992, pp. 391-408; Tesori ritrovati. La pittura del Ducato estense nel collezionismo privato (catal.), Milano 1998, p. 120; Z. Dobos, Two hitherto unknown paintings by F. T., in Bulletin du Musée Hongrois des Beaux-Arts, 2001, n. 95, pp. 115-128; Figure come il naturale. Il ritratto a Bologna dai Carracci al Crespi (catal.), a cura di D. Benati, Milano 2001, pp. 71, 82 s.; Pinacoteca Nazionale di Bologna. Catalogo generale. III. Guido Reni e il Seicento, a cura di J. Bentini - G.P. Cammarota - A. Mazza, Venezia 2008, pp. 426-434; 25 anni di Fondantico. Dipinti dal XIV al XVIII secolo (catal.), a cura di D. Benati, Bologna 2017, pp. 57-64.

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