FLAUTO

Enciclopedia Italiana (1932)

FLAUTO (prob. di origine onomatopeica; fr. flûte; sp. flauto; ted. Flöte; ingl. flute)

Alfredo CASELLA
Francesco Vatielli

Si usa col vocabolo flauto indicare, per quanto non esattamente, quegli antichi strumenti a fiato che prendevano presso i Greci il nome di αὐλός e presso i Latini quello di tibia. Ora questi strumenti formati di tubi di diversa grandezza avevano anche imboccature di diverso genere e comprendevano oltre che strumenti a imboccatura naturale, anche strumenti ad ancia del genere del nostro clarinetto e degli oboi. Alcuni flauti poi erano a tubo doppio. Per notizie maggiori circa questi strumenti, v. auletica.

Due sorta di flauti furono usati in Europa, a cominciare dal sec. XIV: il flauto dritto e il traverso.

Il primo era conosciuto anche col nome di flauto dolce per la soavità del suo timbro. Era detto anche flauto a becco per la forma dell'imboccatura o flauto d'Inghilterra perché specialmente noto in quella nazione (sotto il vocabolo di recorder). Il flauto dolce era come uno zufolo composto di un tubo conico o cilindrico avente da tre a nove buchi che permettevano l'emissione di varî suoni. I flauti dolci formavano un'intera famiglia composta d'individui di diversa dimensione e di diverso diapason. Erano costruiti in legno duro (o anche in avorio) e per essi si usava una speciale intavolatura nella quale venivano indicati i buchi che dovevano essere tenuti chiusi o aperti per ottenere una data nota. Il flauto dolce a tre buchi era conosciuto in Provenza sotto il nome di gaboulet. Quello a sei buchi prendeva anche il nome di flageolet, rimasto a designare il tipo che di questa famiglia durò più a lungo.

Fu più degli altri praticato il flauto a nove buchi, noto e usato anche in Italia: un suonatore della Signoria di Venezia (Ganassi del Fontego) pubblicò un trattato nel 1585. I flauti dolci formavano una famiglia di cinque individui. Quello di registro basso data la sua lunghezza esigeva che il suonatore adoperasse un'imboccatura a serpentina analoga a quella che si usa nel fagotto. Oltre ai nove buchi i flauti dolci erano muniti di una chiave a forma biforcuta racchiusa in una specie di bossolo traforato. Nel flautone (che misurava oltre due metri di altezza) la chiave veniva azionata col piede. Per ottenere i suoni cromatici si chiudevano i buchi per metà. È naturale quindi che in questi strumenti l'intonazione fosse ben poco esatta e in generale la sonorità assai scarsa.

I flauti dolci furono molto usati (dal '500 al '700) sia nella musica religiosa sia in quella profana specialmente per accompagnare e rinforzare le voci nell'esecuzione di mottetti e di cantate. L'uso di flauti dolci si trova nelle Sinfonie sacre dello Schütz e nelle cantate di Bach. Sulla fine del '500 accompagnava le danze e il Lulli lo adoperò nelle sue opere. È da ricordare anche l'uso fattone dal Peri in un ritornello della sua Euridice e dal Banchieri in componimenti per organo. In Inghilterra lo usavano H. Purcell e G. F. Haendel; J. S. Bach lo introdusse nei suoi Concerti brandeburghesi.

Il flauto traverso è lo strumento che oggi è usato e designato senz'altro col vocabolo di flauto. Il movimento vibratorio è prodotto in questo strumento dal soffio che entro l'imboccatura praticata nel tubo si rifrange contro l'opposta parete, mettendo in vibrazione la colonna d'aria contenutavi e producendo così il suono. La maggiore intensità del soffio produce i suoni all'ottava alta. Il flauto traverso era diffuso contemporaneamente al flauto a becco, ma a tutta prima fu tenuto in minor pregio e più raramente praticato. Era noto anche col semplice termine di traverso o traversa. È menzionato in taluni poeti francesi del Tre e Quattrocento. A datare dal 1500 fu introdotto nelle bande militari, e le milizie elvetiche e spagnole usavano molto un modello di registro acuto, privo di chiavi e noto sotto il nome di fifre. Questo vocabolo non era altro che una corruzione del suffisso Pfeiff (Querpfeiff oppure Schweitzerpfeiff). Molto usato era tale strumento presso i Tedeschi, e per questo lo si designava anche col nome di flauto tedesco. Nel sec. XVI i flauti traversi componevano un'intera famiglia di quattro membri. Varî trattatisti, come l'Agricola e il Mersenne, li descrivono minutamente. In principio, privi di chiavi avevano sei buchi. I primi perfezionamenti del flauto traverso furono introdotti sulla fine del Seicento dal Denner con l'adozione di chiavi. Ma i maggiori meriti spettano a J. Joachim Quantz. Egli sostituì alla forma cilindrica del tubo la forma conica, aggiunse due chiavi, mise la pompa e lo zaffo mobile per regolare il rapporto esatto dei suoni armonici. Il metodo da lui scritto per tale strumento (Saggio di un metodo per imparare a suonare il flauto traversiere, Berlino 1752) è opera interessantissima anche per la musica del suo tempo.

Il Quantz aveva diviso lo strumento in tre parti, in modo da permettere, con la sostituzione di una di esse con una analoga di lunghezza diversa, varie intonazioni. Ciononostante, il flauto del Quantz era ben lontano dall'essere esente da gravi difetti. Peccava per inesattezza d'intonazione, per difficoltà nella diteggiatura, nella produzione dei suoni cromatici e dei passi di velocità. All'epoca di Quantz erano in uso nell'orchestra anche il flauto acuto in sol, il flauto basso in la e uno in si, conosciuto sotto il nome di flauto d'amore.

Coi perfezionamenti introdotti dai varî fabbricanti, il flauto raggiungeva cinque chiavi. Aumentare il numero di queste chiavi, migliorare il sistema di otturazione dei buchi, estendere la scala nel registro grave furono i principali intenti cui mirarono i diversi costruttori. Ma nessuno di questi si era occupato della divisione razionale del tubo per ottenere una buona intonazione. Questo risultato fu raggiunto solo più tardi da Teobaldo Boehm. Tra quelli che apportarono più notevoli perfezionamenti prima di lui furono: il Potter, il Tromlitz e il Nolan, il quale ultimo immaginò una chiave aperta il cui tasto terminava con un anello e permetteva di chiudere uno dei buchi laterali azionando la chiave stessa. La combinazione di questo duplice meccanismo fu molto importante. Nel 1831 il Boehm sorpreso per la pienezza dei suoni che otteneva un flautista inglese usando buchi più grandi, e avendo osservato le modificazioni geniali che un flautista dilettante, il Gordon, aveva apportato nelle chiavi, si pose a studiare una nuova riforma. Notò che, sostituendo il tubo cilindrico a quello conico, i suoni erano molto più uguali, il che era dovuto all'esatta proporzione tra tubo e aperture laterali. Ma il maggior suo merito fu quello di avere immaginato un meccanismo che permetteva di produrre undici semitoni cromatici intermedî tra la fondamentale e il suo primo armonico per mezzo di altrettanti buchi che aprendosi successivamente accorciavano la colonna d'aria in quantità proporzionali esatte.

Dopo una serie di calcoli e di esperienze giunse a determinare le proporzioni tra le colonne d'aria e il diametro dei buchi, fissò la forma dell'imboccatura e preparò una certa quantità di tubi, uguali, accorciandoli a mano a mano sino ad ottenere successivamente in ognuno di loro il susseguente suono cromatico superiore. Riuscito così l'esperimento nell'ambito di un'ottava, praticò i buchi in un tubo solo. Così poté avere i suoni esatti di due ottave. Per la terza ottava dovette fare buchi più piccoli e d'ineguale diametro. Si trattava ora di vincere le difficoltà del meccanismo. Come poter suonare un flauto a 15 buchi avendo a disposizione solo nove dita, dacché il pollice della destra serviva al suonatore per sostenere lo strumento? La difficoltà fu superata per mezzo della chiave ad anelli già ideata dal Gordon. Il dito, chiudendo un buco, tocca nello stesso tempo un piccolo cerchio che regge un'altra chiave rispondente ad altro buco, così che un solo dito è in grado di chiudere simultaneamente due fori anche distanti fra loro. Nei flauti più antichi i buchi erano disposti non tanto secondo i criterî di leggi acustiche, quanto secondo la necessità di una diteggiatura pratica: si capisce quindi quanto incerta e inesatta dovesse essere l'intonazione.

Questo problema fu risolto dall'adozione della chiave ad anelli. Il Boehm continuò poi a migliorare il suo strumento. Adottò tubi metallici per potervi applicare la pompa metallica (per l'ineguale capacità di vibrazione propria del legno, la pompa nei flauti anteriori non era stata usata) e fece la testa dello strumento in forma conica e la parte mediana in forma cilindrica.

Le applicazioni del Boehm non furono accolte subito favorevolmente. Si credette, soprattutto, che la sostituzione del metallo al legno e all'avorio nuocesse al timbro del flauto. Ma queste idee furono felicemente superate dall'innegabile bontà dello strumento.

Delle varianti del flauto oggi non è in uso che il flauto piccolo (ottavino) esattamente identico tranne che nelle dimensioni, ma tagliato un'ottava sopra. Si è tentato poi di ottenere flauti bassi, che però non sono stati adottati nella pratica musicale.

Uso in orchestra. - Durante molto tempo al flauto si serbò, in orchestra, quasi soltanto un carattere pastorale e bucolico, non contraddicente le antiche origini dello strumento. Col 1600 però, si produsse un primo sconfinamento dalle antiche possibilità con l'introduzione del fifre nelle musiche militari insieme con i tamburi, ottenendosi così anche un carattere marziale e bellico. Tuttavia, durante l'intero Settecento, il carattere pastorale rimane ancora classico e fondamentale. Ma già con Mozart tale carattere non è più l'unica ragione di essere dello strumento, e comincia a prodursi, nel tempo stesso che un sensibile allontanamento dall'imitazione "ornitologica" e dalla bucolica, un avvicinamento al carattere umano ed espressivo degli altri strumenti della famiglia dei fiati. Ma il flauto rimaneva però ancora sempre strumento tipico dell'agilità, della grazia, della purezza talvolta magica. Di questo uso sono mirabili esempî il solo dell'ouverture Leonora di Beethoven, quello che termina lo Scherzo del Sogno d'una notte d'estate di Mendelssohn e il famoso solo della sinfonia del Guglielmo Tell di Rossini. Con Berlioz, il flauto continua la sua evoluzione, tra l'altro con lo sfruttamento dei suoni gravi, così belli e, nel pp, prossimi al timbro della tromba. Con Wagner, lo strumento perde molto della sua funzione espressiva: la parte di soprano espressivo dei fiati viene affidata all'oboe, ed il flauto rimane quasi sempre confinato nella funzione brillante ma in certo modo meccanica di raddoppio degli acuti dell'orchestra. E così il carattere del flauto rimane senza molte modificazioni stazionario per tutta la fine dell'Ottocento. Con Debussy e con l'impressionismo però, l'antico flageolet riacquista vita (si ricordi la bellissima sonata debussyana per flauto, viola ed arpa) ed offre ai compositori nuove e ricche possibilità tecniche ed estetiche. Nel periodo a noi più vicino, poi, lo sviluppo della virtuosità sino ad un punto sconosciuto nello scorso secolo, e soprattutto lo sfruttamento dei registri estremi basso e sopracuto, conferiscono al flauto una nuova ragione d'essere nel complesso orchestrale. Citeremo qui - a dimostrazione di questa nuova fisionomia assunta dal flauto nell'ultimo ventennio - la Rapsodia spagnola, Dafni e Cloe e Bolero di Ravel, l'Uccello di fuoco versione seconda e soprattutto la Sagra della primavera di Stravinskij, Concerti di Malipiero ed il Concerto dell'Estate di Pizzetti, lavori tutti che dimostrano quante risorse possa ancora offrire il flauto.

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