FOLCACCHIERI, Folcacchiero

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 48 (1997)

FOLCACCHIERI, Folcacchiero

Elisabetta Putini

Nacque a Siena da Raniero, uno dei cittadini più in vista della città, nella prima metà del sec. XIII. Rimatore, di cui si conosce un solo componimento, la canzone "Tutto lo mondo vive sanza guerra", discendeva da una casata di lontane origini catalane, secondo il Torraca, provenzali, secondo il Ficker.

Dati precisi riguardanti i Folcacchieri cominciano a trovarsi a Siena nel 1208, quando Regitore Folcalkiere, senese, partecipò ad un giuramento di pace con i Fiorentini insieme con Monaldo: entrambi erano fratelli del padre del F., Raniero. Il nome di Raniero compare in numerosi atti e documenti. Dalle notizie che essi forniscono si sa ch'egli fissò la residenza a Siena, nel terzo di Camollia, dove i suoi discendenti continuarono a lungo ad abitare, e visse al servizio del Comune, lavorando per l'esercito come ufficiale dei casseri ed impegnandosi in varie attività pubbliche in città e a Monteriggioni. Era ancora vivo nel 1261-62; morì probabilmente prima del 1267. Raniero ebbe oltre al F. altri due figli: Mino, uomo politico, e Bartolomeo, o Meo, detto l'Abbagliato, rammentato da Dante (Inferno, XXIX, vv. 130-132) come uno dei dodici giovani senesi appartenenti a una nota brigata di gaudenti.

I dati biografici che si hanno sul F. sono pochi e controversi: i documenti raccolti hanno. date comprese fra il 1232 e il 1254 e forniscono notizie frammentarie.

Gli studi più recenti discordano circa le date relative al F. il Mazzi (che sul F. ha raccolto un'ampia documentazione) ne ipotizza la nascita intorno alla fine del sec. XII e la morte prima del 1260. Data, quest'ultima, di una pergamena dell'Archivio di Stato di Siena, costituente un atto di pace fra Siena e Firenze: tra i firmatari dell'atto è menzionato "Minus olim domini Folcaccheri". Si sarebbe potuto dar credito alla ricostruzione del Mazzi, se non fosse esistita un'altra pergamena (stesso atto, giorno, mese, anno e notaio) di cui si servì il Massera per confutare la precedente tesi: questa, infatti, non riporta quell'"olim", ma solo la dicitura "Minus domini Folcaccheri". Dinnanzi al contrasto di due documenti autentici e contemporanei, il Mazzi propose che il secondo potesse contenere un errore di trascrizione e tenne per buono il primo. Altri studiosi, fra cui il Bertoni, seguirono la sua ipotesi, e considerarono il F. morto prima del 1260. Per contro, anche la teoria del Massera, che prolungava l'esistenza del poeta, ebbe alcuni sostenitori. Così il Buzzelli che, nel 1949, collocò la data di morte del F. ben oltre quel 1260 e la nascita nel secondo decennio del sec. XIII. Questi, per stabilire la data di nascita, fece riferimento soprattutto a due documenti - uno del 1232 e uno del 1237 - dai quali rispettivamente si apprende che il F. venne condannato per essere stato sorpreso fuori casa di notte e che fu condotto davanti al pretore per disturbo della quiete notturna. Il Buzzelli ne dedusse che in quegli anni il poeta doveva essere piuttosto giovane. La morte del F., sempre secondo il Buzzelli, si collocherebbe oltre il 1275, sulla base di vari documenti che menzionano più volte, fino al 1277, il figlio come "Minus domini Folcacherii", senza traccia di "olim" davanti al nome paterno.

Dalla documentazione di archivio si sa che il F., come altri membri della famiglia, ebbe vari incarichi pubblici, militari e diplomatici. Fu cavaliere, e quasi certamente di fede ghibellina, poiché combatté contro Perugia con il podestà e con l'esercito al servizio dell'imperatore (1246). Partecipò nel 1250 alla cavalcata di Grosseto. Nel 1251 venne ricompensato con 3 lire per essere stato, con altri senesi, ambasciatore presso il conte Aldobrandini a Belforte e a Radicondoli; da una pergamena del 1252 si apprende che aveva perso il suo cavallo in battaglia contro i Fiorentini (cavallo che fu ripagato a Raniero, suo padre).

La canzone del F., attribuita chiaramente a lui nel codice che la tramanda - il Vat. lat. 3793, f 34 - mostra "forza e vivezza non comuni" (Bertoni). Nelle prime tre stanze il poeta dichiara il proprio malessere: una guerra continua e insidiosa gli impedisce di vivere in pace con se stesso "Tutto lo mondo vive sanza guerra / ed io pacie non posso aver neiente"). Anche il rapporto con gli altri è compromesso, e ogni dolcezza si trasforma in tormento: egli si smarrisce, perde la propria dimensione dell'essere, non comprende e non si comprende. Sentendosi incapace di esprimere questo male e le sue ragioni, vorrebbe fuggire, cercare conforto in qualcuno. Ma non può farlo e decide così di accettarsi, con tutto il proprio bagaglio di amarezze ("Non so onde fugire ... convenemi sofrire"). Dopo questa prima parte che potrebbe definirsi improntata a un flusso di coscienza, la canzone sembra giungere a una svolta. Nelle ultime due stanze il poeta mette a fuoco il suo male: un amore tiranno lo condanna quasi a uno smembramento della persona, monopolizzando il cuore e la mente, e lasciando il resto in balia del mondo. Così, in un crescendo di tono, ecco la stanza conclusiva: un appello alla donna amata a non lasciarlo morire, ad avere pietà di lui ("Merzè di me vi prenda"). Ma in questa sorta di preghiera si rivela un vigore inaspettato: il poeta proclama la propria ferma volontà di amare e di servire la sua donna, operando una scelta attiva nel rapporto amoroso e ritrovando, forse, la propria essenza smarrita.

È sconosciuta la data di composizione della canzone: si può azzardare l'ipotesi che sia stata scritta in un periodo di maturità espressiva, data l'armonia dei toni e delle parti che la compongono. Certo è che il F. con la sua opera, anche se unica, si pone meritevolmente nella generazione di quei poeti siculo-toscani - la stessa di Guittone d'Arezzo e di Bonagiunta Orbicciani - che trasportarono in area culturale diversa la poesia dei rimatori di scuola siciliana fiorita alla corte di Federico II di Svevia.

Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Siena, Riformagioni, perg. n. 713, 3genn. 1260 (61); Siena, Bibl. comunale, cod. E.IX.2: U. Benvoglienti, Lettere, II, f. 152 (lett. del 2 ag. 1702 a Zeno); L. De Angelis, Lettera apologetica in favore di F. d. F. …, Siena 1818; N. Tommaseo, Avvertimenti ai Ricordi di una famiglia senese del secolo decimo terzo, in Arch. stor. ital., App. IV, V (1847), p. 6; V. Nannucci, Manuale della lett. del I secolo della lingua italiana, Firenze 1858, I, pp. 16 s.; A. Borgognoni, in Propugnatore, I (1868), p. 307; ibid., IX (1876), p. 35; C. Mazzi, F. d. F., rimatore senese del sec. XIII, Firenze 1878; J. Ficker, Urkunden zur Reichs. und Rechtsgeschichte Italiens, Innsbruck 1884, pp. 454 ss.; P. Santini, Documenti della costituzione del Comune di Firenze, in Documenti dì storia italiana, X, Firenze 1895, pp. 152, 173; F. Torraca, Studio su la lirica ital. del Duecento, Bologna 1902, p. 319; F. Neri, I sonetti di Folgore da San Gimignano, Città di Castello 1914, pp. 17 ss.; A.F. Massera, Per la storia letteraria del Dugento, in Giorn. stor. della lett. ital., LXXV (1920), p. 209; C. Mazzi, F. d. F. e "l'Abbagliato", in Dante e Siena, Siena 1921, pp. 389-400, 401-419 (Illustrazioni all'albero); Id., Per F. d. F., in Giorn. stor. della lett. ital., LXXX (1922), p. 219; B. Buzzelli, F. d. F. da Siena, in Convivium, VI (1949), pp. 244-247; C. Muscetta - P. Rivalta, Poesia del Duecento e del Trecento in Parnaso ital., I (1956), pp. 433 s.; G. Bertoni, Il Duecento, in Storia letteraria d'Italia, Milano 1973, p. 19; G. Petrocchi, La Toscana del Duecento, in Storia d. letter. ital. (Einaudi), I, Torino 1987, pp. 192-198; Encicl. dantesca, I, Roma 1984, p. 9.

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