GIACHETTI, Fosco

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 54 (2000)

GIACHETTI, Fosco

Caterina Cerra

Nacque a Sesto Fiorentino il 28 marzo 1900 (e non a Livorno nel 1904 come affermato nei Chi è? del 1940 e 1948), da Alessandro e da Margherita Giachetti, primo di tre fratelli.

Trascorse l'infanzia nel paese natale, dove, fin dalle scuole elementari, dimostrò la sua passione per la recitazione partecipando e organizzando spettacolini scolastici. Contro la volontà paterna, interruppe presto gli studi per dedicarsi interamente al teatro e, ancora adolescente, prese a frequentare le filodrammatiche della propria regione, iniziando dalla Filodrammatica sestese. Nei primi anni Venti la sua attività si spostò sempre più verso le numerose compagnie dialettali presenti a Firenze, dove conobbe Vera Calamai, giovane attrice che sposò nel 1924, a Città della Pieve. Nel 1926, anno di nascita dell'unico figlio Luciano, il G., insieme con la moglie, si unì come attor giovane alla compagnia di E. Zacconi. Nella stagione 1928-29, appoggiato dallo stesso Zacconi, passò alla compagnia di Margherita Bagni e R. Ricci, grazie alla quale ebbe modo di farsi notare da Tatiana Pavlova. La regista e attrice russa, allieva di V. Stanislavskij, lo chiamò quindi a far parte della Compagnia d'arte, da lei fondata insieme con R. Cialente.

In quel periodo il teatro della Pavlova, anche dal punto di vista del repertorio, era particolarmente innovativo per l'Italia: nei sei anni passati con la Compagnia d'arte il G. recitò in Uragano di A.N. Ostrovskij, La signora Falkenstein di P.M. Rosso di San Secondo, Un giorno d'ottobre di G. Kaiser (particolarmente apprezzata la sua interpretazione del macellaio), Un albergo sul porto di U. Betti, Nina di B. Frank. Furono comunque anni determinanti per la formazione del G., che dovette confrontarsi con un metodo molto differente da quello, più tradizionale, sperimentato in precedenza, anni in cui ebbe occasione di lavorare con registi del calibro di G. Salvini e A.G. Bragaglia.

Al 1933 risale il passaggio fortuito al cinema, che si rivelò determinante per la sua futura carriera: incontrato per caso M. Bonnard, questi gli propose una parte di secondo piano nel film giallo, da lui stesso scritto e prodotto, Il trattato scomparso; nello stesso anno fu, accanto alla Pavlova, in Creature della notte di A. Palermi. Nel 1934 - ultimo anno con la compagnia Pavlova-Cialente - il G. fu contemporaneamente impegnato in ben tre film: L'avvocato difensore di G. Zambuto, L'ultimo dei Bergerac di G. Righelli e Luci sommerse di A. Millar, che lo vedono ormai in parti da coprotagonista. Nel 1935 il G. si divise per l'ultima volta tra la scena e lo schermo: abbandonò il teatro dopo aver recitato in La figlia di Iorio di G. D'Annunzio, con la compagnia di Marta Abba, sotto la direzione di L. Pirandello. Frattanto aveva avuto inizio il fruttuoso sodalizio con il regista e drammaturgo G. Forzano, che ebbe come primo frutto il film I fiordalisi d'oro (1936).

Forzano era, tra l'altro, a capo del Cinevillaggio Pisorno, da poco fondato a Tirrenia; qui il G. si trasferì a lavorare per lunghi periodi avendo così la possibilità di dedicarsi anche a due sue grandi passioni: la caccia e l'equitazione. Del 1936 sono pure Cuor di vagabondo, regia di J. Epstein, e Tredici uomini e un cannone, ancora di Forzano. In quest'ultimo film, ambientato durante la prima guerra mondiale, il G. interpretava il ruolo di un soldato, inaugurando la lunga galleria di "uomini duri" e in divisa che caratterizzarono gran parte della sua carriera.

Il successo arrivò proprio in quell'anno con Squadrone bianco di A. Genina, melodramma coloniale, in cui il G. è il rude capitano Santelia. Presentata alla Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia, l'opera vinse la coppa Mussolini come miglior film italiano, ottenendo un enorme successo di critica e, soprattutto, di pubblico: da allora in poi il G. venne consacrato attore di regime, mito nazionalpopolare ed eroe italiano per antonomasia.

Come ha scritto G.C. Castello, "Un personaggio tipico del cinema italiano dell'era fascista fu Fosco Giachetti, la cui asciutta bruschezza convenne ad altri eroi "positivi", quelli di "epopee" militari sul genere di Squadrone bianco e L'assedio dell'Alcazar: tale sua disadorna modernità di recitazione valse così da contrappeso alla potenziale o effettiva retorica di un cinema di costume e soprattutto "in divisa". Con il decadere di quel tipo di film, legato spesso alle contingenze politiche, decaddero anche il personaggio e l'attore Giachetti".

Sentinelle di bronzo di R. Marcellini, del 1937, vede il G. nei panni del coraggioso capitano Negri, alle prese con gli Abissini durante la guerra di Etiopia: alla Mostra di Venezia di quell'anno la pellicola ottenne la coppa del ministero dell'Africa orientale italiana come miglior film di soggetto coloniale; sempre del 1937 è Scipione l'Africano di C. Gallone, in cui il G., truccatissimo, porta la maschera di Massinissa. Anche quando non sono militari, i suoi personaggi vestono spesso panni coloniali ed esotici; del 1938 sono L'ultima nemica di U. Barbaro, La signora di Montecarlo di A. Barthoumieu e M. Soldati, Orgoglio di M. Elter e Giuseppe Verdi di Gallone, con il G. nel ruolo del musicista.

La sua carriera era ormai in costante ascesa: nel referendum indetto dalla rivista Cinema, tra il 1939 e il 1940, il G. risultò essere il secondo attore più popolare dopo A. Nazzari. Lo sguardo accigliato, il naso prominente, accompagnati da una recitazione dai toni cupi e sobriamente solenni, contribuirono a costruire la sua immagine di divo ruvido e compassato, che ben si prestava a incarnare l'italiano coraggioso e virile, animato da saldo spirito patriottico, in un paese dove già aleggiavano venti di guerra.

Il biennio 1939-41 vide il G. impegnato in numerose produzioni, tra cui si ricordano Il sogno di Butterfly di Gallone, Uragano ai tropici di G. Talamo e P. Faraldo, Carmen fra i rossi di E. Neville, il già menzionato Assedio dell'Alcazar di Genina, La peccatrice di A. Palermi, Fari nella nebbia di G. Franciolini, Ridi pagliaccio! di C. Mastrocinque. Il successivo 1942 fu un anno di grandi riconoscimenti per lui, presente alla Mostra di Venezia con ben tre film: Bengasi di Genina, il dittico, di grande successo, Noi vivi, Addio Kira! di G. Alessandrini, e Un colpo di pistola di R. Castellani, tratto da un racconto di A.S. Puškin. Per la sua interpretazione in Bengasi, dove è ancora un capitano che combatte in Cirenaica, il G. ottenne la coppa Volpi come miglior attore.

È indicativo del grado di popolarità raggiunto, l'episodio, avvenuto quello stesso anno a Trieste, durante le riprese di La statua vivente di Mastrocinque, quando alcune ammiratrici sequestrarono il G. per un'intera giornata.

Già nel corso della seconda guerra mondiale i personaggi da lui interpretati vennero progressivamente spostandosi verso caratterizzazioni più borghesi. Il dopoguerra segnò invece l'inizio del lento tramonto del G., i cui tratti scolpiti e la marcata retorica poco si adattavano alla nuova ondata di film neorealisti.

I ruoli da protagonista furono sempre meno frequenti, pur non mancandone alcuni di rilievo, come in L'abito nero da sposa di L. Zampa (1945), La vita ricomincia di M. Mattoli (1945), I maledetti di R. Clément (1947), I fratelli Karamazoff di G. Gentilomo (1948), L'amante di una notte ancora di Clément (1950) e Romanticismo di C. Fracassi (1951).

Nel 1949, si ebbe il suo ritorno al teatro, di nuovo accanto alla moglie; con una compagnia che li vide uniti a Laura Carli, F. Scelzo, e Bella Starace-Sainati, misero in scena Beffardo di N. Berrini e Il nostro viaggio di G. Gherardi. Fu un evento episodico destinato a ripetersi solo altre due volte: nel 1957-58, quando il G. si unì alla compagnia del teatro Stabile di Napoli e, nel 1963 a San Miniato, per l'ultima apparizione sulle scene, con Il primogenito di C. Fry. Negli anni Cinquanta, viceversa, molte nuove possibilità vennero offerte dalla televisione, e il G. approfittò del nuovo mezzo di comunicazione per mantenere e rinverdire la sua popolarità.

Numerose furono le apparizioni sul piccolo schermo a partire dal 1954, con Il processo di Mary Dugan di C. Fino. Prese quindi parte, in ruoli di varia importanza, ad alcuni dei più noti sceneggiati e commedie televisivi dell'epoca quali Un colpo di pistola del 1964 - remake del lavoro da lui già interpretato al cinema - diretto da G. Giagni; Una tragedia americana (1962), La cittadella (1964) e David Copperfield (1965) tutti e tre per la regia di A.G. Majano; Il conte di Montecristo regia di E. Fenoglio (1966); I promessi sposi (1967), Le mie prigioni (1968) e I fratelli Karamazoff (1969) diretti da S. Bolchi.

Negli ultimi anni della sua vita furono sempre più frequenti i lunghi periodi di ritiro a Sesto Fiorentino, e, vista la sporadicità degli impegni cinematografici, il G. si occupò anche alla radio, lavorando spesso a Radio Firenze con il regista U. Benedetto. Il cinema gli riservava ormai rare e brevi apparizioni, come in Scipione detto anche l'Africano di L. Magni (1971), Il conformista di B. Bertolucci (1971) e, l'ultima, in L'erede di Ph. Labro (1972).

Il G. morì a Roma il 22 dic. 1974.

Fonti e Bibl.: Puck, Galleria: F. G., in Cinema, 25 apr. 1939, pp. 274 s.; P. Osso, F. G., il nostro prototipo, Milano 1942; G.C. Castello, Il divismo: mitologia del cinema, Torino 1957, p. 407; F. Borghini, F. G., Firenze 1989; Enc. dello spettacolo, V, coll. 1199 s.; Filmlexicon degli autori e delle opere, II, coll. 1021 ss.; Diz. del cinema italiano - Gli attori, Roma 1998, pp. 232 s.

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