FOTOSINTESI

Enciclopedia Italiana - V Appendice (1992)

FOTOSINTESI

Gaspare Mazzolani

(XV, p. 817; App. II, I, p. 968; III, I, p. 667; IV, I, p. 850)

La luce è la principale sorgente di energia nella biosfera. Le cellule vegetali contengono, nei cloroplasti delle piante superiori e in altre più semplici strutture delle alghe e dei batteri, i sistemi pigmentari fotosintetici mediante i quali assorbono selettivamente radiazioni della zona visibile dello spettro e, talvolta, dell'infrarosso, e convertono questa energia elettromagnetica in energia di legami chimici.

La reazione globale della f., riassunta nell'equazione

(dove (CnH2nOn) indica i carboidrati prodotti), mostra: a) che il processo comporta un aumento di energia libera dei suoi reagenti chimici; b) che esso ricicla la CO2 ambientale derivante dalla respirazione degli organismi e dalla combustione di sostanze organiche; c) che reintegra il contenuto di O2 dell'atmosfera.

La f. con svolgimento di ossigeno è propria degli organismi Eucarioti (piante verdi) e, fra i Procarioti, dei Cianobatteri (Alghe azzurre). I batteri fotosintetici (Procarioti), pur assorbendo luce per la riduzione della CO2, non svolgono ossigeno e utilizzano donatori di elettroni diversi dall'acqua, secondo la relazione

dove AH2 e A indicano la forma ridotta e quella ossidata di un donatore di elettroni che può essere una sostanza inorganica presente nell'ambiente (per es. H2S ed S). Alcuni batteri utilizzano come donatori di elettroni composti organici (acidi organici, alcoli, zuccheri) prodotti dal loro stesso metabolismo. Le due fasi della f. (luminosa e oscura), benché ormai note nelle linee generali, constano di sequenze di reazioni ancora oggetto di attive ricerche, perché specialmente gli eventi primari si studiano con difficoltà per la velocità con cui si svolgono e per la loro complessità e scarsa accessibilità. Gli esperimenti ingegnosi ed eleganti escogitati per scoprire le proprietà del sistema con cui l'energia solare viene trasferita all'apparato fotosintetico delle piante sono stati indiretti, e si sono valsi, tra l'altro, delle tecniche spettrofotometriche, spettroscopiche e fluorimetriche, di cristallografia a raggi X, e della frattura per congelamento (freeze etching) per lo studio in microscopia elettronica delle membrane tilacoidi.

Gli eventi fotochimici primari della f., il trasporto di elettroni, la fotofosforilazione sono già stati illustrati nella IV Appendice, con riferimento alla teoria di R. Hill e F. Bendall (1959), confermata da un gran numero di esperimenti che si sono venuti conducendo coi metodi più diversi negli ultimi 30 anni. Vari passaggi del processo fotosintetico nelle piante verdi non sono ancora del tutto chiariti nello svolgimento delle tappe in cui ognuno di essi si articola, pur nel quadro globale abbastanza definito.

Va tenuto presente che l'assorbimento di un fotone da parte di un atomo o molecola ne modifica la configurazione associata agli elettroni di valenza, portando l'atomo o la molecola in stato eccitato, nel quale possiede più energia che in quello fondamentale; nella f., l'assorbimento dell'energia luminosa si compie nei due centri di reazione (P680 e P700), verso ciascuno dei quali l'energia stessa è convogliata da un complesso-antenna di circa 300 molecole di clorofilla e altri pigmenti accessori, con cui i centri di reazione formano rispettivamente il fotosistema 2 (PS2) e 1 (PS1). Di essi, il PS2 funziona a potenziali redox positivi tali da permettere l'ossidazione dell'acqua; il PS1, collegato in serie col primo, utilizza gli elettroni prodotti dalla fotolisi dell'acqua per la fotoriduzione del NADP+. I centri di reazione sono le speciali molecole, o aggregati di molecole di clorofilla direttamente connessi alla catena di trasporto di elettroni. La cooperazione fra i due fotosistemi (effetto Emerson) ha dimostrato che vi sono due sistemi di pigmenti, con spettri di assorbimento non identici.

L'ossidazione dell'acqua, secondo la relazione

è una delle reazioni più importanti, ma anche finora meno conosciute, della fotosintesi. Essa esprime il compito chimicamente non facile che ben 4 elettroni debbano essere rimossi da due molecole di acqua prima che si possa svolgere ossigeno molecolare.

Il flusso di elettroni dall'acqua alla CO2 procede contro un gradiente elettrochimico di circa 1,4 volt, una barriera notevole, che non può essere superata con un solo quanto di energia luminosa. Si ritiene ora che occorrano 2 quanti per il trasporto di ciascun elettrone, ma i rendimenti quantici più alti osservati in vivo sono di 10 (e non di 8) quanti per mole di CO2 organicata. Ciò sembra debba essere messo in relazione all'impiego di quanti di luce per formare l'ATP richiesto in più rispetto al NADPH (3 molecole contro 2) per permettere il funzionamento del ciclo di Calvin.

I donatori e gli accettori formanti le catene di trasporto degli elettroni determinano lo svolgimento del processo attraverso numerose tappe, che riducono al minimo la dissipazione di energia.

Benché nella membrana dei tilacoidi abbondino le cariche positive e negative, esiste un meccanismo capace di impedire che un elettrone che ha acquisito l'energia di un fotone si ricombini con una carica positiva e liberi energia come calore o come fluorescenza.

Secondo il modello chemiosmotico di P. Mitchell, l'accumulo di protoni all'interno del sacco tilacoide e di elettroni all'esterno di esso stabilisce un gradiente di protoni che fornisce l'energia necessaria per la fotofosforilazione, e dà l'importante indicazione dell'asimmetria della membrana del tilacoide sia sotto l'aspetto strutturale, che sotto quello biochimico. Il rendimento quantico della f. (espresso come CO2/hν o O2/hν), generalmente elevato, è stato oggetto d'intenso dibattito sia per la difficoltà di misurare i fotoni assorbiti dai sistemi pigmentari fotosintetici, sia perché esso è diverso alle diverse lunghezze d'onda della luce. Il rendimento quantico dipende pure dalla distribuzione dell'energia di eccitazione nei due fotosistemi. Poiché il PS2 ha un apparato-antenna maggiore del PS1, se questo non è in grado di utilizzare prontamente gli elettroni prodotti dai fotoni assorbiti dal PS2, l'energia di essi viene dissipata come calore o fluorescenza. La fluorescenza, che rappresenta un evento dannoso per il cloroplasto, ha, peraltro, fornito una delle tecniche più utili per studiare la f., perché gli spettri di emissione della fluorescenza permettono di distinguere tra loro le molecole dei pigmenti che svolgono diverse funzioni (il PS1 ha fluorescenza massima a λ = 735 nm e bande minori a 684 e 695 nm; il PS2 a 685 e 695 nm).

Fotosintesi delle piante CAM. - Nella IV Appendice è stata descritta la via di assimilazione fotosintetica della CO2 propria di certe piante tropicali e subtropicali come il sorgo, il mais, la canna da zucchero, dette piante C4 perché in esse la CO2 viene anzitutto incorporata in acidi organici a 3 atomi di C che con essa formano acidi a 4 atomi di C nelle cellule del mesofillo, e il ciclo di Calvin si svolge nelle cellule verdi che circondano i fasci vascolari. La via permette a queste piante di avere un'efficienza fotosintetica elevata con bassissime concentrazioni di CO2 nell'atmosfera, purché vi sia forte intensità luminosa. La via richiede peraltro due ATP in più per mole di CO2 assimilata, ma questo dispendio risulta compensato dal fatto che nelle piante C4 non ha luogo la fotorespirazione, fonte di dissipazione energetica nelle piante C3.

Parecchie piante grasse e succulente dei climi caldi presentano una variante del metabolismo della CO2 indicata come metabolismo acido delle Crassulacee (abbr. CAM = Crassulacean Acid Metabolism). Le piante CAM, che contengono gli stessi enzimi operanti nel ciclo C4, hanno gli stomi aperti nelle ore notturne, durante le quali la carbossilazione del fosfoenolpiruvato (PEP) a malato determina un accumulo di acido malico. Nelle ore del giorno, a stomi chiusi, l'acido malico viene decarbossilato e così si libera la CO2 necessaria per far funzionare il ciclo di Calvin. La via CAM costituisce un adattamento per limitare la perdita d'acqua durante il giorno. La pianta CAM di maggiore importanza economica è l'ananas.

Fotosintesi batteriche. - Alcune famiglie di batteri si comportano attualmente come quelli che più di 3 miliardi di anni fa si ritiene abbiano sviluppato per primi un processo per catturare l'energia solare. L'attività fotosintetica dei Procarioti (con l'eccezione dei Cianobatteri o Alghe azzurre) è anossigenica e permette loro di vivere in ambienti anaerobi fortemente riducenti, quali i fondali fangosi di laghi e paludi e le fanghiglie degli estuari. Essi sono avvantaggiati dal fatto che i loro pigmenti tipici (batterioclorofille) assorbono nell'infrarosso, fra 700 e 1050 nm, quindi in bande dello spettro elettromagnetico in cui non v'è competizione da parte di altri organismi fotosintetici.

I batteri verdi (Chlorobiaceae) e i batteri rossi sulfurei (Chromatiaceae o Thiorhodaceae) sono rigorosamente anaerobi e autotrofi fotolitotrofici; essi utilizzano come potere riducente composti ridotti dello zolfo come H2S, solfiti, tiosolfati, ecc.; talora, se possiedono enzimi idrogenasici, anche l'idrogeno molecolare, che è presente spesso in notevole quantità, ma a bassa concentrazione, negli ambienti anaerobi. I batteri rossi non sulfurei (Rhodospirillaceae) hanno grande versatilità metabolica, utilizzano come riducenti sostanze organiche (acidi organici, amminoacidi, alcoli, zuccheri e raramente anche H2S) e sono anaerobi facoltativi e fotosintetici facoltativi, il che li mette in grado di crescere autotroficamente alla luce in ambiente privo di ossigeno, o eterotroficamente (ed eventualmente chemiorganotroficamente) al buio in presenza di ossigeno. Da ricordare infine i batteri della famiglia delle Chloroflexaceae, che vivono in acque calde termali e hanno metabolismo paragonabile a quello delle Rodospirillacee.

I batteri fotosintetici hanno un solo centro di reazione e un complessoantenna di 50-200 molecole di batterioclorofille. Il lavoro che compiono a spese dell'energia della luce è minore che nelle piante verdi. Essi, infatti, estraggono elettroni da substrati a potenziali redox sensibilmente negativi (− 250 mV della coppia S + 2 H+/H2S; − 330 mV per malato/piruvato; − 420 mV per 2 H+/H2) rispetto a quello dell'acqua (+ 0,81 mV). Gli elettroni prodotti fluiscono spontaneamente al centro di reazione, che ha potenziale redox tra + 250 e + 500 mV, a seconda delle famiglie. Non vi è qui necessità di un sistema corrispondente al PS2 delle piante verdi, che fornisca fotochimicamente l'energia necessaria all'ossidazione dell'acqua.

I batteri fotosintetici e i Cianobatteri utilizzano il coenzima NADH in luogo del NADPH utilizzato dalle piante verdi.

I batteri verdi (Clorobiacee), immobili, debbono il colore verde alle batterioclorofille e piccole quantità di carotenoidi, associati a vescicole (clorosomi) rivestite di un unico strato lipidico, addossate alla membrana citoplasmatica ed esterne a essa. Il potenziale redox del centro di reazione è di + 250 mV e quello dell'accettore primario, che è una proteina a Fe-S, molto più basso (più negativo) di circa − 550 mV, ciò che permette a questi batteri di compiere la riduzione diretta del NAD+ a NADH, via ferridossina, secondo un percorso non ciclico di trasporto degli elettroni. Questo percorso coesiste con un altro, ciclico, che si richiude al centro di reazione, e lungo il quale si ha sintesi di ATP. Gli elettroni rimossi dal centro di reazione e impegnati nel percorso non ciclico debbono essere rimpiazzati affinché la f. possa continuare. Ciò avviene, attraverso il citocromo c555, in una via, della quale sono ancora poco noti i dettagli, che parte dai substrati solforati ridotti. Non sono presenti nelle Clorobiacee alcuni enzimi del ciclo di Calvin e per esse è stato proposto come meccanismo di riduzione della CO2 il ciclo degli acidi tricarbossilici (ciclo di Krebs), funzionante in senso inverso, ove la CO2 viene ridotta usando come accettori acidi organici esterificati dal coenzima A (acetilCoA, succinil-CoA) e chetoacidi, e come riducente la ferridossina. Non è noto, peraltro, se il ciclo di Krebs invertito sia il meccanismo, e il solo, che sta alla base della riduzione della CO2 in questi batteri.

I batteri sulfurei rossi (Cromatiacee), con varie specie dotate di motilità polare, occupano posizioni a profondità diversa secondo le variazioni di concentrazione di H2S nell'acqua nelle diverse ore del giorno. Contengono batterioclorofilla a, che assorbe oltre gli 800 nm, e parecchi carotenoidi, a cui debbono le loro colorazioni aranciate, porporine o brune. Questi pigmenti sono contenuti in un sistema di membrane vescicolari intracitoplasmatiche. Il centro di reazione è a potenziale redox più positivo che nelle Clorobiacee e l'accettore primario di elettroni è un ubichinone a potenziale redox tra − 50 e − 120 mV, insufficiente per la riduzione del NAD+, che in questi batteri ha luogo mediante l'inversione della NAD-deidrogenasi a spese del gradiente di protoni, e ottenendo elettroni da un donatore esterno, come l'idrogeno molecolare o un composto ridotto dello zolfo.

Sia le Cromatiacee che le Clorobiacee dipendono criticamente dalla disponibilità di composti riducenti dello zolfo e dalla luce, in quanto, essendo anaerobi obbligati, mancano di meccanismi alternativi respiratori. Non sono noti i particolari dell'ossidazione dei solfuri. Uno dei prodotti della loro ossidazione è lo zolfo, che in diverse specie si accumula all'interno delle cellule. L'ossidante terminale dei solfuri sembra sia il citocromo c, che fornisce direttamente elettroni al centro di reazione fotosintetica. Sullo zolfo elementare tutti i batteri fotosintetici possono crescere ossidandolo fino a solfato. Nel sistema di ossidazione dello zolfo a solfato un enzima conosciuto è l'adenilfosfosolfato (APS)-riduttasi, che produce adenilfosfosolfato da AMP e solfito; successivamente si formano una molecola di ATP e una molecola di AMP da due molecole di ADP, una delle quali proveniente da APS in cui il gruppo solfato è stato sostituito da fosfato.

Nei batteri purpurei la riduzione della CO2 avviene prevalentemente utilizzando il ciclo di Calvin. Talora gli habitat delle Clorobiacee e delle Cromatiacee si sovrappongono, e in tal caso si formano popolazioni miste che costituiscono dense pellicole rosso brune nei fondali.

I batteri rossi non sulfurei (Rhodospirillaceae), a cellule mobili, sono anaerobi facoltativi e vivono in strati più superficiali nella zona di transizione tra acque anaerobie e acque ossigenate, associati a batteri decompositori, i quali forniscono loro molecole organiche semplici, essendo essi incapaci d'intaccare le macromolecole organiche. Le specie meglio conosciute appartengono al genere Rhodopseudomonas. La loro flessibilità metabolica ne fa ottimi materiali da ricerca, in quanto possono vivere, in natura e in coltura, fotosinteticamente o eterotroficamente. Nel primo caso, alla luce e in assenza di ossigeno, le cellule sviluppano estese invaginazioni della membrana cellulare nella parte più esterna del citoplasma, consistenti in tante vescicole fotosintetiche cave, a doppio strato lipidico, nel cui spessore sono inclusi i centri di reazione. Nel secondo caso, in cellule cresciute in presenza di ossigeno, tali strutture sono completamente assenti.

Applicando le tecniche di genetica molecolare si sono ottenuti mutanti nei quali la funzione fotosintetica è soppressa per la perdita dei geni che la esprimono. Osservando una coltura vicino all'estremo rosso, le colonie batteriche non mutate sono appena visibili, mentre quelle mutate appaiono molto luminose, dal momento che riemettono per fluorescenza l'energia luminosa che non sono più in grado di utilizzare. I mutanti sopravvivono senza f. in quanto ricavano l'energia necessaria al loro accrescimento da un meccanismo indipendente, attivando il metabolismo respiratorio.

L'organizzazione del centro di reazione fotosintetica in Rhodopseudomonas è stata visualizzata mediante l'interpretazione di diffrattogrammi forniti dalla cristallografia a raggi X, mentre con la spettroscopia di assorbimento si è potuta determinare la collocazione temporale e la sequenza di reazioni che costituiscono i primi stadi della fotosintesi. I passi successivi della f. delle Rodospirillacee non sono così ben conosciuti come il loro centro di reazione.

Oltre che per la riduzione della CO2, la f. batterica viene utilizzata dalle Rodospirillacee e da qualche Cromatiacea per altre importanti funzioni come la riduzione dei nitrati e dei solfati, e dell'azoto molecolare, che esse fissano direttamente dall'atmosfera, riducendolo ad ammoniaca per mezzo di ATP e di elettroni prodotti per fotosintesi.

Tutti i batteri fotosintetici svolgono un'importante funzione ecologica, perché eliminano cospicue quantità di composti ridotti tossici dello zolfo, originati, insieme a H2 e CO2, dalla decomposizione anaerobica di sostanze organiche, e accumulati sul fondo dei bacini di acque stagnanti o poco mosse. Per questa loro proprietà si è pensato di utilizzarli per la depurazione di acque inquinate.

Bibl.: A. Trebst, M. Avron, Photosynthesis, i, in Enc. Pl. Physiol., n.s., 5, Berlino 1977; M. Gibbs, E. Latzko, Photosynthesis, ii, ibid., 6, 1979; L. A. Stahelin, C. J. Arntzen, Photosynthesis, iii, ibid., 19, 1986; F. M. Harold, The vital force, a study of bioenergetics, New York 1986; J. Amesz, Photosynthesis, Amsterdam 1987; L. Stryer, Biochemistry, New York 1988.

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