ALCIATI, Francesco

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 2 (1960)

ALCIATI, Francesco

Nicola Raponi

Nato a Milano nel 1522, parente, ma non proprio nipote - come in genere si ripete - del celebre giureconsulto Andrea Alciato, ne subì l'influsso e ne segui l'orientamento negli studi. Fu all'università di Pavia e di Bologna, dove ascoltò anche le lezioni di Ugo Boncompagni, il futuro Gregorio XIII, avendo per compagni O. Truchsess, R. Pole, C. Madruzzo, S. Osio e A. Farnese, che avrebbero in seguito occupato posti di primissimo piano nella carriera ecclesiastica e nella vita politico-religiosa. Conseguito il dottorato in utroque iure, continuò a Pavia gli studi sotto la guida di Andrea, il quale lo indirizzò a quella forma colta di esegesi del diritto propria dell'umanesimo giuridico. Per suo mezzo conobbe insigni giuristi e umanisti d'oltralpe; a Pavia fu in rapporti di amicizia specie con G. Cardano, cui riuscì ad ottenere nel 1562 la condotta allo Studio di Bologna (il Cardano poi gli dedicò varie sue opere, lo ricordò nell'autobiografia e lo designò suo esecutore testamentario).

Dotato, come Andrea, di vasta cultura umanistica, ancora assai giovane - lo chiamavano "l'Alciatino" per distinguerlo dall'altro ormai famoso - ricevette, nel 1549, l'invito di recarsi a leggere nello Studio di Dòle, in Borgogna. Ma per quanto la richiesta fosse fatta dal presidente del Supremo Consiglio d'Italia, A. de Granvelle (suo padre, N. Perrenot de Granvelle, era consigliere al Parlamento di Dôle e con ambedue aveva avuto rapporti d'amicizia Andrea Alciato), l'A. su consiglio del parente, preferì restare a Pavia. Quivi, morto Andrea il 12 genn. 1550, lo sostituì, sin dal 1 febbraio successivo, nella cattedra di diritto civile, tenendola ininterrottamente sino al 1560.

Designato da Andrea erede universale, entrò in possesso di un notevole patrimomo. Avrebbe dovuto anche provvedere alla pubblicazione delle sue opere inedite e a tale scopo trattò, per mezzo di B. Amerbach, con l'editore svizzero Isingnin; ma sia per il disordine dei manoscritti sia soprattutto per le difficoltà intercorse tra l'Amerbach e l'editore, solo più tardi riuscì a pubblicare l'undicesimo e il dodicesimo libro dei Parerga (ΠΑΡΕΡΓΩΝ iuris libri duo ultimi XI videlicet et XII domino Andrea Alciato auctore, Lugduni 1554) e una serie di pareri legali (Responsa numquam antehac excussa, Lugduni 1561 e poi altre edizioni successive).

A differenza di Andrea l'attività dell'A. fu modesta. Appartengono assai verosimilmente al periodo d'insegnamento pavese alcuni suoi scritti contenuti in quattro codici miscellanei - ora andati distrutti - conservati fino al 1943 nella Biblioteca Trivulziana di Milano (cfr. G. Porro, Catalogo dei Codici manoscritti della Trivulziana, Torino 1884: codd. 1601-1604): Allegationes et consulta tiones, risposte e pareri legali analoghi a quelli di Andrea editi da lui; Consigli in materia di duello; Orationes: quasi certamente discorsi tenuti in occasione dell'aggregazione di nuovi membri al collegio dei giurisperiti.

A Pavia l'A. ebbe sempre un attento e quieto uditorio di scolari, a differenza di Andrea che lo trovava piuttosto rumoroso. Per la sua carriera fu determinante che tra essi vi fosse Carlo Borromeo: è difficile dire se fin da allora corressero tra i due rapporti di amicizia; certo in occasione dell'addottoramento di questi, il 6 dic. 1559, fu l'A. che tenne il discorso consueto, cui il giovane rispose e ringraziò con un indirizzo pieno di lodi e i fatti successivi confermarono l'alta stima che il Borromeo aveva del maestro. Quando con l'elezione di Pio IV, milanese, furono chiamati in Curia ottenendovi posti direttivi un gran numero di prelati e personaggi lombardi, anche l'A., certo su richiesta o indicazione del Borromeo, fu chiamato a Roma, con ogni probabilità verso la fine del 1560.

Eletto vescovo, il 5 sett. 1561 era nominato alla sede di Civita, unita poi nel 1572 a quella di S. Severo: conservò la sua diocesi anche da cardinale, rinunciandovi solo nel 1580 poco prima della morte; ma non vi risiedette mai, trattenuto in Curia da importanti uffici. Già referendario utriusque signaturae, nel concistoro del 19 nov. 1561 assunse l'ufficio di datano, succedendo al cardinale Simonetta nominato legato al concilio di Trento. Preposto, col vescovo "Galesius Regardius" beneficus ecclesiasticis tribuendis, concorse alla riforma in materia di benefici che Pio IV sin dai primi del 1562 aveva deciso di attuare parallelamente a quella che veniva decretata a Trento. Nella creazione del 12 marzo 1565, in cui ebbero la porpora ben sei milanesi e altri della cerchia del Borromeo, anche l'A. venne creato cardinale. Ascritto all'ordine dei diaconi, ebbe il titolo di S. Lucia in Septisolio, poi di S. Susanna e infine di S. Maria in Porticu; il 22 giugno 1569, nominato penitenziere maggiore, passò all'ordine dei preti.

Partecipò, schierandosi sempre fra i cardinali della tendenza rigidamente ecclesiastica, ai conclavi donde uscirono eletti Pio V e Gregorio XIII, che gli affidarono importanti uffici nella Curia e nell'opera di riforma religiosa. Quando il Borromeo nel 1566 lasciò Roma per governare la sua diocesi di Milano, l'A. fu il suo rappresentante più fidato in Curia, il portavoce dei suoi desideri e delle sue direttive. Vice protettore del regno di Portogallo, protettore del regno d'Irlanda, vice protettore e poi protettore dei certosini, dovette assumersi anche il disbrigo degli affari inerenti alle protettorie del Borromeo: Portogallo, umiliati, carmelitani, francescani. Non si allontanò quasi mai da Roma; nel 1568 per recarsi a Cantù a rivedere i genitori ormai ottantenni, e anche in questa occasione non senza qualche resistenza del Borromeo che temeva pericolose pieghe nella politica della Curia o rallentamenti nell'opera di riforma.

La sua attività da cardinale si rivolse principalmente a due settori: la riforma della Chiesa e il riordinamento della legislazione canonica.

Quanto fosse zelante promotore della riforma religiosa dei laici e del clero appare dal suo copioso carteggio col Borromeo. Si atteneva cosi scrupolosamente ai decreti tridentint da esprimersi negativamente persino su coloro che gli venivano raccomandati dal Borromeo, qualora, a suo avviso, non presentassero i requisiti richiesti. Membro della commissione cardinalizia per la riforma del clero secolare romano ordinata da Pio V nel concistoro del 23 genn. 1566, venne designato commissario per l'esame dei parroci con i cardinali Borromeo, Savelli e Sirleto. Nella Congregazione del concilio fu una delle massime autorità, utilizzandosi la sua competenza giuridica nella soluzione di controversie e di quesiti che in gran numero venivano sottoposti alla Congregazione. Si interessò alla restaurazione della fede cattolica nei paesi tedeschi e approvò nei 1569, con i cardinali Commendone e Mor, il sinodo di Salisburgo, tenuto per opera del domenicano Feliciano Ninguarda, riformatore di quella diocesi. L'A. fu anche membro della Congregazione dei religiosi. In qualità di protettore dei certosini ne ordinò e vigilò la riforma, che volle attuata nel modo più integrale, con la restaurazione della clausura, l'eliminazione degli abusi nei benefici, l'emendazione dei monaci e il ritorno alla santità della vita. Si interessò particolarmente del monastero di S. Ambrogio ad nemus di Milano; quivi, per riportare l'antica disciplina, ricorse anche a mezzi drastici, deponendo monaci indegni e facendo incarcerare, nel 1579, il loro generale Feiciano Lanfredi.

La sua dottrina giuridica ebbe modo di brillare nel riordinamento della legislazione canonica ordinata da Pio V e da Gregorio XIII. Dal primo venne chiamato nel 1566 a far parte della congregazione per la correzione del Decreto di Graziano, con i cardinali Sirleto e Boncompagni. Quando questi, divenuto papa, volle fossero accelerati i lavori, si rivolse ancora al Sirleto e all'A., che venne anche nominato prefetto della congregazione: nel cod. Vat. Lat. 4913 sono conservate molte note di sua mano (con citazioni di Padri, canoni condiliari, decretali; collazioni di codici grazianei, ecc.) che testimoniano la parte da lui avuta nei lavori di emendazione. Avendo Gregorio XIII progettato una raccolta sistematica delle costituzioni pontificie accumulatesi dall'apparire delle Clementinae, l'A. ne fu incaricato della realizzazione con i cardinali Orsini e Carafa; ma poco poté attendervi per la morte sopravvenuta di lì a poco. Nelle varie controversie giurisdizionali, dibattute sotto i pontificati di Pio V e Gregorio XIII, originate per lo più dall'applicazione dei decreti tridentini e dalla bolla In coena Domini, l'A. fu sempre uno dei consiglieri più autorevoli; e in quella sorta nel 1573 nel Regno di Napoli fu anche membro della speciale commissione cardinalizia incaricata di dirimerla.

La personalità dell'A. sarebbe incompleta senza ricordare la sua partecipazione alla vita culturale del tempo. Fu uno dei soci più attivi dell'Accademia borromaica delle Notti Vaticane; anche l'Accademia pavese degli Affidati lo nominò suo membro e così altre minori accademie romane (come quella cosiddetta dei Tredici che coltivava particolarmente il diritto). Per la pratica degli studi universitari l'A. fu chiamato a far parte della congregazione dei cardinali preposti all'insegnamento nell'università romana della Sapienza. Nel 1570 Gregorio XIII lo incaricò, col Sirleto, di esaminare e abilitare i nuovi lettori e nel 1575, volendo potenziare lo Studio istituendo nuove cattedre e chiamandovi nomi illustri a reggerle, si rivolse ancora all'A. perché vi provvedesse.

L'A., a Roma, abitò sempre in Vaticano e ivi morì il 20 apr. 1580. Fu sepolto in S. Maria degli Angeli, chiesa dei certosini di cui era protettore. Un busto di pregevole fattura, che si ritiene lo raffiguri, è conservato a Milano nella chiesa di S. Alessandro, presso i resti della tomba eretta da Andrea Alciato ai suoi genitori.

Fonti e Bibl.: Oltre alle opere sopra ricordate sono andate distrutte, dell'A., anche molte lettere contenute nei codd. cit. della Trivulziana. Resta invece al completo il suo carteggio con Carlo Borromeo, custodito in parte nell'Arch. arcivescovile di Milano (Carteggio ufficiale, voll. VII, XVII, CXXI) e solo parzialmente reso noto da A. Sala, Documenti circa la vita e le gesta di S. Carlo Borromeo, Milano 1857-61, voll. II e III, e soprattutto nella Biblioteca Ambrosiana (Carteggio di S. Carlo, F. 36, F. 37, F. 38, E. 40, F. 42, F. 43 bis, F. 82, ecc.). Documenti sul periodo d'insegnamento a Pavia sono nell'Arch. di Stato di Milano, Fondo Studi: Univeruitd di Pavia, cart. 397 e 407; Memorie e documenti per la storia dell' Università di Pavia, I, Serie dei Rettori e dei Professori, Pavia 1878, pp. 75,79; F. Picinelli, Ateneo dei letterati milanesi, Milano 1670, p. 198; G. Panziroli, De claris legum interpretibus libri quatuor, Lipsiae 1721, p. 281; F. Argelati, Bibliotheca scriptorum Mediolanensium, I, 2, Mediolani 1745, coll. 28-29; G.M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, I, 1, Brescia 1753, pp. 372-373; F. M. Renazzi, Storia dell'Università degli Studi di Roma, II, Roma 1804, pp. 142 ss.; A. Bertolotti, I testamenti di Girolamo Cardano medico filosofo e matematico del sec. XVI, in Arch. stor. lombardo, IX (1882), pp. 615 ss.; D. Sant'Ambrogio, Un busto del XVI sec. del cardinale A., in La Lega lombarda, 8 ott. 1905; A. Ratti, San Carlo e gli Alciati, in S. Carlo Borromeo nel terzo Centenario della Canonizzazione, Milano 1909, pp. 23-24; L. Gramatica, Diploma di laurea in diritto canonico e civile di S. Carlo Borromeo, Milano 1917; O. van Gulik - C. Eubel, Hierarchia catholica..., III, Monasterii 1923, pp. 41, 168; L. v. Pastor, Storia dei Papi, VIII, Roma 1928, pp. 50 ss., 126 ss.; IX, ibid. 1929, pp. 156 ss., 201 ss., 446 ss.

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