ALPRUNI, Francesco Antonio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 2 (1960)

ALPRUNI, Francesco Antonio

Mario Rosa

Nato a Borgo Valsugana nel 1732, entrò ventenne a Genova nella Congregazione barnabitica. Passato a Roma, insegnò teologia nel collegio di S. Carlo ai Catinari, fu consultore della Congregazione dei riti (dal 1768) ed ebbe contatti e legami con i più vivaci esponenti delle tendenze antigesuitiche e giansenistiche, particolarmente attivi durante il breve pontificato di Clemente XIV. Delle polemiche di quegli anni l'A. colse inizialmente quelle rivolte ai problemi devozionali, spintovi dalla sua stessa qualità di consultore della Congregazione dei riti, come mostra una lettera da lui indirizzata a C. Blasi e inserita tra i Monumenta selecta (pp. 310-314) dell'opera dello stesso Blasi, De Festo Cordis Iesu Dissertatio commonitoria, Romae 1771. In appoggio alla tesi dell'autore egli intese confermare il carattere del decreto del 1765, che aveva autorizzato il culto soltanto "simbolico"al Cuore di Gesù, e denunziare i pericoli di un culto "materiale" e "carnale", che tradiva lo spirito e gli intenti della nuova devozione (tale suo scritto sarà menzionato da S. de' Ricci nella seconda pastorale, 5 ott. 1787, dedicata al dibattutissimo argomento).

Con il papato di Pio VI, iniziatasi la dispersione dei gruppi giansenisti e riformatori romani, l'A. accolse l'invito di recarsi a Milano rivoltogli dal Firmian, ministro plenipotenziario per la Lombardia austriaca, presso il quale si erano adoperati a suo favore due amici degli anni romani, il conte di Wilczeck e il Tamburini. Dopo un periodo di insegnamento a Brera (1779-86), poté occupare, succedendo al Tamburini e per i buoni uffici di lui, la cattedra di teologia morale a Pavia.

In Lombardia, ma con frequenti soste nella regione d'origine, l'A. arricchisce la propria personalità dei motivi più radicali, particolarmente eybeliani, del riformismo ecclesiastico giuseppino; intensifica i suoi rapporti anche diretti, oltre che epistolari, con il Ricci, con i giansenisti liguri (Degola, Palmieri e Natali), con l'Amaduzzi, il Puiati, I. Bianchi, l'Astorri, il Clément, ecc., manifestando durezza e intransigenza nel commento dell'opera di riforma e non risparmiando talvolta critiche anche alle posizioni più avanzate del dispotismo illuminato (cfr. nella lettera al Puiati, in P. Savio, pp. 336-338, le riserve sui "cinquantasette punti ecclesiastici" leopoldini); amplia le sue letture dei classici dell'illuminismo (citerà da Hume e Montesquxeu, pronunziandosi nelle discussioni del Gran Consiglio della Cisalpina contro l'imposizione del testatico); si iscrive alla massoneria, come è lecito dedurre dalla sua simpatia e partecipazione a cose e vicende massoniche soprattutto all'epoca del processo di Cagliostro (v. lettere all'Amaduzzi, cit. oltre). Vivacità e varietà di interessi, la sua, che non può essere ricondotta, come sinora in prevalenza si è fatto, alla sola componente giansenistica, ma va vista piuttosto nella gamma di quelle occasionali e diverse convergenze nel moto riformatore settecentesco, dove l'A. porta una sua accentuata carica religiosa, ma su base giurisdizionalistica e illuministica (come volta ad una "sana" pietà razionalisticamente intesa, e non giansenistica, era stata l'esigenza che l'aveva spinto a schierarsi a favore dell'opera del Blasi).

Il carteggio col Ricci, tra il 1783-93, configura assai bene le fasi di questa convergenza dell'A, verso il programma ricciano-leopoldino, convergenza che giunge persino, ad assumere il carattere di una vera e propria collaborazione (cfr. passim la corrispondenza per l'invio di un abbozzo di pastorale alla fine del 1783, per la promessa, non mantenuta dall'A., di preparare qualche scritto, tra cui una nota sui diritti dei sovrani in materia beneficiaria e sopra i legati pii per messe, per gli Opuscoli Interessanti la Religione, ecc.). Ma più indicativo della crisi politico-religiosa di quegli anni e più significativo per l'orientamento dell'A. è il gruppo di lettere indirizzate all'Amaduzzi tra il 1790-91. Esso permette di seguire nell'A. (come non avviene nel carteggio con il Ricci, che si dirada sin dai primi anni della Rivoluzione, testimoniando la sopraggiunta impossibilità di un colloquio) il passaggio al giacobinismo, che, se avviene esplicitamente al momento della discesa delle truppe francesi in Italia, è preparato da un più lontano travaglio, dalla crescente delusione per il fallimento del riformismo ecclesiastico dei sovrani e per il rifluire delle monarchie europee su posizioni di alleanza con il papato e "di difesa e di reazione - sono avanzati qui anche interessanti spunti politico-sociali ,e da una progressiva radicalizzazione, riflessa nella violenza del linguaggio, delle speranze nella ventata rivoluzionaria che sola avrebbe operato l'attesa palingenesi della Chiesa.

Intanto l'A. pubblicava due volumi della sua opera maggiore, frutto delle lezioni pavesi, i De officiis hominis christiani libri V, Ticini 1790-92, incompiuta.

Le assonanze che essa ha con talune formulazioni del Tamburini, il rifiuto degli scrittori più recenti e certo gusto arcaizzante nel risalto dato a s. Agostino non condizionano in senso "giansenistico" il nucleo di tutta la elaborazione dell'A., mirante all'assorbimento entro la tradizione di pensiero cattolica del giusnaturalismo illuministico, risisternato e moderato attraverso l'uso prevalente della dottrina tomistica (ed è, questa, una interessante espressione della rifioritura del pensiero di s. Tommaso, attuata nell'ambito delle discussioni sul diritto naturale nello scorcio del '700 e preludente alla più ampia ripresa nel secolo successivo). Così ilvero accento dell'opera è in questo adattamento compiuto entro uno schema teologico-dottrinale, che mostra evidenti a tratti le suggestioni del nuovo pensiero: si vedano, ad esempio, nel I volume, il cap. III, dove sono enunciate nella loro interdipendenza le tre leggi, rivelata, naturale e positiva; il cap. IX, De ignorantia, sulla ignoranza colpevole dei doveri derivanti dalla legge naturale, che provocherà le reazioni del filogesuitico Giornale ecclesiastico di Roma; l'importante capitolo conclusivo XXI, De lege humana, che teorizza l'originaria socialità dell'uomo, il carattere della legge naturale, del patto sociale, l'origine e i limiti del potere legittimo, infine la distinzione tra potestà politica e potestà ecclesiastica, dove viene reintrodotta la tematica propria del riforinismo asburgico. Direttamente legato a tale orientamento, quando le prospettive politico-religiose andavano rapidamente mutando, è il II volume, in cui si esaminano i doveri del cristiano erga Deum e in cui viene agitata con decisione la riforma della pietà e degli abusi della organizzazione ecclesiastica.

Nel 1795 l'A. con il Palmieri, succedendo a Zola e Tamburini, diviene censore per il culto a servizio del governo austriaco, ma, con l'occupazione di Pavia da parte dei Francesi (1796), rompe definitivamente con il passato. Dell'antico barnabita e del funzionario asburgico non resta in apparenza nulla. L'A. si trasforma in agitatore e uomo politico, e in quella che dovette sembrargli una liberazione razionale e morale partecipa accesamente al nuovo clima democratico: si comprende così come egli spesso danzi la carmagnola intorno agli alberi della Libertà e come intervenga, con l'inseparabile collega e amico G. Fontana, a balli e conviti patriottici (episodi che provocano lo sdegno e gli amari commenti del Palmieri, malinconicamente consapevole della frattura del vecchio schieramento riformatore: cfr. lettere al Ricci, Pavia 18 [genn.] e 25 genn. 1797, in Carteggi..., pp. 489-490 e 493); ma sa immettersi attivamente nella vita politica della Cisalpina, dapprima come municipalista a Pavia, poi come membro del Gran Consiglio, quale "itiniore" del dipartimento del Ticino (9 nov. 1797).

Del periodo democratico dell'A., fra il '96 e il '99, si hanno notizie lacunose tali da non consentire per ora un giudizio preciso sui suoi orientamenti: che potremmo definire generalmente evangelico-giacobini, se l'A. ebbe rapporti a Pavia con il Ranza e a Milano con il Poggi, aderendo alle posizioni da questo espresse nel Repubblicano evangelico (gennaio 1797).

Più ricostruibile la sua attività quale "niore", per i suoi interventi nelle discussioni dell'assemblea, nelle quali si segnalò, oltre che per esperienza giuridica e canonistica, utile particolarmente nell'esame dei problemi riguardanti i beni ecclesiastici, dei quali reclamò senza successo l'immediata nazionalizzazione, per la ferma difesa dei principi costituzionali e dei poteri del corpo legislativo contro le inframettenze e gli arbitri del Direttorio, e in genere dell'esecutivo, e per concretezza nelle proposte di soluzione delle questioni ecclesiastiche e finanziarie, in contrasto con le valutazioni più generali e talvolta astratte della maggioranza dell'assemblea. Di questa divenne presidente per il turno 21 marzo - 4 apr. 1798. Si occupò in seguito della organizzazione delle circoscrizioni dei giudici di pace (24 giugno '98) e fece parte nell'agosto, col Compagnoni, il Fontana, il Mascheroni, il Lattanzi ed altri, della commissione per l'istruzione pubblica incaricata di elaborare un piano generale di studi. Dopo il colpo di stato del Trouvé l'A. si ritrovò nel rinnovato Consiglio de' luniori, partecipando ancora ai lavori di varie commissioni.

Con l'occupazione austro-russa della Lombardia e il crollo della Cisalpina venne arrestato con il Fontana, sottoposto a processo nel maggio '99 e sospeso dall'insegnamento. Dalla cattedra di teologia morale, abolita nel '96, l'A. era passato a quella di diritto costituzionale (1797-98), dalla quale era stato trasferito a quella di giurisprudenza naturale (1798-99). Reintegrato nell'incarico universitario con il ritorno dei Francesi nel 1800, occupò fino al 1802 la cattedra di diritto della natura e delle genti e filosofia morale. Collocato a riposo e posto in disparte dal regime napoleonico, morì il 30 nov. 1814.

Fonti e Bibl.: Biblioteca Apostolica Vaticana, I7 at. Lat. 9038, ff. 215r-263r (contiene 24 lettere all'Amaduzzi, dall'8 ag. 1790 al 22 luglio 1791); Arch. di Stato di Firenze, Carte Ricci, Lettere diverse, 78, a. 1783, p. II; 79, a. 1784, p. I e 80, a. 1784, p. II; ecc.; Giornale ecclesiastico di Roma, VI, 1791, pp. 125, 129; X, 1795, pp. 73, 78, 82, 86, 89; XII, 1797, p. 116; Memorie e docc. per la storia dell'università di Pavia, I, Pavia 1878, pp. 295, 329, 336-337, 573, 589; II (docc.), ibid. 1877, pp. 45, 214, 382, 431, 441; R. Accad. dei Lincei, Commiss. per gli Atti delle Assemblee costit. ital., Assemblee della Repubblica Cisalpina, I-IX, Bologna 1917-1940, passim; Carteggi bresciani inediti sulla vita e i tempi di P. Tamburini, in Bollett. d. soc. Pavese di storia patria, XXVII (1927), pp. 177, 184, 208, 226; Carteggi di giansenisti liguri, a cura di E. Codignola, Firenze 1941, I, pp. XXVII, XXXIV, XL, XCVII, C, 252 II, pp. 17, 363, 481 s., 489 s., 493; III, pp. 148, 150, 216; F. H. Reusch, Der Index der verbotenen Bùcher, II, Bonn 1885, p. 963 (l'opera dell'A, non fu Posta all'Indice come erroneamente in Boffito, v. oltre); F. Novati, Delle antiche relazioni fra Trento e Cremona, in Arch. stor. lombardo, s. 3, I (1894), pp. 72, 73 (dà notizie di lettere dell'A. ad I. Bianchi); L. Mascheroni, Poesie e prose ital. e latine edite ed inedite, a cura di C. Caversazzi, in Atti d. Ateneo di scienze lettere ed arti in Bergamo, XVII, 1 (1902-03), pp. 167 s., 169 ss. della introduzione; R. Soriga, La reazione dei tredici mesi in Pavia e le sue vittime politiche, in Bollett. d. Soc. Pavese di storia patria, XVI (1916), pp. 11, 18; A. Bernareggi, Le polemiche circa la devozione del S. Cuore in Italia alla fine del '700, in La Scuola cattolica, XLVIII (1920), s. 5, vol. XIX, pp. 24, 27; N. Rodolico, Gli amici e i tempi di Scipione dei Ricci, Firenze 1920, pp. 186, 187; E. Rota, Giuseppe Poggi e la formazione psicologica del patriota moderno, Pavia 1923, p. 129; Id., Le origini del Risorgimento ital., Milano 1938, pp. 755,8 28, 887, 1041, 1161; G. Cattani, Il giansenismo e la legislazione ecclesiastica della Cisalpina, in Nuova riv. stor., XV (1931), I, p. 112, 113; G. Boffito, Scrittori barnabiti, I, Firenze 1933, pp. 24 s. (con bibl.); P. Savio, Devozione di Mgr. Adeodato Turchi alla Santa Sede, Testo e DCLXX VII docc. sul giansenismo ital. ed estero, Roma 1938, pp. 277, 278, 336 - 338, 381; G. Gasperoni, Settecento ital., I, L'ab. Giovanni Cristoforo Amaduzzi, Padova 1941, pp. 177, 210, 211; E. Dammig, Il movimento giansenista a Roma nella seconda metà del sec. XVIII, Città del Vaticano 1945, pp. 174 s.; E. Codignola, Illuministi, giansenisti e giacobini nell'Italia del '700, Firenze 1947, pp. 84, 204, 210, 220, 271, 322, 324; G. Solari, Per la storia del giansenismo italiano, in Riv. di filosofia, XXXIX (1948), pp. 48, 49.

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