BORROMINI, Francesco

Enciclopedia Italiana (1930)

BORROMINI (o Borromino), Francesco

Achille BERTINI-CALOSSO

Architetto. Nacque a Bissone, sul lago di Lugano, nel 1599; morì suicida a Roma il 2 agosto 1667. Solo verso il 1628 mutò in Borromini il suo vero cognome: Castello. Venuto giovanissimo a Roma, portò con sé dalla sua terra, feconda di costruttori e di scalpellini, l'amore per le materie costruttive, e l'affinò in un lungo, umile esercizio. Fino ai trent'anni non lavorò che come scalpellino, formandosi a poco a poco in modesta collaborazione prestata nei lavori di S. Pietro in Vaticano a Carlo Maderno, suo conterraneo e lontano parente. Morto il Maderno (1629), fu alle dipendenze del Bernini nella medesima basilica, sempre con umili funzioni d'esecutore: dal 1631 al 1633 egli attese allo sviluppo degli schizzi per il baldacchino in bronzo di S. Pietro, elaborando i disegni in grandezza dell'originale per i varî artefici. Preparazione lenta, ma non inutile, sotto la guida di due architetti di tanta fama e di tanta abilità; e proficuo fu certamente il passaggio dalla bottega del vecchio Maderno, tradizionalista ed equilibrato, a quella del coetaneo Bernini, audacissimo pur nel rispetto delle forme consacrate dai monumenti classici. Negli stessi anni, dal 1625 al 1632, il B. era addetto ai lavori del palazzo Barberini, sotto la direzione prima del Maderno e poi del Bernini: e, meglio che in alcuni particolari ornamentali della Basilica Vaticana, riusciamo a scoprirvi la formazione del suo stile personalissimo nelle finestre dell'ultimo piano sulla facciata, ai lati del corpo centrale sporgente.

Finalmente nel 1634 il B. prese la direzione d'una grande opera architettonica: S. Carlo alle Quattro Fontane ("S. Carlino"), con l'annesso convento dei padri Trinitarî. I disegni conservati nella "Albertina" di Vienna mostrano lo studio costante posto dall'artista nell'elaborare successivi progetti, la sua ricerca spinta all'estremo, sicure e vaste conoscenze dell'architettura classica e di quella contemporanea.

La costruzione progredì lentamente: dapprima fu compiuta l'attuale sacrestia (in origine refettorio); poi il chiostro, e soltanto nel 1641 la chiesa. Assai più tardi, dal 1660 al 1665, l'artista provvide alla facciata del convento, mentre solo nel 1667, l'anno stesso della sua morte, compì la facciata della chiesa. In S. Carlino si trovano tutti i caratteri e tutte le qualità dell'arte del B.: indipendenza di fronte ai modelli classici; tendenza all'elevazione verticale; cura amorosa per i particolari decorativi; squisito senso d'armonia nella distribuzione delle singole parti; ricerca dell'effetto pittorico ottenuto mirabilmente non con materiali policromi, ma con il calcolo sapientissimo del giuoco delle ombre e delle luci. Si spezzano le linee con effetto nuovo e piacevole, si alternano elementi curvi e retti; sulle volte si distendono originali e semplici ornamentazioni in stucco; è abituale un grazioso motivetto di teste alate di cherubini, ricordo dei tempi in cui l'architetto era uno scalpellino.

Nei primi anni dei lavori di S. Carlino l'artista curò anche qualche decorazione per il palazzo Spada, dove eseguì la famosa galleria a colonne, con sapiente illusione prospettica. Opera più importante, eseguita verso il 1640, fu la trasformazione del palazzo Falconieri, soprattutto notevole per la bella loggia. È probabile che, contemporaneamente, il B. lavorasse all'ampliamento del palazzo Barberini all'Arco del Monte.

Dal 1637 al 1650 l'attività dell'artista fu soprattutto in una opera di grande mole che ne caratterizza lo stile e ch'è fra i monumenti più singolari del nostro Seicento: il convento dei Filippini adiacente a S. Maria in Vallicella, con l'originalissimo movimento della bella facciata, con l'Oratorio - una delle più eleganti sale di Roma - con la scala ed i chiostri, con la biblioteca, con la Torre dell'Orologio.

L'avvento al pontificato d'Innocenzo X, e la conseguente disgrazia del Bernini, segnò per il B. l'inizio d'un periodo di straordinaria attività. Dal 1646 al 1649 compì la trasformazione della basilica di S. Giovanni in Laterano; dal 1653 al 1657 attese alla fabbrica, condotta poi a termine con l'opera di altri architetti, della chiesa di S. Agnese a Piazza Navona. Con l'audacia che è consentita ad ogni grande artista e che caratterizza del resto ogni periodo di sincera vitalità artistica, il B. distrusse la basilica Lateranense medievale con gli affreschi di Gentile da Fabriano e del Pisanello, ma è giusto riconoscere che nello stesso tempo ci ha lasciato un saggio compiuto della sua abilità e dell'austerità dei suoi ideali. In S. Giovanni mostrò ancora di prediligere il bianco nei suoi interni e di rinunziare ai più facili effetti raggiunti da altri architetti barocchi mediante l'impiego di fastosi materiali policromi. La cupola di S. Agnese conferma la costante aspirazione dell'artista al verticalismo che egli realizzò nella forma più audace e più nuova con la cupola di S. Ivo della Sapienza, che pure appartiene agli anni del pontificato d'Innocenzo X e, alquanto più tardi, col campanile di S. Andrea delle Fratte.

Dal 1646 per un ventennio l'attività del B. fu pure impiegata nel compimento del collegio di Propaganda Fide, dove in un certo senso egli riuscì a forme più libere e più complete, in contrasto con quanto di conforme alle regole tradizionali è invece nella parte condotta antecedentemente dal Bernini.

Altre sue opere, tutte a Roma, sono la chiesa e il convento di S. Maria dei Sette Dolori al Gianicolo; la sala della biblioteca Alessandrina e altri lavori alla Sapienza; l'adattamento dei palazzi Carpegna in via della Stamperia, Giustiniani e Pamphily a Piazza Navona; la trasformazione della cappella di S. Giovanni in Oleo a Porta Latina; la cappella Spada a S. Girolamo della Carità; la cappella dell'Altar maggiore, lasciata interrotta per la morte, a S. Giovanni dei Fiorentini. A Roma il genio del B. ebbe pieno sviluppo, e a Roma egli ha lasciato tutt'intera l'opera sua che tanto contribuisce a determinare il carattere architettonico della città. Fuori di Roma si può appena citare l'altare dell'Annunziata ai Ss. Apostoli di Napoli, cui conviene forse aggiungere il completamento della chiesa di S. Maria a Cappella Nuova, pure a Napoli, e gli altari per gli Spada in S. Maria dell'Angelo a Faenza e in S. Paolo a Bologna.

Uomo semplice e disinteressato, tutto austeramente assorto nelle visioni della sua arte e preoccupato di tradurle nella forma più compiuta, virtuoso e fatto per la vita solitaria, finì tragicamente i suoi giorni: colto da un accesso di malinconia e da una eccitazione nervosa, si colpì con la propria spada, e morì in seguito alla gravissima ferita. Volle avere sepoltura nella tomba di Carlo Maderno, a S. Giovanni dei Fiorentini.

Collaboratore troppo modesto, dato il suo altissimo valore, del Bernini, ne fu il solo emulo degno e ne divenne fiero avversario; peraltro ambedue, anche se per diversa via, seppero ritrovare nell'opera di Michelangelo il germe di quel profondo rinnovamento che doveva operarsi nell'arte nostra durante il sec. XVII. Né va taciuto che il grandissimo Bernini in qualche sua architettura si mostrò non insensibile agli esempî del B.

Ciò che di più audace nei riguardi dell'arte preesistente, e insieme di più leggiadro, era nell'opera del B., largamente contribuì a farne imitare l'esempio. Dal padre Guarino Guarini i suoi modi furono diffusi a Torino e in Sicilia. A Vienna, che si rinnovava dopo l'assedio del 1683, li propagò, dopo averli studiati a Roma, soprattutto Johann Bernhard Fischer von Erlach. A Monaco di Baviera, a Dresda, a Berlino e in altre città della Germania, a Praga, nella Penisola Iberica e nell'America Latina, attraverso la Spagna, si trovano larghe derivazioni dallo stile borrominiano. In Francia esso penetrò più lentamente, ma, nonostante gli ostacoli trovati in principio e nonostante gli sviluppi originali che ivi presero i germi importati, è pur lecito concludere che anche il Rococò francese da esso prese in parte le mosse.

A Roma per un secolo tutti seguirono le orme del B., a cominciare da Mattia de Rossi, fedelissimo berniniano, e da Carlo Fontana, per venire giù giù al Fuga, al Valvassori, al Gregorini, al Sardi. Due volumi di un'opera da lui stesso in parte preparata videro la luce in Roma, col titolo di Opus architectonicum equitis Francisci Boromini, nel 1720 e nel 1723, e riproducono molti particolari, non tutti attuati, della Sapienza e del convento dei Filippini. Questa pubblicazione giovò ad accrescere ancora la diffusione, in Italia e fuori, di un'arte che aveva tanta vitalità. Fra i seguaci, va ricordato Andrea Pozzo, che più tardi lavorerà nei paesi tedeschi.

La critica neoclassica fu spietata contro il B., ma tornata in onore l'arte del nostro Seicento, a poco a poco s'è finito per comprendere nuovamente che egli è uno dei più originali artisti italiani.

V. tavv. CIII a CX.

Bibl.: G. Baglione, Le vite de' pittori, scultori et architetti, Roma 1642, p. 181; G. B. Passeri, Vite de' pittori, scultori ed architetti, Roma 1772 (ma scritte un secolo prima), pp. 383-389; F. Baldinucci, Vita del cavaliere Gio. Lorenzo Bernino, Firenze 1682; id., Notizie de' prof. del disegno, Firenze 1728, IV, pp. 370-75; L. Pascoli, Vite de' pittori, scultori ed architetti moderni, I, Roma 1730, pp. 298-306; S. Fraschetti, Il Bernini, Milano 1900, pp. 45, 164-165, 408-411; O. Pollak, in Thieme-Becker, Künstler-Lexikon, IV, Lipsia 1910 (con la bibl. precedente); A. Muñoz, Francesco Borromini (Sei e Settecento italiano), Roma 1920; id., Roma barocca, 2ª ed., Roma 1928, pp. 224-267; A. Bertini Calosso, Il classicismo di Gian Lorenzo Bernini e l'arte francese, in L'Arte, XXV (1921), pp. 241-256; M. Guidi, F. Borromini, Roma 1920; E. Hempel, F. Borromini, Vienna 1924, con ampia bibl. (v. trad. it., Roma 1926, con prefaz. di C. Ricci); H. Seldmayer, Die Architektur B's, Berlino 1830.

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